|
|
|
|
English version
Lei si considera un “prete
di strada”
“Questa espressione a me, personalmente, non
piace molto! Cerco di vivere il mio ministero secondo il sacerdozio
inaugurato da Cristo che,
come afferma la Lettera agli Ebrei, è un uomo
preso tra gli uomini per il bene degli uomini. Sull’esempio di Cristo
che, come afferma Pietro, passava per le strade beneficando e sanando
tutti coloro che incontrava, cerco di vivere il mio sacerdozio accanto
ad ogni uomo, soprattutto a chi soffre, perché nel suo volto scorgo la
presenza reale di Cristo e, attraverso le attenzioni si infonde
speranza”.
Come si combatte, giorno dopo giorno, la povertà e la
miseria di chi è escluso da ogni diritto di cittadinanza?
“Innanzitutto non volgendo le spalle e non delegando ad altri ciò che
spetta ad ogni cristiano: amore senza calcoli e indiviso, senza
preferenze di persona, ma semplicemente amore. Quando uno ama con verità
e mette in gioco la propria esistenza, inevitabilmente contagia gli
altri e così si crea una cordata di solidarietà che rende possibile ciò
che da solo risulta impossibile”.
Cosa ricorda in particolare degli anni vissuti in
seminario? Quali aspetti vanno curati in particolare nella formazione
dei candidati al sacerdozio?
“L’umanità dei rapporti, la felicità di percorrere e condividere lo
stesso cammino di identificazione a Cristo. Oggi gli aspetti che vanno
curati nei futuri presbiteri sono, a mio parere, la formazione umana,
l’equilibrio psicologico e la maturazione cristiana. Sembra assurdo
quello che sto per affermare, ma mi sembra opportuno verificare nel
futuro presbitero se effettivamente la sua vita è intrisa di fede, se
insomma, crede veramente in Dio”.
Lei dirige la Casa Accoglienza di Santa Maria Goretti ad
Andria dove si prodiga nell’assistenza di persone che vivono ai margini
della società. Come affronta le difficoltà quotidiane?
“Fin dall’inizio del mio servizio presso la Casa di Accoglienza S. Maria
Goretti, ho cercato di creare una rete di solidarietà capace di
coinvolgere quante più persone, enti, Parrocchie e associazioni nel
venire incontro alle tante domande di aiuto che salgono da una umanità
realmente ferita dalla povertà. A ciò si aggiunge un costante lavoro di
educazione all’accoglienza dell’altro considerato un fratello da amare e
servire in tutte le sue necessità”.
Cosa possono fare i religiosi e le religiose per
infondere speranza a chi vive il momento presente tra le difficoltà e
stare accanto a chi soffre?
“In una società contrassegnata da discordie e divisioni, ferita dalla
povertà causata dall’egoismo di molti, incapace di comunione perché
esperta ad innalzare steccati di orgoglio, le comunità religiose,
vivendo in pienezza il loro carisma, certamente possono costituire la
differenza e annunciare che è ancora possibile vivere in comunione,
mettendo in comune ogni cosa e avendo sempre spalancate le porte del
cuore (e del convento) ai tanti “Lazzaro” che lambiscono la polvere
degli atri, delle nostre Chiese e dei nostri Conventi”.
Lei ha prestato il suo volto per uno degli spot per
l’otto per mille. Cosa pensa dei mezzi di comunicazione di massa? Come
utilizzarli al meglio per diffondere il messaggio cristiano?
“I mezzi di comunicazione di massa sono un ottimo canale per veicolare
contenuti e valori che possano irrobustire la spina dorsale etica del
nostro paese ed annunciare il Vangelo di Cristo che è seme di speranza
per la costruzione della Città dell’uomo a immagine e somiglianza della
Città di Dio. Certo si possono e si devono utilizzare inventando
strategie sempre nuove per creare nella nostra gente una mentalità di
fede, atta a creare motivazioni e condizioni per l’edificazione di una
società più giusta”.
Ci racconta la sua esperienza di responsabile della Casa
Accoglienza?
