A padre Justo
Lacuna Balda, rettore del Pisai, il Pontificio Istituto Studi Arabi e
Islamistici abbiamo rivolto alcune domande sul tema del Congresso
mondiale che si è svolto lo scorso mese di novembre a Roma. Ha risposto
con dovizia di contenuti, anche in riferimento all’inserimento dei
consacrati e delle consacrate all’interno di un mondo multiculturale e
multreligioso, e delle problematiche dei giovani d’oggi.
Quali
sono a suo avviso nella scala di priorità le sfide più urgenti da
affrontare per la vita consacrata?
“Penso che le
sfide siano tre. La prima è l’approfondimento del valore dello spirito
dell’uomo e della donna attraverso la Parola del Signore, attraverso la
Parola che ha guidato e guida l’umanità e che illumina il cammino di
ogni uomo. La seconda sfida riguarda questo approfondimento spirituale
all’interno dei confini dell’identità cristiana di ognuno deve essere
collegata al contesto attuale caratterizzato dal pluralismo culturale e
dalla diversità religiosa. La terza sfida è incentrata sul fatto che noi
non dobbiamo mai uscire dalla realtà. La realtà del mondo d’oggi è
difficile come tutti i momenti della storia. Momenti d’oscurità si sono
sempre alternati ad altri di luce. E questo momento che attraversiamo è
particolarmente difficile, perché la nostra terra è ferita da tante
guerre e da tanti conflitti, aspetto che influisce sulla qualità della
vita delle persone e della loro dignità e sull’atteggiamento che abbiamo
nei confronti degli altri. È una grande sfida per la vita consacrata ed
al tempo stesso rappresenta una purificazione profonda dell’animo e del
cuore tale da poter trasmettere la misericordia e la compassione, non
soltanto la fede e l’amore, ma tutte le grandi qualità sottolineate
dalle altre religioni. Perché le vie del Signore sono diverse. Dio è
presente in ogni angolo della Terra e si manifesta in ogni volto di
sconosciuto e di persona a noi vicina”.
Il
confronto con le altre religioni come si colloca all’interno di questo
scenario in continuo mutamento e soprattutto in rapporto con la vita
consacrata?
“Per rispondere a
questa domanda mi avvarrò di un esempio. Tutti noi, senza eccezione
alcuna, abbiamo voglia di respirare aria sana e fresca e di bere acqua
incontaminata. Pensiamo alla devastazione del maremoto del giorno di S.
Stefano nel sudest asiatico per vedere che l’emergenza ora è tutta
incentrata sull’acqua e sulle condizioni sanitarie. Ma la realtà è che
noi respiriamo l’aria inquinata. Dico questo perché dobbiamo cercare di
tendere all’ideale, rappresentato dall’aria pulita e dall’acqua pura, a
costo di salire sulle montagne più alte. Non solo. Occorre gestire
l’aria inquinata che respiriamo attraverso i polmoni capaci di rigettare
le tossine. Non mi trovo d’accordo con quanti nella Chiesa mostrano
paura di essere contaminati dal mondo circostante. Dobbiamo, al
contrario, essere contaminati dal mondo. L’incarnazione di Gesù è per
definizione una contaminazione con l’umanità, eccetto che per il
peccato. È un Dio che è sottoposto al sonno, al freddo, all’aria
inquinata e così via. Questa è la realtà della vita.
Se applico questo
esempio alle altre religioni, non ne avrò paura. Perché so che debbo
costruire la mia identità a partire dalla mia fede salda e profonda che
mi aiuta a respirare meglio. Grazie ad essa sono libero nel confrontarmi
con gli altri. Né la violenza né le armi potranno toccarmi perché il mio
spirito è pronto a gestire ogni forma d’odio o di sfida. Nel contesto
religioso quello che è importantissimo non è soltanto un approfondimento
della propria fede e della propria cultura religiosa, ma è fondamentale
capire che più approfondisco l’identità cristiana e più mi rendo conto
della necessità di stabilire ponti con gli altri. A cominciare dai
membri di altre culture che parlano lingue diverse, che percorrono il
mondo attraverso un pensiero diverso dal mio.
Un confronto
interreligioso è assolutamente necessario perché la vita consacrata non
rimanga una vita all’interno di un bicchiere di cristallo per
conservarla in un museo. Gesù non ha conservato la sua vita nel museo di
Betlemme o Gerusalemme. Gesù ha diffuso questo messaggio fatto di amore
e di compassione e di misericordia. Che è se è nel nome di Dio troverà
sempre gli altri e spazi comuni con le persone. Niente sfugge nella
storia dell’universo, nelle strade del mondo a Dio onnipotente e
vivente”.
