|
|
|
|
English version
La Chiesa è cattolica
perché universale, perché riunisce la diversità nella polifonia
dell’unica fede: è quanto, in sintesi, ha detto Benedetto XVI nel
tradizionale pranzo in Vaticano al termine dei lavori sinodali. Il
patriarca dei Siri, Ignace Youssif III Younan, presidente delegato del
Sinodo, ha affermato che adesso i rappresentanti delle Chiese Orientali
torneranno nelle loro terre per proclamare senza timori il Vangelo nella
carità e nella verità. Il Papa ha detto che il dono più bello del Sinodo
è la comunione nella diversità delle Chiese d’Oriente, una comunione che
diventa testimonianza: “Abbiamo visto la ricchezza, la diversità di
questa comunione. Siete Chiese di riti antichi e diversi, che tuttavia
formano, insieme con tutti gli altri riti, l’unica Chiesa Cattolica. E’
bello vedere questa vera cattolicità, che è così ricca di diversità,
così ricca di possibilità, di culture diverse; e tuttavia proprio così
cresce la polifonia di un’unica fede, della vera comunione dei cuori che
solo il Signore può dare”.“La comunione cattolica – ha aggiunto - è una
comunione aperta, dialogale”, tesa costantemente all’incontro con i
fratelli ortodossi e con le altre confessioni cristiane, nella
consapevolezza che “in Cristo siamo uniti, anche se ci sono divisioni
esteriori”.
Questo perché la verità non pone confini ma è sempre aperta: “Perciò
eravamo anche in dialogo franco e aperto con i fratelli musulmani, con i
fratelli ebrei, tutti insieme responsabili per il dono della pace, per
la pace proprio in questa parte della terra benedetta dal Signore, culla
del cristianesimo e anche delle due altre religioni. Vogliamo continuare
in questo cammino con forza, tenerezza e umiltà, e con il coraggio della
verità che è amore e che nell’amore si apre”.
Monsignor Edmond
Farhat, arcivescovo titolare di Biblo, è nato in Libano, ha lavorato
presso la Segreteria del Sinodo e presso diverse nunziature, tra cui l’Algeria,
la Tunisia, la Libia, la Slovenia
e Macedonia, la Turchia, il Turkmenistan e Vienna in Austria.
Ha terminato il suo servizio diplomatico e ora risiede a Roma, ma si
reca spesso in Libano. A Lui abbiamo rivolto alcune domande a
conclusione dei lavori sinodali.
Il suo
personale bilancio dell’assise sinodale che si è appena conclusa?
“Penso che il miglior bilancio sono le parole del Santo
Padre Benedetto XVI durante la celebrazione eucaristica per la
conclusione dell’Assemblea Speciale del Sinodo dei Vescovi per il Medio
Oriente. Per esprimere la soddisfazione e la gratitudine degli Orientali
per la convocazione, la celebrazione e la conclusione dei lavori di
questa assemblea veramente speciale oso utilizzare le parole del Santo
Padre che ha detto lo scorso 24 ottobre: “Potremmo essere tentati, come
il fariseo (venuto al tempio per pregare), di ricordare a Dio i nostri
meriti, magari pensando all’impegno di queste giornate. Ma, per salire
al Cielo, la preghiera deve partire dal cuore umile, povero. E quindi
anche noi al termine di questo evento ecclesiale, vogliamo anzitutto
rendere grazie a Dio, non per i nostri meriti, ma per il dono che Lui ci
ha fatto. Ci riconosciamo piccoli e bisognosi di salvezza, di
misericordia, riconosciamo che tutto viene da Lui e solo con la sua
Grazia si realizzerà quanto lo Spirito Santo ci ha detto. Solo cosi
potremo tornare a casa veramente arricchiti, resi più giusti e più
capaci di camminare nelle vie del Signore”.
