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Suor Enrica Rosanna,
Figlia di Maria Ausiliatrice, dal 24 aprile 2004 è Sottosegretario della
CIVCSVA. Ha vissuto i 40 anni della sua vita religiosa incardinata nella
Comunità religiosa annessa all’Istituzione Universitaria – l’Auxilium -
di cui è stata Preside dal 1989 sino al 1998, anche se per motivi di
studio e di lavoro ha passato diversi periodi della sua vita in altre
Comunità dell’Istituto, sia in Italia come all’estero. Ha conseguito
prima il Diploma di Scienze Religiose, quindi la Licenza in Scienze
Sociali e infine il Dottorato di ricerca in Scienze Sociali presso la
Pontificia Università Gregoriana. E’ stata docente presso l’Auxilium e
altre Facoltà. Ha pubblicato numerosi articoli su riviste
e saggi su libri e dizionari e alcuni
volumi, anche in ordine alla “formazione” nella vita religiosa.
Apprezzata per la sua
cultura ed esperienza poliedrica, ha al suo attivo una straordinaria
partecipazione nel corso degli anni come membro di moltissime
commissioni, comitati scientifici, sinodi oltre che Consultore della
Congregazione per l’Educazione Cattolica e della stessa CIVCSVA. E’
stata “Adiutrix Secretarii Specialis” della Nona Assemblea
Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi su “La vita
consacrata e la sua missione nella Chiesa e nel mondo” (1994); della
Seconda Assemblea Speciale per l’Europa del Sinodo dei Vescovi su “Gesù
Cristo, vivente nella sua Chiesa, sorgente di speranza per l’Europa”
(1999); della Decima Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi
su “Vescovo servitore del Vangelo di Gesù Cristo per la speranza del
mondo” (2001).
A lei,
volutamente, abbiamo posto alcune domande sul ”pensiero” di Giovanni
Paolo II circa la vita consacrata. Ha risposto con il calore, la
convinzione, la gioia che la contraddistinguono. E la ringraziamo.
Qual è il
pensiero di Giovanni Paolo II sulla relazione tra Cristo e/i consacrati?
Il Papa ci chiede di
identificarci a Cristo. Chiede che questa identificazione diventi sempre
più concreta e totale… fino alla croce. Egli ci ha dato l’esempio di
questa identificazione fino alla fine. Ci ha chiesto di “far vedere
Cristo”, di “seguire le sue orme” (di essere lampada sul moggio e non
solo lievito).
Giovanni Paolo II in
un incontro con la UISG, il 3 maggio 2001, ha meravigliosamente
parlato della sequela Christi, in particolare dei voti,
indicandoci la strada per viverli con fedeltà creativa. Ha detto parole
splendide al riguardo. «Per riconoscere Cristo e la Chiesa il mondo ha
bisogno anche della vostra testimonianza. Non scoraggiatevi, pertanto,
se incontrate delle difficoltà. (…) Non abbiate paura, il Signore è con
voi, vi precede e vi segue con la fedeltà del suo amore. Testimoniate
con la vita quello in cui credete!
C’è bisogno della
testimonianza forte e libera del vostro voto di povertà, vissuto con
amore e gioia, perché le vostre sorelle e i vostri fratelli
capiscano che l’unico “tesoro” è Dio con il suo amore salvifico. La
povertà custodisce la castità e vi impedisce di diventare schiave dei
bisogni artificiosamente creati dalla civiltà del benessere…. C’è
bisogno della vostra castità fedele e limpida che “annuncia”, nel
silenzio del suo dono quotidiano, la misericordia e la tenerezza del
Padre e grida al mondo che c’è un “amore più grande” che riempie il
cuore e la vita, perché fa spazio al fratello… C’è bisogno della vostra
obbedienza responsabile e piena di disponibilità a Dio attraverso
le persone che Egli mette sul vostro cammino. Siete chiamate a mostrare,
con la vostra vita, che la vera libertà sta nell’entrare decisamente
nella via segnata e benedetta dall’obbedienza, la via di morte e
resurrezione che Gesù ci ha indicato con il suo esempio… La vostra
obbedienza sia abbandono sconfinato ai disegni del Padre, come lo è
stata per Gesù».
Iniziando dalla prima omelia il giorno dell’incoronazione, ha sempre
dato prova di particolare passione per l’uomo. Come devono ‘vivere’ la
passione per l’uomo le consacrate e i consacrati oggi?
