I MEETING
"UOMINI E RELIGIONI"

nelle parole di
P. GIANPAOLO SALVINI

        


a cura di Rita Salerno
 
 

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Nel 1969 padre Gian Paolo Salvini, che è entrato nella Compagnia di Gesù l’8 dicembre 1954 ed è stato ordinato sacerdote il 28 maggio 1967, è entrato a far parte della redazione della rivista «Aggiornamenti Sociali» dei gesuiti di Milano, occupandosi dei problemi del sottosviluppo e dell’America Latina, soggiornando anche per alcuni anni nel Nordest brasiliano, a Salvador (Bahia), e compiendo vari viaggi anche nel resto dell’America Latina.

Di «Aggiornamenti Sociali» è stato anche direttore per alcuni anni, prima di essere superiore della Residenza di San Fedele, dei gesuiti di Milano, di cui fa parte anche la redazione della rivista.

Dal novembre 1984 fa parte della redazione de «La Civiltà Cattolica», di Roma e dal luglio 1985 ne è divenuto anche direttore, succedendo al P. Bartolomeo Sorge S.I. “La Civiltà Cattolica” è una rivista speciale, per non dire unica. Tra le sue prerogative si segnala il fatto che è scritta solo da gesuiti e tutti i suoi articoli, anche quelli firmati, sono di responsabilità dell’intero “collegio” dei suoi scrittori, che conducono vita comune in un palazzo, Villa Malta, nel centro di Roma. Attualmente, gli scrittori sono undici, più altri cinque con la qualifica di collaboratori emeriti. Questi ultimi sono tali perché hanno superato i 75 anni e, analogamente ai vescovi, hanno lasciato la redazione.

Il direttore è designato dal superiore generale della Compagnia di Gesù, ma deve avere l’approvazione della Santa Sede. Da notare che tra i compiti del direttore c’è quello di far da legame tra la rivista e le autorità vaticane. Quando ogni nuovo fascicolo di “La Civiltà Cattolica” è ancora in bozze viene inviato alla segreteria di stato della Santa Sede, che lo esamina.

È consultore del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace.

A padre Salvini abbiamo rivolto alcune domande su alcuni temi di attualità ecclesiale.

Il meeting “Uomini e religioni” che coincide con il ventennale degli incontri interreligiosi voluti da Giovanni Paolo II si è svolto ad Assisi. Il dialogo tra le religioni, tra le priorità del pontificato di Benedetto XVI in linea con i dettami del Concilio Ecumenico Vaticano II, quale strada sta prendendo a suo avviso?

“Penso che lo “spirito di Assisi” rimanga tuttora immutato, anche se senza l’euforia e la commozione, anche mediatica, del 1986. L’allora card. Ratzinger, raffinato teologo, aiutò Giovanni Paolo II a evitare ogni tentazione sincretistica, che cioè la gente pensasse che si stesse riconoscendo l’esistenza di una religione universale che accomuna tutti in una stessa preghiera, prescindendo dalle profonde differenze tra una religione e l’altra. Il card, Ratzinger spiegò infatti che si era andati ad Assisi insieme per pregare, e non per pregare insieme. Ognuno infatti nell’incontro di Assisi si rivolgeva alla propria divinità secondo le modalità e le credenze della propria religione, spesso profondamente diversa dalle altre. Non direi che questa sottigliezza di linguaggio sia stata percepita da tutti. Non per nulla, come è noto, anche nella Curia Romana molti criticarono l’iniziativa. Penso che Benedetto XVI desideri accentuare soprattutto il dialogo ecumenico, con le altre Chiese e Confessioni cristiane, senza abbandonare il dialogo con le altre religioni.