In queste parole c’è tutto il Sinodo realizzato e da
realizzare. Infatti, l’Assemblea Speciale del Sinodo dei Vescovi per il
Medio Oriente è stata una riunione di gerarchia, cioè di vescovi e
responsabili ecclesiastici con alcuni specialisti. Come tale è stata un
successo e un avvenimento. Non solo i Vescovi del Medio Oriente si sono
incontrati insieme, e per diversi giorni ,per parlare delle loro
sollecitudini, c’è stato anche uno scambio informale e quotidiano tra di
loro e i loro collaboratori, sacerdoti, religiosi, religiose e laici,
ciò che non succede mai nei loro posti di lavoro. In meno di due
settimane si è fatto un lavoro quantitativamente e qualitativamente
apprezzabile. Per la prima volta nella storia si sono riuniti ed
incontrati per mettere in comune le loro speranze e le loro angosce e
ansie tutti i vescovi di tutti i riti e di tutte le tradizioni della
Chiesa Cattolica. Per la prima volta la lingua araba, considerata la
lingua dell’Islam, è stata usata ufficialmente per parlare del Vangelo e
di Gesù Cristo vero Dio e vero uomo, sotto la cupola di San Pietro e
sotto l’autorità del suo successore. Per la prima volta
la Chiesa di Roma ha
pregato secondo tutti i riti, ogni giorno secondo un rito diverso. Per
la prima volta, la lingua ebraica è stata utilizzata come una lingua
viva per chiedere al Signore che “conceda che tutti gli uomini di buona
volontà accolgano la luce di Cristo, Sole di giustizia, Orientale
Lumen”.
Alla fine dei lavori il Segretario Generale del Sinodo ha
comunicato che hanno partecipato ai lavori 173 Padri sinodali su 185
aventi diritto. Si sono tenute 14 congregazioni generali e 6 riunioni
di circoli linguistici. Sono state offerte dieci meditazioni.
Centoventicinque Padri hanno parlato in Aula e 5 hanno consegnato i loro
testi per iscritto. Sono intervenuti 12 Delegati Fraterni e sono state
svolte 12 relazioni. Inoltre per 6 volte sono state aperte delle
discussioni libere di tre minuti e hanno parlato più di cento oratori,
tra padri sinodali e invitati. All’inizio di ogni congregazione generale
durante la recita delle lodi, ogni giorno in un rito diverso, c’era una
breve omelia. Rimane viva nei cuori, profonda nel contenuto e commovente
nelle espressioni, la meditazione del Santo Padre Benedetto XVI.
Il Papa ha detto, tra l’altro: “Anche oggi il Signore deve
nascere con la caduta degli dei, con il dolore e il martirio dei
testimoni, contro la divinità di oggi: capitali anonimi che schiavizzano
gli uomini, violenza perpetuata in nome di Dio, ideologie, droga, nuovi
modelli di vita”. “E’ la fede, soprattutto quella dei semplici, ha
concluso il Papa, il vero fondamento e la vera saggezza, oltre che la
vera forza della Chiesa” (11 Ottobre 2010). Queste parole del Successore
di Pietro davano il tono e l’indirizzo dei lavori di due settimane che
hanno prodotto un “Messaggio” al Popolo di Dio e un testo di 45
proposizioni, formulate ed elaborate per essere presentate al giudizio e
decisione del Sommo Pontefice. Con un gesto di grande lungimiranza il
Papa ha autorizzato poi la pubblicazione del testo delle proposizioni,
generalmente riservate alla discrezione del Pontefice. Si aspetta anche
che, a tempo debito il Papa rivolga alla Chiesa intera una “Esortazione
apostolica” per rafforzare la comunione e rendere più viva la
testimonianza cristiana perché “il mondo orientale sappia aprirsi ai
valori dell’Occidente, e tutti insieme collaborino per la costruzione
della reciproca conoscenza e tolleranza (Messa di apertura, preghiera
dei fedeli in ebraico).
