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English version
Suor Alessandra
Smerilli, Figlia di Maria Ausiliatrice, insegna Economia politica presso
la Pontificia Facoltà di Scienze dell’Educazione Auxilium, ed Economia
della cooperazione presso l’Università Cattolica di Roma. Le abbiamo
chiesto di aiutarci a comprendere meglio il significato dell’attuale
crisi finanziaria che coinvolge tutto il mondo.
Stiamo
vivendo in un momento non facile per l’economia e le borse di tutto il
mondo. Quali, a suo avviso, le cause di questa crisi che ha messo in
ginocchio famiglie, banche e multinazionali, negli Stati Uniti e non
solo?
“La
situazione di turbolenza che è sotto i nostri occhi in questi giorni, è
ormai una crisi economica e non solo finanziaria: interessa cioè
l’economia reale, le famiglie, i lavoratori, tutti noi. Le cause più
evidenti sono di natura finanziaria e politica, ma tra le cause remote
non possiamo non citare quelle di natura etica. In generale, una delle
cose che questa crisi – la prima crisi dell’economia globalizzata – è
che non è possibile più distinguere tra economia reale ed economia
finanziaria: l’economia reale è finanziaria!
Per questa
ragione, la crisi non è originata solo dalle banche e dagli investitori
finanziari, che stanno diventando il capro espiatorio, ma alla base di
tutto c’è, come vedremo, anche una cultura ‘drogata’ del consumo.
Partiamo comunque
dalle banche. Le parole più gettonate di questi ultimi tempi sono
‘mutui’ e ‘mercato immobiliare’. Vediamo perché. Un tempo, le banche che
emettevano prestiti e mutui, erano poi quelle che li incassavano. Da
circa dieci anni nel mercato del credito americano, sono state
introdotte delle innovazioni. Una banca può erogare un mutuo a un
cittadino e ricevere in cambio un impegno di pagamento accompagnato da
un’ipoteca (un bene che viene impegnato in caso non si riesca a
restituire il prestito). La stessa banca, poi, può vendere quell’impegno
di pagamento agli investitori, i quali in pratica comprano i flussi
finanziari (le rate dei mutui) che i cittadini devono restituire. La
banca che ha venduto l’impegno di pagamento ha così altri soldi da
prestare, e così via, in un gioco di carta dove ci si allontana sempre
più dall’economia reale. Gli investitori compongono portafogli di titoli
(gli impegni di pagamento) diversificati, anche in base alla qualità:
quelli più sicuri rendono meno, quelli più incerti e rischiosi rendono
di più perché incorporano un maggior rischio. Questi portafogli di
titoli cosiddetti derivati, vengono a loro volta rivenduti, e ovviamente
i titoli più rischiosi e redditizi attrarranno gli speculatori senza
scrupoli.
Ora, se la banca
che valuta l’affidabilità di un cliente per concedere un mutuo non dovrà
poi incassare quel mutuo, ha un minor incentivo a selezionare clienti
affidabili. E se a questo uniamo che i titoli rischiosi sono richiesti
sul mercato, si fa presto a capire come la qualità dei clienti si sia
deteriorata alquanto. A tutto ciò si aggiunge che le banche, per
approfittare al massimo di queste opportunità, hanno creato degli
strumenti ad hoc fuori bilancio, i cosiddetti SIV, in modo da poter
aggirare le norme che vincolano gli istituti di credito ad un rapporto
ben definito tra risorse proprie e risorse investite. Pensiamo solo che
nel settore dei prestiti tradizionali alla clientela le regole limitano
il rischio che le banche possono correre all’8%, mentre nel mercato dei
derivati le operazioni si svolgono senza regolamentazione. Per inciso
qui il paradosso è che le norme di Basilea II, l’accordo internazionale
con cui si cerca di tenere sotto controllo il rischio delle banche, fa
passare questi prodotti in maniera inosservata e decreta allo stesso
tempo che i prestiti nel sociale (per il no-profit e per gli enti
ecclesiastici e religiosi) sono ad alto rischio!
