Il Sinodo per il Medio Oriente           
 

nelle parole di
Mons. Edmond Farhat
 


Rita Salerno (a cura di)


 

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English version

La Chiesa è cattolica perché universale, perché riunisce la diversità nella polifonia dell’unica fede: è quanto, in sintesi, ha detto Benedetto XVI nel tradizionale pranzo in Vaticano al termine dei lavori sinodali. Il patriarca dei Siri, Ignace Youssif III Younan, presidente delegato del Sinodo, ha affermato che adesso i rappresentanti delle Chiese Orientali torneranno nelle loro terre per proclamare senza timori il Vangelo nella carità e nella verità. Il Papa ha detto che il dono più bello del Sinodo è la comunione nella diversità delle Chiese d’Oriente, una comunione che diventa testimonianza: “Abbiamo visto la ricchezza, la diversità di questa comunione. Siete Chiese di riti antichi e diversi, che tuttavia formano, insieme con tutti gli altri riti, l’unica Chiesa Cattolica. E’ bello vedere questa vera cattolicità, che è così ricca di diversità, così ricca di possibilità, di culture diverse; e tuttavia proprio così cresce la polifonia di un’unica fede, della vera comunione dei cuori che solo il Signore può dare”.“La comunione cattolica – ha aggiunto - è una comunione aperta, dialogale”, tesa costantemente all’incontro con i fratelli ortodossi e con le altre confessioni cristiane, nella consapevolezza che “in Cristo siamo uniti, anche se ci sono divisioni esteriori”.

Questo perché la verità non pone confini ma è sempre aperta: “Perciò eravamo anche in dialogo franco e aperto con i fratelli musulmani, con i fratelli ebrei, tutti insieme responsabili per il dono della pace, per la pace proprio in questa parte della terra benedetta dal Signore, culla del cristianesimo e anche delle due altre religioni. Vogliamo continuare in questo cammino con forza, tenerezza e umiltà, e con il coraggio della verità che è amore e che nell’amore si apre”.

Monsignor Edmond Farhat, arcivescovo titolare di Biblo, è nato in Libano, ha lavorato presso la Segreteria del Sinodo e presso diverse nunziature, tra cui l’Algeria, la Tunisia, la Libia, la Slovenia e Macedonia, la Turchia, il Turkmenistan e  Vienna in Austria. Ha terminato il suo servizio diplomatico e ora risiede a Roma, ma si reca spesso in Libano. A Lui abbiamo rivolto alcune domande a conclusione dei lavori sinodali.

 

Il suo personale bilancio dell’assise sinodale che si è appena conclusa?

“Penso che il miglior bilancio sono le parole del Santo Padre Benedetto XVI durante la celebrazione eucaristica per la conclusione dell’Assemblea Speciale del Sinodo dei Vescovi per il Medio Oriente. Per esprimere la soddisfazione e la gratitudine degli Orientali per la convocazione, la celebrazione e la conclusione dei lavori di questa assemblea veramente speciale oso utilizzare le parole del Santo Padre che ha detto lo scorso 24 ottobre: “Potremmo essere tentati, come il fariseo (venuto al tempio per pregare), di ricordare a Dio i nostri meriti, magari pensando all’impegno di queste giornate.  Ma, per salire al Cielo, la preghiera deve partire dal cuore umile, povero. E quindi anche noi al termine di questo evento ecclesiale, vogliamo anzitutto rendere grazie a Dio, non per i nostri meriti, ma per il dono che Lui ci ha fatto. Ci riconosciamo piccoli e bisognosi di salvezza, di misericordia, riconosciamo che tutto viene da Lui e solo con la sua Grazia si realizzerà quanto lo Spirito Santo ci ha detto.  Solo cosi potremo tornare a casa veramente arricchiti, resi più giusti e più capaci di camminare nelle vie del Signore”.

