Loreto
1-5 settembre 2004

nelle parole di Mons. Angelo Comastri


Rita Salerno (a cura)

 

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“Una casa dove tanti cristiani scoprono il Battesimo e il fascino del Vangelo. Per essere sale e lievito nella Chiesa e nella società. Disposti a camminare per le strade del mondo che, oggi più che mai, ha bisogno della Parola che salva”.

Parla monsignor Angelo Comastri, arcivescovo prelato di Loreto, del raduno di Azione Cattolica che ha coinvolto non solo i quattrocentomila iscritti all’associazione di laici cristiani più antica e numericamente più rappresentativa del Belpaese ma anche tanti semplici pellegrini convenuti nella cittadina lauretana dall’estero oltre che dall’Italia.

Il presidente della Conferenza Episcopale marchigiana ha vissuto momenti di intensa emozione in occasione della festa pellegrinaggio di Azione Cattolica. Dal primo al cinque settembre ben centocinque comuni hanno ospitato i tantissimi pellegrini giunti nelle Marche per fare festa insieme al Papa. Un appuntamento di alto valore spirituale, racchiuso in cinque intense giornate scandite da momenti di festa e di preghiera oltre che di approfondimento su temi cari alla sensibilità dell’associazione come la politica, gli oratori e la loro funzione sociale, la famiglia e infine del rapporto tra etica ed economia.

Preceduti a fine agosto da campi scuola o pellegrinaggi dei diversi gruppi provenienti dalle diocesi italiane che hanno fatto un’esperienza di vita associativa radicata nel territorio all’insegna del gemellaggio e dell’accoglienza. Un programma ricco di mostre, animazioni e convegni per dare modo a tutti i presenti di conoscere e condividere una realtà fatta di dedizione alla propria Chiesa, di impegno associativo e di presenza nel territorio. Culminato domenica 5 nella Santa Messa presieduta dal Papa nell’immensa spianata di Montorso, tra Loreto e Porto Recanati, che lo vide protagonista nove anni fa sempre a settembre di un memorabile evento insieme ai giovani incentrato sull’Europa e la speranza, nel corso della quale sono stati beatificati tre aderenti ad Azione Cattolica vissuti nella prima metà del ‘900: due laici Pina Suriano e Alberto Marvelli e un presbitero spagnolo Pietro Tarrès Y Claret.  

Una festa per gli occhi e per il cuore, dal sapore speciale. Ne è certo monsignor Angelo Comastri, arcivescovo di Loreto, che ha appena dato alle stampe Come andremo a finire? per i tipi della San Paolo. Un testo con un sottotitolo emblematico: indagine sul futuro dell’uomo e del mondo. Pagine di intensa spiritualità, tutte intrise di ottimismo, perché segnate dalla certezza che Gesù ritornerà. Un balsamo per quanti sono lacerati dalle sofferenze e da affanni nel cuore. E un invito sincero a non perdere il coraggio e a non vacillare nella fede.

La centoquarantacinquesima visita apostolica di Giovanni Paolo II, la sola tappa italiana del 2004 e dodicesima in terra marchigiana, è stata un’occasione unica, la quinta, che conferma la sua devozione a Maria e alla Virgo Lauretana in particolare. “Mi sembra doveroso precisare che agli incontri con il Papa non ci si abitua mai – spiega l’arcivescovo delegato di Loreto – fossero dieci, quindici o più sono sempre un fatto unico e un evento straordinario. Questo incontro, che è il quinto, ha avuto un carattere tutto particolare perché è l’unico pellegrinaggio che il Papa compie in Italia nel 2004. Dunque, ha un sapore di predilezione, di affetto straordinario che non può lasciarci indifferenti. Sono certo infatti che ha colpito e commosso tutta la città di Loreto, la comunità cristiana e il suo Vescovo che ha il compito di custodire il sì di Maria e la Santa Casa di Loreto. Per noi è stata una perla preziosa alla quale ci siamo preparati aprendo il cuore come ha fatto Maria”.

Possiamo dire che è un rapporto davvero privilegiato quello che unisce il Papa a Loreto?

“Senza per questo voler suscitare gelosie in nessuno, vorrei dire che questo rapporto di privilegio noi lo sentiamo. Ma per il fatto che Loreto e Nazareth, che sono due santuari uniti come due mani come ebbi a dire in occasione del gemellaggio. Questi due santuari custodiscono il sì di Maria. Il Papa nella sua Lettera per il settimo centenario disse: “custodiscono la salvezza allo stato nascente, allo stato embrionale”. Nel momento in cui fece la prima irruzione nella storia: con il sì di Maria. E’ chiaro che il Papa ama in modo particolare questi luoghi legati al sì di Maria. Tutti siamo legati al sì di Maria. Chi può dire di non essere legato a quell’ “Eccomi”?

