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Studioso di scienze
bibliche,
curatore presso le EDB di due collane di argomento biblico: La Bibbia
nella storia e Scritti delle origini cristiane (con Romano
Penna): questo il biglietto di presentazione di Giuseppe Barbaglio. Nato
nel 1934, Barbaglio è stato docente presso la facoltà di teologia
biblica a Milano ed è autore, tra l’altro, di La teologia di Paolo.
Abbozzi in forma epistolare (22001), Gesù ebreo di
Galilea. Indagine storica (52005); Il pensare
dell’apostolo Paolo (22005); Davanti a Dio. Il cammino
spirituale di Mosè, di Elia e di Gesù (22001), insieme a
Piero Stefani; Canti d’amore nell’antico Israele. Traduzione poetica
del Cantico dei Cantici (22004), insieme a Luigi
Commissari. La sua ultima fatica è Gesù di Nazaret e Paolo di Tarso.
Confronto storico pubblicato dalle Edizioni Dehoniane nel 2006. A
lui abbiamo rivolto alcune domande su tematiche di stretta attualità
ecclesiale, come il primo libro di Papa Benedetto XVI.
E’ imminente la
pubblicazione del libro scritto da Papa Benedetto XVI su “Gesù di
Nazareth. Dal Battesimo nel Giordano alla Trasfigurazione”. In base alle
anticipazioni sull’opera recentemente diffuse, come si pone il suo “Gesù
di Nazaret e Paolo di Tarso” rispetto a quello del Pontefice?
“È sempre arduo
intervenire su un libro solo annunciato e non ancora pubblicato. Le
anticipazioni giornalistiche offrono elementi generici che dovranno
essere completati e precisati quando l’avremo tra le mani. In ogni modo
la discussione può essere iniziata. Il papa prende posizione sul metodo
della ricerca storica dei tempi moderni, criticando lo scetticismo
minimista delle ‘vite’ di Gesù dei due secoli trascorsi.
In sostanza il
problema che il papa intende affrontare è quello del Gesù storico
ridotto a un’immagine assai sbiadita e impoverita degli aspetti più
qualificanti della sua personalità religiosa, opposto al Cristo della
fede, nel sottinteso che solo quello è ritenuto un Gesù reale, mentre
questo appartiene alla sfera del mito. In realtà la differenza non
riguarda il piano della realtà oggettiva e quello della sfera del
fantastico e dell’illusorio, bensì l’approccio conoscitivo che è
duplice: la conoscenza storica e quella dell’intuizione di fede.
La conoscenza
storica ha un suo specifico statuto. Negativamente non intende affatto
raggiungere delle evidenze; piuttosto le sue conquiste si collocano
nell’ambito del probabile, del plausibile, del possibile. È conoscenza
del passato con occhi fissi al presente. Studia il passato sulla base di
testimonianze e di documenti antichi che vengono interpretati
soggettivamente. La storiografia positivistica che s’illudeva di
ricostruire come erano effettivamente accadute le cose, è ormai
sorpassata. La storia ha meno pretese: la domanda a cui intende
rispondere è questa: come le cose del passato sono state
narrate.
Negli ultimi anni
ho pubblicato due ricerche storiche su “Gesù ebreo di Galilea” e
su “Gesù di Nazaret e Paolo di Tarso” (EDB) analizzando
accuratamente le testimonianze antiche cristiane, giudaiche, greche e
romane, traendone alcuni elementi probabili e costruendo un quadro
plausibile della sua persona inquadrata nelle precise coordinate
topografiche, cronologiche, culturali e politiche del tempo. Nessuna
pretesa di completezza: lo storico deve riconoscere che ignora in che
anno esattamente Gesù è nato, con probabilità il 6 prima di Cristo!;
dove ha visto la luce (a Nazaret, a Betlemme?); quando è morto in croce
(nel decennio 26-36 della prefettura romana di Ponzio Pilato). Ancor più
problematica è la determinazione della sua figura storica. Oggi due sono
le immagini che di lui gli storici dipingono, quella del profeta proteso
al futuro del regno di Dio anticipato al presente, e quella del saggio
maestro di vita.
Nessuna pretesa di
imporre un Gesù oggettivo e reale, l’unico veramente esistito.
D’altra parte la
conoscenza storica ha un campo limitato di ricerca, capace di agganciare
solo ciò che entra nella sfera della sua competenza limitata al naturale
e al razionale. Quello che è al di fuori è per definizione estraneo alle
risorse della storia che non può pronunciarsi in materia né in senso
affermativo né negativamente; semplicemente non può che ignorarlo. Ne
consegue che essa è incompetente a pronunciarsi per esempio sulla
nascita verginale di Gesù e sulla sua risurrezione; se non può negarle,
non le può neppure affermare.
