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English version
"C’era
una volta un Vaticano", l’ultima opera di Massimo Franco fotografa le
difficoltà non della Santa Sede, perché la Chiesa cattolica rimane
un’istituzione forte, radicata e prestigiosa. Ma certamente di "un"
cattolicesimo: quello che in Occidente era maggioritario per
antonomasia, viveva in una sfera di superiorità morale e di
autoreferenzialità indiscusse, ed era in grado di mantenere i propri
segreti o di distillarli come pillole di una sapienza bimillenaria.
Quanto è accaduto negli ultimi anni sembra dire che il meccanismo si è
inceppato, e forse rotto. E la coincidenza temporale con la crisi
geopolitica degli Stati Uniti non può non portare a ipotizzare uno
scoppio della "bolla etica" vaticana, parallela a quella finanziaria e
militare dell’Occidente.
Su questo sfondo, si innestano gli errori di
comunicazione, gli scandali sulla pedofilia che riemergono dal passato,
le guerre fra cardinali, sintomi più che cause di questa crisi. Ma
contribuiscono a colpire la credibilità del Vaticano. E di queste
difficoltà il pontificato di Benedetto XVI appare quasi il capro
espiatorio. La crisi nasce forse dalla fine della Guerra Fredda, che
lascia tutti più soli con le proprie contraddizioni, Vaticano compreso.
E si rivela nella stessa Italia, dove l’influenza dei vescovi e del papa
sull’elettorato è fortemente diminuita, e il cattolicesimo politico si è
ridotto a una realtà quasi residuale. A
Massimo Franco, commentatore e inviato de
"Il Corriere della Sera" nonché membro dell'Istituto Internazionale di
Studi Strategici di Londra e autore di numerosi libri di successo
abbiamo rivolto alcune domande.
Lei scrive che "si intravedono i germi della crisi di
un Vaticano negli anni trionfali e apparentemente gloriosi del
predecessore di Benedetto XVI". Ed in particolare giunge a sostenere che
"nelle pieghe del successo erano annidate questioni irrisolte, che alla
fine hanno permesso agli avversari della Chiesa di schiacciarla sul
passato e di attaccare l'ultimo bastione dei principi della moralità
proprio sul piano etico". La straordinaria personalità di Karol Wojtyla
capace di governare i media è stata la causa o il pretesto per camuffare
questa crisi incipiente?
"Né la causa né il pretesto. Credo che per forza di
cose, l'attenzione del mondo si sia concentrata sui grandi successi,
soprattutto internazionali di GP II. Il suo protagonismo felice
nell'ultima fase della lotta al comunismo, ma poi anche la sua lunga
malattia sono diventati la cifra del suo pontificato nella fase finale.
E soprattutto negli ultimi anni, mentre le categorie mentali e gli
assetti del mondo ambiavano sulla scia ella fine ella guerra fredda, il
Vaticano è stato invece poco governato; ed i paradigmi ed il modo di
agire è rimasto ancorato al passato. Per questo, Benedetto XVI si è
ritrovato nella condizione scomoda di ereditare un grande pontificato,
ma anche problemi lasciati irrisolti per alcuni anni. Mi riferisco sia a
problemi di gestione quotidiana della Curia, sia ad altri legati alla
nuova agenda internazionale che la Santa Sede doveva darsi, sia alla
scelta di una classe dirigente post guerra fredda".
Come vede il futuro dei due 'imperi paralleli' -
Stati Uniti e Vaticano - dopo questi profondi scossoni ricevuti? E cosa
hanno imparato entrambi in tema di gestione delle emergenze?
"Credo che entrambi riflettano, con i loro problemi
interni, la debolezza e il disorientamento che sta vivendo l'Occidente.
Ed entrambi, Usa e Vaticano, mi sembrano ripiegati più su se stessi,
sull'affanno a gestire e plasmare una nuova epoca, che aperti ad un
mondo nel quale stanno maturando nuovi equilibri che tendono a
ridimensionare sia il ruolo del Vaticano, sia quello degli Stati uniti".