Lo spirito è quello di far incontrare le religioni in modo che siano strumento e protagoniste per la costruzione della pace, mentre in passato spesso sono state motivo di guerre e di sanguinosi conflitti. Benedetto XVI, così come il suo predecessore, non si stanca di ripetere che non è possibile fare una guerra in nome di Dio. Nella comprensione di fede di oggi, Dio è sempre un Dio di pace, di incontro, di clemenza e misericordia, e mai di violenza, di intolleranza e di sopraffazione. Questa prospettiva è tanto più necessaria in un’epoca in cui, scomparse le grandi ideologie, sembrano essere soltanto le grandi religioni le depositarie di una visione complessiva sull’uomo e la società. Esse hanno tra l’altro riacquistato un ruolo pubblico che molti, soprattutto in Occidente, giudicavano ormai superato e accantonato”.

In tema di confronto per avviare strategie di pace, quali differenze sul piano diplomatico intravede tra Giovanni Paolo II e Benedetto XVI?

“Nella storia della Chiesa vi è una provvidenziale alternanza di pontefici molto presenzialisti e pieni di iniziative anche diplomatiche a cui seguono pontefici più spirituali e meno «politici». La distinzione non è sempre netta, perché naturalmente ogni Papa compie anche gesti politici e naturalmente gesti squisitamente religiosi. Ho l’impressione che questo stia avvenendo anche oggi dopo l’ultimo conclave. Benedetto XVI è stato un consigliere privilegiato e autorevole di Giovanni Paolo II in campo teologico ed è ovvio che ne continui il cammino, ma certo è meno mediatico, fornisce, per dire così, meno notizie alla stampa, e mi pare tenda ad abbassare il profilo politico della Santa Sede (senza rinnegare affatto l’opera del predecessore) per accentuare quello religioso, dell’identità cristiana e cattolica. Già la sua prima enciclica non è dedicata a un fenomeno sociale del nostro tempo da leggere alla luce del Vangelo, tanto meno da condannare, ma al centro stesso della fede, l’Amore di Dio, da riscoprire e da annunciare più in profondità. Alcuni leggono nella stessa linea la nomina di un Segretario di Stato che non viene dalla diplomazia, ma dagli studi e dalla pastorale”.

Si è discusso tanto in passato dello “spirito di Assisi”, argomento centrale di tesi e di libri. Che ne sarà in futuro del “vento della città del Poverello”?

“Un saggio indiano diceva che le previsioni sono sempre difficili, specialmente se riguardano il futuro. Penso che Assisi, per la forte carica simbolica universale che rappresenta, continuerà ad animare incontri per la pace e su progetti costruttivi, benefici, concreti intorno ai quali tutti gli uomini e le donne di buona volontà possono ritrovarsi: la pace, la lotta alla povertà, il rispetto del creato ecc. Ma occorre sottolineare che il cristiano vi porta motivazioni specifiche sue, anzitutto di tipo religioso ed evangelico. Come sempre, poi, quando si creano segni, ciascuno può interpretarli in modo strumentale o non capirli affatto. Ma già a Gesù non è andata diversamente”.

In questo ambito possono giocare un ruolo cruciale i religiosi e le religiose?

“Sì, come testimoni dell’Assoluto e della volontà di donarsi anima e corpo per un ideale, e di realizzarlo vivendo in fraternità. Mi pare che l’ideale della vita religiosa sia tutt’altro che spento, anche se, per essere sincero, mi pare siano più capite, nella Chiesa di oggi, la vita contemplativa o monastica, che non le forme di vita religiosa attiva, dedite all’apostolato”.

A poco meno di un mese dall’appuntamento che riunirà la Chiesa che è in Italia a Verona, quali sono le sue aspettative su questo evento?

“Mi auguro che la Chiesa italiana riscopra di essere molto più vitale di quanto non dicano le statistiche, molto più presente sul territorio di quanto non si immagini, in una società più sana di come appare in TV. Ma che riscopra pure il bisogno di evangelizzare in profondità anche gli stessi battezzati. In particolare di tradurre la fede in testimonianze, formulazioni e linguaggio all’altezza della cultura di oggi e vicini ai problemi della vita di ogni giorno. Intendo i problemi concreti che la gente affronta e per i quali non sempre trova nella Chiesa una risposta pastoralmente adeguata, che faccia percepire l’amore di Dio per l’uomo e la donna”.

