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English version
“Ogni vita umana ha
una dignità altissima, incomparabile. L'esperienza stessa e la retta
ragione attestano che l'essere umano è un soggetto capace di intendere e
di volere, autocosciente e libero, irripetibile e insostituibile,
vertice di tutte le realtà terrene, che esige di essere riconosciuto
come valore in se stesso e merita di essere accolto sempre con rispetto
e amore”. Sono affermazioni pronunciate da Benedetto XVI lo scorso
anno per ricordare a tutti i credenti il valore sacro e inviolabile
della vita dall’inizio del concepimento fino al tramonto.
I richiami di
Benedetto XVI in favore della vita nascente si moltiplicano mentre la
società sembra assistere impotente all’aumento dei casi di abbandono di
neonati negli ospedali e di piccoli uccisi e buttati nei cassonetti.
Per una donna,
quella di partorire un figlio e non vederlo crescere fino a diventare
grande, è una scelta dolorosa, forse la più penosa. Solo nel Lazio si
registrano una sessantina di casi l’anno, prevalentemente a Roma. Numeri
in crescita rispetto agli anni passati, complice la crisi economica che
toglie ossigeno alle famiglie. Non solo italiane divenute madri in
giovanissima età, ma sono soprattutto le immigrate a lasciare i loro
figli.
E se le cronache
danno spazio ai casi più eclatanti di bambini ritrovati nei cassonetti,
a volte strappati alla morte per un soffio, c’è chi, come suor Adele, si
prende cura delle madri immigrate e dei loro piccoli, come vuole il
carisma del fondatore del suo ordine, san Vincenzo de Paoli. Nelle case
famiglia a Roma a disposizione delle Figlie della Carità di san Vincenzo
de Paoli, è lei che da quindici anni accoglie nuclei familiari senza
fare distinzione alcuna per il credo religioso, in un dialogo costante e
spesso lastricato di difficoltà che nasconde spesso storie di miseria e
di disperazione, decisioni sofferte e prese in un oceano di lacrime.
Quella che segue è la sua testimonianza.
Benedetto XVI ritiene che per la vita nascente occorre anzitutto pregare
ma anche che spetti ai cristiani sensibilizzare la società su questo
tema. Ci racconta il suo contributo quotidiano in merito?
“Accogliere, ascoltare essere creativi per trovare le
parole e gli atteggiamenti giusti capaci di dire la bellezza della vita:
è quello che cerco di fare ogni giorno accanto a ragazze madri con mille
problemi. Avere la passione per l’uomo è uno degli obiettivi che mi
danno sempre la forza di ricominciare. La vita è tale anche in
situazioni complesse, confuse. Quante volte mi ritorna in mente la
parabola del grano e della zizzania. Crescono insieme, ma solo al
momento opportuno si sceglie, si separa. È molto importante individuare
il momento giusto in tutte le circostanze. Accompagnare senza fare né un
passo avanti, né un passo indietro. Altro atteggiamento con il quale mi
confronto ogni giorno è quello del silenzio. Il silenzio dei momenti in
cui si cerca insieme e non si offre frasi prefabbricate. In queste
circostanze non servono, e possono addirittura creare nell’altro una
certa distanza oltre che sentimenti d’irritazione perché sono percepite
come un non cogliere l’ansia e la sofferenza e che non toccano l’essere
umano nella sua profondità. L’esperienza ti porta a quei silenzi fatti
di ascolto e poi successivamente insieme alla persona si cerca di
trovare la parola e la risposta adatta alla circostanza”.
Da
quanto tempo svolge questo impegno a favore della vita e quali ricordi
serba tra i più cari nel suo cuore?
