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Alla luce
dell'attuale crisi finanziaria ma anche antropologica si fa sempre più
urgente il bisogno di ripensare le regole economiche, ripristinando la
centralità dell’essere umano e la sua inalienabile dignità, ma anche
sollecitando la piena collaborazione della famiglia umana per concorrere
al progresso comune. Coniugare teologia e globalizzazione, ripensare lo
sviluppo mettendo al centro la persona, conciliare nel concreto del
vivere sociale le ragioni del profitto e la logica del dono. Sono queste
alcune delle sfide che la terza enciclica di Benedetto XVI, “Caritas in
veritate” lancia alla cultura del nostro tempo, per affrontare la crisi
del presente e gettare le basi del futuro. Ne abbiamo parlato con
Massimo Gattamelata, segretario generale della Fondazione Vaticana
Centesimus Annus Pro Pontifice dal 1994. Laureato in scienze economiche
e commerciali, Gattamelata ha lavorato in Confindustria fino al 1993
ricoprendo diversi incarichi.
Il
presidente del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, cardinale Renato
Raffaele Martino, ha ribadito nel corso della conferenza stampa di
presentazione dell’enciclica che la Caritas in veritate si inserisce
nella tradizione delle encicliche sociali. Ci aiuta a comprendere il
significato di questa affermazione? E quali le differenze che intravede
tra la ‘Centesimus Annus’ e la ‘Caritas in Veritate’?
“Dalla lettura di
questa terza enciclica si rileva come il Santo Padre consideri la ‘Populorum
progressio’ come il documento-quadro entro cui la dottrina sociale
della Chiesa si è mossa fin dal lontano 1967. Benedetto XVI la riprende
nuovamente oggi in maniera estremamente vivace e mette in luce i
principi base che l’hanno ispirata, considerandola quindi come il
documento più completo che i suoi predecessori hanno fatto in questo
campo. Le linee guida adottate da Papa Paolo VI con la sua P.P. sono
state infatti l’alveo di tutte le encicliche, dalla ‘Octogesima
adveniens’ fino alla ‘Centesimus annus’. Posso dire che Papa
Benedetto XVI ha voluto impostare questa sua nuova enciclica più alla
luce della ‘Populorum progressio’ che della ‘Centesimus annus’.
Non a caso il testo di questo nuovo documento papale richiama ben
ventisette volte la ‘Populorum progressio’ e solo venti volte la
‘Centesimus annus’. Questo lo si capisce perché leggendo la ‘Caritas
in veritate’ si nota come molti argomenti, già trattati anche dalla
‘Centesimus annus’, vengano però esaminati in una luce diversa.
Tenendo cioè conto di situazioni effettive di rapporti sociali,
economici e politici che sono mutati e non di poco, rispetto al 1991,
anno di pubblicazione della ‘Centesimus annus’.
Tutte le
encicliche sociali hanno evidenziato, in ogni caso, come fine primario
il considerare l’uomo come elemento centrale di ogni attività.
Considerare, in altri termini, ogni individuo come espressione
dell’amore di Dio. Alla luce di questo principio, noi tutti dobbiamo
egualmente rispettare tutte le altre persone. Sotto questo profilo, si
deve considerare la nuova enciclica inserita nella tradizione dei
documenti del magistero in campo sociale. La differenza tra la ‘Caritas
in veritate’ e la ‘Centesimus annus’ sta sostanzialmente nel
mutato scenario in cui oggi l’uomo è chiamato ad operare. Un esempio su
tutti, la globalizzazione e le sue conseguenze anche di sviluppo
differenziato che il fenomeno ha provocato”.
Parlando a proposito della dimensione della gratuità, monsignor
Giampaolo Crepaldi ha affermato che “l’annuncio di Cristo è il più
grande aiuto che la Chiesa può dare allo sviluppo”, precisando che nella
‘Caritas in veritate’ la “questione antropologica” diventa
“questione sociale”. E’ questo un punto centrale del documento papale?
“Direi che
monsignor Crepaldi ha individuato in maniera ottimale questo aspetto
come uno dei punti nodali dell’enciclica. Cioè, la ‘questione
antropologica’ che è strettamente connessa e legata al concetto di
‘questione sociale’. Basti pensare come nella ‘Humanae vitae’ di
Paolo VI, documento peraltro non intimamente connesso alla dottrina
sociale della Chiesa, si evidenziavano i forti legami esistenti oggi
come allora tra etica della vita ed etica sociale. Dico questo per
sottolineare che non può avere solide basi per la sua crescita una
società che, mentre afferma valori quali la dignità della persona, la
giustizia e la pace, si contraddice invece accettando e tollerando le
più diverse forme di violazione della vita umana, specie se debole ed
emarginata. Oggi questi argomenti sono di stretta attualità, soprattutto
se consideriamo tutta l’evoluzione che la genetica ha avuto negli ultimi
anni. Questi richiami del magistero devono far comprendere come la
questione antropologica, fin dal momento della creazione della creazione
dell’uomo nel grembo materno, debba effettivamente essere considerata
questione sociale a tutti gli effetti. Condivido quindi in pieno quanto
affermato da monsignor Crepaldi”.
La
riforma dell’ONU invocata dal Papa nell’enciclica è una strada
percorribile?
