DEUS CARITAS EST

        
nelle parole di Sr. Giuseppina Alberghina


Rita Salerno (a cura di)
 
 

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English version

Un documento che propone una profonda e illuminante riflessione sull’amore cristiano. Di più. La prima enciclica di Papa Benedetto XVI è un manifesto programmatico, per usare le parole del cardinale William Joseph Levada, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, che verte sul tema dell’amore perché "la parola ‘amore’ oggi è così sciupata, così consumata e abusata che quasi si teme di lasciarla affiorare sulle proprie labbra. Eppure è una parola primordiale, espressione della realtà primordiale; noi non possiamo semplicemente abbandonarla, ma dobbiamo riprenderla, purificarla e riportarla al suo splendore originario, perché possa illuminare la nostra vita e portarla sulla retta via." Un tema inesauribile, su cui abbiamo chiesto una riflessione a Suor  Giuseppina Alberghina, delle Suore di Gesù Buon Pastore (Pastorelle), Vice presidente Usmi nazionale, già superiora generale del suo Istituto per due mandati. Donna di pensiero e di azione, ha colto non solo ciò che nell’enciclica è racchiuso, ma cosa ella voerbbe maggiormente esplicitato.

 C’è un passaggio in particolare che l’ha colpita del testo dell’Enciclica?

             “Mi ha colpito la chiarezza con cui Benedetto XVI ha voluto presentare, non solo ai credenti ma a tutti, la vera immagine di Dio e di conseguenza la vera immagine della persona umana. Egli, con una sensibilità pastorale di altissimo livello, sa che, anche tra il popolo cristiano, questa chiarezza è offuscata da tante false immagini. Se è vero, come è vero, che una delle grandi sfide del nostro tempo è proprio il problema antropologico, il santo Padre, sulla scia di Ireneo e di tanti altri padri della Chiesa, sa che non si può affrontare correttamente la definizione dell’uomo se non partendo da una visione teologica. Per parlare dell’uomo occorre parlare di Cristo e per parlare di Cristo occorre partire dal mistero della Trinità santa, perchè in Gesù Cristo Dio sì è rivelato Padre, Figlio e Spirito Santo. E noi siamo stati creati a immagine e somiglianza della Trinità.

            L’uomo è un essere in relazione, la sua struttura è dialogica come l’amore è dialogico. Ma quando l’uomo si sottrae alla relazione con Dio, di conseguenza falsifica ogni relazione con gli altri e con il creato. Tende a strumentalizzare le cose create e finisce con lo strumentalizzare anche le persone e, a volte, la stessa religione, per sentirsi forte e nascondere la debolezza ontologica in cui è caduto. Chi non è più in relazione ricorre all’autoaffermazione, al self, all’egoismo, ma non sempre si rende conto che si sta appoggiando su un vuoto, su un falso fondamento che lo conduce alla disperazione e alla morte. Il vuoto di relazione con Dio diventa una voragine che inghiotte l’uomo e con lui tutta la creazione”.

Benedetto XVI ha tenuto a sottolineare in una lettera ad un settimanale cattolico molto noto che anche se ad una prima lettura la “Deus caritas est” può sembrare molto teorica, ha invece una finalità concreta. In questo senso, quali indicazioni può dare ai giovani?

            “Non è affatto teorica, anzi le sue ricadute nella vita concreta sono fortissime. Leggendo mi sembra che il papa si rivolga proprio ai giovani, in un dialogo che già abbiamo conosciuto in altri momenti del suo pontificato, come alla GMG di Colonia.

Cari giovani, sembra dire il Santo Padre, non abbiate paura dell’Amore, benedite Dio per la bellezza della persona umana, bella nella sua integrità di corpo, psiche e spirito. In questa integrità anche l’eros è prezioso, perché, redento dall’Amore agapico, l’Amore che cerca reciprocità, ma non ritorna mai su se stesso, in una ricerca narcisistica che svuota il cuore. E voi, cari giovani, lo sapete e forse l’avete sperimentato: l’eros che ci spinge ad uscire da noi stessi è un prezioso dono per entrare nel dialogo dell’amore oblativo. L’amore per sua natura è dono e senza la disponibilità a morire a se stessi per donare vita agli altri non c’è amore capace di durare e di condurci alla pienezza della vita. L’amore è sempre pasquale, cioè vive sempre la dinamica del seme che muore per dare frutto abbondante che nutre la vita, come ha fatto Gesù. (Gv 12,24)”.

Quale messaggio ha voluto, secondo Lei, indirizzare il Pontefice a tutti i credenti?