“Sono quindici anni che affronto questa realtà così
complessa come quella delle ragazze madri. Attualmente seguo dodici
nuclei familiari compresa una gestante. All’inizio, a guidarmi era la
voglia di andare incontro, di fare, di risolvere. Poi, pian piano sono
cadute tante certezze che mi hanno dato la possibilità di ascoltare
meglio e di più. E soprattutto, insieme all’altro. Niente più, se non la
voglia di stare accanto alla persona, mi ha mosso nella direzione
giusta: entrare in dialogo con l’essere umano. Intendo dire che stare
accanto a ragazze madri con vissuti pesanti non è facile, la fiducia è
una meta lontanissima che va creata, ma non sempre si riesce ad
ottenerla perché chi ha avuto tante delusioni, non si apre all’altro e
non si concede facilmente. Una strada lastricata di insuccessi che è
parte della vita di ognuno, vale specialmente per chi vive a fianco di
queste persone, in cui nulla va dato per scontato. Anche se tutto ciò
non deve far desistere dalla missione e non deve lasciare spazio allo
scoraggiamento e al ‘non si può’ perché magari poco a poco si schiude
una porta: quella della fiducia. Perché, è capitato, che una volta
uscite dalla casa famiglia, hanno riconosciuto in te la persona che gli
ha teso una mano nel momento più difficile. Ma non ci si deve lasciar
condizionare dal pensiero del successo perché crea ansia e false
aspettative. C’è bisogno di forte equilibrio e di ritrovare
continuamente la bussola perché si è portati, come persone, a
rinunciare. Invece, ricominciare ogni giorno riporta in equilibrio
l’individuo sul piano affettivo e psicologico. In questo la fede è
certamente un elemento molto forte, ma è un cammino che si compie e ti
porta a leggere gli insuccessi come parte per raggiungere la tua
maturità nella fede. L’esperienza vissuta accanto a loro e con loro ti
matura e ti fa crescere, ti offre molte opportunità a patto di saperle
cogliere. Diversamente, il rischio che si corre è quello di cadere nella
routine oppure nell’indifferenza.
Tempo addietro stavo salendo le scale mobili della metropolitana quando
mi sono sentita prima chiamare a gran voce e poi abbracciare. Dopo il
primo momento di stupore e curiosità ho riconosciuto la persona che
avevo davanti: era una donna, ultra quarantenne latinoamericana che mesi
prima era entrata a contatto con me a causa di una gravidanza
inaspettata e sul momento non voluta, perché già madre di quattro figli
orfani del loro padre nel suo paese d’origine. Il bambino venuto al
mondo è stato poi adottato. E il suo saluto caloroso era la migliore
controprova di una scelta giusta compiuta per amore. Sono emozioni e
sensazioni che credo ricompensano di tutte le fatiche che uno incontra
per arrivare fino a lì”.
L’Italia è da tempo il paese delle culle vuote. Meno figli e sempre più
tardi, ma al tempo stesso sempre più neonati uccisi da madri incapaci di
affrontare la nuova condizione. Come si spiega tutto ciò?
“Dare una spiegazione è molto difficile anche perché siamo in presenza
di una realtà molto complessa. A volte può sembrare banale o scontata ma
è una tematica che presenta mille sfaccettature. Credo che oggi chi vive
in questo contesto debba farsi molti interrogativi. In questa società
dal pensiero debole noi non finiamo mai di chiederci perché. Dovremmo
essere i ricercatori che si chiedono le motivazioni e non dare per
scontato nulla. Credo che noi religiose dovremmo avere quest’ansia di
interrogarci sul perché la società è così. Cercarne le cause. Ma senza
partire da un discorso morale. Dietro gli atteggiamenti di oggi capire
che cosa c’è o c’è stato e che tipo di famiglia c’era. Per esperienza
posso dire che chi hai davanti è qualcuno che nella sua vita ha
incontrato delusioni o nel padre e nella madre. Mi riferisco in
particolare alle violenze subite in famiglie. C’è sempre un vissuto che
non è sereno, quando non è stato addirittura traumatico. È difficile
imparare da adulti a dire no o a dirsi no. Tutto è possibile, tutto è
normale, tutto ci si può permettere. Perché io sono al centro di tutto.
Si nota sempre che qualcosa è mancato. Ed è difficile farsi modello per
i figli. È questa la battaglia quotidiana con le mamme che vivono nelle
nostre case famiglia. Forse bisognerebbe provare a fare un discorso teso
ad individuare una scala di valori. Indipendentemente dalla professione
di fede. Solo così si può aiutare la persona ad accettare il proprio
figlio”.
“Ogni vita umana ha una dignità altissima, incomparabile” ha detto il
Papa lo scorso anno nel corso della veglia di preghiera per la vita
nascente nella Basilica di San Pietro – “L'esperienza stessa e la retta
ragione - ha aggiunto - attestano che l'essere umano è un soggetto
capace di intendere e di volere, autocosciente e libero, irripetibile e
insostituibile, vertice di tutte le realtà terrene, che esige di essere
riconosciuto come valore in se stesso e merita di essere accolto sempre
con rispetto e amore”. Come trasmettere questo principio inviolabile
nella comunità, a cominciare dai più piccoli?
“Penso che se ci fermiamo a riflettere tante sono le possibilità per
trasmettere il valore inviolabile della vita, a cominciare da quelle
mediatiche. Forse dobbiamo essere un po’ più creativi ed essere in grado
di cogliere ogni occasione per far passare questi valori di amore per la
vita. Mi viene in mente la favola di pollicino che getta pazientemente e
costantemente i sassolini, metafora di quei valori persi e un po’
affievoliti, per ritrovare la strada di una società che finalmente
sappia godere della vita e la sappia amare nel profondo. Capace di
animare quelle situazioni anche semplici per incrementarne il valore.