In che
modo una catastrofe di proporzioni planetarie, come quella recentemente
accaduta nel sud-est asiatico, sollecita le persone consacrate e che
tipo di risposta richiede?
“Direi che ci sono tre finestre da cui
leggere questo evento. Prima di tutto, una conoscenza minima del pianeta
è utile per comprendere l’evoluzione in atto. I maremoti ne fanno parte.
Un secondo punto è che noi, davanti all’immensità di questa distruzione
che ha colpito ambienti degni del Paradiso e popolazioni inermi, ci pone
in una condizione di smarrimento e di paura per la vastità del
cataclisma. Non ci sono molte risposte davanti alla sofferenza e davanti
al dolore. È un grande mistero che è poi la terza finestra.
Il dolore è un grande mistero nella vita
dell’uomo. Guardando questa sofferenza che tutti indistintamente ha
colpito, ci si rende conto che abbiamo tutti un destino comune. È una
sfida reale alla nostra solidarietà, al nostro agire in rapporto agli
altri. In passato ce ne siamo occupati poco, interessandoci solo
dell’aspetto vacanziero dei luoghi e delle persone. Oggi abbiamo
compreso che tutto questo non basta e che occorre guardare alle
popolazioni con un’altra ottica. Perché anche loro hanno una dignità
grazie alla cultura e alla religione. Non sono stranieri, ma parte
integrante della grande famiglia umana in forza del messaggio di Gesù.
Essere solidali, quindi, non significa
dare spiccioli o un pugno di riso ma vuol dire compatire con gli altri,
condividerne le sofferenze e i dolori. Essere vicini agli altri. Per la
vita consacrata, tutto questo è un grande risveglio in nome della
solidarietà e uno stimolo a conoscere meglio gli altri. La Parola di Dio
mi porta oltre. Ci deve animare la consapevolezza dell’altro e la
capacità di ascoltarlo. Questa è una premessa molto importante per ogni
forma di dialogo interculturale e dialogo interreligioso. Occorre
approfondire il confronto con gli altri e con il loro orizzonte. Ci sono
ancora milioni di persone con una storia personale, con una cultura
propria, con una civiltà e una sensibilità propria. Il dolore, la
devastazione ha messo tutti sullo stesso piano. Siamo tutti obbligati a
vivere aggrappati a questo pianeta che non è soltanto il luogo della
nostra vita, ma anche del nostro destino”.
Ha
preso parte al congresso mondiale sulla vita consacrata? Come ritiene
sia stato percepito all’esterno e come trattato dai mezzi di
comunicazione di massa?
“Non ho partecipato direttamente perché
nel periodo del congresso non ero a Roma. Penso che nei mass media siano
apparsi solo alcuni elementi. Ma in particolare mi sembrano due gli
aspetti su cui vale la pena di soffermarci.
Innanzitutto, la vita consacrata non è
fatta di muri o di barricate all’interno di una torre d’avorio entro cui
vivere: mi sembra che non sia stato abbastanza messo in evidenza. La
vita consacrata ha un senso in quanto io offro la mia vita per il
messaggio di Cristo, per poi offrirla agli altri. Un punto che va sempre
sottolineato. In questo senso, sia chi lavora in parrocchia o in
missione o vive nella dimensione contemplativa di un monastero, la
questione non cambia. Sono tasselli della vita consacrata. Mi sembra che
sia diffusa la mentalità in base alla quale la vita consacrata debba
essere vita intesa come chiusura.
C’è un altro
aspetto che avrei voluto vedere sottolineato e così non è stato. Ci sono
oggi molti giovani che cercano di vivere con discrezione nella
quotidianità la Parola di Dio e molte persone che pur non facendo parte
di una congregazione o di un movimento traducono in gesti concreti
questo tentativo. Il mondo è diventato molto complesso che ci offre
anche l’esperienza di numerose persone che vivono una sorta di
consacrazione a Dio e agli altri, impegnandosi nel silenzio e seguendo i
malati e chi è in stato di necessità. Svolgono in mille modi questa loro
fedeltà al Vangelo che non possiamo trascurare.
Ma non va
dimenticato che la vita consacrata non è appannaggio solo dei cristiani.
È presente anche in altre religioni, attraverso forme diverse di
consacrazione. A volte, può sembrare che solo noi cristiani ne abbiamo
il monopolio. Ma non è così. Penso, ad esempio, ai monaci buddisti che
ho avuto l’occasione di conoscere durante alcune visite. Ricordo bene la
loro dedizione totale alla purificazione, al silenzio, alla Parola. Non
bisogna dimenticare che la vita consacrata non ha confini solo
cristiani. Esiste in tutte le religioni. Perché Dio respira a suo agio
in tutte le fedi e nelle culture dell’umanità”.