            “Noi, discepoli di Cristo, siamo per definizione, coloro che credono all’Amore: “Noi abbiamo conosciuto l’amore che Dio ha per noi e vi abbiamo creduto” dice Giovanni nella sua prima lettera,(1Gv 4,16) e lo abbiamo conosciuto proprio attraverso Cristo Gesù, che morendo e risuscitando per amore nostro, ci ha donato il suo Spirito,  L’amore è stato riversato nei nostri cuori mediante lo Spirito Santo.

            Noi crediamo che Dio è Amore nella sua identità più profonda, in Lui l’amore non è un sentimento o un compito, ma è il suo stesso essere. Il Dio che ci ha rivelato Gesù è un Dio Tripersonale. Siccome l’Amore è per sua natura dialogico, in Dio c’è l’Amore Amante che è il Padre, l’Amore Amato che è il Figlio e l’Amore dell’Amore che è lo Spirito, il Respiro del Padre e del Figlio, nella continua dinamica dell’Amore. Ora questo Amore è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito santo, che abita in noi, come ci ricorda san Paolo nella lettera ai Romani (5,5).

            L’Amore riversato nei nostri cuori ci coinvolge nel dialogo trinitario, e in Cristo incarnato, morto e risorto, diventa vita per noi, vita che vince la morte, diventa storia di salvezza che vince tutte le brutture della storia di peccato, che ci trasciniamo dietro a causa del rifiuto della relazione con Dio”.

Il termine ‘amore’, scrive il Papa nell’Enciclica, è oggi diventata “una delle parole più usate e anche abusate, alla quale annettiamo accezioni del tutto differenti”. Un richiamo che al giorno d’oggi in una società indifferente alla sofferenza altrui e intrisa di edonismo assume un significato particolare?

“Ogni enciclica è rivolta a tutti i membri della Chiesa, ma, nel modo di argomentare e nel linguaggio usato, il Papa sembra rivolgersi con più attenzione a quelli che non ne fanno parte o che, pur essendo nella Chiesa, sono in difficoltà nella loro appartenenza. Papa Benedetto, con questa enciclica, intesse un dialogo con la modernità ed anche con quella cultura che chiamiamo post moderna. Questo si coglie soprattutto dal suo voler affrontare il dialogo su un terreno comune a tutti gli uomini, quello dell’amore, del bisogno di amare e di essere amati. Questo terreno dell’amore riguarda anche le radici della fede e della vita cristiana, perchè Dio è Amore. Il Papa cerca anche un linguaggio comune con i nostri contemporanei, pur preoccupandosi di dedicare spazio alla purificazione del linguaggio proprio sulla parola amore, non priva di ambiguità.

            Il santo padre parla più volte della necessità di purificare il nostro cuore per purificare il nostro modo di comprendere e di vivere l’amore. Non usa mai la parola “peccato” ma essa è sottintesa in ogni affermazione, come resistenza all’Amore gratuito di Dio, come perversione della relazione, come consapevolezza della nostra tendenza all’autoaffermazione usando gli altri e abusandone sino al possesso. Abbiamo bisogno di afferrare qualcosa o qualcuno  e di stringerlo a noi per sentici sicuri, ma mentre stringiamo senza donare, il cuore si svuota. E allora ricorriamo anche a degli anestetici come l’indifferenza o l’edonismo, la ricerca del piacere per il piacere, che consuma la vita senza colmarla di ciò di cui si ha più sete”.

Soffermiamoci ora sul passaggio dedicato ai testimoni dell’amore di Dio, come madre Teresa di Calcutta, che hanno saputo incarnare nel loro tempo la misericordia di Dio. È un aspetto, quello di chi lavora sommessamente per costruire ponti di pace che meriterebbe più di una riflessione perché cresce di giorno in giorno il numero dei martiri cristiani e indubbiamente l’Enciclica del Papa è in questo senso provvidenziale…..

            “Ai santi che Benedetto XVI cita nella sua enciclica ne aggiungerei molti altri, in particolare quelli che con la loro vita hanno messo maggiormente in luce la sorgente dell’Amore che è Cristo. E’ Cristo che, amandoci per primo, fa traboccare il nostro cuore d’amore verso i fratelli e le sorelle, senza distinzione di cultura, razza, popolo, religione..

            L’Amore non è amato, ripeterebbe oggi Caterina da Siena o Margherita da Cortona, o Francesco d’Assisi. L’Amore è ferito, griderebbe ancora Giovanni della Croce o Teresa d’Avila. L’Amore è crocifisso, perché ha preso su di sé l’abisso del male e lo ha colmato con l’Amore, continuerebbe ad affermare Edith Stein, dall’inferno di Auschiwtz.

