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“Le religiose sono una
ricchezza per la vita pastorale”. Parola di don Domenico Sigalini,
vicepresidente del Cop, Centro di Orientamento Pastorale, che di recente
ha focalizzato su questo tema il sesto simposio telogico-pastorale
realizzato grazie al prezioso contributo dell’USMI.
A sfilare, sullo sfondo dell’Istituto teologico Leonino
di Anagni, sono le molteplici esperienze delle suore che rispondono alle
sfide del tempo attuale, in diverso modo. Come fa
suor Giovanna Della Luna, canossiana,
testimone a 360 gradi di carità vissuta in parrocchia.
“Accogliere implica, prima di tutto,
apertura del cuore, disponibilità all’incontro libero, non legato da
pregiudizi di razza, di religione, di pre-comprensione, per cui ti devi
sempre richiamare a una rettitudine di coscienza, a una conversione
continua per coltivare un rapporto che si presenta sempre nuovo ed
unico. Le persone sono le più varie, dal ragazzino che quotidianamente
entra nella nostra casa per la catechesi o il gioco, all’adolescente che
chiede aiuto per un’interrogazione o una ricerca di religione, alla
mamma che non sa come riaprire il dialogo interrotto con la figlia, alla
persona sola che chiede un po’ d’ascolto e di compagnia, al povero
italiano albanese o rumeno che chiede accoglienza, sostegno, lavoro o
almeno un’indicazione come risposta concreta per andare avanti con una
nuova speranza”.
Il
contatto con la gente, certo, non è sempre facile…
“E’
vero. Qualche volta possono scattare, anche inconsciamente, delle
difese, delle chiusure, ma il pensiero che sto ascoltando una persona,
che sto servendo un fratello mi dà la carica giusta per aprirmi a quella
gratuità giusta per aprirmi a quella gratuità che apre porta e cuore per
incontrare e lasciarmi interrogare, mettere in discussione, non dare
ricette preconfezionate, ma cercare insieme le risposte ai tanti
interrogativi che nascono nel cuore di ciascuno. Si tratta di domande
che in fondo ricercano sempre il senso profondo della vita, attese che
nascondono disagi e sofferenze, fatiche e solitudine. È nel quotidiano
che ritrovo queste persone, negli incontri che qualche volta sono
richiesti ma che spesso nascono da situazioni familiari o personali di
gioia o di dolore e che ho la possibilità di visitare personalmente o
tramite altre sorelle della comunità. La religiosa, mi sento di
poterlo affermare, è la persona che ancora oggi, nella nostra realtà
apparentemente vuota e superficiale, è cercata, invitata, accolta; e non
soltanto da persone sole, anziane o malate, ma anche da giovani,
famiglie, da adolescenti che guardano ad un futuro spesso nebuloso o
frammentato”.
In che modo,
qual è lo stile di assistenza, secondo il carisma canossiano?
“Termine che richiama alla parabola del Buon samaritano... «e si chinò
su di lui..». È questo chinarsi sull’uomo, guardando i suoi occhi,
ascoltando più che le parole, il suo cuore, facendo nostre le sue
attese, le sue ansie, i suoi problemi e facendoci carico del suo dolore.
È un cammino lento che diventa conseguente all’ascolto, ma è anche la
risposta che nessuno spesso, può dare da solo, né come Istituto, né come
comunità ecclesiale, anche se devo dirlo, cerchiamo come comunità di
dare almeno inizialmente, nella consapevolezza che la risposta spesso è
limitata nel tempo e nella qualità (per esempio cibo, vestiti, medicine,
ospitalità, sostegno economico...). L’assistenza è la prima risposta
concreta ai bisogni più urgenti: cibo, indumenti, accoglienza per
qualche breve periodo... ma deve rimanere un tempo transitorio,
altrimenti non aiutiamo la persona o la famiglia al raggiungimento di
una vera promozione.
La risposta vera ed esaustiva può essere data soltanto
quando una comunità ecclesiale, debitamente preparata e sostenuta si
avvale di quegli organismi e di quelle strutture che il sociale ha il
dovere di creare e di sostenere e che la «creatività della carità» è
capace di inventare. Quante case di accoglienza per bambini, anziani,
malati, profughi e poveri in genere la comunità cristiana ha aperto e
gestisce quotidianamente senza prendere fama e onori, ma va avanti
sostenendo oneri non indifferenti, forte della fede nella Parola di Gesù.
