L'aldilà
 

nelle parole di
Mons. Vittorio Peri
 


 

  trasp.gif (814 byte) trasp.gif (814 byte) trasp.gif (814 byte)

English version

C’è forse qualcosa di più importante che interrogarsi sull’aldilà? È l’interrogativo di sempre che sottende all’ultima fatica letteraria di monsignor Vittorio Peri, già preside dell’Istituto Teologico di Assisi e consulente ecclesiastico nazionale del Centro Sportivo Italiano ed attualmente presidente dell’Unione Apostolica del Clero e vicario episcopale per la cultura della diocesi di Assisi-Gualdo Tadino-Nocera Umbra. “Alla fine, l’amore….”, questo il titolo del libro di monsignor Peri edito dalla Tau Editrice, in appena sessanta pagine offre una riflessione tutt’altro che banale sull’eterna domanda dell’uomo sul mistero della vita e della morte. Argomento, oggi, più che mai attuale in tempi di crisi di valori nel quale monsignor Peri ci guida con mano sicura e rara sensibilità. E proprio a lui abbiamo rivolto alcune domande prendendo spunto dalle pagine della sua ultima opera.

Come nasce questo libro sull’aldilà?

“Nasce soprattutto dal fatto di aver più volte ascoltato anche recentemente, durante le celebrazioni esequiali, non mirate riflessioni sul senso cristiano della vita, a partire dalle letture bibliche, ma banali panegirici infiorettati con le solite bugie di circostanza. Non vere omelie, insomma, ma sterili commemorazioni  piene di ‘luoghi comuni’.

Da qui l’idea di scrivere alcune essenziali pagine sull’aldilà”. 

In base alla sua personale esperienza, parlare di cose ultime e di speranza cristiana ha senso al giorno d’oggi?

 “La riflessione sulle “cose ultime” non solo ha senso, ma rivela il senso, il valore cioè e la direzione dell’esistenza umana.  Per questo, non può mai considerarsi superata o fuori del tempo.  Oggi anzi, nel marasma culturale e morale, oltre che socio-politico, in cui ci troviamo, parlare dei “nuovi cieli” e della “nuova terra” prospettati dalla nostra fede significa seminare speranza.

Per esperienza diretta e indiretta so che nessuno resta indifferente di fronte a serie proposte di indagare il comune destino finale.  E anzi, quando il mistero dell’aldilà è presentato alla luce della risurrezione di Cristo, ho sempre veduto volti attenti e sereni, e non di rado commossi”.  

Come si deve affrontare questo argomento in un dialogo aperto e schietto con grandi e piccini?

“Non ho particolari titoli per dare “ricette” pronte ad ogni uso o indicazioni apodittiche.

Credo tuttavia che lo schermo di una possibile indifferenza o di arroccamento psicologico di fronte a una riflessione di per sé impegnativa e inusitata possa essere “bucato” soprattutto con domande chiare e dirette sul significato della vita, interrogativi capaci di  toccare il cuore e stimolare il dialogo.

Più che parlare, è necessario far parlare chi ascolta e porre domande,, anziché passare subito alle risposte. “Le risposte – diceva Oscar Wilde - sono capaci di darle tutti. Per le vere domande ci vuole un genio”. Domande sul nostro arché (inizio) e sul nostro telos (fine), come scriveva un antico scrittore cristiano.

Direi che il segreto è di porre problemi, far sorgere interrogativi. Questa è la metodologia che vorrei suggerire soprattutto nell’affrontare riflessioni di natura teologica. Il naufragio morale e spirituale di molti deriva anche dal non chiedersi chi si è, dove si sta e soprattutto dove si sta andando”.

 

Nella premessa al suo libro scrive che “è necessario parlare di escatologia”. Perché?

 “Perché è quasi scomparso dal nostro tempo l’orizzonte escatologico: l’idea cioè  che la storia umana abbia una direzione, una pienezza che va al di là di se stessa, la consapevolezza che il senso del mondo sia fuori del mondo.  E’ questo, credo, l’aspetto su cui oggi maggiormente ci sono confusione, oscurità, dubbi, reticenze e perfino rimozione.

L’eclisse di questo orizzonte sembra  offuscare perfino il mondo ecclesiale ove a fatica, come dicevo all’inizio, si sente parlare delle “cose ultime”, della vita eterna.  Ma senza questa prospettiva, avrebbe senso la vita cristiana?

E’ dunque necessario e urgente parlarne, anche se i nostri contemporanei appaiono interessati solo ai problemi della vita quotidiana e indifferenti alle prospettive della fede. “Verrà però un giorno – diceva il santo Curato d’Ars – in cui gli uomini saranno così stanchi di se stessi che basterà parlare loro di Dio, per farli piangere di gioia”.

Parlarne “opportune et importune” come scriveva l’apostolo Paolo. Chi infatti dà quello che gli si chiede, fa il commerciante. L’educatore dà invece ciò che è vero e giusto. E, se è cristiano, lo fa alla luce del Cristo risorto”. 

I religiosi e le religiose sono preparati a trattare questo tema? E le diocesi in particolare hanno messo a punto progetti e proposte concrete su questo argomento?

“Alla prima domanda, non conoscendo alcuna indagine sull’argomento, non saprei dare una risposta sicura. Stante però il clima culturale appena rilevato, ho fondati dubbi su un’adeguata preparazione teologica di molti membri degli istituti di vita consacrata nel trattare questi problemi.