"Il papato intellettuale di Benedetto XVI - annota -
sembra ripiegato su se stesso, aggredito dall'esterno e insidiato
dall'interno, e incapace di dettare la propria agenda". Saprà
riappropriarsi del primato di cui la Chiesa ha goduto nel passato?
"Non so se ci riuscirà, ma mi sembra molto
consapevole della sfida che ha davanti. Avere individuato l'Europa e
l'Occidente come terreni sui quali si deciderà il futuro del
cattolicesimo ed i valori della democrazia mi sembra importante.
Dimostra un'acuta preoccupazione di quanto è accaduto in questi anni, e
dell'evoluzione che la situazione può avere se non viene analizzata ed
eventualmente contrastata con strumenti culturali corretti".
Nell'analisi dei punti di crisi, non poteva mancare
quello legato alla comunicazione? E in particolare nel caso della
pedofilia, quali gli errori determinanti?
"Ho l'impressione che il Vaticano e gli episcopati
abbiano faticato a prendere coscienza della rivoluzione culturale
avvenuta negli ultimi decenni. Durante la guerra fredda, l'accusa di
pedofilia poteva essere considerata un'accusa <politica> dei regimi
totalitari contro i sacerdoti, per screditarli. Ed il primato morale
della Chiesa le permetteva di gestire questi reati come un peccato, una
devianza risolta in segreto, trasferendo i colpevoli, oppure isolandoli.
Ma con la fine della guerra fredda il peccato si è <laicizzato> se
possiamo dire così. E gli abusi sono apparsi per quello che sono: reati,
crimini dei quali chiunque, sacerdote o no, deve giustamente rispondere
all'autorità giudiziaria. La Chiesa cattolica è stata costretta a
scoprire che il vecchio metodo non funzionava più. Ma l'ha fatto con
ritardo: quando nel 2002 scoppiarono i primi scandali a Boston, negli
Usa, si pensò o si finse di pensare che fossero un fenomeno <americano>.
Invece, era l'anticipo di quanto è successo sette anni dopo anche in
Europa, sud America, Australia. E il modo in cui anche cardinali di
primo piano hanno commentato gli abusi ha rivelato un ritardo ed una
confusione culturali piuttosto preoccupanti, contribuendo ad alimentare
le polemiche ed a riflettere l'inadeguatezza non solo comunicativa ad
affrontare il problema".
Quale il modello di Chiesa che emergerà da questa
crisi determinata da scontri di potere, da gaffe e da una crisi senza
precedenti che l'ha investita?
"Non saprei. Ho l'impressione che dovrà contare
maggiormente sul ruolo dei laici ed ammettere cose che prima erano
considerate fuori discussione. Soprattutto, dovrà rivedere il proprio
rapporto con l'Occidente, col quale mi pare esista oggi
un'incomprensione profonda e crescente, forse poco avvertita in Italia.
Quello che è finito è il Vaticano
plasmato dalla Guerra fredda e che rappresentava l’egemonia
dell’Occidente che non c’è più. Un Vaticano che era capace di orientare
gli elettorati, e abbiamo visto che in Italia non è più così. Con una
pedagogia che tutte le opinioni pubbliche accettavano, anche se non
condividevano. Il ritardo lo vedo per questo motivo soprattutto. Il
Vaticano, durante il lunghissimo pontificato e poi la lunga malattia di
Giovanni Paolo II, ha un pò sottovalutato che è cambiato il paradigma
mondiale. Con il crollo del comunismo è venuto meno il nemico storico,
percepibile, chiaro, ideologico".
Quale ruolo possono giocare le religiose e i
religiosi in questa crisi del cattolicesimo? Ed in particolare nella
vecchia Europa smarrita e secolarizzata?
