DOMENICA
E ANIMAZIONE PASTORALE

        
nelle parole di S. E. Mons. Luciano Pacomio
 
 


Rita Salerno (a cura di)


 

trasp.gif (814 byte) trasp.gif (814 byte) trasp.gif (814 byte) trasp.gif (814 byte)

English version

Monsignor Luciano Pacomio è vescovo di Mondovì, diocesi in provincia di Cuneo dal 1996, membro della commissione episcopale per la dottrina della fede, l’annuncio e la catechesi. E’ stato ordinato vescovo il 6 gennaio 1997 ed è uno dei nomi più qualificati nel dibattito sui temi riguardanti l’attualità della Chiesa. La Chiesa che è in Italia ha appena concluso il Congresso Eucaristico dal tema: Senza la domenica non si può vivere. A lui abbiamo posto alcune domande su questo specifico tema. Può servire a chi, nella parrocchia, compie un mandato di pastoralità e quindi di animazione. E questo è un servizio che tante religiose compiono in parrocchia o in altri centri.

In base alla sua esperienza, quali strategie occorre mettere in atto per rivitalizzare la domenica, giorno del Signore?

“Distinguerei, innanzitutto, tra i soggetti che possono rivitalizzare la domenica. Partendo dal soggetto parroco e sacerdoti collaboratori nella singola parrocchia, sarebbe opportuno mettere a punto soprattutto il tema dell’orario della celebrazione. Dovrebbe essere una scelta operata, sì, in base alle esigenze della comunità e delle situazioni concrete delle persone, ma che tenga conto della portata della centralità e del riferimento il più facilitato possibile alle diverse componenti della comunità. Un secondo aspetto, sempre attinente ai pastori, è quello di curare sempre con particolare attenzione l’aspetto celebrativo con la comunicazione chiara della Parola di Dio, sia come lettura, che come autorevole commento qual è l’omelia. È indispensabile spendere tempo e attenzione per fare in modo che ci sia davvero comunicazione, cioè ‘andata e ritorno’, in questo messaggio tanto importante per la vita della comunità.

Ancora, tenendo sempre rivolto lo sguardo alla celebrazione, è importante non dimenticare di svolgere in modo serio e amabile, ma attento ai segni, la seconda parte della celebrazione e propriamente quella dell’eucaristia. Invece, come soggetti diversi, e mi riferisco ai fedeli, agli animatori, occorre avere un’attenzione particolare al canto, che deve essere semplice ma liturgico, capace di coinvolgere davvero le persone, adattandosi in parte a loro ma contemporaneamente educandole a vivere davvero il canto come esperienza di altissima preghiera.

Ritengo che il porre attenzione anche alle messe domenicali più umili, nel senso dell’esiguità del gruppo di fedeli presenti, celebrandole con dignità e con impegno di preghiera di chi presiede, del ministrante accanto e dell’intera comunità, sia premessa per il passaggio dal ‘non bisogno psicologico’ all’esigenza di fede dell’eucaristia. Questo è per me il primo atto per rivitalizzare la domenica, come giorno del Signore.

Aggiungerei che è importante curare anche, se è possibile, il contesto della celebrazione eucaristica. In questo senso, sarebbe opportuno avere eventualmente proposte che precedono l’eucaristia, di convocazione e di accoglienza, e avere una tipicizzazione della domenica con almeno un altro momento che coinvolga aspetti di fraternità e di affettività con la propria comunità. In modo tale da entrare in dialogo, non di competere, con iniziative sportive, eventi ludici, appuntamenti tradizionali tipici del singolo ambiente. Non desistendo dal tentativo, attraverso il confronto, di ricreare davvero lo spazio al Signore nella domenica”.

Come è vissuto il giorno del Signore nella sua comunità, Mondovì, di cui è vescovo?

“Della mia diocesi, pur essendo piccola e modesta di numero, fanno parte centoventicinque mila persone. Il territorio è variegato: c’è la pianura, la collina delle Langhe, vallate di montagna e con diciotto parrocchie sconfiniamo anche in Liguria. Distinguerei tre tipi di culture nelle nostre celebrazioni domenicali. Le parrocchie della pianura hanno una frequenza notevolissima e hanno anche forti tradizioni festive legate a momenti importanti capaci di coinvolgere persino i giovani in queste esperienza. Le zone di montagna, più spopolate tranne qualche centro grosso, che fanno fatica anche per l’età avanzata a tipicizzarla in modo festivo. Anche se, devo dire, l’esigenza della presenza del sacerdote è sentita in modo acuto. Va precisato però che l’esigenza domenicale ha una tradizione, certamente, anche di fede, ma soprattutto di natura psicologica perché il poter celebrare l’eucaristia alle ore canoniche rappresenta un riferimento socio-culturale entro il quale ritrovarsi, anche solo per scambiarsi qualche parola”.