Così impostato è
del tutto legittimo studiare storicamente Gesù riconoscendone i limiti
ed evitando di invadere il campo della fede: ciascuna conoscenza si
colloca nel proprio ambito.
Ritengo che la
conoscenza del Gesù storico sia legittima come altrettanto è quella di
fede, senza che una invada l’altra”.
In questi mesi Papa
Benedetto XVI sta proseguendo, nelle sue catechesi del mercoledì, il
viaggio tra i protagonisti delle origini cristiane. Le sue riflessioni,
proprie di un esperto di vaglia qual è, non mancano di affascinare e
attrarre molte persone. Momenti di un pontificato in cui a
prevalere è lo studioso, il cultore delle
biblioteche schivo e riservato piuttosto che il profondo conoscitore dei
mezzi di comunicazione. Che ne pensa?
“È indubbio che
Benedetto XVI sia uno studioso di vaglia, ma ancor più sorprendente
appare questo suo progetto di scrivere un libro non ex auctoritate,
bensì come un credente tra credenti che mette per iscritto la sua
credenza cristiana, comparandola con quella dei christifideles e
discutendola con tutti loro. In qualche modo si colloca sullo stesso
piano, non diversamente da Paolo che scrive ai credenti di Roma: “Ho
infatti un vivo desiderio di vedervi per comunicarvi qualche dono
spirituale perchè ne siate fortificati, o meglio per rinfrancarmi con
voi e tra voi mediante la fede che abbiamo in comune, voi e io” (Rm
1,11-12). Penso che quando lo scritto di Benedetto XVI apparirà nelle
librerie l’interesse non solo dei credenti, ma anche più in generale di
moltissimi altri sarà trabocchevole: un papa che non diversamente dagli
altri credenti comunica le sue convinzioni di fede e le sue persuasioni,
pronto a discuterle”.
A
proposito di San Paolo, Benedetto XVI ha detto nel corso di una udienza
generale: “Dobbiamo riconoscere che l'Apostolo è un esempio eloquente
di uomo aperto alla collaborazione: nella Chiesa egli non vuole fare
tutto da solo, ma si avvale di numerosi e diversificati colleghi”.
E’ un ritratto di “colui che meglio comprese e interpretò l’opera del
Maestro” che lei condivide?
“A buon diritto il
papa ha rilevato come Paolo non interpretò la sua missione da cavaliere
errante e solitario, bensì quale missionario capo di una ricca équipe
costituita da numerosi collaboratori, decine di maschi e femmine. I
collaboratori (synergoi) più vicini sono stati anzitutto
Timoteo, co-mittente di diverse lettere paoline (vedi indirizzi di 1Ts ,
2Cor, Fil e Fm), inviato dall’apostolo a Tessalonica e presentato come
“nostro fratello e collaboratore di Dio nell'annuncio del vangelo di
Cristo” (1Ts 3,2), messaggero di Paolo presso la comunità di Corinto:
“vi mandai Timoteo, mio figlio amatissimo e fedele nel Signore “ (1Cor
4,17), meritevole di essere ben ricevuto perché “egli compie l'opera del
Signore come anch'io la compio“ (1Cor 16,10), partecipe con Paolo e
Silvano dell’annuncio di Cristo Gesù (2Cor 1,19), suo collaboratore (synergos)
(Rm 16,21); e poi Tito a fianco dell’apostolo che gli ha affidato il
delicato compito di ricucire i rapporti con la chiesa di Corinto,
presentandolo in 2Cor 8,23 ai credenti corinzi come “mio associato (koinônos)
e mio collaboratore (synergos) per voi”. Con lo stesso
appellativo Paolo menziona la coppia Prisca e Aquila e Urbano (Rm 16,3),
Epafrodito (“Epafrodito, mio fratello, collaboratore e compagno di
lotta”) (Fil 2,25) e Clemente e gli altri collaboratori della chiesa
filippese (Fil 4,3), tra cui sembra annoverare anche due donne, Evodia e
Sintiche (Fil 4,2).
L’esempio per
eccellenza di collaborazione missionaria è offerto dalla comunità di
Filippi che già alla nascita stipulò un patto con l’apostolo: sostenerlo
finanziariamente nella sua azione evangelizzatrice. L’apostolo ricorre a
un linguaggio commerciale: lui e i filippesi hanno costituito una
società di scambio: la comunità di Filippi gli forniva di che vivere ed
egli la faceva così partecipare alla sua azione di proclama del vangelo
(4,15). E le dà atto di essere stata fedele: già a Tessalonica le aveva
dato atto di aver fatto la sua parte: “più di una volta, mi mandaste ciò
di cui avevo bisogno” (1Ts 4,16). In breve Paolo ‘evangelista’ si è
associato alla comunità filippese e questa si è associata a lui; hanno
formato una societas nel segno del vangelo da proclamare”.
