Nell’avvicinarsi del
Sinodo può essere urgente, senz’altro utile, disporsi con alcune
pertinenti precisazioni sui fondamenti teologici e pastorali della nuova
evangelizzazione stessa e cosa comporti questo evento per la vita
religiosa femminile. Per questo abbiamo posto alcune domande a sr
Fernanda Barbiero, smsd.
Con Laurea in Materie Letterarie -
Libera Università’ “Maria Ss. Assunta” - e Dottorato in Teologia
Dogmatica - Pontificia Università Gregoriana - è stata docente di
Teologia Sistematica in diverse Università Pontificie a Roma, Preside
del Pontificium Institutum “Regina mundi”, “Coniunctum” alla
Pontificia Università Gregoriana (Roma) dal 1996 al
2002. A Roma ha collaborato con l’Ufficio Famiglia della Conferenza
Episcopale Italiana;
dal 2002 al 2008 è stata Superiora provinciale dell’Italia
occidentale (Provincia Tirrenica) con sede a Brescia. Attualmente è
Consigliera generale, incaricata per
la Formazione, docente di Teologia presso
la Pontificia Università
Urbaniana; fa parte del Consiglio di Redazione della Rivista
dell’USMI Consacrazione e Servizio; è responsabile della Rivista
del suo Istituto; svolge una ricca attività di conferenze.
Sr Fernanda, dopo
fondamentali chiarimenti teologici e pastorali, amplia alcuni orizzonti
e propone di “ritrovare uno stile cristiano
di comunità per il nostro tempo”, di
“coltivare il desiderio di dare testimonianza della propria fede”, di
“essere icone dell’umanità della fede”, e, infine, invita ad “avere a
cuore non tanto salvare le nostre singole comunità, quanto di portare
avanti ciò in cui abbiamo creduto”.
1.
La piattaforma teologico-pastorale della Nuova evangelizzazione
Vorrei anzitutto dire che risvegliare la dimensione evangelizzatrice,
nella Chiesa, in questo momento della sua storia è grazia: una grazia da
vivere e da far maturare in una visione sapienziale della realtà; in una
nuova modalità di azione appropriata alla diversa situazione culturale
che si è venuta a creare.
Con
la Nuova evangelizzazione la Chiesa ci mette di fronte a una
straordinaria proposta di fede in un cammino di umanizzazione per far
tesoro della sapienza di vita racchiusa nel Vangelo.
Ma
pure
la Nuova
evangelizzazione obbliga
la Chiesa
a immaginare una nuova forma del suo essere e della sua missione.
Ripensare una nuova pastorale intesa in senso meno tecnico di come la
pensiamo di solito.
Quale il fondamento teologico, da cui scaturisce la
necessità di una Nuova evangelizzazione?
Per la Chiesa evangelizzare è necessità ed è
dimensione insostituibile, espressione della sua stessa natura.
La Chiesa esiste per
annunciare sempre e dovunque il Vangelo di Gesù Cristo:
l’evangelizzazione è la continuazione dell'opera voluta dal Signore Gesù.
Ora la Nuova
evangelizzazione esprime questo primato e questa urgenza in un ambiente
nel quale la Chiesa è già fondata, evangelizzata e anche massicciamente
strutturata .
Questo significa ricordare che il Vangelo è un diritto di tutti, e va
portato a tutti. È compito di ogni credente dunque cercare nuove vie per
poterlo fare, nuovi linguaggi per renderlo comprensibile e rilevante
per l’uomo d’oggi.
Perciò la Nuova evangelizzazione non sarà tale se non ci saranno
nuovi evangelizzatori che abbiano imparato ad essere discepoli, cioè
a stare in comunione e in intimità con Gesù, a vivere la stessa passione
di Cristo per la salvezza dell’uomo.
La Nuova
evangelizzazione ha la finalità di agevolare, di preparare la strada
perché la salvezza raggiunga le persone. Troviamo in Gregorio Nazianzeno
l’immagine di Dio che ha creato l’uomo rivolgendogli
la Parola.