Anche se convocata per il Medio Oriente l’Assemblea
Speciale sulla Comunione e Testimonianza avrà una larga risonanza nel
pensiero moderno e nell’agire cattolico. Argomenti come la fede, la
testimonianza, il dialogo, l’emigrazione, il diritto alla propria
identità, la libertà delle persone e il loro diritto di parlare, di
scegliere, di emigrare e di credere, sono argomenti che interpellano
ogni persona umana, credente che sia o non credente”.
“Mai rassegnarsi alla mancanza della pace. La pace è possibile. La pace
è urgente”. È il vibrante appello lanciato da Benedetto XVI, nel corso
della messa conclusiva del sinodo speciale per il Medio Oriente,
celebrata nella Basilica Vaticana, alla presenza dei padri sinodali. La
pace, a Suo avviso, è un obiettivo possibile?
“Per questo dico
che è provvidenziale che abbia autorizzato la pubblicazione delle
proposizioni. Tra il vigore del discorso del Papa e la delicatezza, per
non dire la timidezza, del linguaggio dei padri sinodali c’è una grande
differenza, non solo di stile. Parlare con vigore e con chiarezza non
significa essere violento o polemico. Nessuno può affermare di non aver
a cuore la pace, diceva Giovanni Paolo II. La pace è come la tunica non
cucita di Gesù. Interessa tutti e copre tutti. La parte che viene ferita
duole in tutto il corpo. Della ferita a Gerusalemme non ne soffrono solo
Arabi e Israeliani, ma è il cuore del mondo che sanguina. E’ il
problema dell’umanità, la responsabilità di tutti. Che cosa abbiamo
fatto perché sia pace su Gerusalemme. Abbiamo venerato Dio, con la
bocca “pace, pace”, ma non abbiamo impegnato tutte le nostre energie
perché “sia pace su di te, Gerusalemme”.
Nel suo intervento al sinodo ha parlato diffusamente delle drammatiche
condizioni in cui versano i cristiani mediorientali. In una sessione
pomeridiana, ha descritto la situazione del Medio Oriente “come un
organo vivente che ha subito un trapianto che non riesce ad assimilare e
che non ha avuto specialisti che la curassero” e che “il Medio Oriente
musulmano nella sua schiacciante maggioranza è in crisi. Ci spiega il
significato di queste affermazioni?
“Il mondo
musulmano è in crisi perché anche i suoi fedeli si sentono interpellati
dalla scienza e dalla ragione, dalla politica e dalla democrazia, dalla
tradizione e dalla fedeltà ai valori. Hanno molto da offrire e molto da
chiarire. Per poter separare il grano dalla zizzania, ci vuole pace e
serenità. Tutti sanno, ma pochi valutano il peso, l’impatto della guerra
e lo stato d’odio e di frustrazione che ha provocato, in Medio Oriente,
prima e nel mondo musulmano oggi, lo stato di violenza in Palestina.
Settanta anni di guerra tra Arabi ed Israeliani non hanno prodotto
niente di positivo. Invece di far riflettere e pensare all’unica
alternativa che è la pace, hanno aumentato l’odio e allontanato le
speranze. Il gesto coraggioso e “nazionalista” di Rabin e di Arafat a
Oslo nel 1989, sembrava aprire un raggio di sole, promuovere un’aurora
di pace e di serenità. Non ha avuto seguito. E’ mancato il coraggio di
saltare con i due piedi sulla riva della pace. Sadat d’Egitto e Rabin
d’Israele sembravano due profeti che portavano i loro popoli verso la
vera terra promessa, la terra della pace. Non hanno avuto successo.
Perciò ritengo sia mancato lo specialista che faccia crescere l’olivo
nuovo sul tronco vecchio. L’accordo di Oslo ha suscitato tante
speranze, quanto la morte di Rabin ha lasciato delusioni. E’ mancato il
coraggio di andar avanti. Lo specialista è arrivato troppo tardi alla
fine del suo mandato. Se Clinton avesse tentato sei mesi prima della
fine del suo mandato lo sforzo che ha mostrato negli ultimi giorni della
sua presidenza degli Stati Uniti, la situazione sarebbe cambiata.