Per avere un’idea
delle cifre, mentre il PIL (Prodotto Interno Lordo) mondiale è di circa
56 trilioni di dollari, il valore dei prodotti derivati sui crediti è
di 58 trilioni di dollari, mentre quello complessivo di tutti i prodotti
derivati è di 1288 trilioni di dollari.
In questo quadro
finanziario, la facilità di avere denaro a prestito a fatto aumentare la
domanda di case, e quindi i prezzi, per aumento della domanda, sono
aumentati: dal 1997 al 2006 il valore delle case negli USA è cresciuto
del 124%. Tutto ciò va bene per chi si è impegnato in un mutuo: se i
prezzi delle case vanno via via aumentando e io mi rendo conto di non
riuscire più a pagare il mutuo, rivendo la casa, estinguo il mutuo e mi
avanza qualcosa! Tutto funziona fino a quando i prezzi continuano a
crescere. Quando invece i prezzi scendono (ed è quello che si è
verificato nel mercato statunitense a partire dal 2006), ecco che il
valore del mutuo eccede il valore della casa, e quindi le famiglie che
non riescono a pagare il mutuo perdono tutto. Negli Stati Uniti la
caduta del prezzo delle case ha ormai raggiunto un tasso medio del 10%
annuo. Si è quindi avviato un circolo vizioso, la bolla è scoppiata:
molte famiglie non riescono a pagare e dichiarano bancarotta, le case
sono vendute all’asta e questo contribuisce a diminuire ulteriormente i
prezzi…vanno in crisi le istituzioni finanziarie che avevano fatto di
questo mercato il cavallo di battaglia. E con esse vanno in crisi tutte
le istituzioni e organizzazioni, ma anche privati cittadini che avevano
in mano titoli appartenenti alle istituzioni che falliscono. Questo vuol
dire che l’economia comincia a rallentare e si entra in una fase di
recessione, dove aumenta la disoccupazione, diminuisce il commercio, in
poche parole ecco la crisi che a detta di molti economisti sarà (o forse
già è) la più grave dopo la recessione degli anni Trenta.
Ma non possiamo
fermarci qui, per delineare le cause della crisi, non possiamo solo
accusare le banche. La crisi si è amplificata sì a causa di speculatori
senza scrupoli, ma anche a causa di una cultura consumistica che ha
‘dopato’ il consumo: si è andata negli anni creando l’illusione che non
è necessario legare il consumo al proprio reddito.
Lei
chiama in causa una cultura consumistica ‘dopata. Perché?
“Un tempo per
comprare un bene durevole (una automobile, una lavatrice, ecc.) prima si
mettevano i soldi da parte, si facevano sacrifici, e poi si comprava .
Oggi le famiglie, in particolare nel mondo occidentale, non risparmiano
più: il “compra oggi e inizi a pagare nel 2010” è diventato uno stile
consueto. E questo ha contribuito ad ampliare la crisi, perché fino a
quando tutto funziona, cioè fino a quando l’economia è in crescita
questo castello di carta si sostiene, ma ai primi problemi l’effetto
domino si scatena e trascina tutti con sé.
E invece, come ci
ricorda anche la DSC, il risparmio è importante, è un collegamento tra
le varie componenti della società: tra generazioni nel tempo (i risparmi
di un genitore diventano la laurea per il figlio), e tra famiglie e
imprenditori oggi (le famiglie risparmiavano e grazie al sistema
bancario gli imprenditori possono investire)”.
Chi
ci rimette in questa situazione di turbolenza? Le economie dei paesi in
via di sviluppo o anche quelle occidentali?