“Passione per Cristo
passione per l’umanità” è stato il tema del recente Congresso sulla vita
consacrata. Questo tema dice qual è lo spirito con cui dobbiamo vivere
la passione per l’umanità: la passione per Cristo. E’ nell’amore
incondizionato a Cristo che troviamo la forza e il gaudio per vivere la
passione per le nostre sorelle e i nostri fratelli. Tutti,
indistintamente, a partire dai più poveri.
Io, donna
consacrata, felice donna consacrata, sono convinta che un modo peculiare
per vivere la mia passione per l’umanità sia quello di “prendermi cura”.
Prendermi cura dell’educazione delle giovani generazioni, in conformità
con il dono della mia vocazione. Dobbiamo “prenderci cura”, come hanno
fatto tante donne nella storia passata e recente.
Teresa
di Calcutta che si prende cura dei miserabili, dei moribondi; Brigida di
Svezia che si prende cura dell’unità e della pace; Monica che si prende
cura del grande ribelle Agostino; Gianna Beretta Molla che si prende
cura della vita; Teresa di Gesù Bambino che si prende cura dell’amore;
Edith Stein che si prende cura della verità; Caterina da Siena che si
prende cura dell’autorità, Teresa d’Avila,
che si prende cura della riforma del Carmelo…Sono i colori
dell’arcobaleno dell’amore, che noi consacrate possiamo aumentare a
dismisura!!! La testimonianza di queste sante donne ci conferma nella
certezza che gli spazi della nostra passione per l’umanità vanno
coltivati e dilatati giorno per giorno» (NMI,
n. 45), che oggi, in
questo nostro tempo caotico e complesso c’è tanto spazio per la
«fantasia della carità» (n.50).
Come
vivere e testimoniare il dialogo multiculturale e multireligioso?
Per vivere con
semplicità, sapienza, creatività e pace il dono della multiculturalità,
nelle nostre comunità, e farne una ricchezza interculturale in cui sia
valorizzato il “genio” delle diverse culture, mi pare si debba
valorizzare e vivere il significato di un aggettivo ricorrente nella
preghiera che ci ha insegnato Gesù: l’aggettivo “nostro”.
- “Padre
“nostro” che sei nei cieli”
Dire “Padre nostro” è
avere il coraggio di riaffermare innanzitutto che siamo chiamati da ogni
terra, popolo e nazione a vivere nella Casa del Padre per costruire il
Regno. E’ importante che ce lo diciamo a vicenda e che chiediamo al
Padre di farcene capire la grazia. Siamo chiamati per costruire il
Regno, che è Regno di verità, di amore e di pace. Così ci vuole Dio:
ingegneri, architetti, artisti di questo Regno; così ci vuole la gente.
Ci vogliono coloro che ci sono affidati per il dono del nostro carisma:
i poveri, gli ammalati, i giovani, gli anziani, gli immigrati.
-
Dacci
oggi il “nostro” pane quotidiano
Nelle nostre comunità
multiculturali dobbiamo avere il coraggio di “andarci incontro l’un
l’altro con le mani colme delle diverse eredità”, anche se costa fatica,
soprattutto per chi è figlio dell’Europa.
Il
dialogo della vita quotidiana deve iniziare dal vestire a festa le cose
di tutti i giorni. Il dialogo deve inoltre mettere al bando ogni
rivendicazione di superiorità. Non ci sono culture minori o maggiori;
ogni cultura ha le sue ricchezze e le sue preziosità e ogni persona è
ricca della sua dignità. E’ invece importante instaurare quel clima di
minorità francescana per cui, all’occorrenza, ciascuno è disponibile a
diventare maestro e allievo, a offrire il proprio pane e a ricevere il
pane della sorella e del fratello per condividerlo alla stessa mensa. E
ciò è fondamentale perché ognuno di noi è limitato, ogni cultura è
relativa, è uno dei modi di vivere l’umanità; è un punto di vista sulla
persona umana, sul mondo, su Dio.
Un’interazione
intelligente con persone di altre culture, che vada al di là della
cortesia esterna, ci aiuta a scoprire ciò che unisce, a vedere che tutti
abbiamo gli stessi ideali e crediamo in alcuni valori che vanno oltre la
cultura, che siamo innamorati dello stesso Signore. La presenza di
fratelli e sorelle di culture differenti aiuta a scoprire l’universalità
del carisma, la sua capacità di essere fecondo in culture diverse da
quella in cui è sorto, e nello stesso tempo la bellezza di viverlo
secondo il “genio delle diverse culture”.