L’Anno
dell’Eucaristia indetto dal Santo Padre si concluderà nell’ottobre
prossimo. Non si può parlare di vita consacrata se non in rapporto con
il mistero eucaristico. Quale aspetto vorrebbe vedere maggiormente messo
in risalto nel corso di questo anno?
“Se parliamo della vita consacrata
all’interno della visione cristiana, è evidente che il mistero
eucaristico assume un valore centrale. Ma se non mi limito ad esaminare
questo confine dell’identità cristiana, l’Eucaristia non è più centrale.
Occorre, al tempo stesso, tenere presente che l’uomo è assetato
d’eternità. Per questo dico che la Chiesa cattolica deve avere la
vocazione di condividere la sofferenza e il dolore dell’umanità. Viviamo
tempi difficili che impongono a tutti di affrontare il grande tema del
male e della violenza presente nei diversi focolai. E la Chiesa
cattolica deve essere presente non solo per portare la Parola, ma anche
parole di conforto e di speranza, senza polemiche e senza farsi
strumentalizzare. Deve essere voce della misericordia, del perdono,
della pacatezza, della pace. Ma anche parola di silenzio, di conoscenza,
di sapienza. Deve imitare continuamente questo silenzio di Dio che
continua a dare la vita e che cammina dentro la storia insieme con noi.
Secondo compito che discende dal mistero
eucaristico è che nella Chiesa non ci deve essere spazio per
l’indifferenza. Questo è il grande peccato di oggi. Questa indifferenza
davanti ai conflitti, davanti alle guerre è il grande peccato
dell’umanità. Di fronte alla necessità di un dialogo interreligioso e
culturale, non ci si può velare gli occhi e non vedere quanto accade
intorno a noi. C’impedisce di ascoltare e di percepire, di immaginare e
di volare con le ali della libertà. L’indifferenza uccide le persone e i
popoli. A causa dell’indifferenza abbiamo nel mondo più di cento aree di
conflitti nel mondo. Se dobbiamo affrontare un problema, troviamo subito
una soluzione. Perché non siamo capaci di risolvere questo genere di
problemi? È un atteggiamento proprio dell’opinione pubblica e di
moltissimi leader politici e religiosi. L’indifferenza ci conduce
direttamente alla condanna e alla morte a tutti i livelli. È necessario
prendere coscienza di quello che succede attorno a noi.
Penso che l’Eucaristia sia la grande
sfida per scuotere l’uomo dal suo sonno e dal suo torpore. Il mistero
dell’Eucaristia non ci porta fuori della storia, ma ci fa navigare nelle
acque della storia per essere noi stessi contaminati. Spero che sia
davvero il grande motore propulsore che ci porta ad essere coscienti
delle esigenze del mondo”.
Il
2005 è anche l’anno della GMG di Colonia, evento cui prenderà parte il
Papa, che ha dato molti frutti, si è detto da più parti, soprattutto dal
punto di vista del numero di vocazioni. Ritiene che i giovani, oggi,
siano davvero a conoscenza del significato della vita consacrata?
“Penso che questo
raduno di Colonia a cui il Papa spera di partecipare è un appuntamento
mondiale dove i giovani si ritroveranno per vivere la speranza del
futuro. I ragazzi sono il futuro dell’umanità e sono anche i portavoce
del disagio dei loro Paesi, degli ideali infranti. Siamo consapevoli che
ai giovani spetterà costruire un mondo migliore.
Al di là di questo,
penso che molti ragazzi non sanno cosa significa la vita consacrata
perché oggi ci sono moltissime altre divinità che riempiono la loro
esistenza e il loro cuore. Questo succede anche perché non abbiamo più
il tempo di fermarci a riflettere. Nelle celebrazioni di fine anno
capita spesso di trovarsi accanto a persone troppo prese da
festeggiamenti in grande stile e con le borse piene di pacchetti e di
regali. Quasi un rito che impone precisi comandamenti e non sazia certo
il cuore e lo spirito dell’uomo.
Che forme prenderà la
vita consacrata in futuro? È difficile dirlo, però una cosa è certa: Dio
guida la storia attraverso le decisioni storte degli uomini. Ed è più
grande di tutte le nostre pianificazioni. Dobbiamo approfondire la
Parola di Dio. La Parola vivente, che guarisce e purifica. La Parola che
offre soluzioni. Non siamo sempre consapevoli di questo. Troppo spesso
pensiamo di trovare ricette da soli. La vita non dipende da noi. Per
questo devo far in modo di vivere con gli altri, in nome della Parola di
Gesù, attraverso la preghiera e la solidarietà. Non viviamo in
isolamento: questo è il senso profondo della vita consacrata”.
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