Ci sono certamente bei documenti – discorsi, lettere pastorali ecc. - di vescovi italiani che hanno sviluppato i brevi essenziali passi di natura escatologica contenuti ne Catechismo della Chiesa Cattolica.  E ci sono seri studi di ottimi teologi – come Escatologia, morte e vita eterna di Joseph Ratzinger-Benedetto XVI o La vita trasformata, saggio di escatologia di Erio Castellucci - nei quali i vari aspetti della vita futura  sono presentati in modo scientifico.

Non ho invece notizia di indicazioni o piano pastorali  diocesani su questi argomenti.  Sono però convinto che una corretta e sistematica loro presentazione a tutto il popolo di Dio costituirebbe una straordinaria strada per conoscere la “bella notizia” portata da Gesù”.  

Il suo testo quali scopi si prefigge?

 “Il piccolo libro non ha altro scopo che di  contribuire, partendo da un  preciso nucleo di temi teologici, al primario impegno della evangelizzazione.  Ce ne è forse uno più importante di questo, per la Chiesa? Da duemila anni la parola di Gesù interpella e scuote la coscienza umana.  Ho idealmente estrapolato un versetto del Vangelo - “Quale vantaggio ha un uomo  che guadagna il mondo intero, se perde o rovina se stesso?” - e intessuto attorno ad essa interrogativi, riflessioni, risposte.

La risposta riassuntiva che ogni lettore potrà trovare è data dalla fede: dopo la morte non ci sarà una voragine che inghiotte la persona umana, ma la gloria di Dio; non il nulla, ma la vita; non il buio, ma la luce. Per chi crede, e vive la fede, il destino finale non è un naufragio nel gorgo del nulla, ma un approdo nel porto di Dio.

In breve, sull’altro versante della vita – perché la vita è una sola, seppure vissuta in due diversi tempi – troveremo non qualcosa ma Qualcuno, a braccia aperte. E se non sappiamo tutto su cosa il futuro tiene in serbo per noi, conosciamo però chi è colui che  tiene in serbo il nostro futuro. E questo basta per sostenere la nostra speranza”.     

A chi è destinato, in particolare, il piccolo libro?

“Nessun destinatario, in particolare, perché è stato scritto per tutti: credenti e non credenti; adulti e ragazzi, dotti e di cultura elementare. Ho cercato infatti di scrivere in modo chiaro e semplice, utilizzando anche belle immagini e molte – fors’anche troppe! – citazioni di brillanti autori tratte anche dalla letteratura cosiddetta profana”. 

Perché è fondamentale pregare per chi ha lasciato la condizione terrena?

“Nelle poche pagine dedicate al purgatorio, che non è certo un luogo dove si va, ma una situazione certo dolorosa di attesa di incontrare Dio “faccia a faccia, riporto questo breve testo dell’enciclica Spe salvi Benedetto XVI: “Nessuno vive da solo. Nessuno pecca da solo. Nessuno viene salvato da solo. Continuamente entra nella mia vita quella degli altri: in ciò che penso, dico, faccio, opero. E viceversa, la mia vita entra in quella degli altri: nel male come bel bene. Così la mia intercessione per l’altro non è affatto una cosa a lui estranea, neppure dopo la morte” (n. 48).

C’è dunque continuità tra questa vita terrena e quella futura. “Non si perdono mai coloro che amiamo, perché possiamo sempre amarli in Colui che non si può perdere”, scriveva s. Agostino. C’è solidarietà tra noi vivi e i defunti: il loro ricordo ci edifica; la nostra preghiera li eleva.  Ecco perché la Chiesa, da sempre, invita a pregare per i defunti”.

Per l’uomo di oggi abituato alla concretezza non è facile capire il nesso e la continuità tra vita terrena e quella futura. Come fare?

“La difficoltà è forse minore di quanto si creda, poiché sappiamo che anche su questa terra sperimentiamo la continuità dell’io, nella discontinuità delle cellule che compongono il nostro corpo. Siamo sempre noi stessi; eppure, materialmente, ogni sette anni totalmente diversi per il naturale rinnovo del nostro corpo, che non è il tutto di noi, ma nemmeno qualcos’altro da noi.

Sul piano della fede, la risurrezione di Gesù rivela che gli esseri umani saranno reintegrati nello stato in cui si trovavano prima della morte, in un rapporto di continuità personale e  discontinuità materiale le cui modalità ci sfuggono.  La risurrezione inaugurerà un’esistenza nuova e definitiva nella quale entrerà non solo l’anima, ma l’intero essere umano: spirito, anima e corpo, come insegna l’antropologia biblica. 

La discontinuità sta nel fatto che tra il presente e il futuro c’è alterità: il presente scompare quando arriva il futuro, allo stesso modo che la notte si dilegua all’arrivo della luce. La continuità, invece, sta nel fatto che il presente è anticipazione del futuro e che la vita storica si tramuta in vita eterna. Non in un’altra vita, ma in una vita che diverrà altra, totalmente diversa; non contrapposta, ma in continuità con questa.

In breve: saremo noi stessi, anche se non più gli stessi. Noi stessi e nel contempo diversi, perché ricreati da Dio che la Bibbia ci rivela come “amante della vita”.

 Torna indietro