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Le recenti riflessioni del
Papa sul ruolo delle donne nella Chiesa e l’enciclica sulla carità che
ha scalato le classifiche librarie sono alcuni degli argomenti di
attualità sui quali abbiamo interpellato Stella Morra. La teologa, già
consigliere nazionale di Azione Cattolica e animatrice dell’associazione
culturale “L’atrio dei Gentili”, è membro dal 2001 del Board dell’Unione
Mondiale delle Associazioni Femminili Cattoliche. Dal 1990 tiene un
seminario presso la Facoltà di Teologia della Pontificia Università
Gregoriana, per il terzo anno di Baccelierato, sul Credo, e lavora ad un
Dottorato in Teologia su Michel de Certeau e la parola mistica.
Nella presentazione dell’Enciclica “Deus caritas est” in Sala Stampa
Vaticana si è parlato molto di manifesto programmatico del pontificato
di Benedetto XVI. Una sua valutazione in merito?
“Certo, si attende sempre la prima
Enciclica di un pontefice come manifesto programmatico, come indicativo
delle linee e dei temi che stanno a cuore a chi ha, da relativamente
poco tempo, assunto una responsabilità così speciale. Ma nel caso di
Benedetto XVI siamo stati, si potrebbe dire, avvantaggiati: trattandosi
di un teologo ben noto, che molto aveva pubblicato prima dei suoi anni
romani, è stato possibile conoscere la sua riflessione, il suo percorso,
l’evoluzione del suo pensiero, da più lontano. Ma insieme è ovvio che
diverso è scrivere come teologo, diverso come Prefetto della
Congregazione per la dottrina della fede, diverso ancora avendo la
responsabilità di Vescovo di Roma e Pastore Universale.
L’Enciclica Deus caritas est
mostra bene questa differenza: è rimasto deluso chi attendeva
elucubrazioni dotte e, se pur evidente che molte letture e studi stanno
nel sottofondo del testo, mi pare che Benedetto XVI abbia saputo trovare
un tono denso senza intelletualismo, anzi abbia cercato un tono
seriamente da pastore, più che non da insegnante. La scelta poi del tema
e del tipo di approccio va dritta al cuore della essenzialità e
semplicità dell’esperienza cristiana: Dio è amore e chi dimora
nell’amore rimane in Dio.
In questo senso mi pare una indicazione
di programma che cerca un “registro” pastorale e che vuole concentrarsi
sulla essenzialità”.
Una delle pagine più intense dell’Enciclica è dedicata a Maria. La
riflessione conclusiva è incentrata su Maria “Madre del Signore è
specchio di ogni santità. La sua anima magnifica il Signore, cioè lo
rende grande”. Questo è “il programma della sua vita – aggiunge il
Pontefice: non mettere se stessa al centro, ma fare spazio a Dio
incontrato sia nella preghiera che nel servizio al prossimo – solo
allora il mondo diventa buono. Maria è grande proprio perché non vuole
rendere grande se stessa, ma Dio”. E richiama alla memoria un altro
documento di Papa Wojtyla “Ecclesia de Eucharistia” in cui un capitolo è
interamente dedicato a Maria, “Donna eucaristica”…
“Maria non può non essere la compagna di
viaggio dei cristiani, e in particolare la compagna di viaggio di coloro
che hanno responsabilità nella chiesa, come i Papi: lei che ha avuto il
dono e la responsabilità di generare il Verbo per il mondo e che ha
dovuto portare il peso e la grazia di una decisione che ci riguardava
tutti, lei è colei a cui guardare, è colei a cui guardano i pastori, che
ce la offrono come icona del credente.
Anche in questo mi colpisce,
nell’Enciclica, l’approccio essenziale, tradizionale in un certo senso.
Maria è grande perché è, semplicemente, ciò che ciascuno di noi è
chiamato ad essere; è grande non perché irraggiungibile o speciale, ma
solo perché il suo “sì” ci trascina con lei, ci introduce allo stile dei
sì che ci sono richiesti”.
