“Una casa dove tanti cristiani scoprono il Battesimo e il fascino del
Vangelo. Per essere sale e lievito nella Chiesa e nella società.
Disposti a camminare per le strade del mondo che, oggi più che mai, ha
bisogno della Parola che salva”.
Parla monsignor Angelo Comastri, arcivescovo prelato di Loreto, del
raduno di Azione Cattolica che ha coinvolto non solo i quattrocentomila
iscritti all’associazione di laici cristiani più antica e numericamente
più rappresentativa del Belpaese ma anche tanti semplici pellegrini
convenuti nella cittadina lauretana dall’estero oltre che dall’Italia.
Il
presidente della Conferenza Episcopale marchigiana ha vissuto momenti di
intensa emozione in occasione della festa pellegrinaggio di Azione
Cattolica. Dal primo al cinque settembre ben centocinque comuni hanno
ospitato i tantissimi pellegrini giunti nelle Marche per fare festa
insieme al Papa. Un appuntamento di alto valore spirituale, racchiuso in
cinque intense giornate scandite da momenti di festa e di preghiera
oltre che di approfondimento su temi cari alla sensibilità
dell’associazione come la politica, gli oratori e la loro funzione
sociale, la famiglia e infine del rapporto tra etica ed economia.
Preceduti a fine agosto da campi scuola o pellegrinaggi dei diversi
gruppi provenienti dalle diocesi italiane che hanno fatto un’esperienza
di vita associativa radicata nel territorio all’insegna del gemellaggio
e dell’accoglienza. Un programma ricco di mostre, animazioni e convegni
per dare modo a tutti i presenti di conoscere e condividere una realtà
fatta di dedizione alla propria Chiesa, di impegno associativo e di
presenza nel territorio. Culminato domenica 5 nella Santa Messa
presieduta dal Papa nell’immensa spianata di Montorso, tra Loreto e
Porto Recanati, che lo vide protagonista nove anni fa sempre a settembre
di un memorabile evento insieme ai giovani incentrato sull’Europa e la
speranza, nel corso della quale sono stati beatificati tre aderenti ad
Azione Cattolica vissuti nella prima metà del ‘900: due laici Pina
Suriano e Alberto Marvelli e un presbitero spagnolo Pietro Tarrès Y
Claret.
Una festa per gli occhi e per il cuore,
dal sapore speciale. Ne è certo monsignor Angelo Comastri, arcivescovo
di Loreto, che ha appena dato alle stampe Come andremo a finire?
per i tipi della San Paolo. Un testo con un sottotitolo emblematico:
indagine sul futuro dell’uomo e del mondo. Pagine di intensa
spiritualità, tutte intrise di ottimismo, perché segnate dalla certezza
che Gesù ritornerà. Un balsamo per quanti sono lacerati dalle sofferenze
e da affanni nel cuore. E un invito sincero a non perdere il coraggio e
a non vacillare nella fede.
La centoquarantacinquesima visita
apostolica di Giovanni Paolo II, la sola tappa italiana del 2004 e
dodicesima in terra marchigiana, è stata un’occasione unica, la quinta,
che conferma la sua devozione a Maria e alla Virgo Lauretana in
particolare. “Mi sembra doveroso precisare che agli incontri con il Papa
non ci si abitua mai – spiega l’arcivescovo delegato di Loreto – fossero
dieci, quindici o più sono sempre un fatto unico e un evento
straordinario. Questo incontro, che è il quinto, ha avuto un carattere
tutto particolare perché è l’unico pellegrinaggio che il Papa compie in
Italia nel 2004. Dunque, ha un sapore di predilezione, di affetto
straordinario che non può lasciarci indifferenti. Sono certo infatti che
ha colpito e commosso tutta la città di Loreto, la comunità cristiana e
il suo Vescovo che ha il compito di custodire il sì di Maria e la Santa
Casa di Loreto. Per noi è stata una perla preziosa alla quale ci siamo
preparati aprendo il cuore come ha fatto Maria”.
Possiamo dire che è un rapporto
davvero privilegiato quello che unisce il Papa a Loreto?
“Senza per questo voler suscitare gelosie in nessuno, vorrei dire che
questo rapporto di privilegio noi lo sentiamo. Ma per il fatto che
Loreto e Nazareth, che sono due santuari uniti come due mani come ebbi a
dire in occasione del gemellaggio. Questi due santuari custodiscono il
sì di Maria. Il Papa nella sua Lettera per il settimo centenario disse:
“custodiscono la salvezza allo stato nascente, allo stato embrionale”.
Nel momento in cui fece la prima irruzione nella storia: con il sì di
Maria. E’ chiaro che il Papa ama in modo particolare questi luoghi
legati al sì di Maria. Tutti siamo legati al sì di Maria. Chi può dire
di non essere legato a quell’ “Eccomi”?
Ma
non solo siamo legati a quel sì. Abbiamo tanto da imparare dal sì di
Maria, perché nella nostra vita abbiamo un grosso bagaglio di no.