In queste parole c’è tutto il Sinodo realizzato e da realizzare. Infatti, l’Assemblea Speciale del Sinodo dei Vescovi per il Medio Oriente è stata una riunione di gerarchia, cioè di vescovi e responsabili ecclesiastici con alcuni specialisti. Come tale è stata un successo e un avvenimento. Non solo i Vescovi del Medio Oriente si sono incontrati insieme, e per diversi giorni ,per parlare delle loro sollecitudini, c’è stato anche uno scambio informale e quotidiano tra di loro e i loro collaboratori, sacerdoti, religiosi, religiose e laici, ciò che non succede mai nei loro posti di lavoro.  In meno di due settimane si è fatto un lavoro quantitativamente e qualitativamente apprezzabile. Per la prima volta nella storia si sono riuniti ed incontrati per mettere in comune le loro speranze e le loro angosce e ansie tutti i vescovi di tutti i riti e di tutte le tradizioni della Chiesa Cattolica. Per la prima volta la lingua araba, considerata la lingua dell’Islam, è stata usata ufficialmente per parlare del Vangelo e di Gesù Cristo vero Dio e vero uomo, sotto la cupola di San Pietro e sotto l’autorità del suo successore. Per la prima volta la Chiesa di Roma ha pregato secondo tutti i riti, ogni giorno secondo un rito diverso. Per la prima volta, la lingua ebraica è stata utilizzata come una lingua viva per chiedere al Signore che “conceda che tutti gli uomini di buona volontà accolgano la luce di Cristo, Sole di giustizia, Orientale Lumen”.

Alla fine dei lavori il Segretario Generale del Sinodo ha comunicato che hanno partecipato ai lavori 173 Padri sinodali su 185 aventi diritto.  Si sono tenute 14 congregazioni generali e 6 riunioni di circoli linguistici. Sono state offerte dieci meditazioni. Centoventicinque Padri hanno parlato in Aula e 5 hanno consegnato i loro testi per iscritto. Sono intervenuti 12 Delegati Fraterni e sono state svolte 12 relazioni. Inoltre per 6 volte sono state aperte delle discussioni libere di tre minuti e hanno parlato più di cento oratori, tra padri sinodali e invitati. All’inizio di ogni congregazione generale durante la recita delle lodi, ogni giorno in un rito diverso, c’era una breve omelia. Rimane viva nei cuori, profonda nel contenuto e commovente nelle espressioni, la meditazione del Santo Padre Benedetto XVI.

 Il Papa ha detto, tra l’altro: “Anche oggi il Signore deve nascere con la caduta degli dei, con il dolore e il martirio dei testimoni, contro la divinità di oggi: capitali anonimi che schiavizzano gli uomini, violenza perpetuata in nome di Dio, ideologie, droga, nuovi modelli di vita”. “E’ la fede, soprattutto quella dei semplici, ha concluso il Papa, il vero fondamento e la vera saggezza, oltre che la vera forza della Chiesa” (11 Ottobre 2010). Queste parole del Successore di Pietro davano il tono e l’indirizzo dei lavori di due settimane che hanno prodotto un “Messaggio” al Popolo di Dio e un testo di 45 proposizioni, formulate ed elaborate per essere presentate al giudizio e decisione del Sommo Pontefice.  Con un gesto di grande lungimiranza il Papa ha autorizzato poi la pubblicazione del testo delle proposizioni, generalmente riservate alla discrezione del Pontefice.  Si aspetta anche che, a tempo debito il Papa rivolga alla Chiesa intera una “Esortazione apostolica” per rafforzare la comunione e rendere più viva la testimonianza cristiana perché “il mondo  orientale sappia aprirsi ai valori dell’Occidente, e tutti insieme collaborino per la costruzione della reciproca conoscenza e tolleranza (Messa di apertura, preghiera dei fedeli in ebraico).