Sempre durante una catechesi del mercoledì, Ratzinger ha detto
concludendo la riflessione: “ripensiamo, ancora una volta a questa
frase di san Paolo: sia Apollo, sia io siamo tutti ministri di Gesù,
ognuno nel suo modo, perché è Dio che fa crescere. Questa parola vale
anche oggi per tutti, sia per il Papa, sia per i Cardinali, i Vescovi, i
sacerdoti, i laici. Tutti siamo umili ministri di Gesù”. La
sottolineatura sul servire il Vangelo, ognuno secondo i propri doni, che
richiama la sua affermazione appena eletto al Soglio di Pietro di “umile
servitore nella vigna del Signore” è una chiave di lettura di questo
pontificato?
“Paolo ha ispirato
ancora Benedetto XVI, quando precisa nella prima lettera ai Corinzi il
ruolo che gli spetta nella sua missione evangelizzatrice confrontato con
l’azione propria di Dio. Da capomastro (architektôn) l’apostolo
aveva gettato il fondamento dell’edificio, Gesù Cristo; Apollo e altri
missionari avevano costruito sopra; ma decisiva è stata l’azione di Dio.
Paolo ricorre a una metafora: “Ma che cosa è mai Apollo? Cos’è Paolo?
Ministri attraverso i quali siete venuti alla fede e ciascuno secondo
che il Signore gli ha concesso. Io ho piantato, Apollo ha irrigato, ma è
Dio che ha fatto crescere. Ora nè chi pianta, né chi irriga è qualche
cosa, ma Dio che fa crescere. Non c’è differenza tra chi pianta e chi
irriga … Siamo infatti collaboratori di Dio, e voi siete il campo di
Dio, l’edificio di Dio” (1Cor 3, 5-9).
Paolo e in
generale i missionari sono stati a servizio di Dio per la costruzione
della chiesa. Non per nulla nell’antica chiesa di Roma il papa era
chiamato servus servorum Dei”.
Quanto ai consacrati e alle consacrate, quale compito sono chiamate a
svolgere oggi? Ed in particolare, di fronte ad un mondo in cambiamento
capace sempre più di violenza ai danni dei più fragili ed indifesi, come
debbono comportarsi quelle religiose che, si legge nel messaggio per la
Giornata della Vita Consacrata 2007, si offrono instancabilmente al
servizio delle famiglie del nostro Paese nella cura dei bambini e dei
ragazzi nei vari contesti scolastici ed educativi?
“Le forme di
servizio non solo nelle comunità cristiane ma anche più in generale nel
mondo sono varie. Paolo ha dato esempio nell’azione missionaria e
pastorale, servitore di Dio. Il servizio del papa è nel suo genere
unico. Le consacrate e i consacrati testimoniano i particolari carismi
ricevuto da Dio. Non si pensi però a servizi specifici, perché non
mancano servizi ‘laici’: quelli dei genitori per la famiglia, dei
cittadini per il popolo, degli insegnanti per gli studenti, dei medici
per i malati, ecc. Gesù stesso ha dato il buon esempio: “Il figlio
dell’uomo non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la vita
in riscatto per la moltitudine degli uomini” (Mc 10,45). In particolare
i religiosi sono chiamati da Dio a rendere i servizi più umili di aiuto
ai più bisognosi”.
Testimoniare il Vangelo in diverse aree del pianeta equivale a vivere
situazioni di rischio che non di rado hanno implicato il sacrificio
estremo. Da Suor Leonella Sgorbati a don Andrea Santoro: anche il 2006
si è chiuso con un amaro bilancio in termini di vite umane. L’esigenza
di testimoni fedeli e coerenti, tema caro a Papa Paolo VI, è a suo
avviso ancora oggi attuale o la società attuale, sempre più protesa
verso l’immagine e l’oblio, necessita di essere ripensata alla luce
delle attuali tendenze?
“I servizi a cui
si è chiamati non sono affidati senza prezzi anche alti da pagare. Se
Gesù è stato disponibile a dare la vita per gli altri, Paolo non è stato
di meno. Così in procinto di andare a Gerusalemme a portare la colletta
ai credenti di Gerusalemme, li supplica perché sia protetto da Dio
contro quanti nella città santa sono pronti a minacciarlo di vita (Rm
15,25ss). Del resto il libro degli Atti attesta come Paolo sia stato
arrestato, imprigionato, spedito al tribunale di Roma, processato e
condannato a morte. Gli stessi inizi del movimento cristiano del resto
hanno conosciuto stagioni caratterizzate da persecuzioni”.
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