Avrebbe “imposto” la pace. Non avremmo visto violenze, occupazioni,
terrorismo, minacce, vite offerte per il paradiso o per il fuoco. Gli
animi si allontanano, si temono, si odiano.
Le grandi potenze
hanno il potere, sono gli specialisti, hanno il potere di “imporre” una
pace giusta. Non lo fanno. Perciò dico che mancano gli specialisti.
La Chiesa è credibile, ma non ha potere politico. Ci vuole una autorità
che dica basta. La guerra è morta. Non produce niente. Cercate la pace.
Papa Giovanni Paolo II diceva che nessuno può dire che non può fare
niente per la pace. Quando una parte del corpo è malata, meglio
tagliarla per salvare l’insieme del corpo. In Medio Oriente regna la
paura. Gli Israeliani e gli Arabi sono semiti. Ma di cultura diversa. Le
due culture si completano; possono incontrarsi e produrre una nuova
civiltà, una civiltà di fede e di modernità, di democrazia e di ragione,
di progresso tecnico e di sviluppo umano. La nostra società oggi, anche
in Occidente, ha grandemente bisogno di riconciliare la tecnica e la
scienza con il sentimento e la ragione. Gli Orientali potrebbero
iniziare questo processo. Il mondo ha bisogno del genio ebreo e della
carica sentimentale degli Arabi.
La pace tra
Palestinesi e Israeliani, tra Arabi e Europei, è una grande chance
“civilizzazionale” che bussa alla porta dell’intelligenza moderna e non
riesce ancora ad entrare. Perciò c’è la frustrazione, che è la matrice
di tutti i mali. Non si è trovato lo specialista per aiutare le parti a
mettersi insieme, a comunicare per smettere di aver paura l’uno
dall’altro”.
Ha
citato anche i tanti troppi uomini e donne consacrati che hanno perso la
vita per testimoniare Cristo in questa area calda del pianeta, come
monsignor Luigi Padovese. Come lo ricorda? Non è stato vano il suo
sacrificio?
“Ricordando
Monsignor Padovese, che ho conosciuto, rispettato ed apprezzato come
maestro di spiritualità e professore di storia sacra, non posso non
pensare, ai religiosi e religiose di altri paesi, ai monaci di Algeri e
soprattutto a Monsignor Claverie, vescovo di Orano, uccisi senza motivo,
uccisi perché consacrati al servizio del prossimo, senza condizione.
Clavarie era un grande conoscitore dell’Islam. Rispettava tanto i
musulmani e parlava cosi liberamente di religione. Padovese era un
conoscitore della spiritualità cristiana. Amava la Chiesa primitiva e
venerava i luoghi delle chiese antiche. L’umiltà dello scienziato e
l’apertura dell’animo univa spiritualmente e misticamente questi due
personaggi. Nello stesso tempo li rendevano forse sospetti. Non era
possibile che fossero cosi disponibili senza “une arrière pensée”. La
gratuità non è sempre percepita come tale. Il loro sacrificio non è
stato ricercato, ma provocato dalla superiorità del loro dono. Parlando
di Padovese qualcuno ha citato la parabola del grano che muore. Ritengo
che questo pensiero si applichi ad ogni operatore di pace e giustizia,
anche se l’Assemblea Speciale ha prestato poca attenzione a questi
testimoni che si sono consumati perché il buon grano cresca e porti
molti frutti”.
Come continuare la missione dopo queste violenze? E cosa possono fare
religiosi e religiose per sostenere la causa della pace e della
concordia?
“Umanamente
parlando e tenendo conto della mentalità moderna, la missione oggi non
avrebbe senso. Il testo del Messaggio trasuda una specie di
introspezione esagerata della comunione come sentimento “inter nos”,
inter cattolico. Questo mi pare un regresso di fronte alla missione
della Chiesa e al suo insegnamento ufficiale compreso quello del
Vaticano II.