Anche se convocata per il Medio Oriente l’Assemblea Speciale sulla Comunione e Testimonianza avrà una larga risonanza nel pensiero moderno e nell’agire cattolico. Argomenti come la fede, la testimonianza, il dialogo, l’emigrazione, il diritto alla propria identità, la libertà delle persone e il loro diritto di parlare, di scegliere, di emigrare e di credere, sono argomenti che interpellano ogni persona umana, credente che sia o non credente”.

 

“Mai rassegnarsi alla mancanza della pace. La pace è possibile. La pace è urgente”. È il vibrante appello lanciato da Benedetto XVI, nel corso della messa conclusiva del sinodo speciale per il Medio Oriente, celebrata nella Basilica Vaticana, alla presenza dei padri sinodali. La pace, a Suo avviso, è un obiettivo possibile?

“Per questo dico che è provvidenziale che abbia autorizzato la pubblicazione delle proposizioni. Tra il vigore del discorso del Papa e la delicatezza, per non dire la timidezza, del linguaggio dei padri sinodali c’è una grande differenza, non solo di stile.  Parlare con vigore e con chiarezza non significa essere violento o polemico. Nessuno può affermare di non aver a cuore la pace, diceva Giovanni Paolo II. La pace è come la tunica non cucita di Gesù. Interessa tutti e copre tutti. La parte che viene ferita duole in tutto il corpo. Della ferita a Gerusalemme non ne soffrono solo Arabi e Israeliani, ma è il cuore del mondo che sanguina.  E’ il problema dell’umanità, la responsabilità di tutti. Che cosa abbiamo fatto perché sia pace su Gerusalemme.  Abbiamo venerato Dio, con la bocca “pace, pace”, ma non abbiamo impegnato tutte le nostre energie perché “sia pace su di te, Gerusalemme”.

 

Nel suo intervento al sinodo ha parlato diffusamente delle drammatiche condizioni in cui versano i cristiani mediorientali. In una sessione pomeridiana, ha descritto la situazione del Medio Oriente “come un organo vivente che ha subito un trapianto che non riesce ad assimilare e che non ha avuto specialisti che la curassero” e che “il Medio Oriente musulmano nella sua schiacciante maggioranza è in crisi. Ci spiega il significato di queste affermazioni?

“Il mondo musulmano è in crisi perché anche i suoi fedeli si sentono interpellati dalla scienza e dalla ragione, dalla politica e dalla democrazia, dalla tradizione e dalla fedeltà ai valori.  Hanno molto da offrire e molto da chiarire. Per poter separare il grano dalla zizzania, ci vuole pace e serenità. Tutti sanno, ma pochi valutano il peso, l’impatto della guerra e lo stato d’odio e di frustrazione che ha provocato, in Medio Oriente, prima e nel mondo musulmano oggi, lo stato di violenza in Palestina. Settanta anni di guerra tra Arabi ed Israeliani non hanno prodotto niente di positivo. Invece di far riflettere e pensare all’unica alternativa che è la pace, hanno aumentato l’odio e allontanato le speranze. Il gesto coraggioso e “nazionalista” di Rabin e di Arafat a Oslo nel 1989, sembrava aprire un raggio di sole, promuovere un’aurora di pace e di serenità.  Non ha avuto seguito.  E’ mancato il coraggio di saltare con i due piedi sulla riva della pace.  Sadat d’Egitto e Rabin d’Israele sembravano due profeti che portavano i loro popoli verso la vera terra promessa, la terra della pace.  Non hanno avuto successo. Perciò ritengo sia mancato lo specialista che faccia crescere l’olivo nuovo sul tronco vecchio.  L’accordo di Oslo ha suscitato tante speranze, quanto la morte di Rabin ha lasciato delusioni. E’ mancato il coraggio di andar avanti. Lo specialista è arrivato troppo tardi alla fine del suo mandato. Se Clinton avesse tentato sei mesi prima della fine del suo mandato lo sforzo che ha mostrato negli ultimi giorni della sua presidenza degli Stati Uniti, la situazione sarebbe cambiata. Avrebbe “imposto” la pace.  Non avremmo visto violenze, occupazioni, terrorismo, minacce, vite offerte per il paradiso o per il fuoco. Gli animi si allontanano, si temono, si odiano.

