Pie Discepole del Divin Maestro: una congregazione, un programma di
vita. Sono donne consacrate, totalmente dedite ad amare onorare e
servire Gesù Cristo, l’unico Maestro per l’umanità di tutti i tempi e
luoghi, presente e operante, ieri oggi e sempre, nell’Eucaristia e nella
Chiesa. Servire Gesù significa partecipare attivamente, con tutta la
Chiesa, alla celebrazione dei Divini Misteri e restando in adorazione
continua, giorno e notte, a turni. Una corrente d’amore che non conosce
soste, capace di plasmare la femminilità consacrata al servizio dei
ministeri e dei ministri nella Chiesa di Dio.
Suor Regina Cesarato, consigliera generale da cinque
anni, riflette con noi sul futuro della vita consacrata alla luce dell’Instrumentum
laboris del Congresso mondiale in programma nel mese di novembre.
Ella ha fatto anche giustamente, come richiesto, una riflessione sul
Congresso Eucaristico mondiale che si celebrerà a Guadalajara (Messico)
nel prossimo mese di ottobre e sull’anno dedicato all’Eucaristia, voluto
da Giovanni Paolo II.
Progettare il futuro, è scritto nel
documento preparatorio del Congresso di novembre. A partire da un
cambiamento di mentalità istituzionale profondo per promuovere nuove
forme di governo. “La vita consacrata in tutte le sue forme appare nella
Chiesa come una serie di energie non sempre sfruttate, a volte sprecate
e usate in modo ripetitivo”. Condivide questa affermazione?
“In parte sì, se si legge tale
affermazione in prospettiva operativa. Penso però che i vari ministeri
esercitati nell’ambito della vita consacrata, sono legati a una
particolare esperienza carismatica e perciò hanno delle accentuazioni
che possono arricchire la Chiesa con un servizio differenziato. Le
energie “usate in modo ripetitivo” e a volte “sprecate” nel grande
ambito ecclesiale o umanitario hanno cause molteplici e complesse”.
Quali, a suo avviso, le
ragioni che hanno portato in qualche modo a questa situazione di
soffocamento?
“Credo che le ragioni di fondo per cui si
parla di “una situazione di soffocamento” siano specialmente di ordine
storico e strutturale. Ora che stiamo vivendo a livello mondiale una
svolta “epocale”, il fenomeno si acutizza. Questo ci permette di
cogliere l’urgenza di “un cambiamento di mentalità istituzionale” per
cui il dialogo e la collaborazione tra i nostri Istituti non sia
lasciata alla buona volontà di qualche singola persona.
Prima del Concilio vaticano II
l’impostazione dei nostri Istituti si preoccupava specialmente di come
mantenere vive le proprie strutture e opere apostoliche. Questo
supponeva un tipo di governo più di indole amministrativa che di
“animazione”. Le risorse venivano spesso gestite all’interno, ci si
sentiva autosufficienti e si aveva una certa ansia di “reclutare” le
vocazioni necessarie.
Oggi le nostre Congregazioni sottoposte alla dura prova
della scarsità vocazionale e di altro genere, ricevono la grazia e
l’opportunità di diventare più povere e dunque disponibili a condividere
il dono ricevuto. L’ecclesiologia di comunione ci educa a un dialogo di
ampio respiro con tutte le componenti ecclesiali e con le culture.
L’intraprendenza dei nostri Fondatori o Fondatrici, il
loro grande amore alla Chiesa e la profetica attenzione alle necessità
della gente ci provocano oggi a re-inventare un modo di “servire” che
sia aderente al Vangelo e al mondo in cui viviamo. L’adesione al Vangelo
che è la persona dello stesso Cristo Gesù, ci renderà capaci di quella
novità e freschezza che sa deporre l’eccessiva cura del “proprio
orticello” per guardare insieme e senza competizione alcuna, il grande
campo del Regno di Dio a cui tutti siamo chiamate a lavorare”.
Ha una
sua personale proposta per uscire da questa situazione?
“A partire dall’esperienza di difficoltà
che stiamo sperimentando, un po’ tutti, credo che siamo nella posizione
giusta per promuovere non solo nuove “forme di governo”, questo è un
aspetto importante ma di tipo organizzativo, ma soprattutto aiutarci a
crescere in una cultura di partecipazione e di prossimità.
