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“La teologia della vita
consacrata apostolica” è il titolo del seminario promosso a Roma dalle
due Unioni dei superiori e delle superiore generali (USG-UISG) a cui
hanno preso parte una trentina di teologi, maschi e femmine, e una
ventina tra superiori e superiore generali. Promuovere una riflessione
sulla situazione della teologia della vita consacrata apostolica oggi ed
individuare le sfide principali poste dalla Chiesa e dalla situazione
del mondo alla teologia, e favorire il rinnovamento della ricerca in
questo settore erano gli obiettivi di fondo dell’incontro. Ad aprire i
lavori è stato padre Antonio Pernia, originario delle Filippine,
superiore generale dal 2000 della Società del Verbo Divino (SVD) o
Missionari Verbiti. Ha professato i voti perpetui ed è stato ordinato
sacerdote nel 1975. Ha conseguito un Master in Filosofia presso il
Divine Word Seminary, Tagaytay City, Filippine, e un dottorato in
Teologia Fondamentale presso la Pontificia Università Gregoriana, Roma.
E proprio a lui abbiamo rivolto alcune domande sugli argomenti trattati
nel seminario.
Quali
sono le sfide della vita religiosa apostolica alla luce della nuova
visione del mondo che si sta affermando?
“Questo era il tema
della prima giornata dei lavori del seminario su cui mi è stato chiesto
di intervenire con una relazione imperniata sulle sfide per la Chiesa
oggi e nel mondo. Due gli assunti da cui sono partito: uno è quello del
mondo globalizzato e l’altro è quello della Chiesa che ha assunto
dimensioni mondiali e non più solo Chiesa occidentale o europea. Nel
contesto del mondo globalizzato mi sembra che sia difficile definire la
sfida. Quel che è certo è che la vita religiosa apostolica vive una
crisi e su questo punto ho messo in evidenza alcuni dati, tra cui la
diminuzione delle vocazioni. Stando all’ultimo annuario pontificio,
nell’anno 2008 c’è stato un lieve aumento della popolazione cattolica in
tutto il mondo, ma allo stesso tempo si è verificato un calo del numero
di religiosi e religiose in Occidente e nel nord America.
Controbilanciato da un incremento in Africa, Asia e America Latina. Un
chiaro sintomo che la vita religiosa apostolica è in crisi. Fenomeno che
viviamo anche nella nostra congregazione, la Società del Verbo Divino,
dove abbiamo un migliaio di membri in voti temporanei in questo nostro
tempo globalizzato. Di questi, solo due provengono dall’Europa e uno
soltanto dal nord America.Tutti gli altri provengono dagli altri
continenti.
Allo stesso tempo,
abbiamo trecento novizi di cui uno solo è europeo e nessuno dal nord
America. Perciò una indicazione di questa crisi è in questa diminuzione.
La mancanza di vocazioni nella vita religiosa implica anche un
invecchiamento dei religiosi e delle religiose in queste aree del
pianeta. Per esempio, l’età media dei Verbiti in Europa è di
sessantacinque anni, mentre in nord America è di sessanta anni. Numeri
che dovrebbero essere più alti se non fosse per l’arrivo di alcuni
giovani missionari membri provenienti da Africa, Asia e America Latina.
Naturalmente, con il
crescere dell’età dei religiosi e delle religiose in queste aree del
pianeta vengono meno le capacità di assumere rischi e intraprendere
nuove iniziative, aggravate anche dalla sensazione di essere già
irrilevanti nella società attuale. Un’altra indicazione che proviene da
questo mondo globalizzato è appunto la percezione di irrilevanza della
vita consacrata, in particolare in queste aree secolarizzate. Quella
diminuzione delle vocazioni, cioè, è già una parte di questa percezione.