Saper comunicare la Lieta Novella è così difficile?

“E’ difficile, per un verso, a causa del contesto culturale in cui viviamo per i processi in atto di grandi svolte culturali, però diventerebbe a mio avviso una straordinaria novità. Più che controcultura, come promotrice di aspetti culturali che si davano troppo per scontati ma che a livello di interiorizzazione e a livello di memoria viva nelle singole persone sono tutt’altro che presenti. Voglio dire che questa comunicazione della Buona Novella, secondo me, è possibile solo se sono rispettate tre condizioni. Il primo è che l’annunciante, sia esso sacerdote che altro ministro della Parola, sia persona ricca di gioia e primo ascoltatore di quanto annuncia. Secondo punto è che l’annuncio abbia una chiarezza espressiva basato su un linguaggio semplice nell’esposizione, ma capace sul serio di toccare mente e cuore. Infine, che l’annuncio sia sempre legato ad una proposta di qualità di vita. Mi sembrano queste le costanti dell’annuncio della Parola di Dio da tenere sempre presenti per avere un canale di immediata comunicazione”.

Quali ritiene possano essere i frutti del 24.esimo congresso eucaristico nazionale che si è appena svolto a Bari?

“Primo frutto è quello di aver risottolineato l’importanza, a livello vitale, della domenica. E quindi di innescare, almeno nei sacerdoti e negli operatori pastorali, il desiderio di non desistere più dal fare continui tentativi e di darsi piccoli obiettivi, di anno in anno, perché il giorno del Signore sia davvero il giorno di Risurrezione e di vita. Il secondo frutto è quello di far cogliere la centralità dell’eucaristia, ma come centralità vitale e non tanto, pur avendo la sua importanza, come momento cultuale vertice.

Per spiegarmi, faccio riferimento alla citazione degli Atti 2,42 quando si parla delle dinamiche fondamentali della comunità cristiana. Cioè l’assiduità agli insegnamenti degli apostoli, alla comunione fraterna, allo spezzare del pane e alle preghiere. Vale a dire, l’eucaristia è tale se da essa si sviluppa un’autostrada a quattro corsie: la capacità di diventare sempre migliori ascoltatori della Parola del Signore, sulla base del discernimento attuato sulle realtà concrete, storiche e culturali, sociali e politiche.

La seconda corsia è incentrata sull’esperienza di comunione dove non c’è solo la gioia dello stare insieme, ma l’operosità e la letizia del condividere e venire incontri ai bisogni reali, spesso drammatici. Poi, lo spezzare del pane che diventa il gesto di una condivisione, espressione non di sola buona volontà dell’uomo, ma è davvero il modo di essere di Gesù tra noi e il dono che Egli fa di sé continuamente.

E infine, riuscire a capire che la preghiera è il rapporto abituale con Dio nelle diverse forme, anche dell’offerta del proprio lavoro, del proprio tempo e della propria sofferenza, in questa capacità di silenzi e di dialogo espresso che rende davvero la vita di una serenità profonda nonostante i guai. I due scopi, quello del tempo segnato e quello dell’inserimento nella vita in una continuità da cammino, a mio avviso sarebbero i due frutti straordinari, umili, da perseguire sempre”.

Anche se c’è da dire che dalle ultime rilevazioni emerge che solo il 25% degli italiani frequenta regolarmente la messa domenicale…..

“E’ un grosso problema, per un certo verso. Sarei tentato di dire che c’è chi frequenta e chi gioisce della frequenza dell’altro. Sta di fatto che non sono pochi quelli convinti che i benefici effetti della messa domenicale frequentata dalle persone prossime ricada anche su di loro. Ho presente delle mappe familiari o di piccoli gruppi di persone, in cui ad esempio, alcuni componenti della famiglia apprezzano questa frequentazione domenicali di altri membri, anche se loro personalmente non vanno. Non è una cosa di poco conto e occorre tenerlo presente questa concezione che definirei di ‘partecipazione all’eucaristia a cerchi concentrici’. Se è vero che il 25%, ottima percentuale per essere fermento, partecipa alla messa, ammettendo che il gruppo prossimo composto da due cerchi sia formato da un altro 25%, si potrebbe dire di aver raggiunto un risultato davvero apprezzabile. In ogni caso, la popolazione italiana vive in modo diretto o indiretto del senso della centralità dell’eucaristia nella fede cristiana. Certamente, è da ricordare che ci sono persone non solo disaffezionate, gli estranei e anche quelli che definirei in conflittualità. Sono del parere che il territorio italiano è come la parabola di Matteo del seme gettato in sei terreni.  In pratica, non siamo poi così distanti dalla pre-comprensione della Parola di Gesù sulle risposte rispetto al dono di sé”.

 

Torna indietro