Ma non solo siamo legati a quel sì. Abbiamo tanto da imparare dal sì di Maria, perché nella nostra vita abbiamo un grosso bagaglio di no. Guardando Maria, impariamo a dire sì. Impariamo a vivere la vita come un eccomi! E impariamo anche a sentire la libertà non come la possibilità di fare quel che si vuole, questo non è libertà, è capriccio che ci autodistrugge. Impariamo a sentire la libertà come l’occasione per dire sì a Dio. È così che la libertà germoglia. Altrimenti abortisce”.

Quali le sue aspettative nei confronti del raduno di Azione Cattolica?

“L’ho letta come una grande occasione, una grande chance per Azione Cattolica. La maggiore organizzazione laicale della Chiesa italiana sta vivendo la stagione del suo rinnovamento. Si trova oggi a ripensare tutto il suo itinerario formativo e anche tutto il suo impegno apostolico. Un tempo, vivevamo in una società cristiana dove si respirava in qualche modo il Vangelo. Oggi, viviamo in una comunità nella quale bisogna voler essere cristiani. Bisogna decidere di essere cristiani. Bisogna ridire il sì. Questa è stata un’occasione per cogliere la scristianizzazione della società. Non come un motivo di pianto ma come una spinta all’impegno, per rimotivarsi alla missione e all’annuncio. Ormai, in questa società tutti siamo missionari. Anche i laici battezzati debbono sentirsi missionari. Dovunque c’è un credente, lì c’è l’orizzonte della missione, lì c’è la frontiera della Chiesa. Ormai tutti dobbiamo rimboccarci le maniche. Azione Cattolica in questo senso si conferma scuola di santità per avere dentro di sé questo fuoco da trasmettere agli altri, una gioia da condividere con gli altri. Come ha fatto Maria, che dopo aver detto il suo sì nella piccola casetta di Nazareth, si è alzata e si è messa in viaggio e ha condiviso con Elisabetta la gioia del sì pronunciato per amore del Signore. I doni di Dio non si possono mai mettere in una valigia. Per conservarli, occorre condividerli. E questo vale anche per la fede. Non possiamo tenerla per noi. Non può essere un fatto privato. La fede ci impegna all’annuncio missionario”.

Nove anni fa il Papa incontrava i giovani a Montorso nel segno della speranza. Oggi, li ha rivisti in uno contesto mutato: l’Europa è allargata a venticinque stati membri, ma mancano i riferimenti alle radici cristiane del Vecchio Continente che sono stati oggetto di un’aspra polemica….. 

“Proprio il fatto che nel Trattato Costituzionale europeo mancano le parole ‘radici cristiane’ deve spronarci all’azione. Perché noi credenti siamo le radici cristiane. Dobbiamo, in questa situazione di svuotamento e di confusione, portare la luce e il sapore del Vangelo. Perché è con il Vangelo che l’Europa può ritrovare il gusto della vita. Un filosofo, Martino Heidegger, è arrivato a dire: ‘nessuna epoca ha saputo meno della nostra che cosa sia l’uomo’. Vuol dire che siamo nella confusione più totale. Tant’è vero che non si sa più che cosa è la vita, la famiglia. Abbiamo il dono della luce del Vangelo. Alziamola non per imporla agli altri, ma per dare agli altri la gioia di vedere quello che noi vediamo”.

Lei ha ricordato come figura esemplare di laico profondamente credente, Giorgio La Pira, nel centenario della nascita…

“Dopo la morte di La Pira, ci fu una rimozione del suo operato. Solo gli intimi lo ricordarono. Oggi si torna a parlare di La Pira. Come si torna a parlare di Alcide De Gasperi. Vuol dire che si sente il bisogno in politica di ritrovare dei modelli. Ormai in politica, il clima è molto scialbo, molto grigio. C’è bisogno di ritrovare uno stimolo che faccia sentire la politica non come una rincorsa alle poltrone, non come una gara, ma come impegno e vocazione. La Pira sosteneva che il politico, dopo i contemplativi, ha una missione tra le più alte. Perché orienta i popoli, la vita delle nazioni. Ha responsabilità enormi per il futuro e il presente delle persone. C’è bisogno di una statura morale e spirituale altissima, come l’aveva lui. E che oggi si avverte con nostalgia come rarefatta nella scena politica. È stato un maestro che aspetta discepoli. C’è bisogno di politici nuovi. Ci vuole coraggio. Ci vogliono esempi più incoraggianti”.

Secondo Lei come andremo a finire, visto che questo è anche il titolo della sua ultima fatica letteraria?

Ogni volta che consegno l’opera a qualcuno, invariabilmente legge il titolo e risponde: male. Allora io preciso che l’ho scritto per dimostrare che invece si può finire bene. La storia è un cammino contorto e difficile, avventuroso, pieno di pericoli. Ma è a lieto fine. Ecco la notizia che voglio trasmettere a tutti attraverso questo libro”.


 

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