La vita consacrata oggi
 

nelle parole di Enzo Bianchi
  
 


Rita Salerno (a cura di)


 

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“Rimanete fortemente radicati nella carità e nell’umiltà, osservate i vostri carismi, avendo particolare cura dei bisognosi”. Sono parole di Papa Benedetto XVI che all’angelus del primo febbraio scorso ha incoraggiato le persone che hanno donato la vita a Cristo mediante la professione religiosa a “pregare per la pace e per la conversione del mondo”. Nel mondo i religiosi sono così distribuiti: religiosi presbiteri 136 mila, religiosi professi non sacerdoti 55 mila, religiose professe 750 mila (dati della Santa Sede aggiornati al 2006). In Italia, a fronte di 32.990 preti diocesani e 1.498 preti stranieri ci sono 18.610 religiosi e 122.356 religiose. Le case generalizie di ordini e congregazioni religiose presenti nel nostro Paese sono 360, mentre il numero dei conventi maschili e femminili è stimato attorno alle 1.000 unità. Al numero dei religiosi appena citati, occorre aggiungere alcune migliaia di consacrati appartenenti alle Società di Vita Apostolica e agli Istituti Secolari.

Nel messaggio scritto per l’occasione dalla commissione episcopale per il clero e la vita consacrata si sottolinea l'esigenza che "le comunità monastiche e religiose siano oasi nelle quali si vive il primato assoluto di Dio, nella sua gloria e nel suo amore", esprimendo un "generoso servizio ai poveri, secondo il carisma dell'Istituto di appartenenza". Sulle sfide che il mondo contemporaneo pone alle persone consacrate abbiamo interpellato il priore della comunità di Bose Enzo Bianchi.

Consacrarsi a Dio oggi può sembrare un controsenso in apparenza, quasi un fuggire dal mondo. Cosa significa oggi scegliere di seguire Cristo?

“Da un lato è vero che la scelta di dedicare completamente una vita a Cristo nella sua sequela, coinvolti con Lui sia nel celibato che nella missione può sembrare una follia in un mondo edonista, individualista, che pensa soltanto alla carriera e al proprio successo e al potere. Però, per chi conosce Cristo, è qualcosa che avveniva ieri, come oggi e avverrà ancora domani. Quando uno lo conosce, e prova l’amore per Cristo, sa che richiede una tale concentrazione di amore su di Lui che tutte le altre cose diventano relative. Non sono cioè più cose che possono trattenere davvero un credente. E allora la scelta di dare tutta la vita radicalmente, totalmente, per amore del Signore, del Regno, del Vangelo diventa qualcosa di possibile, ma anche di qualcosa che apre la via alla beatitudine”:

Si parla e non da oggi di crisi di vocazioni. Ma la situazione sembra essere in chiaroscuro. Dal suo osservatorio della Comunità di Bose e in base alla sua esperienza, quale stagione stanno vivendo oggi le vocazioni?

 “Indubbiamente questo discorso cambia a secondo del territorio e del continente su cui ci si focalizza. È vero che nelle Chiese di antica cristianità, vale a dire quelle europee e del nord America, si assiste ad una crisi di vocazioni, specialmente per la vita religiosa. Indubbiamente vengono a mancare quella vocazione al servizio e alla missione, alla diaconìa, che invece avevano avuto una stagione fertile soprattutto nell’ottocento e nel novecento. Per questo noi oggi vediamo un restringimento delle vocazioni. Però è anche vero che le vocazioni continuano ad esserci nella vita monastica ed in quella presbiterale, non ovunque. Ma il Signore continua a chiamare anche in questo momento di povertà delle vocazioni. Continua a farci sentire la sua voce. Ci sono ancora uomini e donne che, grazie a Lui, lasciano tutto per seguirlo”.

Giovanni Paolo II scrisse nel 1996 Vita Consecrata, l’esortazione apostolica incentrata sulla vita consacrata e la sua missione nella Chiesa e nel mondo. È ancora attuale il documento del Papa polacco?

“Penso di sì, anche perché è stato l’unico documento dopo quello conciliare, frutto dell’elaborazione del magistero papale in tutto il tempo post Concilio Ecumenico Vaticano II. Ed è stata certamente una lettura della vita religiosa direi estremamente appassionata, una lettura fatta con discernimento. Una lettura che chiedeva alla vita religiosa di diventare profetica, cioè di farsi portavoce della Parola di Dio. Chiedeva alla vita religiosa di essere parabola, cioè segno del Regno che viene. Resta cioè per me il documento più importante, più decisivo che abbiamo alle spalle sulla vita religiosa nella Chiesa cattolica”.