Le grandi potenze hanno il potere, sono gli specialisti, hanno il potere di “imporre” una pace giusta.  Non lo fanno.  Perciò dico che mancano gli specialisti.  La Chiesa è credibile, ma non ha potere politico. Ci vuole una autorità che dica basta. La guerra è morta. Non produce niente. Cercate la pace. Papa Giovanni Paolo II diceva che nessuno può dire che non può fare niente per la pace. Quando una parte del corpo è malata, meglio tagliarla per salvare l’insieme del corpo. In Medio Oriente regna la paura. Gli Israeliani e gli Arabi sono semiti. Ma di cultura diversa. Le due culture si completano; possono incontrarsi e produrre una nuova civiltà, una civiltà di fede e di modernità, di democrazia e di ragione, di progresso tecnico e di sviluppo umano. La nostra società oggi, anche in Occidente, ha grandemente bisogno di riconciliare la tecnica e la scienza con il sentimento e la ragione. Gli Orientali potrebbero iniziare questo processo. Il mondo ha bisogno del genio ebreo e della carica sentimentale degli Arabi.

La pace tra Palestinesi e Israeliani, tra Arabi e Europei, è una grande chance “civilizzazionale” che bussa alla porta dell’intelligenza moderna e non riesce ancora ad entrare. Perciò c’è la frustrazione, che è la matrice di tutti i mali.  Non si è trovato lo specialista per aiutare le parti a mettersi insieme, a comunicare  per smettere di aver paura l’uno dall’altro”.

 

Ha citato anche i tanti troppi uomini e donne consacrati che hanno perso la vita per testimoniare Cristo in questa area calda del pianeta, come monsignor Luigi Padovese. Come lo ricorda?  Non è stato vano il suo sacrificio?

“Ricordando Monsignor Padovese, che ho conosciuto, rispettato ed apprezzato come maestro di spiritualità e professore di storia sacra, non posso non pensare, ai religiosi e religiose di altri paesi, ai monaci di Algeri e soprattutto a Monsignor Claverie, vescovo di Orano, uccisi senza motivo, uccisi perché consacrati al servizio del prossimo, senza condizione.  Clavarie era un grande conoscitore dell’Islam. Rispettava tanto i musulmani e parlava cosi liberamente di religione.  Padovese era un conoscitore della spiritualità cristiana. Amava la Chiesa primitiva e venerava i luoghi delle chiese antiche. L’umiltà dello scienziato e l’apertura dell’animo univa spiritualmente e misticamente questi due personaggi.  Nello stesso tempo li rendevano forse sospetti. Non era possibile che fossero cosi disponibili senza “une arrière pensée”.  La gratuità non è sempre percepita come tale.  Il loro sacrificio non è stato ricercato, ma provocato dalla superiorità del loro dono. Parlando di Padovese qualcuno ha citato la parabola del grano che muore. Ritengo che questo pensiero si applichi ad ogni operatore di pace e  giustizia, anche se l’Assemblea Speciale ha prestato poca attenzione a questi testimoni che si sono consumati perché  il buon grano cresca e porti molti frutti”.

 

Come continuare la missione dopo queste violenze? E cosa possono fare religiosi e religiose per sostenere la causa della pace e della concordia?

“Umanamente parlando e tenendo conto della mentalità moderna, la missione oggi non avrebbe senso. Il testo del Messaggio trasuda una specie di introspezione esagerata della comunione come sentimento “inter nos”, inter cattolico. Questo mi pare un regresso di fronte alla missione della Chiesa e al suo insegnamento ufficiale compreso quello del Vaticano II.