Nelle nostre comunità,
il pane quotidiano della fraternità, dell’accoglienza, del silenzio,
della tolleranza, della preghiera, della modestia, dell’equilibrio, del
discernimento, della reciprocità, della fatica deve essere un dono di
ciascuno e di tutti e deve essere pane fresco ogni giorno. Dio non
accumula nei granai, ma distribuisce a dismisura… Pensiamo alle stelle
del cielo, agli uccelli dell’aria, e ai fiori del campo.
-
Rimetti
a noi i nostri debiti
Di grande importanza,
anzi di assoluta necessità, per la pace e l’armonia di una comunità
multiculturale è il pane del perdono offerto e accolto: 70 volte 7. Come
ci ha insegnato Gesù. La comunione, l’unità, non hanno altra regola. Ce
lo insegna Gesù, soprattutto con la parabola del Figlio prodigo.
Il perdono è la via
per essere uomini e donne senza aggettivi, secondo l’espressione citata
di Mons. Tonino Bello, per colmare la frattura ricorrente nella storia
tra Caino e Abele. Caino non si è sentito di essere responsabile di suo
fratello, dopo averlo assassinato, Abele è invitato da Dio a rendersi
responsabile di Caino attraverso il perdono.
Giovanni Paolo II ha
avuto un interesse particolare per la donna. Secondo lei, quali
punti/chiave devono essere meditati, approfonditi, vissuti dalle
consacrate?
L’attenzione del Papa
per la donna si inscrive nella grande sollecitudine con cui Egli,
fin dall’inizio del suo pontificato, si è rivolto all’uomo, “via della
Chiesa”; è presente in tutto il suo Magistero che ha al centro la verità
sulla persona umana rivelata in Gesù Cristo; trova un fondamento nella
sua concretezza pastorale che lo rende sensibile al dipanarsi della
storia, anche della storia delle donne, che Egli dimostra di conoscere e
apprezzare attraverso i suoi numerosi interventi e tanti gesti di
solidarietà e amicizia.
C’è un aspetto,
interessante e inedito, del dialogo tra Giovanni Paolo II e noi donne,
che sorprende e stupisce. Egli cerca di comunicare con la nostra
intelligenza e il nostro cuore e, nello stesso tempo, cerca di
sensibilizzare il mondo ai nostri problemi; si mette in ascolto delle
donne offrendo possibilità di espressione, di discussione, di
apprendimento, di confronto. Offre un dialogo per “pensare” e “amare” ed
è anche grazie ai suoi scritti, in cui si intrecciano armoniosamente
stile poetico e meditativo, simboli e metafore, che più donne parlano
oggi ad altre donne e più donne insieme parlano agli uomini.
Giovanni Paolo II vuol
penetrare il mistero della donna e ne intuisce il dono e la ricchezza,
quel “genio” che contemporaneamente vela e disvela l’eterna misura della
dignità femminile e lo conduce a ringraziare la Trinità per le grandi
opere di Dio che nella storia delle generazioni umane si sono compiute
in lei e per mezzo di lei.
Il genio della donna è
pertanto quel punto focale intorno a cui – secondo Giovanni Paolo II -
si coagulano tutte le riflessioni sulla missione che ogni donna è
chiamata a compiere nella società e nella Chiesa a servizio della
persona umana. “Genio”, non identificato con il tradizionale stereotipo
della femminilità, ma come espressione al femminile del triplice
munus (sacerdotale, profetico, regale) e come partecipazione e
coinvolgimento delle donne in vari ambiti (arte, scienza, economia,
salute, cultura, politica...) attraverso l’apporto specifico della loro
femminilità. Genio, pertanto, come valore inestimabile della
femminilità, del suo modo di esistere e di rapportarsi con il mondo.
Genio come arte: arte femminile di amare, lavorare, soffrire, educare,
dare la vita, far crescere.
Genio come “specifico”
dell’essere della donna che, particolarmente nella Chiesa, deve trovare
«spazi, tempi e modi di esprimersi sia perché la Donna nella sua
iconicità di vergine-sposa-madre è paradigmatica in ordine alla
fedeltà-fecondità della Chiesa tutta, sia perché la Donna assolve –
sull’esempio di Maria – quella diaconia materna verso i nuovi figli di
Dio e della Chiesa affidati in modo forte alle sue cure». Ecco perché l’affidamento, il prendersi cura, diventa un
l’idea centrale, portante, negli scritti del Papa: «La forza morale
della donna, la sua forza spirituale si unisce con la consapevolezza che
Dio le affida in modo speciale l’uomo, l’essere umano [...]
proprio a motivo della sua femminilità [...]. La donna è forte per la
consapevolezza dell’affidamento, forte per il fatto che Dio “le
affida l’uomo”, sempre e comunque [...]. I nostri giorni attendono la
manifestazione di quel “genio” della donna che assicuri la
sensibilità per l’uomo in ogni circostanza: per il fatto che è uomo».