Alla vita religiosa, alla persona consacrata il compito primo di dare
anima all’interno di queste realtà, di indicare le motivazioni profonde
che devono sostenere il servizio, perché non sia assistenzialismo
passivo ma sia azione autentica di promozione, rispetto, sostegno,
animati sempre dalla parola evangelica: «Tutto quello che avete fatto al
più piccolo dei miei fratelli, l’avete fatto a me». Le nostre realtà
ecclesiali, sollecitate anche dalla Caritas, hanno preparato persone per
aprire centri di ascolto, luoghi in cui si cerca di dare una prima
risposta ai bisogni urgenti, ma ora si presenta più che necessario il
cammino di formazione permanente per rimotivare continuamente le scelte
fatte, per educare alla discrezione, al rispetto, alla gratuità vera,
che allontana anche il pensiero di un «ricatto affettivo o religioso».
È, dunque, necessaria un’animazione continua delle
comunità cristiane, un’evangelizzazione che richiami al dono-risposta
del battesimo che nella Chiesa e nel mondo ci chiama ad essere
sacerdoti-re-profeti. Ci sono difficoltà, legate spesso al limite
personale o della struttura: pericoli di autogestire in proprio la
carità, di un certo senso di autonomia personale, di una ricerca di
protagonismo... manca qualche volta lo stile umile e semplice, povero e
staccato che permette di accostarci alla persona in modo totalmente
disarmato, pulito, accogliente. Qualche volta, anche all’interno delle
comunità religiose ed ecclesiale emerge uno stile di «potere» che
nasconde un orgoglio e una superbia piuttosto raffinati.
Alla
luce della sua esperienza, cosa bisogna fare?
“È
necessario imparare a lavorare in stretta relazione con la parrocchia,
in alcuni casi con la diocesi, con le persone incaricate e con le
strutture sociali per rispondere in modo sempre più adeguato alle
povertà vecchie e nuove della nostra società.
Aiutare ad eliminare tanti pregiudizi nei confronti delle
persone. Assumere sempre più uno stile umile, semplice e paziente nel
servire ogni fratello in difficoltà; non giudicare mai perché la persona
umana ha un valore immenso perché voluta e amata dal Cuore di Dio che è
Padre. Dobbiamo agire insieme per «rompere il circolo vizioso della
povertà, che vuol dire quella sorte di miseria prodotta dall'inerzia e
noncuranza, che porta al raddoppio di miseria, e divenire agenti di
cambiamento. Come si legge nella Novo millennio ineunte, al
numero 51 «La carità si farà allora necessariamente servizio alla
cultura e alla politica, all'economia, alla famiglia perché dappertutto
vengano rispettati i principi fondamentali dai quali dipende il destino
dell’essere umano e il futuro della civiltà».
Mi auguro che la presenza delle religiose all’interno
delle parrocchie non manchi mai, sia compresa non soltanto come «forza
lavoro» ma soprattutto come segno di una Presenza che ci supera e ci
sostiene: l’Amore fattivo del Signore Gesù «e per non lasciar mancare a
questo mondo un raggio della divina bellezza che illumina il cammino
dell'esistenza umana».
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Di animazione della
liturgia si è occupata, invece, suor Emilia
Donati, delle suore Adoratrici del Sangue di Cristo, di Roma.
“Ho sviluppato la mia riflessione in base
alla connessione: sacra scrittura-vita liturgica-preghiera, perché non
posso raccontare la mia esperienza di preghiera, e quindi della
preghiera, se non come canto che sgorga dalla Parola annunciata, dalla
liturgia che la attualizza, dall’azione della Chiesa che la celebra.
Affermano i maestri della vita spirituale che le fonti della vita
cristiana e, quindi della preghiera, sia pubblica che privata, sono la
Parola e la liturgia. La preghiera, perciò, non nasce da noi, ma è dono
dello Spirito elargitoci dal Padre per mezzo del suo figlio, Cristo Gesù.