Credo che nella svolta epocale che stiamo
attraversando, siamo chiamate a vivere la spiritualità dell’Esodo, a
sentirci parte del popolo che cammina dentro la storia e cerca il senso
della propria esistenza. E formarsi all’ascolto, alla sequela, al
servizio, alla speranza, vivendo in un clima abituale di discernimento
per obbedire poi, in piena consapevolezza e libertà, alle indicazioni di
Dio.
In questo contesto la mia proposta
personale è quella di aiutarci, come donne consacrate a Dio, di
lasciarci evangelizzare noi per prime. Intendo dire che la sequela di
Cristo è un’attrazione, è un innamoramento, è la grazia di vivere in
comunità cristiane. Ritrovando la “qualità evangelica” della nostra
presenza nella società, testimoniamo la possibilità di una
trasformazione della storia e delle relazioni, a livello profondo,
basata sull’amore gratuito, ricevuto e donato”.
Nel
documento preparatorio si fa riferimento alla Novo Millennio Ineunte,
manifesto programmatico della Chiesa del terzo millennio dell’era
cristiana. Come traduce personalmente, nella sua missione e nel
quotidiano, questo Duc in altum, prendere il largo, che il Santo
Padre ha rivolto a tutti?
“Il Beato Giacomo Alberione ci
raccomandava sempre di essere persone dalla mente e dal cuore largo.
L’invito fatto dal Santo Padre a tutta la Chiesa di “prendere il largo”,
all’inizio del nuovo millennio, lo sento quotidianamente una sfida per
la mia vita. Anzitutto perché ho ricevuto la grazia della vocazione
religiosa nella Famiglia Paolina che, per natura sua, vive
l’universalità del cuore di Cristo e del cuore di San Paolo e poi perché
la nostra missione specifica di Pie Discepole del Divin Maestro, in seno
a questa Famiglia, ci rende partecipi dell’urgenza dell’evangelizzazione
con i mezzi “più celeri ed efficaci”, per usare un’espressione del
Fondatore.
Il mio servizio attuale nella
Congregazione mi pone a contatto con molti popoli e culture ma anche
restando a Roma, sento la grazia della mia vocazione che ha il suo
culmine nell’Eucaristia. Percepisco che tutta la vita della Chiesa nasce
e culmina in questo grande mistero e che tutta la sua azione missionaria
è una liturgia vivente, vissuta da un popolo di battezzati, tutto
profetico, regale e sacerdotale. Questa consapevolezza nutre il mio
servizio e l’amore alla Chiesa e all’umanità di cui mi sento compagna di
viaggio.
Don Alberione ci diceva di andare
all’Adorazione Eucaristica con il mappamondo… di spalancare il cuore sui
miliardi di uomini e donne che vivono sulla faccia della terra, di
pregare per tutti e di lavorare perché a tutti giunga la bella notizia
del Vangelo per poi nutrirsi, insieme alla Parola, anche del Pane di
Vita.
In questo senso, come donna, mi sento a
servizio della vita, in profonda comunione con le sorelle impegnate
nella missione”.
La vita
consacrata guarda a Maria, Madre della Chiesa. Un modello da riferimento
per tutte le consacrate, destinato a non passare mai di moda. Specie
oggi che le sfide del tempo attuale richiedono un impegno non
indifferente, come si sottolinea in un passaggio significativo del
documento preparatorio. Attingendo alla sua quotidiana esperienza, le è
capitato di trarre ispirazione proprio dalla Vergine per un impegno di
non facile soluzione?
“Mi capita di riferirmi alla Vergine
Madre di Dio specialmente per ispirarmi al suo modo di essere
“discepola” di Gesù. Credo che il suo cammino di fede, fin dall’inizio,
sia stato molto più difficile del mio. Mi piace contemplare l’opera di
Dio in questa donna bellissima, divenuta perfetta trasparenza,
attraverso un graduale cammino di espropriazione di sé.
Ricordo che quando mi è stata chiesta un’obbedienza
difficile, al limite delle mie possibilità, ho riletto, nell’Evangelo di
Luca, il brano dell’Annunciazione. Mi sono lasciata introdurre alla
triplice modalità con cui Maria si è posta di fronte all’annuncio di
Gabriele: prima il silenzio, quasi sconvolto, poi la domanda e infine,
l’assenso. Ho ripercorso con Lei queste stesse tappe, consentendomi di
essere pienamente me stessa, come donna che interroga il mistero di Dio
e, certo per intercessione di questa Madre, ho avuto la grazia di unire
il mio sì al suo, per mettere a servizio la mia vita, senza condizioni”.