San Paolo
raccomanda di annunciare la parola “opportune et inopportune” (2 Tm
4,2). La parola di Dio è via, verità e vita. L’annuncio è un mandato
che la Chiesa ha ricevuto dal suo fondatore. Se verranno tempi in cui
gli uomini, come nel nostro tempo, non sopporteranno più la sana
dottrina, si deve essere prudente, ma non è detto che si deve smettere
di fare “opera di evangelista e di adempiere la sua missione”. E’
sempre S. Paolo che parla (cf. 2Tm 6-7). Le violenze e le persecuzioni
hanno sempre accompagnato l’annuncio del Vangelo come la notte e
l’oscurità accompagnano la luce e il giorno. Lo scopo della missione
non è di forzare a cambiare credenze, ma di dare speranza e di resistere
alla rassegnazione. Continuare a lavorare in ambienti non favorevoli o
ostili o anche di violenza, è un grande atto di fiducia che la pace è
possibile e che la guerra è morta, come scrisse un generale francese.
L’Europa che ha ormai una esperienza adulta e consolidata della pace e
della civiltà democratica dovrebbe impegnarsi di più perché “sia pace in
Israele”. La Chiesa che ha ricevuto la pace di Cristo, non quella che dà
il mondo, si sente interpellata in prima persona ad essere “segno di
contraddizione” nei luoghi di conflitto e di incomprensione, per
affermare che un’altra via è possibile”.
Quali sono le sfide che attendono la Chiesa Cattolica nel Medio Oriente?
“La grande sfida
è la pace. Tutto il resto ha ricadute positive o negative. Il Libano che
era un paese felice e spensierato si è svegliato un giorno di aprile
1975, terreno di guerre e di violenze. Per più di vent’anni nessuno
capiva chi combatteva chi e perché. Ora vi si vive una pace instabile,
ma nessuno vuol mettere in pericolo la pace civile. Questo è anche il
frutto della missione della Chiesa e del lavoro dei suoi uomini, anche
laici. La recente decisione che la festa dell’Annunciazione di Maria sia
dichiarata festa nazionale per i Cristiani e per i musulmani, è il
risultato di una collaborazione e di una riflessione religiosa comune
tra cristiani e musulmani. E’ un punto fermo che avrà grande risonanza
nel corso delle ricerche e delle relazioni comuni tra le due religioni.
Scrivo queste
righe nella festa dei Santi Simone e Giuda. La colletta ci fa chiedere
al Signore di concedere alla sua Chiesa “di crescere continuamente
con l’adesione di nuovi popoli al Vangelo”.
Come può crescere
la Chiesa se si condanna ogni forma di proselitismo? Come si spiega
“andate, predicate e battezzate tutte le nazioni nel nome del Padre del
Figlio e dello Spirito Santo?” Questa dimensione sembrava assente dalla
mente dei Padri dell’Assemblea Speciale. In una specie di grande
sensibilità verso gli altri è stata condannata ogni forma di
proselitismo, senza distinzione. Si ha il diritto a questo punto di
chiedersi che cosa significa la missione della Chiesa di annunciare il
Vangelo a tutte le Nazioni. Come interpretare l’insegnamento del
Concilio? Che cosa è diventata la Carta delle Missioni, firmata da Paolo
VI con i suoi accompagnatori nell’isola Pago Pago (Samoa), durante il
suo viaggio apostolico nel Pacifico nel 1970?
Un’altra
osservazione! L’Assemblea Speciale per il Medio Oriente è stata una
assemblea di gerarchi, vescovi e responsabili, che erano lieti di
incontrarsi, e di parlare insieme dei loro problemi comuni. Questo è un
fatto, un avvenimento innegabilmente positivo. Ma nei discorsi è emersa
poco la preoccupazione del popolo di Dio e della folla che ha sete della
parola di Dio. Si è parlato molto di “chiese particolari”, di chiese “sui
iuris”. Si sono rivendicati alcuni diritti. Ma tutto sul piano
giuridico. Poco si è detto della compenetrazione culturale e spirituale
delle varie culture e dei due polmoni della Chiesa una e universale.
