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La “Passione per Cristo, passione per l’umanità” va intesa nel
senso più pieno e ampio del termine. Non solo appassionarsi, ma patire
come condivisione della vita. Nel caso della vita consacrata, il titolo
vuol chiaramente alludere alla condivisione della passione di Cristo per
il Padre, per il Regno, per la nostra salvezza. Quindi anche per l’uomo.
È questa la chiave di lettura di madre
Giuseppina Alberghina, superiora generale della congregazione
delle Suore di Gesù Buon Pastore e Vicepresidente dell’USMI nazionale, a
proposito dello slogan del congresso mondiale per la Vita Consacrata che
si svolgerà a Roma dal 23 al 27 novembre prossimi.
Il documento di lavoro
su cui saranno chiamati a riflettere i partecipanti già a partire
dall’introduzione non nasconde le grandi sfide che interpellano nel
ventunesimo secolo la vita consacrata. “Noi consacrati e consacrate –
si legge nel testo – viviamo giorni di grazia e di prova”.
“Mi sembra che siamo
chiamati ad affrontare sempre momenti di prova che sono anche momenti di
grazia – precisa M. Giuseppina –. In
questo caso specifico si vuole intendere che l’attuale crisi di
vocazioni va letta come una ulteriore chiamata a tornare alle origini
della vocazione cristiana e quindi ai fondamenti della vocazione di
speciale consacrazione. E’ una prova, come direbbe Bonhoeffer, proprio
perché non c’è grazia se non a caro prezzo. Fa appello alla nostra
collaborazione e alla nostra libertà.
Questo è un tempo di
grazia perché un momento a noi concesso per poter discernere insieme,
questo è infatti l’obiettivo principale del congresso, per chiederci
cosa sta facendo nascere tra noi lo Spirito di Dio. La diminuzione delle
vocazioni, dunque, da interpretare in chiave positiva, ma anche come
qualcosa che sta morendo per poter assumere una vita nuova. Vita nuova
che non siamo noi a plasmare, ma lo Spirito di Dio. È l’attitudine a
discernere e a scoprire la validità delle res novae, delle cose
nuove che il Signore sta facendo, ma anche per accogliere e promuovere
questa novità come dono.
Mi sembra che tutto il
documento è attraversato da questa attenzione: l’ascolto dello Spirito,
l’ascolto dei segni dei tempi, da leggere sempre nella chiave delle
quattro fedeltà: a Cristo, all’uomo, alla Chiesa e alla vita religiosa”.
Come si
colloca questo congresso nel cammino di rinnovamento?
“Mi sembra di capire
che questo congresso è nato da un iniziale discernimento sul nostro
tempo. Non solo perché ci troviamo all’alba di un nuovo millennio e
quindi di un passaggio epocale. Ma proprio perché la consapevolezza di
questo cambiamento, che va al di là del fatto cronologico, ci dice che
il mondo sta mutando vertiginosamente e noi sentiamo l’esigenza di
discernere questo tempo e, in questo tempo, la nostra vocazione. La
nostra stessa appartenenza a Cristo ci interpella, a partire
dall’umanità. Questa passione per Cristo e per l’umanità esprime quelle
icone samaritane che permeano il documento. C’è un tempo della storia in
cui vogliamo con più attenzione e più fedeltà ascoltare che cosa Cristo
ci vuole dire e che cosa il dolore dell’umanità ci chiede”.
Tutta la prima parte è
dedicata alla realtà che ci circonda. Tra le domande, una in particolare
colpisce: quale vita consacrata sta suscitando lo Spirito Santo?
“A
me pare di cogliere dal documento e dalla lunga fase preparatoria che la
prospettiva della vita consacrata sia sempre più una. In passato abbiamo
riflettuto sulle diversificazioni della vita consacrata. Oggi, l’urgenza
dell’evangelo e della dignità della persona umana ci spinge a ripensare
che la vita consacrata è fondamentalmente una. Quindi, a ritrovare
questa unicità, che non annulla le differenze ma che comunque, non le
mette in primo piano. Unicità fondata sulle cose essenziali. Direi che
la prima cosa che ci è richiesta è proprio quella di garantire la
continuità dell’annunzio del Vangelo. Occorre che ci siano delle persone
che garantiscano questa appartenenza a Cristo, questa totale esposizione
perché il Vangelo continui ad essere annunciato”.
In particolare nel documento
si parla di blocchi, a proposito dei limiti personali e comunitari:
anche questa è una sfida che interpella ognuno singolarmente e
comunitariamente?