Maria,
donna eucaristica: Giovanni Paolo II ha dedicato un intero capitolo
della sua ultima enciclica alla Madre di Cristo, cui è devotissimo.
Proprio di recente ha deciso di indire uno speciale Anno dell’Eucaristia
entro il quale situare il congresso mondiale in Messico del prossimo
ottobre e l’assemblea ordinaria del Sinodo dei Vescovi. A suo avviso,
quanto inciderà il tema sui lavori del Congresso?
“Non ho elementi sufficienti per dire se
e quanto questo tema inciderà sui lavori del Congresso. Personalmente
credo che anche il Congresso, come ogni comunità cristiana, avrà
nell’Eucaristia il suo “specchio”. Non possiamo vivere senza Eucaristia
perché è la sorgente della gratuità di cui nessuno è capace se non gli
viene dato da Dio. Così è stato per Maria la “donna eucaristica” e
questo dovrebbe essere uno dei frutti dell’anno dell’Eucaristia e dei
Congressi Eucaristici.
Viviamo in un’epoca di grandi contrasti e
frammentazioni. La Passione per il mondo nasce proprio dalla
condivisione del mistero pasquale del Signore che ha fatto liberamente
dono di sé perché tutti potessimo avere vita in sovrabbondanza.
Nell’Eucaristia si radunano i dispersi e si viene convocati dall’unità
del Padre del Figlio e dello Spirito Santo. I lavori del Congresso
illuminati dalle due icone del Samaritano e della Samaritana, credo che
troveranno proprio nell’Eucaristia la fonte e il culmine”.
Il titolo del Congresso
mondiale “Passione per Cristo, passione per l’umanità” allude
chiaramente alla passione che deve animare la missione dei consacrati.
Declinata attraverso quali modalità?
“Credo che le modalità siano tante quanti
sono gli Istituti religiosi e le diaconie della Chiesa. Credo comunque
che ogni servizio di carità sia autentico a condizione che scaturisca
dalla contemplazione di Cristo sospeso sulla Croce, come atto di
assoluta libertà nell’amore. Il modo di guardare la passione dei
fratelli e delle sorelle non può essere diverso dal suo che faceva
trasparire l’immensa compassione di Dio per il nostro male. La forza di
amare sino alla fine e senza pentimenti.
Ritengo dunque che la modalità fondante
sia quella di entrare nella contemplazione della Passione di Cristo
attraverso la frequentazione amorosa di questo inaudito mistero
dell’amore del Padre che si mostra nel Figlio con potenza di Spirito
Santo. Entrare nella “passione” di Cristo non solo considerando i fatti
tragici alla fine del suo ministero pubblico ma in ogni istante della
sua vicenda terrena. E’ una grazia da chiedere “per sentire quello che
Lui sentiva” di fronte alle folle affamate della sua parola o di pane o
di guarigione o di senso. Non credo sia questione di emozioni che
possono ridursi a un pianto sterile sui propri mali o su quelli del
mondo ma è grazia di “conformazione” alla Pasqua del Signore. Solo così
si può servire con gioia, convertendoci dalle nostre generosità alla
gratuità.
Il Papa non cessa di pregare
per le nuove vocazioni e chiedere a tutti i fedeli di fare altrettanto.
Alla luce del ridotto numero di consacrati specialmente in Europa, quali
dovrebbero essere le modalità per proporre ai giovani la missione
religiosa?
“Testimoniare il gusto del servizio di
Dio e la gioia di una vita impostata sul dono di sé, insieme a sorelle e
fratelli, in comunità. Siamo tutti sfidati, anche in Europa, da una
cultura di morte con le sue maschere molteplici.
Se le nostre comunità si propongono come
luoghi di vita e a servizio della vita, dentro un’esperienza di Chiesa
comunione, vedremo rifiorire le vocazioni per tutti i ministeri
necessari all’edificazione del Corpo di Cristo.
Anche questo suppone, come esorta il S.
Padre, la preghiera di intercessione che ci aiuta a collocarci al nostro
vero posto nel Piano di Dio. Credo che il numero ridotto dei consacrati,
specialmente in Europa, è una prova che stiamo attraversando, ma forse
dobbiamo puntare sulla qualità evangelica della nostra presenza. Gesù
diceva che il Regno di Dio è piccolo come un granello di senape e che
basta un pugno di lievito, in mano a una donna, per far fermentare
tutta la massa”.
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