Invece di “chiese particolari” avrei parlato dei “Riti” come artieri che
funzionano in tutto il corpo, che portino sangue e aria nuovi a tutto
l’organismo. Sembra che gli Orientali preferiscano che siano piuttosto
“muscoli” forti e distinti. Sono due modi di guardare la diversità dei
doni e dei carismi nello stesso organismo che è il corpo mistico di
Cristo.
Si aspettava una
maggiore attenzione alla presenza spirituale e reale di Gesù Cristo come
punto di riferimento e di arrivo, alpha e omega, nella mente e nelle
discussioni dei Padri, come nei testi dei lavori. Si è parlato di
Abramo e dei Profeti, ma non si è detto che Gesù è la causa della nostra
Speranza e della nostra angoscia, che è anche “scandalo per i Giudei,
stoltezza per i pagani” (1Co 1,23).
Il teologo
protestante Oscar Culmann presentava la storia come due piramidi
rovesciate. L’una parte da una base larga e termina con il punto che è
Gesù Cristo. L’altra parte dal punto centrale, che è Gesù Cristo, e si
sviluppa attraverso la storia per abbracciare tutti i popoli. Durante
l’Assemblea Speciale si è parlato molto di liturgia, di collaborazione e
di catechesi, e anche di preghiera, poco però di Gesù Cristo e di che
cosa dice la gente del Medio Oriente che sia.
Il tema
dell’assemblea per il Medio Oriente era “Comunione e Testimonianza”. La
comunione è l’unione profonda con il ceppo che è Gesù Cristo. La
testimonianza è la tensione verso l’altro. Forse si è parlato molto
della Chiesa ma poco del suo Fondatore e del suo comando di annunciare
“quello che avete sentito e creduto”. La testimonianza può aver diverse
forme. La più adeguata oggi è il dialogo. Il dialogo deve cercare la
Verità, almeno secondo l’insegnamento di “Ecclesiam Suam” di Paolo VI.
I problemi maggiori,
come la pace, l’emigrazione, la convivialità e la libertà sono stati
trattati, ma non sono stati presentati molti progetti concreti per
“imporre” la pace, frenare l’emigrazione e rafforzare la testimonianza
soprattutto di quelli che sono esposti al sacrificio del martirio.
Molte questioni vitali, come la sicurezza, il diritto al lavoro e la
libertà avrebbero ancora bisogno di qualche visione profetica.
Piena di pietà,
invasa di spirito pacifico, forse l’Assemblea Speciale per il Medio
Oriente ha mancato di qualche slancio profetico, di qualche “follia” per
il regno. Sarebbe stato meglio tagliare un dito o rinunciare ad un
privilegio per coordinare l’azione apostolica in un mondo che ha bisogno
della missione cristiana ed assicurare il suo avvenire. Si è parlato di
giurisdizione e di diritto. Si è parlato troppo di “chiese”, confondendo
spesso rito con chiesa. Nella Chiesa di Cristo ci sono arabi, greci,
ebrei, transgiordani e romani. Parlano diverse lingue; seguono diversi
riti ma riconoscono un solo Signore e un solo Salvatore che ha affidato
la guida della sua Chiesa a Pietro e ai suoi successori. E’ lui la
fonte della comunione e la causa della testimonianza in oggi tempo ed
ogni cultura.
Auguro infine che
nella priorità della ricerca dell’“unum necessarium”, nella “polifonia
dell’unità” si arrivi a fondare in Oriente, in Libano nella valle della
Qadisha per esempio, un monastero “unigiurisdizionale” e “polifonico
rituale”, che canti giorno a notte e celebri ogni mattina l’eucaristia
in una delle sette lingue usate durante l’assemblea speciale. La
moltitudine delle lingue celebrano con un solo cuore e una sola anima.
L’assemblea del Sinodo dei vescovi per il Medio Oriente è anche della
Chiesa universale che ha diritto di ricevere questo dono che l’Oriente
può fare”.
|