Ed è lo stesso Spirito Santo che, durante la preghiera, «dipinge
nell’anima, che è già immagine di Dio, la somiglianza di Dio». Sono
questi i «punti forza» da cui scaturisce tutta l’azione liturgica e
pastorale della Chiesa. Sono questi i «punti forza» su cui si è radicata
e si sviluppa la mia esperienza spirituale. Sono questi i «punti forza»
con i quali offro il mio servizio alla Chiesa e alla mia congregazione.
Dalla Parola e dalla liturgia, infatti, parte e prende contenuto ogni
attività all’interno della Chiesa parrocchiale e quella a favore del
popolo santo di Dio, in tutte le sue implicanze. A tale proposito, così
recita la Sacrosanctum concilium, la costituzione conciliare
sulla sacra liturgia: «… la liturgia è il culmine verso cui tende
l’azione della Chiesa e, insieme, la fonte da cui promana tutta la sua
virtù. Infatti le fatiche apostoliche sono ordinate a che tutti,
diventati figli di Dio mediante la fede e il battesimo, si riuniscano in
assemblea, lodino Dio nella Chiesa, partecipino al sacrificio e mangino
la cena del Signore…
Dalla liturgia, dunque, particolarmente dall’eucaristia, deriva in noi,
come da sorgente, la grazia, e si ottiene, con la massima efficacia,
quella santificazione degli uomini e glorificazione di Dio in Cristo,
verso la quale convergono, come a loro fine, tutte le altre attività
della Chiesa”. La stessa costituzione esorta, tuttavia, i fedeli a non
fermarsi alla preghiera pubblica, cioè, alla preghiera
liturgico-sacramentale, ma a coltivare anche la preghiera privata, sia
personale che comunitaria, con pii esercizi, espressioni di pietà
popolare, culto ai santi «purché siano conformi alle leggi e alle norme
della Chiesa».
La pietà popolare è una grande risorsa e ricchezza nella vita spirituale
di un popolo; ma se non rientra nelle linee che ho appena enunciato,
rischia di trasformarsi in magia che non solo non alimenta la fede, ma
la distorce e la distrugge. Nelle parrocchie, dove mi è stato dato di
partecipare a vari ministeri, ho cercato di condividere il dono della
preghiera e della liturgia così intesi, come catechista e formatrice di
catechisti, guida in centri d’ascolto, animatrice di liturgia, di
gruppi e di commissioni della liturgia.
Il servizio pastorale parrocchiale come religiosa, arricchito del
proprio carisma fondazionale e personale, è di aiuto concreto al popolo
santo di Dio, contribuendo alla formazione spirituale e liturgica dei
battezzati, alla comunione dei credenti, alla loro testimonianza che
deve brillare nel mondo, non di luce propria, ma della luce salvifica
del Cristo morto e risorto”.
Quali le
difficoltà che incontra nel suo servizio?
“Le difficoltà, per esercitare attivamente soprattutto il servizio
liturgico, le ho trovate, anche se non molte, in quelle parrocchie in
cui i parroci esercitano il sacerdozio ministeriale come «potere», e
credono ancora opportuno essere i soli detentori dei beni della Chiesa,
i soli ministri della Chiesa; essi ritengono i laici e, soprattutto le
suore, non idonei a esercitare il sacerdozio comune con una «attiva
partecipazione alle celebrazioni liturgiche, richiesta invece dalla
natura stessa della liturgia e alla quale il popolo cristiano, “stirpe
eletta, sacerdozio regale, nazione santa, popolo di acquisto”, ha
diritto e dovere in forza del Battesimo». La costituzione conciliare
esorta invece i «pastori d’anime» a formare, educare, coinvolgere i
fedeli a una partecipazione attiva e responsabile alla celebrazione dei
misteri del Signore”.
Quali
prospettive si aprono alla luce di queste considerazioni?
“Le prospettive le considero
proposte
alle attese della persona e della società contemporanee che gridano in
mille modi il loro bisogno di spiritualità, di ritrovare la propria
identità, di intrecciare e vivere un rapporto autentico con Dio e con
gli altri, stanche come sono della frantumazione e delle frustrazioni
conseguenti a una vita frenetica, dissociata da sé e dalla famiglia,
ecc… Tutti conosciamo i cappi e le pseudo felicità che il consumismo ci
tende e ci propina.