“La Casa di Accoglienza e l’Ufficio per le Migrazioni rappresentano
nella Diocesi di Andria un faro, che dà alla città di Andria una luce
diversa e la rende una vera e propria “Casa nel Mondo”. Varcare la
soglia della Casa di Accoglienza significa entrare nella Chiesa, nella
famiglia di Dio, nella famiglia dell’uomo e dell’umanità dolente,
disorientata, misera, ma anche ricca perché redenta dall’amore di Cristo
e dei suoi amici. Nel corso degli anni la Casa di Accoglienza si è
prefissata tanti obiettivi per cui si è ritenuto necessario attivare una
serie di servizi per gli ospiti. Di anno in anno aumentano
smisuratamente le richieste di aiuto non solo materiale. Chi bussa alla
nostra porta non ha bisogno semplicemente di un aiuto economico come
comunemente si pensa ma ha delle problematiche e disagi che vanno ben
oltre. Ognuno di loro ha alle spalle delle storie pesanti fatte non solo
di difficoltà economica, ma soprattutto di umiliazioni, di soprusi, di
violenza, di malattia, di ignoranza che spesso portano a perdere il
controllo della loro vita ed abbandonati molto spesso a se stessi non
riescono più a riappropriarsi della propria vita e della propria
dignità. La nostra Casa mira a rendersi luogo di integrazione sociale
che non rimanga intrappolata tra le nostre mura ma che coinvolga tutti i
cittadini. Col passare degli anni la nostra realtà è cresciuta
intervenendo in molti settori di promozione sociale, dando spazio alla
formazione\informazione, cercando di portare al di fuori della Casa di
Accoglienza le realtà con cui ogni giorno siamo chiamati a confrontarci
e cercando di coinvolgere nel mondo del volontariato tutti, soprattutto
i giovani. La Casa di Accoglienza cerca di diventare un porto sicuro in
cui trovare aiuto, sostegno, solidarietà, comprensione, conforto e,
soprattutto, il calore di una famiglia. Ogni servizio nasce con
l’intento di soddisfare le diverse necessità non solo primarie. Le
famiglie e gli ospiti italiani e non sono aumentati negli ultimi anni e
per far fronte alle loro esigenze è necessario avere a disposizione un
equipe di collaboratori che ogni giorno mettono a disposizione del
prossimo il proprio tempo, le proprie competenze, le proprie capacità”.
Parlare di Dio a persone prive di riferimenti precisi e
di diritti fondamentali richiede una particolare abilità?
“Non ci sono abilità precise per parlare di Dio agli uomini. Prima parla
con Dio e nella preghiera, racconta a Dio le angosce, le speranze e le
ansie che mettono in tumulto il cuore degli uomini. In seguito, lasciati
guidare dallo Spirito ed Egli suggerirà parole e contenuti che possano
convincere l’umanità circa il bisogno inalienabile della presenza di Dio
nel mondo”.
Quali storie le sono rimaste dentro nell’esercizio
quotidiano della sua missione sacerdotale?
Ne ricordo tante. “Ho bussato a questa porta come “ultima ratio”,
incapace di porre fine ad una situazione ormai senza scampo. Il cuore a
pezzi, dilaniato dagli “eventi” della vita che a volte ti trascinano e
ti spiazzano via come uno tsunami inatteso e pauroso, lasciandoti
intorno un vuoto devastante.
È impressionante constatare la velocità con
cui tutto si allontana da te: gli “amici”, le circostanze, tutto ciò in
un attimo sparisce in un vortice che si allarga distruggendo ogni cosa.
E ti ritrovi a constatare di essere solo, tu e te stesso, senza più
nessuno, senza casa, senza niente per sopravvivere, ad una età che ha
già assunto la “facies” dell’ultima dirittura prima del traguardo,
quando anche il fisico scricchiola nello sforzo finale.
Ho bussato a questa porta. Mi apriranno? Cosa
ci sarà? Miseria, quella certamente, sopravvivenza ai limiti,
umiliazioni tante, rassegnazione. La scelta non è tanta: o mangiare
quella minestra… o trovarsi in un mondo… che non pensavi ci fosse.
Mi hanno raccolto alla stazione. Era tardi.
Sono venuti in tre. In macchina. Hanno preso i miei bagagli, mi hanno
dato il braccio. Comminavo a stento, per i dolori alla spina dorsale, mi
hanno chiesto il mio nome e come stavo, dandomi del lei, e portandomi in
una casa molto decorosa, pulita, ordinata, con altre tre persone che già
dormivano.
Un letto pulito anche per me. Un sogno, al
caldo, in un vero letto. Buona notte. Ci sentiamo domattina. Sono
crollato. Appena il tempo di chiedermi chi fossero, queste persone così
gentili. Credo di aver capito che uno di loro è un prete.