L’attenzione al tema della salvaguardia ambientale non è nuova nella Chiesa. Da S. Francesco ad oggi, molto è stato fatto, a cominciare dalle innumerevoli proposte fiorite in tante diocesi italiane. Ma come mai se ne parla sempre poco di questo originale contributo della Chiesa al rispetto della natura?

“Il tema della salvaguardia del creato è profondamente cristiano, cosa ben chiara a chi conosce la Bibbia. Ma le battaglie ecologiche sono state iniziate in ambito non cattolico e spesso, nelle formulazioni estreme, sono diventate una nuova ideologia assolutizzante, non meno devastante di quelle che hanno afflitto il XX secolo. In particolare sembrano ridurre l’uomo e la donna a una particella della natura, senza riconoscerne il ruolo unico, di saggio amministratore e non di saccheggiatore, che è propria della concezione cristiana. Teilhard de Chardin vedeva nella comparsa dell’uomo sulla Terra il culmine dell’evoluzione, che con essa sembra essersi arrestata. Si percepisce perciò ancora un senso di fastidio in molti ambienti di Chiesa per queste tematiche, come del resto avvenne in passato anche per i diritti dell’uomo, del tutto cristiani e oggi difesi dappertutto dalla Chiesa, ma nati nell’ambiente dell’illuminismo anticattolico”.

Testimoniare l’amore di Dio nel quotidiano è l’invito che ripetutamente rivolge Benedetto XVI ai religiosi e alle religiose. È una “missione possibile” nel contesto attuale sempre più frammentato e multiculturale? Come incarnare la speranza in una società globalizzata?

“Il cristiano è portatore di speranza per definizione: non per nulla parliamo di Vangelo cioè di buona notizia. Credo che il linguaggio più eloquente per diffonderla oggi sia sempre quello della testimonianza. E, a chi sa guardare con lo sguardo reso limpido dalla fede, i segni di speranza si manifestano a ogni passo, specialmente attraverso la vita di tante umili persone, laiche e religiose, che pensano solo a donare e a donarsi. E questo nonostante tante tragedie, problemi immani di povertà e di ingiustizie ancora da risolvere e tanti fallimenti della storia umana anche attuale. Il cammino del mondo, con l’aiuto del Signore della Storia, va avanti, non indietro; costruisce, non demolisce soltanto. In termini umani la vita media si allunga dovunque, segno che l’alimentazione e la sanità, come minimo, sono enormemente migliorate, parlando di medie, naturalmente. Si tratta non di tornare al passato o rimpiangerlo, ma di usar in modo costruttivo i meravigliosi strumenti moderni, in modo da rendere più umano il nostro mondo”.

”Salvezza ed evoluzione” è il tema del simposio di studio che si è svolto a porte chiuse alla presenza del Pontefice a Castel Gandolfo recentemente. Un argomento dibattuto che non smette di affascinare l’uomo. In questo campo le posizioni sono sempre inconciliabili come è successo in passato?

“Il tema è sempre affascinante e dibattuto, ma mi pare che nella sostanza non ci siano più divergenze di fondo. L’ipotesi dell’evoluzione delle specie è pienamente compatibile con la fede cristiana, pur con un intervento di Dio nella creazione dell’anima umana. Già Pio XII del resto impedì la condanna dell’ipotesi evoluzionista, affermando che di caso Galilei nella storia della Chiesa ne bastava uno. Esistono numerose dichiarazioni del Magistero in proposito. Questo non significa che tutto sia chiaro, né nel campo filosofico-teologico, né in quello scientifico, dove le ipotesi si succedono spesso le une alle altre, spesso in contraddizione tra loro. La creazione ha ancora molte cose da rivelare alla curiosità dell’uomo per fargli apprezzare il progetto di Dio nella sua compiutezza e nelle sue leggi. Abbiamo ancora molto da studiare e da ricercare”.

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