La vita della Chiesa è piena di tanti santi, molti religiosi e religiose, che hanno amato l’Amore e hanno fecondato la storia con le opere dell’amore, spesso sino allo spargimento del proprio sangue. Il loro sangue ha avvolto nel perdono e nella misericordia di Dio i loro stessi torturatori ed uccisori. A cominciare da Stefano, diacono, cioè servo, il primo dei martiri, che ha attratto a Cristo il suo stesso persecutore. Infatti l’apostolo Paolo sembra proprio il frutto dell’amore gratuito di Stefano. Tertulliano ce lo ha insegnato, che senza l’Amore di tanti martiri, non avremmo nella Chiesa la continuità della trasmissione della fede, quel patrimonio di santità e di sapienza spirituale che è giunto sino a noi”.

Una delle pagine più intense dell’Enciclica è dedicata a Maria. La riflessione che conclude il testo del Successore di Pietro ci ricorda che Maria “Madre del Signore è specchio di ogni santità. La sua anima magnifica il Signore, cioè lo rende grande”. Questo è “il programma della sua vita – aggiunge il Pontefice: non mettere se stessa al centro, ma fare spazio a Dio incontrato sia nella preghiera che nel servizio al prossimo – solo allora il mondo diventa buono. Maria è grande proprio perché non vuole rendere grande se stessa, ma Dio”.

            “Leggendo quelle pagine dedicate a Maria, mi sovvenivano le parole di Dante alla conclusione del suo poema, quando mette sulla bocca di san Bernardo la preghiera a Maria: “nel ventre tuo si raccese l’Amore, per lo cui caldo nell’eterna face, così è germinato questo fiore”(Canto XXXIII del Paradiso). L’Amore increato si è acceso proprio nel grembo di Maria, una creatura umana, una donna, la cui umiltà e gratuità affascina Dio stesso, che trova in lei piena accoglienza. Maria rimane piccola tra i piccoli del Vangelo, una piccolezza che, paradossalmente, può ospitare l’Infinito, che si è fatto piccolo per amore.

            Non credo ci sia femminismo più audace di questo: una donna diventa la Madre di Dio e lo diventa perché contrasta alla radice le logiche dell’amore pervertito, che vuole mettere al centro se stesso a scapito degli altri. Maria magnifica Dio e noi insieme a lei, ci uniamo a questo canto di lode e di benedizione che contempla l’opera di Dio. E’ Dio, fatto uomo per amore, che sovverte la storia e inserisce in essa il principio agapico che trasforma il nostro deserto di violenza e di sopraffazione nel giardino della pace, della gratuità e della bellezza dell’Amore”.

Un milione e duecentomila copie vendute, in Italia: è l’ultimo dato offerto dalla Libreria Editrice Vaticana sulla diffusione della Deus caritas est. Un record assoluto per un’Enciclica pontificia. Da notare, inoltre, che il documento di Benedetto XVI sull’amore cristiano è tra i libri più venduti anche nelle librerie Feltrinelli, uno dei “templi” della cultura laica italiana. Quali le ragioni, a Suo avviso, di questo successo?

            “Non sono in grado di dire le ragioni di questa straordinaria diffusione dell’enciclica papale, perché ci possono essere tante ragioni. Una cosa posso dire, un pensiero che la sua domanda ha fatto sorgere in me. Forse mai, come in questi nostri tempi confusi e frammentati, il cuore umano sta andando in cerca di una parola che lo possa orientare, che possa aiutare a districare il mistero dell’uomo, e in ultima analisi, ad accostarsi al mistero stesso di Dio. La cultura laica non nega Dio, ma lo ha relegato nella sfera del privato e lo ha reso così inoffensivo. Forse, in questi anni, si comincia a rendersi conto che ciò che accade nel cuore dell’uomo, ha i suoi effetti su tutte le altre sfere, anche quelle che sembrano più distanti dalle problematiche interiori, come quelle politiche o economiche.

            E qui vorrei ricordare come il papa, al n. 28 dell’enciclica, ci dice che l’amore cristiano ha una forte valenza politica e che, il discepolo di Cristo, nel partecipare alla costruzione della città terrena, vi porta la novità dell’Amore di Dio, capace di a valorizzare tutti gli sforzi umani per condurre la storia alla pienezza della Vita.

             Mi pare che anche la cultura laica si stia accorgendo che non si può frantumare l’uomo, né si può ridurlo a una sola dimensione. Ci si accorge sempre di più che la realtà più vera ,non è soltanto quella che cade sotto i nostri sensi, ma è molto più ampia e attinge al mistero, a ciò che è inaccessibile agli occhi ma non al cuore”.

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