Ma l’uomo, essere dialogante, a causa della tentazione e del peccato di
Adamo, non ha risposto a questa Parola. Ha balbettato altre parole, ma
non ha risposto alla Parola che il Creatore gli rivolgeva. Occorre
nuovamente insegnare all’uomo a rispondere all’appello di salvezza del
Creatore ecco il fondamento della Nuova evangelizzazione. Evangelizzare
significa aiutare l’uomo scoprire sempre nuovamente che Cristo è la
risposta al Padre. La salvezza è allora di chi, nel Figlio e con la
forza dello Spirito Santo, può pronunciare: Abbà, Padre. Non è
una cosa astratta perché si condensa in Cristo e vive nella Chiesa.
La Nuova
evangelizzazione trova il suo fondamento esattamente nel servire la
salvezza, vale a dire operare in modo che essa possa realizzarsi e
raggiungere le persone di questo tempo presente. Dio le ha chiamate alla
salvezza, ha preparato per loro la salvezza, l’ha realizzata in Cristo.
Dio le attende nella Chiesa. La Nuova evangelizzazione consiste
nell’arte di fare in modo che avvenga l’incontro tra il Salvatore e la
persona. Il Papa lo afferma indicando il compito per il nuovo Dicastero:
si tratta “di
una missione da svolgere presso i credenti che si sono allontanati dalla
fede o sono indifferenti”.
“Nuova evangelizzazione è piuttosto la capacità di “rifare il tessuto
cristiano della società umana Ma la condizione è che si rifaccia
il tessuto cristiano delle stesse comunità ecclesiali che vivono
in questi paesi e in queste nazioni” (n. 34).
Evidentemente
la Nuova
evangelizzazione chiama la Chiesa a misurarsi con il fenomeno del distacco dalla fede, che si è
progressivamente manifestato presso società e culture che da secoli
apparivano impregnate dal Vangelo.
2.
I fondamenti pastorali della nuova evangelizzazione
Ma perché la fede cristiana ha bisogno di una Nuova evangelizzazione, di
un nuovo annuncio? Che cosa è mutato o sta mutando nel mondo?
Se è
necessaria una “nuova” evangelizzazione, la ragione sta nel fatto che la
Chiesa si trova davanti a un uomo culturalmente nuovo, più
sensibile a certi valori, più refrattario ad altri e al margine di altri
che sono non negoziabili per noi. Si tratta di aprire spazi di dialogo
con tutti coloro che non cessano di interrogarsi su Dio. Non si deve
ignorare che la Nuova evangelizzazione è un programma spirituale e
pastorale pensato non solo per l’Europa ma per tutto il mondo.
a.
Un irrinunciabile fondamento per la pastorale è la
preoccupazione per la fede delle persone.
La fede della
Chiesa ha bisogno di cercare e costruire un nuovo equilibrio di rapporti
con la cultura contemporanea. Ci sono aspetti nel pensiero e nel costume
dominanti che al cristiano fanno problema e mettono in crisi il suo
rapporto con la Chiesa e con la fede. Se si aggiungono poi gli scandali,
da quello della pedofilia a quelli più ricorrenti della finanza
ecclesiastica che stanno trascinando la Chiesa a livello di estimazione
e di consenso sempre più basso, è evidente che lo scollamento fra Chiesa
e società civile si fa sempre più manifesto, anche sul piano politico. E
non è un fenomeno puramente congiunturale. Si diffonde l’idea che il
cristianesimo non sia più in grado di dare un contributo positivo allo
sviluppo dell’umanità. La situazione sta portando verso un diffuso senso
di smarrimento. Bisogna prendere atto è che la crisi dei rapporti tra
Chiesa e società ha il suo punto nevralgico nella crisi della fede.
Questo significa che c’è una evangelizzazione che non aiuta gli uomini a
scoprire il cammino della vita e della felicità.