"Molto grande, credo. Ma anche molto umile. Il
rischio che intravedo è quello di una <classe religiosa> che tende all'autoreferenzialità,
ad un atteggiamento di recriminazione e di distacco rispetto a società
molto secolarizzate; di fatto, che non sembra in grado di parlare ai
più. Una delle sfide principali è
stato ed è il nuovo ruolo della Chiesa in un Occidente laicizzato e che
senza l’alibi della Guerra fredda aveva di fronte una secolarizzazione
che si dispiegava in tutta la sua potenza. Prima quindi il cattolicesimo
deve ridefinire l’identità del suo mondo, e quando l’avrà ridefinita
potrà affrontare una sfida esterna in modo più chiaro. Secondo me le due
sfide vanno di pari passo, ma l’avversario più pericoloso non è quello,
minaccioso, dell’islamismo, bensì quello, sorridente, del relativismo
che non attacca la Chiesa ma fa leva sull’indifferenza. Sicuramente ci
sono delle forze che combattono la Chiesa. Però lo fanno sfruttando le
debolezze al suo interno. E quindi ha ragione Benedetto XVI a dire che i
primi nemici sono dentro la Chiesa e non fuori. Il problema è che il
pontificato di Giovanni Paolo II, che ha determinato il trionfo
sull’ideologia comunista, ha un po’ trascurato le nuove questioni che si
affacciavano sullo scenario mondiale, perché alla fine tutti erano
concentrati su questa lunga malattia. Benedetto XVI quindi si è trovato
ad affrontare problemi lasciati marcire per moltissimi anni. Problemi di
governo, problemi legati alla presenza della Chiesa in un Occidente
totalmente cambiato".
Da più parti si è parlato di complotto ai danni della
Chiesa. Tesi a cui lei non è orientato a dare credito. Ma che potrebbe
rivelarsi come il sintomo di un atteggiamento auto assolutorio?
"Non sono io a non dargli molto credito ma, mi pare,
lo stesso Benedetto XVI. I complotti ci possono sempre essere. Il
problema è se ci sono le premesse perché vengano orditi. Sono sicuro che
ci siano ambienti che vogliono delegittimare e screditare la Chiesa
cattolica, e che approfittano di questa fase per farlo. Ma credo anche
che limitarsi a gridare al complotto non risolva nulla e finisca per
proteggere situazioni e persone che oggi andrebbero invece risolte e
messe ai margini. Meglio guardare la realtà in faccia, e prendere atto
che non è affatto incoraggiante all'interno della Chiesa".
Con la morte di Giovanni Paolo II - lei scrive - si
chiude una era. Anche per la Conferenza Episcopale Italiana e il suo
Presidente Ruini che l'ha guidata per sedici anni. Dopo Bagnasco, quali
caratteristiche ritiene debba avere il pastore di anime che governerà la
CEI del prossimo quinquennio?
"Non spetta a me dirlo. Posso solo notare che mi pare
oggi la Cei abbia un approccio meno politico alla situazione italiana. E
che svolga un ruolo prezioso soprattutto per salvaguardare e sviluppare
meglio l'unità del nostro Paese, offrendo una sponda molto preziosa,
direi insostituibile allo Stato ed al presidente della Repubblica.
Constato anche che c'è una tensione, se non un contrasto fra Segretario
di Stato vaticano e vertice della Cei su chi abbia il compito di
dialogare con le istituzioni politiche dell'Italia: un'ambiguità che è
fonte di malintesi".
E' recente la pubblicazione del libro-intervista
"Luce del mondo" in cui Benedetto XVI risponde alle domande del
giornalista tedesco Peter Seewald su gran parte degli argomenti al
centro del suo libro. Come colloca, come legge questo volume nello
scenario da lei delineato in "C'era una volta un Vaticano"?
"Non l'ho ancora letto, e dunque non sono in grado di
rispondere alla Sua domanda".
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