San Paolo raccomanda di annunciare la parola “opportune et inopportune” (2 Tm 4,2).  La parola di Dio è via, verità e vita.  L’annuncio è un mandato che la Chiesa ha ricevuto dal suo fondatore.  Se verranno tempi in cui gli uomini, come nel nostro tempo, non sopporteranno più la sana dottrina, si deve essere prudente, ma non è detto che si deve smettere di fare “opera di evangelista e di adempiere la sua missione”.  E’ sempre S. Paolo che parla (cf. 2Tm 6-7). Le violenze e le persecuzioni hanno sempre accompagnato l’annuncio del Vangelo come la notte e l’oscurità accompagnano la luce e il giorno.  Lo scopo della missione non è di forzare a cambiare credenze, ma di dare speranza e di resistere alla rassegnazione. Continuare a lavorare in ambienti non favorevoli o ostili o anche di violenza, è un grande atto di fiducia che la pace è possibile e che la guerra è morta, come scrisse un generale francese. L’Europa che ha ormai una esperienza adulta e consolidata della pace e della civiltà democratica dovrebbe impegnarsi di più perché “sia pace in Israele”. La Chiesa che ha ricevuto la pace di Cristo, non quella che dà il mondo, si sente interpellata in prima persona ad essere “segno di contraddizione” nei luoghi di conflitto e di incomprensione, per affermare che un’altra via è possibile”.

 

Quali sono le sfide che attendono la Chiesa Cattolica nel Medio Oriente?

“La grande sfida è la pace. Tutto il resto ha ricadute positive o negative. Il Libano che era un paese felice e spensierato si è svegliato un giorno di aprile 1975, terreno di guerre e di violenze.  Per più di vent’anni nessuno capiva chi combatteva chi e perché. Ora vi si vive una pace instabile, ma nessuno vuol mettere in pericolo la pace civile. Questo è anche il frutto della missione della Chiesa e del lavoro dei suoi uomini, anche laici. La recente decisione che la festa dell’Annunciazione di Maria sia dichiarata festa nazionale per i Cristiani e per i musulmani, è il risultato di una collaborazione e di una riflessione religiosa comune tra cristiani e musulmani. E’ un punto fermo che avrà grande risonanza nel corso delle ricerche e delle relazioni comuni tra le due religioni.

Scrivo queste righe nella festa dei Santi Simone e Giuda. La colletta ci fa chiedere al Signore di concedere alla sua Chiesa “di crescere continuamente con l’adesione di nuovi popoli al Vangelo”.

Come può crescere la Chiesa se si condanna ogni forma di proselitismo? Come si spiega “andate, predicate e battezzate tutte le nazioni nel nome del Padre del Figlio e dello Spirito Santo?” Questa dimensione sembrava assente dalla mente dei Padri dell’Assemblea Speciale.  In una specie di grande sensibilità verso gli altri è stata condannata ogni forma di proselitismo, senza distinzione. Si ha il diritto a questo punto di chiedersi che cosa significa la missione della Chiesa di annunciare il Vangelo a tutte le Nazioni. Come interpretare l’insegnamento del Concilio? Che cosa è diventata la Carta delle Missioni, firmata da Paolo VI con i suoi accompagnatori nell’isola Pago Pago (Samoa), durante il suo viaggio apostolico nel Pacifico nel 1970?

Un’altra osservazione! L’Assemblea Speciale per il Medio Oriente è stata una assemblea di gerarchi, vescovi e responsabili, che erano lieti di incontrarsi, e di parlare insieme dei loro problemi comuni. Questo è un fatto, un avvenimento innegabilmente positivo.  Ma nei discorsi è emersa poco la preoccupazione del popolo di Dio e della folla che ha sete della parola di Dio. Si è parlato molto di “chiese particolari”, di chiese “sui iuris”. Si sono rivendicati alcuni diritti. Ma tutto sul piano giuridico. Poco si è detto della compenetrazione culturale e spirituale delle varie culture e dei due polmoni della Chiesa una e universale.  Invece di “chiese particolari” avrei parlato dei “Riti” come artieri che funzionano in tutto il corpo, che portino sangue e aria nuovi a tutto l’organismo.  Sembra che gli Orientali preferiscano che siano piuttosto “muscoli” forti e distinti. Sono due modi di guardare la diversità dei doni e dei carismi nello stesso organismo che è il corpo mistico di Cristo. 