Pastoralmente
sarebbe utile mettere in primo piano l’attenzione alle persone, da
raggiungere nella loro ricerca del senso e la cura dell’annuncio del
Vangelo. Si tratta di comunicare una parola che possa ricondurre l’uomo alla verità di sé e di quello che
vive.
Condivido quanto sulla Stampa ha detto il Priore di Bose: Le rapide
mutazioni storiche esigono un ripensamento del problema della verità...
Nell’ambito della fede cristiana viviamo in una situazione di minoranza
in un contesto di indifferenza diffusa... la non-eloquenza della fede
oggi non può non interrogarci: occorrerà una nuova sintesi che la renda
dicibile. Si tratta di accompagnare la trasmissione della fede con una
educazione alla vita, alle relazioni, agli affetti, alle virtù. Si
tratta di divenire umani a immagine e somiglianza di Gesù, il rivelatore
del Padre: a questo chiama la fede cristiana.
b.
Un secondo punto fondamentale della cura pastorale è il senso di
responsabilità della Chiesa, a partire dal cuore della sua missione: “comunicare
al mondo la fede”.
L’avvio di un
rapporto dialogico con il mondo contemporaneo ha un’importanza decisiva,
e va fatto con rispetto e amore da estendersi pure a coloro che pensano
od operano diversamente da noi. Con quanta più umanità e amore si
penetra nei modi di sentire, tanto più facilmente si può iniziare un
dialogo. Ci si attende che la Chiesa aumenti il coraggio e le energie
per riscoprire la gioia di credere, aiuti a ritrovare l’entusiasmo del
comunicare la fede. Non si tratta di immaginare soltanto qualcosa di
nuovo o di lanciare iniziative inedite per la diffusione del Vangelo, ma
di vivere la fede in una dimensione di annuncio di Dio.
Va curata l’arte di saper coniugare l’annuncio del kèrigma con
l’impegno esigente dell’educazione della fede e lo zelo
nel campo sociale.
Per la comunità
ecclesiale diventa fondamentale confrontarsi con la
diversità delle
situazioni e ciò non va senza un attento discernimento. Questo dovrà
renderci più umili, più aperti più accoglienti e docili all'opera
gratuita dello Spirito del Risorto, che accompagna quanti sono portatori
del Vangelo e apre il cuore di coloro che ascoltano.
3.
Cosa comporta ciò per la vita religiosa femminile
Lasciarsi
evangelizzare;
vale per noi religiose, oggi più che mai, l’invito di
Paolo VI alla Chiesa:
“Evangelizzatrice,
la Chiesa comincia a evangelizzare se stessa.
La Chiesa ha sempre la necessità di essere evangelizzata se vuole conservare la
sua freschezza, il suo impulso e la sua forza per annunciare il vangelo”.
Chiunque osservi il panorama di noi religiose, non
ha dubbi sul fatto che è urgente uno sforzo di evangelizzazione “nuova”.
Questa caratteristica è comprensibile semanticamente solo in contrasto
con una evangelizzazione “vecchia”, passata, alla quale si sostituisce
la “nuova”. La
Vita religiosa, come la Chiesa tutta, deve prima evangelizzarsi e
lasciarsi evangelizzare (cf.
Ad Gentes
5.11-12;
EN 15). Questo presuppone il fatto di prendere molto sul serio il
Vangelo, molto più in serio di quanto si è soliti fare. Già questo
sarebbe qualcosa di realmente nuovo in un continente stanco di apparenza
e demagogia ma “assetato di autenticità”. Ciò significa che se si
annuncia Gesù Cristo si deve incarnare il modus vivendi di Gesù
Cristo: cioè essere permeati di Lui. Quando questo si realizza,
l’evangelizzazione sarà realmente “nuova”.
Ritrovare uno stile cristiano di comunità per il nostro tempo
che sappia superare la frammentazione e unire le forze
per
una nuova
grande audacia missionaria. La Nuova evangelizzazione non può essere
desiderio di singoli, ma consapevolezza di tutta la Chiesa.