Al mattino un altro viso ignoto. Mi ha
aiutato a sollevarmi dal letto, a togliermi gli indumenti, e mi ha
condotto a fare una doccia, aiutandomi perché mi muovevo a fatica. Mi ha
rivestito infilandomi persino i calzini, e in macchina mi ha
accompagnato a fare colazione.
Ho cominciato a conoscere così Don Geremia, e
i suoi collaboratori. È iniziata una nuova vita. Incredibile! Tutti
gentili, tutti disponibili al massimo, per ogni circostanza, per la più
piccola necessità. Circondato da angeli che assumevano di volta in volta
le sembianze delle Suore pronte a “SERVIRE” i pasti in abbondanza e con
il sorriso, degli assistenti pronti ad accompagnarmi e a seguirmi nei
controlli medici in ospedale, senza mai perdere il sorriso, senza mai
dare segni di stanchezza o di impazienza. Non è possibile…è un sogno da
cui presto mi sveglierà.
Sono cominciati a trascorrere i giorni, è
cominciato a cambiare qualcosa dentro di me. Quell’amarezza che mi aveva
condotto in quel posto stava tramutandosi in qualcosa di ancora
indefinito. Avevo molto tempo per pensare, per riconsiderare gli ultimi
devastanti avvenimenti della mia vita, e pian piano mi accorgevo che
quell’acredine che aveva avviluppato il mio animo si stava placando, e
lentamente faceva spazio ad una sensazione di pace e di serenità, che
aumentava ogni giorno. Un miracolo.
Ho sentito forte il bisogno di rendere grazie
al nostro Signore che si è degnato di accogliermi nella Sua benevolenza,
e in chiesa ho pianto di commozione e gratitudine, e nel mio animo ho
visto accendersi il fuoco della pace, della serenità, della fiducia. So
che mi è vicino, e sarà Lui a guidare il resto dei miei giorni, e questo
mi onora e mi dà la forza di esserne degno.
Ho parlato di pace, e me ne ha dato occasione
la festa che si è svolta ieri nel nostro centro di accoglienza per
onorare la giornata mondiale della pace. È una pace diversa, quella che
tutti ci auguriamo, pace come antitesi alla guerra, alle prevaricazioni,
alla violenza. Frutto dell’ingordigia, della sete di potere, di
interessi, di egoismi, di “homo omini lupus”, di “mors tua vita mea”,
tutto ciò a discapito dei più deboli, dei meno fortunati. Guerre
etniche, di religioni, fomentate dall’imperialismo, dall’espansionismo
economico.
Là si è voluta celebrare, questa giornata per
innalzare una preghiera e un coro di speranza. Nella Casa Accoglienza
Don Geremia e i suoi collaboratori si sono prodigati per riunire gli
immigrati presenti nel territorio e offrire loro le musiche della loro
terra e alcune specialità gastronomiche dei loro paesi, portando a tutti
gli auspici della Santa Sede, del Vescovo e delle Autorità.
La serata è trascorsa così fra musiche e
balli, degustazioni e scambi di manifestazioni di solidarietà. Cosa che
non è nuova per chi è avvezzo a convivere con gli immigrati e le loro
problematiche, spesso disconosciute dai superficiali che si trincerano
dietro gli ormai soliti discorsi sui disordini che gli immigrati
provocano, sul fatto che tolgono lavoro agli italiani, e non considerano
minimamente l’aspetto umano e religioso del problema.
Qui si è pregato nelle varie religioni ,
perché la fede non ha una sola identità , ma ogni credo esprime la
duplice veste della pace: in primis quella interiore, punto d’arrivo di
percorso spirituale e di consapevolezza, e punto di partenza per la
diffusione dell’amore, del bene, e quindi della pace stessa. Cose
sottolineate dallo stesso Don Geremia in un piccolo discorso, e
testimoniate dalla consueta e concreta presenza degli operosi
collaboratori.
Emozionante il momento in cui tutti i
presenti hanno aderito allo scambio della stretta di mano a
testimonianza dell’interazione e al desiderio di pace. Il tutto si è
concluso con un applauso di consensi, simpaticamente ripreso dagli
scatti della solerte suora attenta ad archiviare negli annali di questo
sodalizio il ricordo di una bella serata”.
»
Giornata Mondiale del Migrante e
del Rifugiato (16-1-2011)
|