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Una donna pienamente realizzata sia come
moglie che come madre. Nel lavoro come nella vita. Medico con
specializzazione in pediatria, Gianna Beretta Molla, la giovane lombarda
morta nel 1962 a soli 39 anni per salvare la bambina che attendeva
rinunciando a curarsi per un fibroma all’utero, è la prima santa della
diocesi di Milano dopo San Carlo Borromeo. Il suo volto sorridente con
in braccio uno dei suoi quattro bambini è stata una delle immagini
emblematiche del rito di canonizzazione dello scorso 16 maggio scorso
presieduto dal Papa in piazza San Pietro.
Una laica, profondamente cattolica, con un
messaggio forte per la società attuale: di denuncia, da un lato, della
miseria morale del mondo di oggi, impregnato di una cultura di morte,
d’egoismo e di comodità, e dall’altro di speranza per un rinnovamento
personale ed individuale che si può attuare e perseguire riscoprendo il
valore della vita, dell’amore, della generosità e del sacrificio.
Una testimonianza inappellabile, la sua,
per ricordare a tutti che la santità è vocazione universale di tutti i
battezzati e traguardo accessibile a tutti, uomini e donne, sposati e
non, giovani ed anziani. La santità, dunque, la conformità a Cristo non
è qualcosa di straordinario. E’ un ideale di perfezione su cui non
bisogna equivocare, come se implicasse una sorta di vita straordinaria.
E’ una vocazione praticabile da parte di tutti i cristiani, di tutti i
credenti. In quest’epoca, così poco attenta ai diritti dei nascituri e
dei più deboli, il gesto di Gianna Beretta Molla può apparire in
controtendenza.
“Una lezione, certamente, per la società
attuale – ha precisato l’arcivescovo di Milano cardinale Dionigi
Tettamanzi che ha guidato il pellegrinaggio della Diocesi a Roma – “a
patto però di ricordare che Gianna Beretta Molla è una mamma come tante.
Cioè, una mamma che ama e si dona in pienezza ai propri figlioli. E
grazie a Dio, di mamme così il mondo d’oggi ancora ne conosce. Vorrei
aggiungere però che Gianna Beretta Molla è stata una mamma singolare.
Per l’intensità del suo amore e del suo donarsi ai figli. Fino al
coraggio di preferire la vita della sua creatura che portava in grembo
alla propria. Non solo. È stata una mamma singolare perché ha vissuto
questo amore non soltanto a partire dai palpiti sinceri e profondi del
proprio cuore, ma anche da quel dono di grazia che le veniva dalla
preghiera. E dunque dalla comunione profonda con il Signore”.
Nella sua Lettera alla
Diocesi per la Quaresima 2004 Lei ha scritto che la Beretta Molla è “la
prima madre di famiglia, che dopo i primi tempi del cristianesimo e dopo
il Medioevo, viene riconosciuta come santa da tutta la Chiesa”. Che
significato ha, in concreto, questa canonizzazione per la Diocesi di
Milano e per la Chiesa?
“Un significato molto semplice e allo
stesso tempo provocatorio. Stimolante direi. Ogni stato di vita, anche
quello del matrimonio che è il più diffuso, ha in sé una straordinaria
vocazione. Comporta, cioè, una missione davvero grande. Ed è quella che
il Papa ha voluto ricordare nella sua Lettera subito dopo il Giubileo
del 2000. In pratica, tutti dobbiamo ricordarci che la santità non è
appannaggio di pochi privilegiati. Al contrario, è per tutti e per
ciascuno è la misura alta della vita cristiana ordinaria. Un messaggio
del genere è davvero sconvolgente. Ma vorrei sottolineare, è
confortante. Il Signore chiama proprio tutti e tocca a noi essere più
disponibili e più generosi nei riguardi del suo progetto d’amore”.
La famiglia è la piccola
Chiesa domestica. Quella formata da Gianna Beretta e Pietro Molla può
rappresentare, a Suo Avviso, un esempio eloquente per tutte le famiglie
ancora oggi?
“Sì perché penso che
l’amore non sia soltanto aspirazione ma sia anche un bisogno profondo
che sta dentro il cuore di ogni uomo e di ogni donna. Per questo, Gianna
Beretta Molla con la sua vita coniugale e familiare ci richiama ad avere
fiducia nella possibilità che anche nelle situazioni più difficili
questo amore possa essere sprigionato e possa diventare la linfa vitale
nei rapporti tra marito e moglie e tra genitori e figli. Ad una
condizione: di ricordare sempre che solo se c’è saggezza, umiltà e
coraggio di amare Dio al di sopra di tutto e di tutti, si trova in
questo amore la sorgente e la forza per vivere in pienezza nelle
relazioni umane e in armonia nel tessuto intimo e fondamentale che è
quello della coppia”.
Qual è il messaggio che la futura Santa ci trasmette?
“E’ quello di vivere nella gioia, un
aspetto che è poco ricordato. Ma che, in realtà, è dominante in tutta la
vita della santa. E’ stata una donna gioiosa, sempre. Anche nelle
situazioni più pesanti. A partire da un valore che è fondamentale:
quello di trovare la gioia nel fare la volontà di Dio, il valore supremo
della nostra vita, è il criterio che deve guidare le nostre scelte e le
nostre azioni. Solo chi compie la volontà di Dio, anche nel momento
della croce può dirsi davvero beato, perché in possesso di questa gioia
straripante, propria del cuore di Dio”.
Sopra ogni altra cosa,
una mamma. Simbolo di tutte le mamme del mondo, che ricorda a tutti che
l’amore per la vita e per la propria creatura non deve mai venire meno.
