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“Educarsi alla vita santa di Gesù”. È il tema della 16ª Giornata
mondiale della vita consacrata, che si celebra domani (2 febbraio). In
Italia i religiosi sono circa 140 mila, dei quali 18 mila uomini e 122
mila donne. A livello mondiale sono quasi 875 mila, con 135 mila uomini
e 740 mila donne. I religiosi italiani rappresentano il 16% del totale.
Nel messaggio per la Giornata (testo integrale in *.pdf:
clicca qui),
i vescovi italiani sottolineano la “sintonia” con il tema scelto per gli
Orientamenti pastorali di questo decennio, dedicati alla questione
educativa. Ne abbiamo parlato con madre
Viviana Ballarin,
presidente dell’Usmi (Unione superiore maggiori d’Italia).
Come definirebbe la “pedagogia” di Gesù?
“Quella di Gesù è una pedagogia umanizzante, perché al centro di essa
c’è la persona: Gesù guarda alla persona, ad ogni persona, con lo
sguardo del Padre, che vede la bellezza del Figlio risplendere sul volto
di ogni creatura. Incontrando – ad esempio - l’emorroissa, l’adultera,
la samaritana, Gesù fa prendere loro coscienza del patrimonio profondo
che hanno dentro, della bellezza che sono. Le aiuta a dar voce alla
verità di se stesse e a essere quello che sono davvero: e loro si
scoprono figlie, discepole, madri... Questo tipo di pedagogia, peculiare
di Gesù, ha molto da insegnarci”.
Ci
stiamo preparando a vivere l’Anno della fede: qual è il legame tra la
“bellezza” della vita consacrata e la nuova evangelizzazione?
“La
missione della vita consacrata nella Chiesa e nel mondo è testimoniare
l’amore di Dio per l’umanità. I religiosi e le religiose hanno la
responsabilità di essere segno che rende visibile Cristo, di essere
presenza nel mondo dell’amore, della bellezza, della misericordia di
Dio, che incontrandolo fa diventare bello l’uomo. Il rapporto tra la
vita consacrata e la nuova evangelizzazione – compito di tutta la Chiesa
– per i religiosi e le religiose implica la capacità di essere presenza
che vive e testimonia, prima ancora del fare. La nuova evangelizzazione
sarà ‘nuova’ se la vita religiosa saprà portare il soffio, la luce, la
ventata di vita che è comunicare l’esperienza dell’incontro con il
Signore Risorto, e comunicare la speranza, che dà luce, apre prospettive
di vita e di verità nell’animo di ogni creatura. Il Vangelo è sempre
nuovo: sicuramente occorre trovare metodi nuovi, linguaggi nuovi, ma la
vera novità è la persona di Gesù, che sollecita i consacrati e le
consacrate a mettersi a servizio dell’incontro delle persone con il
Signore, per facilitare l’incontro del Signore con ciascuno di noi”.
Il
messaggio fa riferimento allo “zelo divino”, un’espressione che può
suonare d’altri tempi: come lo spiegherebbe ai giovani?
“L’espressione ‘zelo divino’ mi fa venire subito in mente un’altra
parola: profeta. Il profeta è una persona che brucia: è una persona
umana, ma ha incontrato il Signore, è stato contagiato dalla passione di
Dio per l’umanità. Mi viene in mente la vicenda dei monaci di Tibhirine:
in italiano il titolo del film è ‘Uomini di Dio’, ma in lingua originale
è ‘Uomini e dei’. Il riferimento è alla divinità di cui s’impregna la
nostra esistenza: se qualcuno è ‘inondato’ dalla presenza di Dio, non
può che essere zelante. Per i religiosi e le religiose, ciò comporta
l’impegno a mettersi a servizio della causa di Dio per l’umanità,
orientata all’amore, alla salvezza, al bene. È l’amore che muove, non la
legge: mosso dall’amore, l’uomo non ha limiti, non fa sconti, fa sua la
consegna di donarsi e mettersi a servizio degli altri”.
Più che del calo delle vocazioni, i vescovi invitano i consacrati a
preoccuparsi prima di tutto di evitare il rischio della mediocrità...
“Sono totalmente d’accordo con questa indicazione. Ci preoccupiamo
ancora troppo di noi stessi: il numero, il calo delle vocazioni lo
riferiamo sempre alle opere, al fare, ma basta una sola persona santa,
per santificare tutto l’ambiente intorno a sé. La vita religiosa non è
basata su cifre o calcoli, ma sulla qualità di vita: a volte anche noi
caschiamo nella tentazione di contarci troppo, di calcolare. Non solo ci
si preoccupa dei numeri – che poi è la tentazione del potere – ma ci si
preoccupa anche troppo di salvaguardare il carisma, che è un dono dello
Spirito che va vissuto nelle sue peculiarità; è un dono di Dio nella
Chiesa, perché testimoni l’amore di Dio per l’umanità, segno di speranza
e anche escatologico. Il resto è molto secondario. La novità, il
rinnovamento, la bellezza della vita religiosa continuerà a risplendere
nella misura in cui non si penserà più solo a queste cose, ma si
accetterà anche di perdersi nel dono di sé, senza fare calcoli. Bisogna
avere il coraggio di essere dentro la logica della fede, che non è altro
che risposta alla chiamata d’amore di Dio per noi”.
Cosa si aspetta dal futuro?
“Per
il futuro della vita consacrata mi auguro che cresca la capacità di
gettare le paure, i calcoli, l’autoreferenzialità, in modo da vivere da
persone appassionate di Dio e dell’umanità, a servizio là dove il
Signore ci chiama. Mi auguro una vita religiosa più nuova, più adatta ai
tempi, che trovi il coraggio della comunione e della condivisione dei
carismi. Bisogna crescere nel coraggio di una conoscenza maggiore tra
istituti, di una maggiore collaborazione, vivendo la missione in
comunione. Mettendo in comune anche i beni materiali, se necessario,
perché il nostro tempo ha bisogno del segno forte della reciprocità”. (
da SIR 01.02.2012)
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