Si aspettava una maggiore attenzione alla presenza spirituale e reale di Gesù Cristo come punto di riferimento e di arrivo, alpha e omega, nella mente e nelle discussioni dei Padri, come nei testi dei lavori.  Si è parlato di Abramo e dei Profeti, ma non si è detto che Gesù è la causa della nostra Speranza e della nostra angoscia, che è anche “scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani” (1Co 1,23).

Il teologo protestante Oscar Culmann presentava la storia come due piramidi rovesciate. L’una parte da una base larga e termina con il punto che è Gesù Cristo. L’altra parte dal punto centrale, che è Gesù Cristo, e si sviluppa attraverso la storia per abbracciare tutti i popoli. Durante l’Assemblea Speciale si è parlato molto di liturgia, di collaborazione e di catechesi, e anche di preghiera, poco però di Gesù Cristo e di che cosa dice la gente del Medio Oriente che sia.

Il tema dell’assemblea per il Medio Oriente era “Comunione e Testimonianza”.  La comunione è l’unione profonda con il ceppo che è Gesù Cristo.  La testimonianza è la tensione verso l’altro. Forse si è parlato molto della Chiesa ma poco del suo Fondatore e del suo comando di annunciare “quello che avete sentito e creduto”.  La testimonianza può aver diverse forme. La più adeguata oggi è il dialogo.  Il dialogo deve cercare la Verità, almeno secondo l’insegnamento di “Ecclesiam Suam” di Paolo VI.

I problemi maggiori, come la pace, l’emigrazione, la convivialità e la libertà sono stati trattati, ma non sono stati presentati molti progetti concreti per “imporre” la pace, frenare l’emigrazione e rafforzare la testimonianza soprattutto di quelli che sono esposti al sacrificio del martirio.  Molte questioni vitali, come la sicurezza, il diritto al lavoro e la libertà avrebbero ancora bisogno di qualche visione profetica.

Piena di pietà, invasa di spirito pacifico, forse l’Assemblea Speciale per il Medio Oriente ha mancato di qualche slancio profetico, di qualche “follia” per il regno. Sarebbe stato meglio tagliare un dito o rinunciare ad un privilegio per coordinare l’azione apostolica in un mondo che ha bisogno della missione cristiana ed assicurare il suo avvenire.  Si è parlato di giurisdizione e di diritto. Si è parlato troppo di “chiese”, confondendo spesso rito con chiesa. Nella Chiesa di Cristo ci sono arabi, greci, ebrei, transgiordani e romani.  Parlano diverse lingue; seguono diversi riti ma riconoscono un solo Signore e un solo Salvatore che ha affidato la guida della sua Chiesa a Pietro e ai suoi successori.  E’ lui la fonte della comunione e la causa della testimonianza in oggi tempo ed ogni cultura.

 

Auguro infine che nella priorità della ricerca dell’“unum necessarium”, nella “polifonia dell’unità” si arrivi a fondare in Oriente, in Libano nella valle della Qadisha per esempio, un monastero “unigiurisdizionale” e “polifonico rituale”, che canti giorno a notte e celebri ogni mattina l’eucaristia in una delle sette lingue usate durante l’assemblea speciale. La moltitudine delle lingue celebrano con un solo cuore e una sola anima. L’assemblea del Sinodo dei vescovi per il Medio Oriente è anche della Chiesa universale che ha diritto di ricevere questo dono che l’Oriente può fare”.

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