Vivere l'iter di un processo
di canonizzazione
 
nelle parole di M. Silvianita Galimberti

a cura di Biancarosa Magliano

     (19 settembre 2012)

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Negli Istituti religiosi si vivono a volte momenti o periodi molto forti e particolarmente coinvolgenti. Ciò succede anche quando in essi viene iniziato l’iter del processo di beatificazione-canonizzazione di uno dei suoi membri. L’Istituto delle Suore di Maria Consolatrice vive dal 1998 questo particolare momento. L’attuale loro superiora generale M. Silvianita Galimberti ha vissuto e vi partecipa attivamente, con vera giustificata passione anche per i vari ministeri che ella è stata chiamata a compiere all’interno dell’Istituto stesso: superiora provinciale dal 1985 al 1994; vicaria generale dal 1994 al 2006. Eletta superiora generale nel 2006 è stata rieletta per lo stesso servizio di recente, il 28 agosto c.a. A lei abbiamo posto alcune domande.

Come Istituto, sorto nel tardo ottocento, state vivendo l’iter del processo di beatificazione-canonizzazione del vostro Fondatore, p. Arsenio da Trigolo.

Può sintetizzare la storia e le finalità che si era prefisso p. Giuseppe Migliavacca nel dare inizio a un Istituto che, nel corso dei decenni, è stato particolarmente efficiente ed efficace nel campo pedagogico e pastorale?

Il nostro Fondatore, p. Giuseppe Migliavacca, in seguito divenuto p. Arsenio Maria da Trigolo, Cappuccino, iniziò il suo cammino con noi nel 1892, dopo aver dettato un corso di Esercizi spirituali al gruppo di giovani suore, riunite in Torino, al Martinetto, da una ex suora, Fumagalli Giuseppina (Cassano D’Adda, 18/09/1848), espulsa da una Congregazione francese ed approdata in Italia in abito religioso, con Nino e Albertina, due orfanelli da mantenere. Ella aveva pensato che il modo migliore per mantenersi fosse quello di ingaggiare delle giovani, vestirle da suore e mandarle alla questua con la scusa degli orfani. La sua strategia funzionava già dal 1885, con iniziale tacita approvazione dell’autorità ecclesiastica, ma nel 1890 avvenne la prima separazione delle giovani da lei reclutate che, sotto la protezione e guida di Don Francesco Bono, costituirono l’Istituto delle Suore del SS. Natale. Due anni dopo la Fumagalli aveva già ricostituito un nuovo gruppo di “sue suore”. Questa volta l’Arcivescovo di Torino, Mons. Davide dei Conti Riccardi, volendo fare chiarezza sul suo operato, ingiunse alla Fumagalli e alle suore un corso di Esercizi. Per questo ella chiamò a Torino p. Giuseppe Migliavacca, che aveva conosciuto sacerdote diocesano a Cassano D’Adda ed aveva contattato da gesuita a Venezia. Egli era andato a Torino il 25 aprile 1892, aveva dettato gli Esercizi alle suore e ne aveva dato relazione all’Arcivescovo, suggerendogli di affidare il gruppo alla guida di un sacerdote. L’Arcivescovo, ben sapendo che nessuno, in diocesi avrebbe accettato tale incarico, lo invitò a restare ed a prendersene cura altrimenti, l’indomani, avrebbe sciolto il gruppo.

P. Giuseppe Migliavacca, gesuita per 18 anni e dal mese di marzo dimesso, contro sua volontà, dalla Compagnia, era abituato a leggere gli avvenimenti come Volontà di Dio su di lui, decise in cuor suo che questa “nuova strada” era quella che doveva imboccare in obbedienza alla Chiesa e restò con le suore tra le quali ben tre erano state sue figlie spirituali a Venezia.

In umiltà e verità si pose accanto alle suore mettendosi in ascolto di quanto lo Spirito aveva già indicato come il “dono” specifico loro affidato: non solo attendere alla propria santificazione con la divina grazia, ma, con la stessa, impiegarsi con ogni studio per il bene, la salvezza e la perfezione dei prossimi, attendendo in obbedienza e carità alle opere di misericordia sia spirituali che corporali specialmente verso i più bisognosi.

Profondamente impregnato dello spirito di sant’Ignazio, p. Giuseppe Migliavacca trasfuse nelle Costituzioni e Regole del nascente Istituto, che tra il dicembre ‘82 e il gennaio ‘83 era riuscito a staccarsi dalla Fumagalli, lo spirito ignaziano come era presentato nelle Regole del Sommario della Compagnia. Egli le educò ad accogliere ogni impegno apostolico nell’obbedienza e ad impegnarvisi con “amore operativo” dando il meglio di sé, ma tenendo come fine di essere, vivere ed operare sempre e dovunque “alla maggior Gloria di Dio”, in umiltà, carità e semplicità.