Forse è una mia impressione ma vedo sempre più persone che non sanno
godere della vita, inteso non in senso edonistico ma come voglia di vita
anche nelle cose più semplici. Difenderla e non distruggerla cercando al
tempo stesso di combattere quei tarli che rodono la sua bellezza. Credo
nelle piccole cose e non ai grandi raduni. È più facile farlo ed
insegnarlo agli altri. Imparare a guardarsi intorno: questo si dovrebbe
fare”.
Non temere l’ostilità nella difesa della vita ha detto una volta
Benedetto XVI. Le è mai capitato? E come ha reagito?
“Non nego di avere incontrato in questi quindici anni ironia, sarcasmo,
provocazioni, accuse e perfino calunnie. È vero che la mia prima
reazione è stata dettata dal disagio e dalla voglia di giustificarmi.
Anche se a volte ho preferito il silenzio pensando alla culla e ad una
madre con un bimbo. L’esperienza mi ha insegnato che queste provocazioni
probabilmente nascevano da interrogativi con cui alcune persone volevano
mettere a tacere scomode realtà. Di conseguenza, ho dovuto perfino
cambiare ospedale per far partorire le mamme. Ne ho cambiati ben tre in
passato. Ho scelto di allontanarmi perché non volevo che si sentisse
offesa la donna che accompagnavo al parto. E quando notavo qualcosa da
parte delle infermiere, prendevo subito questa decisione.”
E’
noto che sono in atto tendenze culturali che cercano di anestetizzare le
coscienze con motivazioni pretestuose. Le religiose come possono agire
per contrastare questo fenomeno in atto?
“Credo che ripensando al modo con cui siamo nate a Parigi nel 1633 oggi
la vita religiosa dovrebbe essere un inno alla vita. Le azioni, la
serenità, l’accoglienza della fatica quotidiana dovrebbe essere indizio
per chi ci incontra che la vita è tale sempre. E’ importante far vedere
che si è felici di aver scelto la vita consacrata. Se si ama la vita,
diventa un impegno costante e quotidiano aiutare ad accogliere la vita.
Il non aver avuto un figlio naturale non significa che non si è in grado
di accogliere degnamente la vita. L’ascolto di chi è perplesso o
spaventato di fronte alla maternità ci deve trovare sempre pronte e
preparate. La disponibilità di una donna, specie se consacrata, credo
che possa dire tanto al mondo di oggi. Certo è che accompagnare in
questo contesto vuol dire mettersi in gioco. In ogni momento e in ogni
fase della gravidanza della persona che stai seguendo, anche quando non
è più possibile ricorrere all’aborto. In pratica, significa stare
accanto alla persona nella concretezza quotidiana per darle serenità e
aiutarla a riversarla sulla creatura che sta per nascere. Specie quando
non ha altre vie d’uscita che portare a termine la gravidanza. E dentro
di sé si deve confrontare con la famiglia d’origine che non l’accoglie e
la rifiuta, con il compagno che se ne va o crea problemi perché ha
scelto la vita”.
Oltre al servizio domiciliare ai poveri e ai malati, le Figlie della
Carità sono conosciute per la cura degli orfani, l'assistenza agli
infermi negli ospedali e agli anziani nelle case di riposo, la cura dei
disabili, anche mentali, il servizio nelle scuole e la gestione di
rifugi per donne e bambini in difficoltà. La Provincia Romana in
particolare come esplica la sua attività quotidiana?
“Come provincia
romana abbiamo diversi servizi che vanno incontro alla vita.
Dall’accoglienza dei minori nelle case famiglia a quella di adolescenti
a rischio in una nostra comunità che ha appena un anno di vita. Passando
per le comunità alloggio per le ragazze madri gestite da noi o dalla
caritas o dal volontariato vincenziano. C’è poi un altro servizio che
svolgiamo presso l’ospedale Bambino Gesù di Roma in cui stiamo accanto
alla vita in pericolo, stando a fianco dei genitori. Prima eravamo
tante, oggi molte meno. Siamo in sei. La nostra presenza ha il
significato di stare accanto a chi è toccato dalla morte. Oggi come
ieri, ci chiniamo sulla vita nascente e su chi soffre e non di rado
siamo noi ad andare incontro, che poi è una caratteristica
imprescindibile del nostro carisma”.
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