Abbiamo
visto un Pontefice anziano e ammalato. Egli stesso ha ammesso
l’invecchiamento dei nostri istituti. Cosa dice a noi, in questa nostra
realtà, la sua testimonianza?
Ho guardato spesso a Giovanni Paolo II negli ultimi anni della sua vita,
con ammirazione e commozione. Il Papa ci ha insegnato con la vita come
si abita da cristiani in ogni stagione, anche quella dell’anzianità,
della malattia, del silenzio impotente. Dobbiamo ringraziare Dio per la
sua vita, per il martirio che ha vissuto in questi mesi, per la
grandezza della sua vita. Che cos’è una grande vita se non una
continuità di slancio e di speranza dalla giovinezza all’età matura? La
liturgia, in uno dei responsori per la festa di S. Leone Magno, dice:
«Egli, come aquila, colse dall’alto il senso delle cose». Possiamo
applicare a Giovanni Paolo II queste parole. Tutti riconosciamo che è
stato un uomo condotto per mano da Dio. Il Signore gli ha chiesto molto,
ma gli ha dato anche molto. Tra i due c’era una profonda intesa, e si
vedeva, si toccava con mano. E’ anche per questa intesa - che ognuno di
noi sperimenta nella sua vita - che possiamo guardare con speranza al
futuro e credere che la speranza, quella vera, non muore.
Penso al suo funerale. Un giubileo come non s’era mai visto, pur nel
dolore profondo del cuore. Una festa giovanile vissuta da giovani e
anziani. Un dono per tutta l’umanità. Una finestra spalancata sul
mistero della vita che non muore.
Ancora una volta mi
sono chiesta: perché il Papa riesce a calamitare tanta gente, in
particolare tanti giovani?
Al riguardo, Indro
Montanelli, in occasione del Giubileo dei giovani, su Il corriere
della sera (17 agosto 2000) ha scritto: «Questo vecchio nonno che le
parole, anche nella sua lingua, le spiccica male, con fatica, ha detto
ai giovani cose di cui la più moderna e aggiornata ha duemila anni di
età. Ma è proprio questo, credo, che i giovani inconsciamente cercano in
un mondo dell’effimero come quello in cui noi li abbiamo fatti crescere;
qualcosa che non abbia tempo perché è eterno, e che gli offra alcunché
di stabile su cui posare – e riposare – i piedi».
Tutto questo è per noi
un insegnamento. Non dobbiamo spaventarci del futuro,
dell’invecchiamento, della mancanza di vocazioni, delle defezioni, ma
acquisire quella “sapienza del crepuscolo”, che ci fa confidare nella
Provvidenza che guida la storia e rinnova sempre la nostra fedeltà.
In molte
occasioni Giovanni Paolo II ha insistito sulla fedeltà al proprio
carisma
Il Papa,
nell’Esortazione apostolica Vita consecrata, coraggiosamente ci
invita non solo a ricordare e a raccontare la nostra gloriosa storia, ma
a costruire una grande storia.
«Guardate al futuro –
Egli afferma – nel quale lo Spirito vi proietta per fare con voi cose
grandi… Siate sempre pronti, fedeli a Cristo, alla Chiesa, al vostro
Istituto e all’uomo del nostro tempo. Sarete così da Cristo rinnovati di
giorno in giorno, per costruire con il suo Spirito comunità fraterne,
per lavare con Lui i piedi ai poveri e dare il vostro insostituibile
contributo alla trasfigurazione del mondo».
È lo Spirito che ci
conduce a fare cose grandi. È lo Spirito che crea e ri-crea
continuamente. Come afferma Vita consecrata, ciascuna di noi ha
ricevuto dal Padre per mezzo di Cristo e nello Spirito, una “speciale
grazia di intimità” (VC 16; 18; 21c) e “in risposta di amore
totale” (VC 21b), cioè in offerta di “olocausto” (VC 17b)
al Padre, per mezzo di Cristo e nello Spirito, ha messo “il suo modo di
esistere e di agire nelle mani del Padre” (VC 22b), “consacrando
tutto, presente e futuro, nelle sue mani” (VC 17b).