“Certo. I blocchi di cui si parla nel testo, frutto di un’ampia
riflessione a cui hanno partecipato moltissimi religiosi e religiose in
ogni parte del mondo, vogliono esprimere la consapevolezza che la vita
consacrata ha bisogno di sbloccare alcuni elementi che rischiano di
essere degli ostacoli. Questo sblocco riguarda, sì, le nostre infedeltà
e i nostri limiti personali, la mancanza di coerenza o di radicalità
nella risposta vocazionale. Ma questa paura di essere troppo pochi, cui
si accenna, non la considero molto evangelica. Siamo in una situazione
di diaspora, di disseminazione nel mondo che dobbiamo saper interpretare
come spinta, come sblocco di alcune nostre chiusure.
Una Chiesa troppo preoccupata di sé e ripiegata all’interno non è più in
grado di garantire l’annuncio del Vangelo. C’è una nota nel documento
che fa riferimento alla preoccupazione dei consacrati di ‘sentirsi in
disparte rispetto ad altri gruppi più docili e di fatto poco apprezzata’.
Credo che la nostra preoccupazione, per quanto mi è dato vivere
concretamente, non è tanto di essere messi in disparte e poco
apprezzati. Non ci interessa essere protagonisti perché il nostro
intento è di diventare coraggiosi e audaci discepoli di Cristo, che non
hanno paura di essere piccoli e poveri. Perché solo così agisce la
potenza di Dio”.
Ombre ma anche luci sono
contenute nel documento. Si parla, infatti, di segni di novità? Il tempo
attuale offre segnali contraddittori, che sono per se stessi un seme che
fermenta non sempre di facile interpretazione in questo senso.
“Credo che
la cosa più importante, in questo caso, è proprio quella di dissetarsi
alle sorgenti della Vita così come ricorda l’icona della Samaritana che
l’evangelista Giovanni suggerisce. E condurre quelli che ci sono
affidati a dissetarsi alle sorgenti della Vita. Proprio perché la vita è
minacciata e rischia di inaridirsi, ma è la stessa vita cristiana ad
essere minacciata a causa della mancata alimentazione. E, dunque, di non
ritrovarsi nella sua verità di appartenenza a Cristo. Pensando anche
alla sete di sacro della gente in un contesto sempre più asservito al
materialismo, come dice chiaramente il documento, è una contraddizione
che al pari di altre richiede una sola terapia: quella di lasciarsi
dissetare alle fonti della vita e condurvi gli altri.
L’altra
cosa è il gesto di chinarsi sull’uomo della strada, allusione forte
all’altra icona del Samaritano cui si fa riferimento. Attraverso di noi
è Cristo che si china sull’umanità dolente. Questa è una prospettiva
fondamentale. Voglio dire che non siamo noi che siamo così brave a
caricarsi sulle nostre spalle l’uomo sofferente, perché noi stesse siamo
insieme ai nostri contemporanei queste persone sul ciglio della strada.
È Cristo che continua a chinarsi su di noi. E si serve di noi, che
abbiamo conosciuto il suo amore, per continuare a farlo”.
Ma la nuova vita consacrata
richiede anche e soprattutto comunità nuove. Condividere una missione
per rifondarla su quali basi?
“Credo
che proprio uno dei capisaldi di questa unità della vita consacrata di
cui parlavo prima sia la testimonianza della comunione fraterna. Che
diventa anche questa, un piccolo segno profetico per la Chiesa e per
l’umanità. Mi sembra di capire che quello che nel mondo di oggi non
funziona è proprio la vita di relazione alle prese con una profonda
crisi. Dove sta, allora, la profezia? Noi che siamo chiamati a
contemplare le relazioni trinitarie e che vogliamo starci dentro come
figli nel Figlio e nello Spirito che tesse questa comunione, non siamo
ancora esperti di comunione.
Lo
saremo quando arriveremo a credere che Dio può, con la nostra debolezza,
farci diventare uno. Può tesserla Lui questa comunione facendo sì che
noi, di giorno in giorno, ci accogliamo e ci perdoniamo. Ed è questa
forza di ricominciare che può essere profetica. Nel momento in cui
sembra lacerarsi maggiormente il tessuto della società, noi consacrati
possiamo testimoniare che ogni lacerazione può essere riconciliata. E
dove sta la novità della comunità? Sta nel fatto che la comunità è
capace di intessere relazioni intessute dallo Spirito di Dio. Dunque,
c’è sempre lo spazio per perdonarsi e riconciliarsi. Questo diventa un
segno e una profezia”.
Infatti non a caso si legge
della volontà di voler “configurare una vita consacrata autenticamente
samaritana”.
“E’ una
bella espressione che fa riferimento alle due icone bibliche. Nelle
persone che si accostano a Cristo in modo autentico, pur nella
marginalità della loro collocazione sociale, si possono intravedere il
dono del risanamento di tutte le dicotomie che ci affliggono, ad esempio
tra spiritualità e missione”.
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