In
occasione dell’incontro con il clero romano, Benedetto XVI ha, tra
l’altro, avuto parole tenerissime nei confronti delle donne, a
cominciare dalle mamme che hanno donato la vita e fanno conoscere Gesù
ai propri bambini. “Bisogna ringraziare le mamme soprattutto perché
hanno avuto il coraggio di dare la vita – ha detto – e bisogna pregare
le mamme perché completino questo loro dare la vita dando l’amicizia con
Gesù”. Vorrei una Sua valutazione al riguardo.
“Che occorre dire in più? Papa Benedetto
XVI in quell’occasione dialogava con il suo presbiterio, da Vescovo e si
preoccupa di trovare con loro, e per loro, parole concrete, parole che
riguardano, a partire dalle domande che i suoi sacerdoti pongono, le
strade della vita come è, della vita reale. Mi pare bello che
l’atteggiamento, in questo caso espresso nei confronti delle mamme, ma
più in generale di tutte le risposte, si pone sempre dal punto di vista
del ringraziare e del gioire per quello che c’è, per quello che si fa,
per quello che viene vissuto e donato. Non si trovano toni di
rimprovero, toni negativi o disperanti. E’ quello che si potrebbe
chiamare un tono di benedizione, del dire bene di ciò che uomini e donne
vivono. Solo a partire da questa benevolenza si può poi distinguere,
discernere, educare, migliorare. Sappiamo bene (basta pensare al testo
della Via Crucis scritta dall’allora cardinale Ratzinger per Giovanni
Paolo II) che come studioso e come pastore quest’uomo non è ingenuo, né
cieco di fronte alle difficoltà e ai problemi, è capace di toni duri e,
forse, in certi testi almeno, quasi portato da un certo pessimismo.
Ma nel dialogo con la vita si comincia
dalla benedizione, e soprattutto dalla benedizione delle cose semplici e
reali, delle cose che sono riconoscibili da molti; solo da questo “a
priori positivo” si può cercare un dialogo vero”.
Rispondendo ad una sollecitazione pervenutagli da un sacerdote, Papa
Ratzinger, sempre nella stessa circostanza ha parlato del ruolo delle
donne nella Chiesa. Un punto, questo, che ha avuto vasta eco in tutti i
mezzi di comunicazione. Pur ribadendo che “il ministero sacerdotale è
riservato dal Signore agli uomini”, il Papa ha detto che “è giusto
chiedersi se anche nel servizio ministeriale non si possa offrire più
spazio, più posizioni di responsabilità alle donne”. Come valuta queste
affermazioni?
“Le trovo realiste e concrete: troppo
spesso, circa le donne nella chiesa, ma non solo, siamo presi tra
analisi pessimiste e ipercritiche da un lato, dall’altro annunci
generici di grande riconoscimento di valore (teorico) e, nella realtà,
prassi di chiesa che semplicemente ripetono l’esistente. A volte si ha
l’impressione che l’eccessiva esaltazione a parole serva a coprire una
certa inerzia nella realtà.
Qui invece ci troviamo di fronte ad una
indicazione precisa e realistica: se sul ministero la posizione è
chiara, non è solo questo “no” da ripetere, ma va riaffermata la volontà
di trovare forme e luoghi concreti di collaborazione e di riconoscimento
anche strutturale, non semplicemente carismatico.
Certo, qui occorrerà la capacità di
individuare forme, luoghi, modi… ma sono personalmente convinta che
questo sia oggi il vero problema: superare la fase delle enunciazioni di
principio e creare luoghi ordinari e strutturali dove l’ordinaria vita
di chiesa possa essere più “plurale e plenaria”, non solo per quanto
riguarda l’apporto celle donne”.
Citando la preghiera per i sacerdoti tratta dal primo Canone in cui
compaiono sette donne che circondano il sacerdote, Benedetto XVI ha
ricordato che “la Chiesa ha un grande debito di ringraziamento per le
donne”. A molti è tornata alla mente la Lettera alle donne di Giovanni
Paolo II. A Suo avviso, sono maturati i tempi per una maggiore
valorizzazione delle donne all’interno della Chiesa? Ed in particolare
delle religiose?