Abbiamo ricevuto una
grazia di intimità, il dono di un’amicizia sponsale unica con Gesù.
La custodia di questa
“grazia di intimità” si chiama fedeltà. La nostra fedeltà - anche alle
Costituzioni - è fedeltà all’amore preferenziale e unico per Gesù, è un
modo di vivere il rapporto interpersonale con
Lui. Non è un precetto freddo, è un itinerario di…sequela
qualificato dal nostro specifico carisma.
Come si legge in
Vita Consecrata al n. 37, il fondamento per vivere questa fedeltà
creativa è l’esempio dei fondatori e delle fondatrici. Siamo invitate a
riproporre nell’oggi il loro valore, la loro inventiva, la loro santità
concreta e creativa come risposta ai segni dei tempi con fedeltà
dinamica alla nostra missione.
Siamo invitati a
essere come loro sognatori e profeti. Ha scritto bene, al riguardo, p.
Davide Turoldo: «Manda, Signore, ancora profeti, uomini certi di Dio».
Siamo invitate a
rigenerare continuamente con il nostro stesso passo il cammino su cui
poggiamo i piedi. E questo cammino parte dalla roccia della nostra
tradizione. La vitalità di una tradizione si riflette nella sua capacità
di arricchire gli antichi usi con nuovi significati, si manifesta nella
capacità di entrare in una relazione creativa con il contesto storico
producendo modelli teorici e formule di vita che rispondono alle
esigenze dei tempi, o meglio alle esigenze di Dio nel tempo.
Fedeltà alla
tradizione – a mio avviso - è tornare al primo amore. Una Congregazione
allo “stato nascente” è sempre una comunità di entusiasti. Pensiamo alla
comunità degli apostoli, alla chiesa primitiva, alle nostre origini:
Francesco e Chiara, Giovanni Bosco e Maria Domenica, Francesco di Sales
e Giovanna di Chantal, Vincenzo e Luisa…
È pericoloso rifiutare
il passato, essere infedeli alle proprie radici, e sappiamo bene che
l’infedeltà non significa soltanto oblio (si può essere infedeli senza
dimenticare), ma tradimento di amore. È però altrettanto pericoloso
essere fotocopie del passato. L’oggi è diverso da ieri, anche per
ciascuno di noi. Abbiamo perso persone care, intessuto nuove amicizie,
cambiato casa e lavoro. Forse abbiamo conosciuto l’amarezza del peccato
e la grandezza della misericordia.
Ancora una domanda. Lei ha partecipato
su richiesta diretta del Sommo Pontefice, come esperta al Sinodo sulla
Vita Consacra del 1994. Quali ricordi maggiormente significativi può
condividere con noi?
E’ stata la mia prima
esperienza sinodale e ne porto nel cuore un ricordo splendido, non solo
per quello che ho imparato, ma per quello che ho vissuto negli incontri,
nelle relazioni, nel lavoro che mi è stato richiesto. E’ stata
un’esperienza ecclesiale stupenda, anche grazie alla presenza quotidiana
del Santo Padre nell’aula sinodale.
Il Sinodo ci ha
lasciato un’eredità feconda e stupenda contenuta nell’esortazione
apostolica Vita consecrata e fatta vita concreta nel rinnovamento
e nel cammino dei diversi Istituti religiosi. Dobbiamo essere
riconoscenti e farne tesoro. Come diceva Goete: «Ciò che hai ereditato
dai tuoi padri, conquistalo perché ti appartenga».
Al riguardo vorrei
richiamare soltanto tre aspetti che mi sembrano particolarmente
significativi.
Il Sinodo ha invitato
i consacrati e le consacrate a vivere la profezia della vita
consacrata, a essere «memoria vivente del modo di esistere e di
agire di Gesù» (VC 22).
Noi siamo profeti
quando sentiamo ardere nel cuore la passione per la santità di Dio e
dopo averne accolto, nel dialogo della preghiera, la Parola, la
proclamiamo con la vita, con le labbra, con i gesti, facendoci portavoce
di Dio contro il male e il peccato. Nella libertà, senza denaro, ne
provviste, né compromessi, né paure... Senza vergognarci. Ha scritto
padre De Foucauld: «Di una cosa sola dovremmo vergognarci: non amarlo
abbastanza».
Perché la gente,
soprattutto chi è più nell’indigenza, chieda ai religiosi: «Sentinella,
a che punto è la notte?...» (Is 21,11) occorre che vedano in noi
sentinelle vigilanti, uomini e donne che hanno una parola da dire da
parte di Dio. Che non si vergognano del Vangelo di Gesù.