I giovani non pensano più che la vita consacrata è una scelta
significativa per la loro esistenza. Questo non significa che i ragazzi
di oggi sono meno idealisti o generosi, perché sono molti quelli
coinvolti in organizzazioni laiche o nelle associazioni impegnate nel
volontariato. Non sono attratti dalla vita religiosa perché forse
percepiscono la vita consacrata non più come una missione qualificante
per la loro esistenza. Alcuni poi anche nella Chiesa sono convinti che
la vita religiosa così come concepita appartiene al passato e che il
futuro appartiene ai nuovi movimenti laici. Arrivando a sostenere che la
rilevanza, il servizio e l’utilità della vita consacrata sembrano già
cose passate.
In terzo luogo, mi
sembra che a volte ci sia un tentativo incosciente da parte della Chiesa
ufficiale di addomesticare i religiosi considerandoli solo come
manodopera o forza lavoro. Per questo, la vita consacrata perde un po’
della sua specifica vocazione che deve proprio la sua appartenenza non
alla dimensione gerarchica ma a quella carismatica. Quando si
considerano i religiosi solo come parte della Chiesa ufficiale, viene
meno seppur parzialmente la specificità propria di un carisma, quella
cioè di essere un dono”.
Tra gli scopi dell’incontro c’era quello di
promuovere una riflessione sulla situazione della teologia della vita
consacrata apostolica oggi. A quali conclusioni è giunto il confronto
innescato dai partecipanti?
“Più che di
conclusioni parlerei di indicazioni da sfruttare per il futuro. Il
seminario è stato concepito, infatti, come un luogo dove i superiori e
le superiori generali potessero incontrarsi con teologi e teologhe per
riflettere insieme sulla crisi della vita consacrata. È un fatto
importante che questo seminario sia stato promosso perché ha dato modo
ai due gruppi di avviare un confronto su questo tema e di scambiare
reciprocamente idee e prospettive. In questo senso una delle proposte
emerse è stata quella di dare vita ad una commissione teologica
internazionale con sede a Roma per continuare questo dialogo”.
Dalla teologa brasiliana Vera Ivanise
Bombonatto abbiamo appreso che stanno aumentando nuove comunità di vita
religiosa apostolica specialmente in Brasile nate dal Rinnovamento
carismatico cattolico, in controtendenza con quelle ‘antiche’ alle prese
con problemi di invecchiamento e carenza di nuove vocazioni. Come spiega
questo fenomeno?
“In queste nuove
comunità di vita religiosa apostolica, i membri sentono molto il senso
di appartenenza. La vita comunitaria è davvero speciale, molto vissuta e
offre opportunità per vivere una intensa esperienza spirituale che fonda
il suo primato in Dio e a contatto con la gente. Specialmente al
servizio dei più poveri e degli emarginati della società. Dalla sua ha
l’agibilità istituzionale in quanto la comunità è molto
flessibile anche nelle risposte alle sfide del momento presente.
Rappresentano al tempo stesso una grande sfida per la vita religiosa
apostolica di impianto tradizionale perché non di rado le congregazioni
religiose tradizionali si sono adattate troppo alla situazione e non
sono state sempre in grado di reagire positivamente ai mutamenti della
storia e alle questioni cruciali”.
Come sta evolvendo, a suo avviso, la vita
religiosa?
“La vita consacrata
secondo me deve diventare un piccolo gregge, come un lievito. Appartiene
al passato l’immagine dei religiosi presenti massicciamente, in tutta la
loro potenza nel senso sia di numero che di congregazione. Ora è tempo
di stare nel mondo e nella società non puntando all’influenza
socio-politica, ma a quella evangelica. Essere presenti nella società,
cioè, non come un potere ma come un piccolo gregge umile, in ascolto.
Ripensando al passato viene in mente l’influenza nel mondo grazie anche
a scuole, ospedali, centri sociali. Oggi siamo chiamati ad essere
presenti in modo umile.
La vita consacrata
deve essere più multiculturale e più internazionale per poter dare
risposte concrete alla società attuale che di giorno in giorno si fa
sempre più multiculturale.
Piccola,
internazionale, multiculturale: questi i tratti oggi essenziali secondo
me. Ma non solo. Deve essere anche intercongregazionale. Le
congregazioni, cioè, non devono agire singolarmente nei diversi ambiti.