La lettera apostolica Novo millennio ineunte di Giovanni Paolo II
ci traccia la strada: «Le nostre comunità cristiane devono diventare
autentiche “scuole di preghiera”»: è urgente, infatti, educare alla
preghiera e alla vita liturgica attiva e responsabile; favorire la
riflessione, il silenzio, la preghiera del cuore, l’ascolto della
Parola, la sua contemplazione sapienziale per
un’appropriazione-incarnazione personale di essa e una autentica
celebrazione dei misteri di Cristo Gesù. Sono opportuni, a tale scopo,
centri di ascolto, scuole di lectio divina, di lettorato, di
gruppi e di commissioni della liturgia.
La Parola di Dio risiederà sovrana nel nostro cuore e ci insegnerà e ci
guiderà all’ascesi autentica, cioè a somigliare ogni giorno di più al
volto del Padre, attraverso il figlio Gesù, nello Spirito Santo. È da
questa luce che potremo ripartire e tenere viva la nostra fede da cui
poi, come per naturale flusso, nascono la testimonianza missionaria
della Chiesa, la nuova evangelizzazione, il servizio della carità”.
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A suor Francesca
Berton, delle suore pastorelle, di Nocera Superiore in provincia
di Salerno, spetta raccontare l’esperienza della conduzione di una
parrocchia:
“La presenza pastorale delle suore di Gesù
buon Pastore nella diocesi di Nocera Inferiore-Sarno si colloca
all’inizio del ministero episcopale di monsignor Gioacchino Illiano,
nell’ottobre 1987, il quale dopo un solo un anno, ha avuto l’audacia e
il coraggio, tramite padre Gerardo Cardaropoli, di inoltrare la
richiesta alla nostra Congregazione, e dare inizio a una nuova presenza
pastorale di persone consacrate nel territorio di suddetta diocesi,
applicando il can. 517 §2 il quale recita: « Nel caso che il vescovo
diocesano, a motivo, della scarsità di sacerdoti, abbia giudicato di
dover affidare ad un diacono e ad una persona non insignita del
carattere sacerdotale o ad una comunità di persone una partecipazione
nell’esercizio della cura pastorale di una parrocchia, costituisca
un sacerdote il quale, con la potestà e le facoltà di parroco, sia il
moderatore della cura pastorale». Dal settembre 1988 siamo presenti
nella parrocchia di «San Michele Arcangelo» a Nocera Superiore-Salerno e
dal settembre 1999 nella parrocchia di «Santa Maria delle Grazie»
Lavorate di Sarno-Salerno.
Cosa
ha voluto dire promuovere questa esperienza?
“Dare inizio a questa presenza nuova ha significato, sia per il vescovo
che per la nostra Congregazione, percorrere, con una certa audacia, una
strada nuova che ha richiesto e richiede tuttora coraggio e riflessione
nell’approfondimento della nozione di «cura pastorale», espressione che
ha avuto una complessa evoluzione e che numerosi fattori, alla luce del
concilio Vaticano II, obbligano oggi a ripensare o meglio organizzare
tale nozione. Fattori come, l’ecclesiologia di comunione; la
consapevolezza che tutti i christifideles partecipano della
triplice missione di Cristo di insegnare, di santificare e di governare;
la convinzione che tutti i christifideles devono cooperare
all’edificazione del Corpo di Cristo; la riflessione sulla «ministerialità
laicale»; la ri-comprensione del ministero ordinato e del suo operare
in persona Christi capitis.
Occorre pazienza, ma anche coraggio per mettere in opera
il principio che «fra tutti i fedeli, in forza della loro rigenerazione
in Cristo, sussiste una vera uguaglianza nella dignità e nell’agire, e
per tale uguaglianza tutti cooperano all’edificazione del Corpo di
Cristo, secondo la condizione e i compiti propri di ciascuno» (can.
208).
La messa in opera del can 517 §2 pone dei problemi,
obbliga, in particolare, a ripensare la «cura pastorale» come
tradizionalmente intesa. Sembra non possa più essere vista come
qualcosa di esclusivo del parroco. Anche i non sacerdoti concorrono alla
sua attuazione, affinché la comunità organicamente strutturata abbia a
realizzare la missione della Chiesa, per la quale è necessariamente
costituita. È in questa visione di orizzonti nuovi, che la richiesta del
vescovo di Nocera Inferiore-Sarno ci ha raggiunto e ha trovato la
risposta positiva da parte della nostra Congregazione.