“In un mondo
globalizzato, nel bene e nel male, gli effetti delle turbolenze si
ripercuotono ovunque e su tutti. Il fatto poi che la crisi abbia avuto
il suo epicentro negli Stati Uniti, che sono al centro di fitte reti di
relazioni internazionali, fa in modo che, direttamente o indirettamente,
tutto il mondo avrà a risentirne. Sicuramente molti paesi emergenti e in
via di sviluppo, data la poca internazionalizzazione delle proprie
strutture finanziarie non sono stati ancora direttamente travolti dalla
crisi. Ma sono proprio questi paesi quelli che risentiranno di più degli
effetti della crisi sull’economia reale. Come rivelano gli studi della
Banca Mondiale, in questi paesi innanzitutto, come per il resto del
mondo, si registrerà una diminuzione del tasso di crescita delle
economie: se prima della crisi il tasso stimato per i paesi in via di
sviluppo era del 6,4% per il 2009, ora le stime riviste parlano del
4,5%. Accanto a questo si stima una riduzione del commercio
internazionale e una diminuzione dei prezzi delle materie prime, quindi
si registreranno problemi per chi le esporta. Diminuiranno anche le
rimesse degli emigranti, e sarà più difficile trovare lavoro nei paesi
più sviluppati, perchè saranno quelli maggiormente colpiti dalla crisi.
Nello stesso tempo, però sarà più facile ottenere prestiti e ci saranno
tassi di interesse più bassi, e questo è positivo. Effetti di più lungo
periodo, e che bisogna adoperarsi per evitare potrebbero essere un
aumento della malnutrizione e la diminuzione della scolarizzazione. In
questo momento delicato la Chiesa (cfr. la nota di Iustitia et Pax
sull’Assemblea delle Nazioni Unite a Doha) si sta adoperando per
ricordare a tutti di coordinare le iniziative per la soluzione della
crisi dentro una prospettiva globale e non tenendo conto solo delle
urgenze dei paesi occidentali. Un segnale di speranza è che i paesi in
via di sviluppo potrebbero, per effetto di questa crisi, in qualche modo
liberarsi dalla ‘dipendenza’ dall’occidente, trovando nuove vie e
risorse per nuovi modelli di sviluppo”.
Quale
deve essere il ruolo che spetta alle religiose nel mondo contemporaneo
oggi?
“Sono
convinta che non c’è vita buona, nella sfera privata come in quella
pubblica, senza gratuità. E non c’è gratuità senza carismi (vengono
entrambi da “charis”). E’ questa la ragione per la quale l’indigenza di
una società, come la nostra, che emargina i carismi (dalla politica,
dall’economia, dai mass media …) è soprattutto indigenza di gratuità,
carestia di un tocco umano che sia fine a se stesso, carestia di gente
che ci incontra e ci avvicina perché gli interessiamo come persone. E
basta. Un “e basta” che la società della ricerca del profitto,
dell’efficienza e del merito, non conosce più. L’economia di mercato è
il frutto di oltre quindici secoli di civiltà e di carismi (se non
vogliamo partire già nel mondo greco), è un albero con radici profonde.
Ma oggi questo albero secolare, se non millenario è minacciato da una
crisi che è soprattutto crisi morale e antropologica. Il mercato
funziona bene quando è irrorato anche dalla linfa dei carismi, una linfa
che si chiama gratuità. Ma un'economia di mercato che perde contatto
con la dimensione carismatica (che oggi si esprime tanto nell'economia
sociale, solidale, di comunione ...), diventa dis-ecomia, luogo di vita
non-buona, perché perdendo contatto con la gratuità, perde contatto con
l'umano. A. McIntyre, dopo aver riconosciuto a Benedetto un ruolo
decisivo nella salvezza della cultura europea dopo la crisi dell’impero
romano (l’età oscura), così commenta: “Se la tradizione delle virtù è
stata in grado di sopravvivere agli orrori dell’ultima età oscura, non
siamo del tutto privi di fondamenti per la speranza. Questa volta, però,
i barbari non aspettano di là dalle frontiere: ci hanno già governato
per parecchio tempo. Ed è la nostra inconsapevolezza di questo fatto a
costituire parte delle nostre difficoltà. Stiamo aspettando: non Godot,
ma un altro San Benedetto”. Mi auguro che come religiose sappiamo
cogliere l’importanza di questo momento storico: un momento favorevole,
perché oggi più che mai la gente aspetta la linfa della gratuità, un
momento di scelte coraggiose, un momento in cui
siamo chiamate ad
essere “segno” che i beni più preziosi non passano per il mercato,
perché hanno un valore inestimabile”.