Cosa rende oggi la vita consacrazione robusta e preparata ad affrontare ogni tipo di intemperie?

“Ci vuole molta formazione e preparazione. Ci vuole un grande discernimento al momento della chiamata. Occorre avere grande pazienza perché evidentemente i tempi si sono allungati di questo discernimento e di questa probazione. Però se la formazione è poi davvero intensa, seria e autentica, se il religioso viene ad essere costruito come uomo di preghiera e di assiduità con il Signore, allora è più armato nella battaglia contro le seduzioni e le tentazioni che oggi si sono fatte più intense perché richiedono anche perseveranza nella lotta. A volte mi dico che un tempo il problema era nelle vocazioni, oggi invece il problema sta nella perseveranza che deve accompagnare le vocazioni. Perché troppo facilmente si mette in discussione la professione, i voti fatti. Sembra quasi che ci sia un’incapacità di vivere fino alla morte una promessa, un’alleanza fatta con il Signore, fatta con i fratelli e con le sorelle, fatta con la Chiesa”.

Nell’anno dedicato all’apostolo delle genti, quale messaggio offre san Paolo ai consacrati e alle consacrate e quali indicazioni per vivere quotidianamente nelle comunità di appartenenza il messaggio di salvezza di Cristo?

“Certamente l’Apostolo Paolo ha un messaggio per tutta la Chiesa e per tutti i credenti. Proprio Paolo è quello che nel NuovoTestamento individua la possibilità del carisma della vita religiosa attraverso il dono del celibato. Da viversi – sono sue parole – con assiduità con il Signore, senza distrazioni, senza divisioni, senza preoccupazioni. Allora, la vita religiosa è questo stare con Gesù, questo essere senza separazioni. Il celibato è un cammino di unificazione per questo unico amore che è al di sopra di tutti. Paolo ha un grande insegnamento su questo tema”.

Alla luce del recente Sinodo dei vescovi sulla Bibbia, come testimoniare la centralità della Parola di Dio?

“Ma come ha detto sia l’assemblea sinodale che Papa Benedetto XVI, nella vita di un consacrato la lectio divina deve avere un posto centrale subito dopo la lliturgia delle ore e la liturgia eucaristica. Un religioso deve vivere assolutamente mettendo al centro di tutto la Parola di Dio. Se mette la Parola di Dio celebrata liturgicamente e quella assimilata invece all’interno della lectio divina, certamente il religioso vive secondo la Parola che è il Vangelo, vive nutrito della Parola, vive sotto il primato della Parola”.

In occasione di un incontro dedicato alla vita consacrata, Benedetto XVI ha auspicato che i religiosi e le religiose nutrano la propria giornata di preghiera, di meditazione e di ascolto della Parola di Dio. E li ha sollecitati a valorizzare l’antica pratica della lectio divina. L’invito del Papa è stato raccolto a suo avviso?

“Non voglio dare giudizi. Ma certamente quello che posso dire è che in questo momento il grande rischio è quello di essere travolti dal fare, dal fare cose buone, fare servizio agli altri, adoperarsi diaconìa. Forse manca prima questo essere evangelizzati per evangelizzare. Questo stare con il Signore per poter essere evangelizzatori nel suo nome. Occorre prendere cibo dalla Parola che ci plasma ogni giorno, ci da un volto e una forma, e ci costituisce corpo del Signore”.

Nel messaggio CEI per la 13.esima giornata mondiale della vita consacrata si sottolinea l’esigenza che “le comunità monastiche e religiose siano oasi nelle quali si vive il primato assoluto di Dio, nella sua gloria e nel suo amore”. Quali le difficoltà per realizzare questa imprescindibile esigenza?

“Certamente tutta la storia della vita religiosa testimonia della tentazione più del fare che dell’essere. I religiosi sono spesso tentati di non mantenere quel primato della lode, dell’adorazione di Dio, che deve contraddistinguerli. Il celibato che plasma la vita religiosa, se non fa spazio allo stare con il Signore, mette in serio rischio l’intera consacrazione. È proprio qui che la vita religiosa viene depotenziata e smentita. E di conseguenza è sale che perde il suo sapore. Come diceva San Paolo”.  Torna indietro