“Il richiamo agli
uomini di governo circa l’indicazione, ritenuta necessaria, per una
riforma delle organizzazioni internazionali mi pare estremamente
opportuna. Peraltro non è la prima volta che il Papa si esprime in
questo senso. Queste strutture organizzative, la cui gestione comporta
costi che riducono fortemente gli aiuti che le stesse organizzazioni
dovrebbero prefiggersi come obiettivo, hanno più volte messo in luce
davanti agli occhi del mondo intero come prevalgano al loro interno le
voci dei più potenti, lasciando al margine le rappresentanze dei paesi
poveri. Questo per le questioni di principio. Penso che momento
migliore, e cioè alla vigilia del vertice dell’Aquila, per la
pubblicazione di questa nuova enciclica non poteva essere scelto. I
partecipanti all’evento mondiale del G8 non avranno certo avuto il tempo
di leggerla e di valutarne il contenuto, ma certamente saranno stati
informati dei nuovi richiami che il Pontefice ha voluto fare al
riguardo. Potrei definire che il rinvio della pubblicazione è stato
provvidenziale”.
Quanto la ‘Populorum Progressio’ di Paolo VI ha influenzato
questa terza enciclica sociale di Benedetto XVI?
“Il Papa fa
un’analisi approfondita della ‘Populorum progressio’ e dei
principi di fondo che l’animano: l’annuncio della verità, dell’amore di
Cristo nella società. Si cita espressamente il fatto che non si può
donare all’altro del mio senza avergli dato quanto gli spetta secondo
giustizia. Papa Montini era molto sensibile a questo tipo di
problematiche. Da qui discende anche la gestione del bene comune che
impone giustizia e carità. Tutti gli altri principi citati in questa
terza enciclica di Benedetto XVI sono ispirati dalla ‘Populorum
progressio’ e da Paolo VI, la cui sensibilità politica e sociale era
ben nota a tutti. Si nota anche ad una prima lettura superficiale la
volontà del Papa di seguire la volontà di Papa Giovanni Battista
Montini”.
Nel documento il Papa denuncia, “le forme eccessive di protezione della
conoscenza da parte dei Paesi ricchi, mediante un utilizzo troppo rigido
del diritto di proprietà intellettuale, specialmente nel campo
sanitario”. Quali ripercussioni avrà a suo avviso questo atto di accusa?
“Direi che i
richiami della Chiesa in questo campo sono frequenti e numerosi.
Certamente alla luce del nuovo documento papale, la comunità ecclesiale
avrà un nuovo stimolo a denunciare le diseguaglianze e le distorsioni
tuttora esistenti tra ricchi e poveri nel pianeta. Quello che avviene in
campo sanitario, è eclatante. Alludo ad esempio alla questione dei
brevetti in campo farmaceutico. Penso però che possano essere trovate
soluzioni eque che possano servire a lenire le sofferenze di molti,
senza incidere negativamente sugli investimenti nella ricerca a cui le
aziende sono comunque tenute se vogliono progredire sul mercato.
Immagino che ci saranno reazioni sia positive che negative. È
auspicabile che si trovino soluzioni valide perché molta parte
dell’umanità sia preservata dalla sofferenza”.
Condivide la visione positiva, d’incoraggiamento dell’enciclica nei
confronti dell’attuale congiuntura economica internazionale
particolarmente difficile?
“La dottrina
cattolica è impostata sull’ottimismo e sulla fiducia in Dio. Auspichiamo
tutti che questa fase di grande stravolgimento economico e finanziario
che ha colpito tutto il mondo possa essere presto superata. Occorrerà
fare in modo che certi episodi ed eventi non abbiano più a ripetersi. A
tale fine è necessario che certi principi di etica tornino ad essere
conosciuti e rispettati. Quello che è accaduto quest’anno in campo
finanziario era stato preventivato dalla nostra fondazione. Avevamo
infatti preconizzato nel nostro convegno annuale svoltosi nel 2000 il
rischio legato ai derivati, che allora emergevano. La voce dei cattolici
è spesso poco ascoltata. In questo caso, le conseguenze negative che ne
sono discese sono oggi note a tutti. l’unica cosa è seminare, seminare,
seminare. Speriamo che quanto prima i frutti si affaccino”.
Il
concetto di sviluppo umano integrale assume in questa terza enciclica
uno spessore tutto particolare. Perché?
“A questo tendeva
l’insegnamento di Paolo VI allorquando scrisse la ‘Populorum progressio’.
Voleva intendere che con l’amore di Dio è possibile sperare in uno
sviluppo di ogni uomo, passando da condizioni peggiori a quelle più
umane. Oggi questo principio assume una valenza diversa, rispetto
all’anno in cui uscì, il 1967. Va comunque sempre perseguito nonostante
il sorgere di problemi nuovi o di posizioni diverse rispetto a
quarant’anni fa. Pensiamo, ad esempio, ai fenomeni migratori o allo
sfruttamento delle risorse. L’enciclica, rispetto a questi grandi nodi,
non offre soluzioni chiavi in mano, ma richiama solo a principi che sono
alla base dello sviluppo umano”.
Il
modello economico occidentale deve essere ripensato è il messaggio
centrale di questo documento. Sarà ascoltato?
“Personalmente
sono ottimista di natura. Certo, il cristiano non deve mai venire meno
al suo compito primario di pregare perché il Signore illumini tutti
coloro che sono chiamati a dirigere le nazioni. Ma non solo loro. Anche
tutti quelli a livello più basso, come comunità locali, che determinano
le più semplici attività. Ritengo che sia essenziale fare un richiamo,
meglio, un invito preciso ai cattolici di tutto il mondo: pregare perché
il messaggio del Santo Padre sia letto, compreso e assimilato. Come
cercheremo di fare noi in quanto membri della fondazione voluta da
Giovanni Paolo II per la diffusione della dottrina sociale della
Chiesa”.
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