“Una cristiana esemplare che ha saputo rendere preziosa tutta la propria
esistenza alla luce della grazia di Dio”: per don Giuseppe Beretta,
sacerdote della diocesi di Bergamo, la vita della sorella Gianna,
proclamata santa dal Papa il 16 maggio scorso, è racchiusa tutta in
questa frase.
La prima santa della
diocesi di Milano dopo San Carlo Borromeo è stata la decima di tredici
figli. “Sull’esempio dei nostri genitori che erano ferventi cattolici,
Gianna era una bambina dolce che emanava serenità e gioia di vivere. La
fedeltà all'Eucarestia era un punto fermo della sua giornata, fin dai
primi anni d'età. Infatti,
si accostò alla prima comunione a cinque anni e
mezzo. Da allora, seguì sempre con fedeltà il Vangelo. Con questo
riferimento costante intraprese gli studi di medicina, per poter essere
un giorno di aiuto ai bambini e alle persone sofferenti. Così fu per
l'impegno nell'Azione cattolica e negli altri ambienti in cui operò in
spirito di servizio”.
Dunque, l’ambiente familiare ha
molto contribuito nella formazione spirituale di Gianna?
“Sì. L’educazione
cristiana che abbiamo ricevuto dai nostri genitori è stata essenziale.
Siamo cresciuti insieme, rimanendo sempre vicini, anche spiritualmente.
Abbiamo avuto la fortuna di crescere in una famiglia in cui si
respiravano serenità e fede. I nostri genitori si volevano bene ed erano
di esempio per noi. Mio padre, prima di andare a lavorare a Milano,
tutte le mattine andava alla messa delle 5.30 seguito poi da mia madre
che era sempre accompagnata dalla mia sorellina.
Nella mia memoria sono
rimasti impressi anni stupendi, di gioia, di giochi, in un clima
domestico di semplicità e di armonia. Ciascuno di noi era sostenuto
nella crescita personale, umana e di fede. L’impronta dei nostri cari è
stata sempre nella linea della fede cristiana: la fiducia nella bontà
del Signore e nel suo amore. Mia sorella, poi, ebbe la fortuna di
partecipare ad un corso di esercizi spirituali quando era a Genova nel
’38. Fu una circostanza, questa, che favorì la sua presa di coscienza
del valore del dono ricevuto con il battesimo. Vivendo in comunione con
il Signore, era capace di rendere belli tutti i gesti, anche quelli
quotidiani e dunque più semplici, che compiva. Li viveva come gesti
d’amore verso Dio”.
Una
realtà, questa, che ha impreziosito la sua vita. Figlia affettuosa,
sposa felice e mamma: l’esistenza di Gianna è stata certamente molto
ricca?
“Non dimentichiamo che
è stata anche medico. Pediatra per l’esattezza, proprio per il grande
amore che nutriva verso i bambini. Si può dire che mia sorella è stata
una donna riuscita. Ha avuto la possibilità di esprimersi e di
realizzarsi in pieno non solo come cristiana ma anche come donna. Ha
potuto studiare conseguendo una laurea. Tutti noi abbiamo frequentato
con successo l’università grazie a nostro padre che, pur essendo un
semplice impiegato, ha fatto tanti sacrifici per offrire a noi tredici
figli un’opportunità nella vita. Siamo riconoscenti per questo. Il
Signore ha poi fatto il resto”.
Pur
essendo medico, Gianna sapeva il rischio cui andava incontro nel corso
della gravidanza. Malgrado questo, non ha esitato un attimo a chiedere
di salvare la vita della propria figlia rinunciando alla propria…
“Questo è stato il
punto cruciale della sua vita. Ed il modo stesso di concepire il
matrimonio. Gianna scrisse nelle sue lettere indirizzate all’allora
fidanzato Pietro del suo desiderio di formare con lui una famiglia
veramente cristiana, dove il Signore potesse sentirsi di casa. Un
piccolo cenacolo dove Lui abiti con noi e noi con Lui, annotò, perché
guidi i nostri propositi e i nostri comportamenti. Tutto ciò fa
comprendere in che modo Gianna concepisse il suo matrimonio: secondo il
disegno di Dio. Mia sorella intendeva così il suo nuovo ruolo di sposa.
Ponendo l’accento sul fatto che l’amore coniugale, aperto alla vita,
diventava in tal modo la strada per la santificazione.
Con questo spirito
diede alla luce, uno dietro l’altro, i suoi bambini: Pierluigi,
Mariolina e Lauretta. In seguito ebbe due gravidanze interrotte
spontaneamente al secondo mese, senza che lei riuscisse a capirne la
ragione. Ma non si diede per vinta e pregò per avere un altro figlio. La
sua preghiera fu esaudita, anche se la gravidanza si presentò subito a
rischio per la presenza di un fibroma. Le cure avrebbero comportato la
morte della creatura che portava in grembo.
E Gianna decise, senza
pensarci un attimo, di optare per la vita della figlia che avrebbe
dovuto dare alla luce di lì a poco. Anche a prezzo della sua fine.
Informando della sua decisione inappellabile i medici. Portò avanti la
gravidanza per sette mesi, consapevolmente e serenamente. Sapendo che
dopo la situazione si sarebbe aggravata irrimediabilmente per lei. Visse
l’ansia di quei mesi e dei pericoli che correva, senza dire niente al
marito per non farlo soffrire. Solo dieci giorni prima dell’ultimo
fatale ricovero disse a Pietro di scegliere la vita del bambino e non la
sua. Pronta a tutto, pur di salvare la sua creatura che venne alla luce
all’ospedale di Monza. Purtroppo per lei, subito dopo, una setticemia al
peritoneo, resistente a qualsiasi trattamento, la portò via. Sua figlia,
ora, è un medico specializzato in geriatra che segue il padre
novantaduenne”.
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