“Non so bene cosa significhi “sono
maturi i tempi”: da un certo punto di vista, la valorizzazione è nelle
cose, non è una scelta. Ad esempio, nel mio lavoro di insegnamento in
una Facoltà di Teologia di una Pontificia Università, il numero delle
donne studenti, e in particolare delle religiose, è in lenta e costante
crescita. E spesso le donne come studenti sono largamente più motivate,
più investite nello studio, più determinate; e questo si verifica ad
ogni livello di studi teologici. Ora, più donne (e più laici) preparati
anche a livello accademico sono e saranno sempre più un fatto con cui
fare i conti, inevitabilmente.
D’altra parte è vero che le resistenze
esistono (è umano!) e che c’è sempre qualcuno che tenta di “non vedere”
e di “fare come se” tutto rimanesse sempre uguale. Il rimprovero circa
la cecità sui segni dei tempi rivolto da Gesù nei Vangeli è sempre
attuale!
A partire da questi due elementi, il
problema della valorizzazione delle donne nella vita della Chiesa
diventa dunque sempre meno una questione di principio e sempre più una
questione di strade e modi concreti e specifici. In particolare, mi
sembra vada seguita con attenzione la vita delle religiose: se da una
parte, specialmente in Italia, sarebbe necessario maggiormente investire
in studio e preparazione, dall’altra molti fermenti nuovi e concreti
attraversano mille vite e vicende. Mi pare che in questo momento nella
vita religiosa femminile convivano tentativi e esperienze vitali e
davvero innovativi, insieme ad alcune stanchezze e lentezze difficili da
superare”.
”Le donne che fanno tanto per il governo della Chiesa, a livello
carismatico, cominciando dalle suore, dalle sorelle dei grandi Padri
della Chiesa, fino alle grandi donne del medioevo e a Madre Teresa”.
Sono sempre parole del Papa che rappresentano certamente un omaggio a
tutte le donne, religiose, laiche e di
speciale consacrazione, che con il loro contributo indispensabile e poco
conosciuto hanno sostenuto la missione della Chiesa nel mondo. Un
contributo, a Suo avviso, oggi da ripensare alla luce dei cambiamenti in
atto nella società e della crisi di vocazioni nella vecchia Europa?
“Ogni contributo è legato ai tempi e ai
luoghi in cui avviene, ogni ruolo, ogni valorizzazione. Credo che oggi
la questione centrale sia che le donne, con la loro storia di
emancipazione e di desideri, sono (rappresentano) veramente “l’altro”
culturale e storico, l’altra metà del cielo, come si diceva un tempo.
Pongono, con il loro stesso esistere, la questione di un’alterità
irriducibile e benedetta (l’unica differenza “precedente” al peccato
originale). E l’altro è sempre una sfida, una complessità, una ricchezza
e insieme una potenzialità di conflitto.
L’esistenza di un altro denuncia la mia
particolarità, mi rende parziale: è questa la fecondità e insieme la
difficoltà del rapporto con l’altro.
Mi pare che da qui bisognerebbe
ricominciare a ragionare: per le donne, l’autocoscienza di una
differenza, per gli uomini l’esercizio di una parzialità”.
Quale ruolo nel contesto europeo spetta invece alle teologhe, tema su
cui sarà incentrato il dibattito dell’imminente convegno del
coordinamento teologhe italiane?
“Vedremo cosa il convegno dirà! Questo convegno è una vera sfida: per la
prima volta proviamo ad incontrarci e a parlarci. Forse è proprio questo
il primo passo: conoscerci, parlarci, riconoscere le nostre differenze e
le differenti urgenze delle nostre chiese e, da questo esercizio,
provare a dare voce a tutti gli “altri” di questa Europa complessa, a
volte un po’ invecchiata e stanca, ma casa comune e viva di tutti noi”.
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