Ora è tempo di collaborare tra congregazioni. La scuola, ad esempio, non
deve essere solo dei gesuiti o dei salesiani. E questo vale non solo in
Europa, ma anche in terra di missione. La Chiesa universale deve agire
nel mondo avvalendosi del contributo intercongregazionale. Ora è tempo
di lavorare tutti insieme. E deve agire in collaborazione con i laici,
fondamentali per la vita della Chiesa già oggi ed in futuro. Una Chiesa
sempre più dal volto laico, perché la componente dei laici sarà sempre
più predominante”.
E’ possibile vivere oggi un carisma religioso
senza una consacrazione religiosa che impegni per tutta la vita della
persona?
“E’ molto difficile
rispondere a questa domanda. Perché in primo luogo bisogna capire cosa
vuol dire carisma religioso e poi, consacrazione religiosa. Partendo
dall’idea che il carisma è un dono gratuito dello Spirito Santo alla
Chiesa per edificare la comunità ecclesiale, ritengo che sia possibile
vivere un carisma che impegni l’individuo per un determinato periodo di
tempo. Spero molto che i teologi possano scoprire questa opportunità che
permetterebbe ai giovani di oggi di dedicarsi ad un carisma senza
preoccuparsi dell’aspetto dell’impegno a tempo indeterminato. Nella
nostra provincia in Germania abbiamo diversi missionari a tempo
determinato che si impegnano nelle terre di missione per un biennio. Ad
alcuni questo periodo di due anni vale anche come servizio civile. Un
dieci per cento di questi ragazzi decide di consacrarsi a Dio dopo
questa esperienza al servizio della missione”.
In che modo i religiosi e le religiose
possono aiutare i giovani a vivere una personale esperienza di Dio?
“Non è forse più
giusto rovesciare questa domanda? E cioè, che i religiosi devono
imparare dai ragazzi di oggi come vivere una personale esperienza di
Dio? La mentalità dei ragazzi è cambiata profondamente, dalla parola
all’immagine. In concreto, sono le testimonianze a fare la differenza.
Non dobbiamo parlare di Dio ai giovani, ma mostrare l’immagine di Dio.
Non soltanto la dottrina, ma offrire una icona di Dio. La grande sfida
per i religiosi e le religiose è diventare loro stessi l’icona di Dio,
in modo visibile. Penso che i nostri giovani non credono più in Dio,
solo che hanno una diversa visione della vita, per noi spesso
incomprensibile”.
Come vivere il carisma della vita consacrata
inteso come servizio alla Chiesa e al mondo che si fonda sulla memoria
del passato e sulla visione del futuro a partire dal contesto attuale?
“Durante il
seminario si è ribadito che la vita consacrata è apostolica per natura.
È sempre al servizio della Chiesa e questo servizio è sempre connotato
da una dimensione carismatica, alludendo ai doni dello Spirito Santo. I
religiosi sono come un microscopio che fa scoprire i doni dello Spirito
Santo alla Chiesa. Altra immagine che mi piace associare ai religiosi è
che sono come le finestre del mondo. In una società secolarizzata, in
cui la gente vive senza trascendente, i religiosi sono chiamati ad
essere le finestre del mondo, che aprono il mondo all’aldilà per non far
vivere le persone in un mondo chiuso e far irrompere Dio nella società”.
Quali piste concrete le hanno suggerito i
lavori del seminario promosso dall’UISG e dall’USG?
“Una proposta è
quella di convocare un secondo congresso internazionale della vita
religiosa da tenere nel 2014. O in alternativa, congressi della vita
religiosa continentale diviso per aree da promuovere nei contesti di
riferimento. Un po’ come i sinodi. Altra idea emersa nel corso dei
lavori è di chiedere ai teologi uno studio approfondito sull’argomento
da presentare all’interno di questi congressi. Si pensa anche ad
organizzare un seminario simile a quello già svolto ma ampliandolo a
giovani religiosi sui trentacinque anni sempre in una ottica
intercongregazionale”.
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