Guardando Maria, impariamo a dire sì. Impariamo a vivere la vita come un
eccomi! E impariamo anche a sentire la libertà non come la possibilità
di fare quel che si vuole, questo non è libertà, è capriccio che ci
autodistrugge. Impariamo a sentire la libertà come l’occasione per dire
sì a Dio. È così che la libertà germoglia. Altrimenti abortisce”.
Quali le sue aspettative nei
confronti del raduno di Azione Cattolica?
“L’ho letta come una grande occasione, una grande chance per Azione
Cattolica. La maggiore organizzazione laicale della Chiesa italiana sta
vivendo la stagione del suo rinnovamento. Si trova oggi a ripensare
tutto il suo itinerario formativo e anche tutto il suo impegno
apostolico. Un tempo, vivevamo in una società cristiana dove si
respirava in qualche modo il Vangelo. Oggi, viviamo in una comunità
nella quale bisogna voler essere cristiani. Bisogna decidere di essere
cristiani. Bisogna ridire il sì. Questa è stata un’occasione per
cogliere la scristianizzazione della società. Non come un motivo di
pianto ma come una spinta all’impegno, per rimotivarsi alla missione e
all’annuncio. Ormai, in questa società tutti siamo missionari. Anche i
laici battezzati debbono sentirsi missionari. Dovunque c’è un credente,
lì c’è l’orizzonte della missione, lì c’è la frontiera della Chiesa.
Ormai tutti dobbiamo rimboccarci le maniche. Azione Cattolica in questo
senso si conferma scuola di santità per avere dentro di sé questo fuoco
da trasmettere agli altri, una gioia da condividere con gli altri. Come
ha fatto Maria, che dopo aver detto il suo sì nella piccola casetta di
Nazareth, si è alzata e si è messa in viaggio e ha condiviso con
Elisabetta la gioia del sì pronunciato per amore del Signore. I doni di
Dio non si possono mai mettere in una valigia. Per conservarli, occorre
condividerli. E questo vale anche per la fede. Non possiamo tenerla per
noi. Non può essere un fatto privato. La fede ci impegna all’annuncio
missionario”.
Nove anni fa il Papa incontrava
i giovani a Montorso nel segno della speranza. Oggi, li ha rivisti in
uno contesto mutato: l’Europa è allargata a venticinque stati membri, ma
mancano i riferimenti alle radici cristiane del Vecchio Continente che
sono stati oggetto di un’aspra polemica…..
“Proprio il fatto che nel Trattato Costituzionale europeo mancano le
parole ‘radici cristiane’ deve spronarci all’azione. Perché noi credenti
siamo le radici cristiane. Dobbiamo, in questa situazione di svuotamento
e di confusione, portare la luce e il sapore del Vangelo. Perché è con
il Vangelo che l’Europa può ritrovare il gusto della vita. Un filosofo,
Martino Heidegger, è arrivato a dire: ‘nessuna epoca ha saputo meno
della nostra che cosa sia l’uomo’. Vuol dire che siamo nella confusione
più totale. Tant’è vero che non si sa più che cosa è la vita, la
famiglia. Abbiamo il dono della luce del Vangelo. Alziamola non per
imporla agli altri, ma per dare agli altri la gioia di vedere quello che
noi vediamo”.
Lei ha ricordato come figura
esemplare di laico profondamente credente, Giorgio La Pira, nel
centenario della nascita…
“Dopo la
morte di La Pira, ci fu una rimozione del suo operato. Solo gli intimi
lo ricordarono. Oggi si torna a parlare di La Pira. Come si torna a
parlare di Alcide De Gasperi. Vuol dire che si sente il bisogno in
politica di ritrovare dei modelli. Ormai in politica, il clima è molto
scialbo, molto grigio. C’è bisogno di ritrovare uno stimolo che faccia
sentire la politica non come una rincorsa alle poltrone, non come una
gara, ma come impegno e vocazione. La Pira sosteneva che il politico,
dopo i contemplativi, ha una missione tra le più alte. Perché orienta i
popoli, la vita delle nazioni. Ha responsabilità enormi per il futuro e
il presente delle persone. C’è bisogno di una statura morale e
spirituale altissima, come l’aveva lui. E che oggi si avverte con
nostalgia come rarefatta nella scena politica. È stato un maestro che
aspetta discepoli. C’è bisogno di politici nuovi. Ci vuole coraggio. Ci
vogliono esempi più incoraggianti”.
Secondo Lei come andremo a
finire, visto che questo è anche il titolo della sua ultima fatica
letteraria?
“Ogni
volta che consegno l’opera a qualcuno, invariabilmente legge il titolo e
risponde: male. Allora io preciso che l’ho scritto per dimostrare che
invece si può finire bene. La storia è un cammino contorto e difficile,
avventuroso, pieno di pericoli. Ma è a lieto fine. Ecco la notizia che
voglio trasmettere a tutti attraverso questo libro”.
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