Si
parla tanto di questione morale nella politica e nella società. Esiste a
suo avviso una ricetta eticamente praticabile in questo contesto non
facile’?
“Credo
che oggi tutti, o almeno i più avveduti, abbiano capito che etica ed
economia non sono due mondi distinti: l’etica è una dimensione
dell’economia (e l’economia dell’etica). Quando l’economia perde questa
dimensione, allora oltre a combinare danni, distrugge anche se stessa.
Ne è prova questa crisi, così come il malessere crescente nelle società
occidentali, dovuto ad un aumento costante di beni di comfort, che in
qualche modo stanno spiazzando i beni relazionali. La strada etica, e
culturale, è anzitutto quella di riportare l’uomo al centro
dell’economia: le prime banche popolari, non dimentichiamocelo, sono
state fondate dai francescani per alleviare la povertà (i monti di pietà
e i monti frumentari). Non dobbiamo immaginare un mondo senza finanza,
ma occorre che anche oggi fioriscano imprenditori animati da scopi
ideali e più grandi del solo profitto. E’ sempre più chiaro che la
dimensione etica deve stare dentro i processi produttivi e decisionali
delle organizzazioni e delle imprese e non va relegata alla
redistribuzione fatta dallo Stato, tanto più che gli Stati in un mondo
globalizzato stanno perdendo i loro poteri in campo economico e fiscale.
Esistono già esperienze ormai consolidate che in questo momento possono
diventare dei modelli: penso ad esempio a banca etica, le imprese di
economia di comunione, il commercio equo e solidale e in generale tutte
le esperienze di economia civile. In secondo luogo, la sfida è
antropologica e culturale: la crisi attuale può essere una occasione per
una riflessione profonda sugli stili di vita occidentali, diventati
insostenibili. La sobrietà (che io, in continuità con la tradizione dei
carismi, chiamerei con più coraggio – di quanto non faccia la stessa
chiesa istituzione – “povertà”, bella parola del vangelo), la comunione
e la condivisione dei beni sono la strada per re-innescare un circolo
virtuoso: è il tempo dell’impegno di tutti, tempo favorevole per un
ritorno all’essenzialità”.
Tra le priorità del pontificato di Benedetto XVI c’è quella
dell’emergenza educativa. Come le FMA affrontano questo urgente problema
della società del nostro tempo? Come educare le giovani generazioni a
vivere con il giusto senza lasciarsi tentare da eccessi che in economia
possono rivelarsi fatali?
“Occorre
mostrare la bellezza di una vita semplice e povera, far vedere che la
felicità passa anche da queste dimensioni della vita. Francesco era
attratto da “sorella povertà” perché il suo carisma gli consentiva di
vedere un dono dietro quella che altri chiamavano maledizione. Dobbiamo
essere attratti dalla povertà perché in essa vediamo una via di maggiore
felicità.