In questa
prospettiva è tutta la comunità che si fa evangelizzatrice.
È ormai tempo di liberarci da un certo individualismo e iniziare a
coltivare uno spirito di collaborazione, di comunione che ci faccia
sentire responsabili le une delle altre.
È
compito di noi religiose essere esperte di comunione, dove uomini e
donne di età, culture e sensibilità diverse si integrano in comunità,
come la prima comunità cristiana e, tenendo tutto in comune, sono un
cuor solo e un’anima sola. Questa nuova forma di relazione produce
quelle minoranze creative che incarnano un modello culturale
alternativo al modello dominante. Nella capacità, di mostrare la
radicalità evangelica e di testimoniarla nella gioia dei suoi membri,
nella semplicità della vita, nella fraternità delle sue comunità e nella
generosa donazione agli altri, si gioca tutta la vita religiosa.
Coltivare il desiderio di dare testimonianza della propria fede
per ciò
si
richiede anzitutto che si faccia profonda esperienza di Dio.
E il primo contributo che siamo chiamate ad offrire al mondo è proprio
quello di dare ad esso Dio. La nostra prima grande missione è stata e
deve essere quella di testimoniare Dio. Si tratta di coniugare
l'inscindibile rapporto nel cristianesimo tra “contenuto” di fede e
“modalità” di procedere e di situarsi nell'esistenza. L'uomo
contemporaneo è particolarmente sensibile a questo rapporto ermeneutico
tra contenuto e stile. Questo dato di fatto è stato stigmatizzato in
un'osservazione di Paolo VI: “L'uomo contemporaneo ascolta più
volentieri i testimoni che i maestri, o, se ascolta i maestri, lo fa
perché sono dei testimoni”. È la sfida per noi, oggi, presentare il
“cristianesimo come stile” e aiutare la teologia perché diventi un “modo
di fare a servizio di questo stile”
Essere icone
dell’umanità della fede,
privilegiando la trasmissione della fede attraverso la mediazione di
rapporti umani veri, stabili, che possano veicolare valori come la
fedeltà, il rispetto, la capacità di critica e autocritica.
La strada da seguire
è quella che si inserisce laddove si trovano gli uomini e le donne più
poveri, di qualsiasi tipo gli emarginati o coloro che sono privati della
loro dignità e dei loro diritti, per poter, insieme, collaborare alla
costruzione della civiltà dell’amore.
C’è in atto (almeno
in Europa) un qualche rinnovamento dei nostri Istituti tramite un
complesso processo di ristrutturazione delle opere, di ridisegno delle
presenze e di ricollocazione delle comunità. Tutto ciò inteso non come
un fatto amministrativo imprescindibile, ma come una conversione
personale e pastorale, convinti che non si tratta di sopravvivenza ma di
profezia.
Possiamo allora chiederci cosa è importante per noi. Quali scelte e
quali priorità ci chiede questo momento storico. Quali presupposti si
possono creare per un fecondo e sano percorso di nuova evangelizzazione…
il discorso diventa molto ampio e domanda profondità.
Ci
deve stare a cuore non tanto salvare le nostre singole comunità, quanto
di portare avanti ciò in cui abbiamo creduto.
È necessario uno sguardo ampio, un cuore dilatato per non fermarsi alla
propria piccola realtà. Dunque, quali donne e religiose di oggi,
pienamente immerse nell’attuale cultura, possiamo farci compagne nel
cercare il senso e la verità dell’esistere. Crediamo che i nostri luoghi
di vita sia pur segnati da debolezza e fragilità, se vissuti con
consapevolezza e in modo costruttivo, possano diventare luoghi di
profezia per indicare all’uomo una via d’uscita. In particolare,
dobbiamo liberarci dalle tante illusioni che ci portano inevitabilmente
a giudicare la realtà più che a viverla, a cercare di trasformarla più
che ad assumerla nella sua ambivalenza.
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