La stesura di una convenzione tra la diocesi e la
congregazione è servita e serve a chiarire e a salvaguardare
l’equilibrio delle funzioni e la loro unità. In pratica, «il
dover affidare ad una comunità di persone una partecipazione
nell’esercizio della cura pastorale…» si è tradotta nella
responsabilità, nell’animazione e nel coordinamento di tutte le attività
pastorali con la presenza di un sacerdote, non residente, quale
amministratore parrocchiale.
Non sono le linee programmatiche del cammino pastorale
realizzato in questi anni che vogliamo qui evidenziare, ma è soprattutto
la possibilità che ci è stata offerta di vivere il senso della nostra
vocazione di pastorelle nella Chiesa. Vocazione che si esprime in una
consacrazione pastorale a servizio della comunità ecclesiale attraverso
la condivisione del ministero pastorale di Gesù-Pastore. Secondo lo
spirito del nostro fondatore, il beato don Giacomo Alberione, pensando
le suore pastorelle, egli ha voluto delle donne consacrate a Cristo che
copiano la sua vita pubblica, la sua vita di pastore, che si prende cura
di tutti. Di conseguenza egli pensava ad una vita religiosa apostolica
agile, duttile, semplice inserita tra la gente, in piccole comunità, che
abitano tra le case degli altri, con la porta sempre aperta,
condividendo la vita quotidiana del popolo, nell’intento di far crescere
e consolidare la vita cristiana in tutte le sue dimensioni.
Don Alberione chiedendoci di condividere il «ministero
pastorale» di Gesù, non ci chiedeva solo di svolgere delle mansioni
pastorali ma di incarnare in noi il significato profondo racchiuso in
questo verbo «condividere», come partecipazione dall’interno alla
missione di Gesù Pastore, che conosce e ama le sue pecorelle e per esse
dona la vita.
Percorrere questa strada, in questa nuova esperienza, all’interno
dell’ecclesiologia di comunione, ci ha insegnato che il «ministero
pastorale» non si vive senza il discernimento, il quale ci richiede di
assumere la complessità della vita, cioè guardare con occhio di
simpatia, di attenzione, di essere «con» prima di essere «per», di
rinunciare a essere una Chiesa elitaria , ma essere una chiesa che si
riconosce unica e uguale attorno alla mensa della Parola e
dell’Eucaristia; di saper indicare delle soluzioni provvisorie ma
credibili; provvisorie non significa senza progettualità, ma
progettualità che è fedeltà a Dio e all’uomo in sintonia con i «segni
dei tempi».
Dal primo momento, ci siamo coinvolte nella cultura e
nella vicenda del popolo al quale siamo state mandate. Stiamo
continuando a essere solidali con i problemi e le speranze della gente,
non solo con la profezia della parola, ma soprattutto con l’esemplarità
della vita attraverso un servizio libero, gratuito, semplice; servizio
che ci fa essere non «maestre» ma «compagne di viaggio». Questa
esperienza di «affidamento» a comunità religiose femminili ha incontrato
la difficoltà dell’accoglienza del servizio della donna, proveniente sia
da una mentalità ancora di tipo patriarcale, la quale vede solo nel
sacerdote-parroco, l’unica guida di una comunità cristiana, sia da parte
di una chiesa ancora troppo clericale.
Il
coraggio della domanda del vescovo affidandoci la cura pastorale, lascia
trasparire la convinzione che anche alla donna, oltre ai ruoli
tradizionali, sono aperte all’interno della Chiesa, le prospettive per
nuovi compiti e nuovi servizi pastorali. Posso affermare che solo la
consapevolezza che la barca è affidata alla forza dello Spirito Santo,
il quale guida la Chiesa, ci ha spinto, in questi anni, a fugare ogni
tentativo di dichiarare forfait e ci ha aiutato a mantenere dritta la
vela anche quando la tentazione spingeva ad ammainarla perché il vento
non sembrava favorevole alla traversata”.
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