Due percorsi mi
sembrano importanti. Innanzitutto dobbiamo aiutare i giovani ad aprire
gli occhi sugli squilibri a livello mondiale e sulla “povertà non
scelta” di miliardi di persone. Ma qui c’è il rischio di pensare a
queste cose come molto lontane, che in fondo non ci “sfiorano”. Allora è
importante conoscere la povertà che c’è dietro l’angolo, il precariato,
gli anziani che rubano nei supermercati perché non riescono ad arrivare
a fine mese, le città nascoste delle persone che vivono sotto i ponti…
In secondo luogo, studi recenti fatti da noti economisti e premi nobel
dimostrano che nelle società occidentali, ad un costante aumento del
reddito pro-capite, si è accompagnata una diminuzione della felicità e
della soddisfazione di vita. Questi dati sono importanti, perché è luogo
comune credere che maggior benessere economico porta sempre a maggior
“well-being” (bene-stare) delle persone. Se così non è c’è qualcosa che
non funziona. Quasi tutti gli economisti sono d’accordo nel dire che il
nodo cruciale è a livello relazionale. Se, per esempio, l’impegno per
aumentare il reddito produce sistematicamente effetti negativi sulla
qualità e quantità delle nostre relazioni (fa cioè diminuire la felicità
che traiamo dal “consumo” di beni relazionali), poiché le ore dedicate
al lavoro sono sottratte alla vita relazionale e familiare, l’effetto
complessivo di un aumento di reddito sulla felicità può essere negativo
a causa delle conseguenze negative che quell’aumento di reddito produce
indirettamente sulla qualità delle nostre relazioni, a causa delle
risorse (eccessive) che impieghiamo per aumentare il reddito, e che
sottraiamo ai rapporti umani. Aiutare i giovani a prendere coscienza di
questi meccanismi li aiuta a liberarsi dalla “fame” del possesso”.
Giovanni Paolo II parlò di ‘genio femminile’. Il papa polacco scrisse
una toccante Lettera indirizzata a tutte le donne nel 1995, anno della
Conferenza Internazionale dedicata alla condizione della donna a
Pechino. Benedetto XVI in diverse circostanze ha riconosciuto il valore
e il ruolo chiave delle donne e delle religiose in particolare.
Recentemente delle ematiche femminili si è discusso anche in occasione
del recente Sinodo sulla Bibbia, suggerendo una maggiore apertura del
Lettorato alle donne, quale spazio ha oggi la donna e la religiosa nella
Chiesa?
“L'uomo
nasce libero, e
ovunque è in catene”,
scriveva Rousseau nel suo Contratto sociale. Ma se questo è vero per
l’uomo, lo è soprattutto per le donne, che spesso sono le prime vittime
di rapporti sociali, politici, ed economici sbagliati. Io credo che oggi
alla donna vada riconosciuto il proprio ruolo co-essenziale non
concedendole parzialmente alcuni ministeri che gli uomini hanno in
pienezza: così si resta sempre in una posizione subalterna. La donna
sarà se stessa nella chiesa, e la chiesa ancor più se stessa, quando si
andrà oltre questa visione “concessoria” verso le donne da parte
dell’istituzione ecclesiastica, e si riconoscerà ai carismi (c’è un
rapporto speciale tra carisma e genio femminile) il loro ruolo
co-essenziale, in reciprocità con il profilo istituzionale, senza
dimenticare la governance della Chiesa e le questioni del comando e del
potere. La teologia di Von Balthasar e dei “profili” della chiesa, è
ancora tutta attuale e davanti a noi”.
Che
importanza ha, in questo contesto, la comunicazione?
“La comunicazione, in questi momenti in cui ci sentiamo
tutti appesi ad un filo e interdipendenti, è importantissima. I mezzi di
comunicazione sono anzitutto una potente cassa di risonanza mediatica di
quello che accade e si profila all’orizzonte, andando in qualche modo a
orientare le scelte dei consumatori, dei risparmiatori, ecc. Una sana
comunicazione potrebbe aiutare anche a rivedere gli stili di vita. Il
problema della comunicazione in questo momento non facile è che
raramente si presenta chiara: siamo messi quotidianamente di fronte a
opinioni di esperti più che a fatti concreti. Non so se le persone
attraverso le notizie siano riuscite a farsi un’idea chiara di quello
che è successo e di quello che sta accadendo all’economia e alla
società. C’è bisogno di una comunicazione che sia chiara, non si
concentri solo su una parte del mondo, crei allarmismi, ma aiuti a
percepire la serietà del momento che stiamo vivendo e che richiede
l’impegno di tutti e di ciascuno”.
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