Ci ha poi stimolato
a vivere la nostra missione in frontiera, cioè a continuare con
entusiasmo e coraggio la missione di Gesù.
Ha scritto p.
Schalück, in una lettera ai fratelli e alle sorelle francescane:
«Nel creare il mondo
Dio lasciò un tocco di imperfezione nelle cose.
Comandò alla terra di produrre il grano, non il pane;
l’uomo dovette imparare ad impastare e a cuocere.
Non fece mattoni, né le case, ma l’argilla;
i mattoni e le case sono opera dell’uomo.
Dio ci chiama a collaborare nella creazione del mondo.
Gli uomini devono continuare a compiere l’opera di Dio».
Queste parole possono
essere indirizzate a ciascuno e a ciascuna di noi. Tocca a noi, con la
forza che ci viene dal rinnovare continuamente “l’amore di un tempo” (Ap
2,4) impastare e cuocere il pane per spezzarlo ai poveri, costruire
la casa per ospitare chi è senza tetto, custodire i beni della terra,
chiedere perdono e operare per denunciare gli sprechi e le ferite
inferte alla natura, lo scandalo della tratta delle donne, l’abuso dei
bambini, la ferocia del terrorismo e delle guerre. Tocca a noi dare
cuore, volto e mani al messaggio di Gesù, “Io sono la resurrezione e la
vita. Io sono la vera pace… Io sono la via…”. Tocca a noi dare volto,
cuore, mani ai nostri carismi nelle situazioni concrete in cui viviamo.
Ma con una attenzione: non lasciarci vincere dalla tentazione del
generico e del vago: abbiamo un’originalità che ci è propria e sulla
quale possiamo contare per tradurre nell’oggi il discorso della
montagna. Beati i poveri in spirito, beati i misericordiosi, … beati voi
quando vi perseguiteranno a causa del mio nome…Tocca a noi …fare questi
miracoli. E dove essi accadono, dobbiamo crederlo, soffia lo Spirito di
Dio e nasce il futuro. E’ tutto qui il segreto della fecondità nella
vita consacrata: la fedeltà allo Spirito.
Il Sinodo ci ha
invitato a camminare verso il futuro con
speranza, fidandoci di Dio.
Andate, “Io sono con
voi…” ci dice il Signore. Scrive David Maria Turoldo: “Manda, Signore,
ancora profeti, uomini certi di Dio”, sicuri di Dio. E’ nel suo
nome e con la sua forza che camminiamo verso il domani con speranza,
nonostante l’invecchiamento, la mancanza di vocazioni, le difficoltà
economiche, le defezioni, il contesto ostile, la precarietà… Camminiamo
con speranza perché crediamo che non siamo soli: siamo inabitati dalla
Trinità e abitiamo la terra, il mondo di tanti nostri fratelli e
sorelle.
Thomas Merton
affermava che la vera speranza non è qualcosa che noi pensiamo di poter
fare, ma è in Dio che sta suscitando qualcosa di buono dalla realtà in
cui noi viviamo, in noi stessi, anche se tutto questo a noi è ignoto. La
speranza ci fa intravedere la mano di Dio, il suo braccio disteso che ci
guida. Dobbiamo crederlo e farne l’esperienza nella fedeltà allo
Spirito. Fedeltà allo Spirito per cogliere i segni di Dio nell’oggi
della storia e per avere il coraggio di vincere lo scoraggiamento, di
disconnetterci dagli pseudo-bisogni del nostro tempo, di recuperare
valori obsoleti come il silenzio, l’umiltà, la pace, il dialogo, che
sono diritti di tutti e non privilegi di alcuni.
La convinzione
esperienziale della presenza e dell’azione dello Spirito fece sì che i
primi cristiani vivessero in un atteggiamento di discernimento per
scoprirlo, attraverso la fede, negli eventi e per sentire in essi le sue
interpellanze e provocazioni. Questa esperienza dei primi cristiani non
è esclusiva. La rivelazione biblica sottolinea che lo Spirito è sempre
vicino alla e nella comunità cristiana per guidarla verso
la piena verità; che è Lui che muove la Chiesa in tutti i tempi affinché
renda testimonianza a Cristo e faccia divenire realtà il progetto di Dio
sull’umanità.
Lo Spirito è vicino a ciascuno/a di noi: dobbiamo accoglierlo e
ascoltarlo.
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