Alle Costituzioni, il Fondatore aggiunse, accompagnando le suore nel loro crescere, le Regole proprie di ogni settore, delineando lo spessore spirituale e lo stile di vita della Suora di Maria Consolatrice. Espressioni come «donne di cuore retto e ben fatto», «donne padrone di se stesse, non iraconde né impetuose, ma posate di gran sacrificio» che precedano «con l’esempio», che «sappiano correggere, insegnare e non tacere… con fermezza e soavità», una maternità spirituale che richiede «amore, cura, sacrificio, sorveglianza, prudenza, prevenzione» sono entrate profondamente nel cuore delle suore di Maria SS. Consolatrice, come eredità da lui vissuta nei dieci anni in cui ci ha guidate con pazienza infinita, con cuore paterno e materno insieme, ben sapendo che solo «coi piccoli passi continuati si fa del gran cammino»

Ma il testamento spirituale che oggi ci stimola nel cammino di fede è contenuto nelle sue ultime lettere (4 da Fondatore, 4 da Cappuccino).

Nei fogli ingialliti leggiamo espressioni che grondano sapienza: «Tu cerca di farti coraggio, e tirar dritto; il carattere si vince e once a once, ma pur si vince, quindi coraggio: umiltà, carità, preghiera, ecco il modo di vincerti, e coraggio, mai abbattimento»; «Egli sa quello che più conviene al nostro profitto spirituale. Alcuni li guida con molti lumi, alcuni con più pochi: in questo lasciamo fare a lui»; «lasciamoci lavorare da lui. Offriamoci spesso a lui fra giorno e preghiamolo che faccia di noi quello che è di sua maggior gloria, a fidiamoci tutti in lui con pace e tranquillità, contentandoci di quel grado di perfezione a cui Egli ci guida. Egli fa il nostro meglio», «…pensa che senza Gesù non possiamo proprio nulla e con Gesù possiamo tutto, tutto, perché lui è sempre pronto ad aiutare che l’invoca, fosse anche il più gran peccatore».

Questa preziosa eredità, insieme alla “Somma o scopo” che ci invita a divenire «Persone crocifisse al mondo… Persone nuove… spogliate di sé per essere rivestite dello spirito di Gesù Cristo…» hanno sostenuto e sostengono oggi ancora di più, il nostro “divenire trasparenza dell’amore misericordioso di cui Dio ci ricolma perché ne trabocchiamo sui fratelli”.

Cosa significa questo vostro particolare momento per tutte voi?

Dal 1982, anno in cui abbiamo avuto fra le mani le Costituzioni rinnovate ed imbevute dei suoi Insegnamenti, p. Arsenio, come ormai lo chiamiamo tutti, è andato penetrando nel nostro cuore con una luce ed una forza sempre crescente. Oggi possiamo attingere con maggiore facilità ai suoi scritti: prediche, istruzioni, discorsi, ma soprattutto appunti stilati per sé nei suoi Esercizi spirituali. Tutto di Lui ci pare fresco, attuale, ed è un richiamo continuo alla sanità sulla scia dei suoi passi verso una sempre più vera assimilazione a Cristo.

L’attesa a cui siamo “costrette” ormai da più di dieci anni, a partire dalla chiusura dell’Inchiesta diocesana, ci pone nell’umiltà di riconoscere che, per troppo tempo, il nostro Fondatore è stato lasciato nell’ombra: una sorta di limbo storico in cui la sua figura non era bene delineata e chiarita, per la mancanza di documentazione sui vari passaggi della sua vita. Ma, nello stesso tempo, e molto più fortemente, questa attesa acuisce in noi il desiderio di conoscerlo sempre di più, di renderci familiare la sua vicenda terrena e l’esempio che ci ha lasciato, per camminare nella vita di fede e nell’apostolato secondo i suoi Insegnamenti.

 

Con quali iniziative vengono coinvolte le singole persone e le comunità?

Il mezzo di diffusione della conoscenza del nostro Fondatore è il mensile, “Informativo sul Servo di Dio p. Arsenio da Trigolo”, iniziato nel 1995 e tuttora stampato in circa 9.000 copie. In questi anni la sua diffusione è stata rapida in Italia e all’estero. I Padri Cappuccini della Provincia Lombarda, a loro volta, hanno inserito in internet un sito dedicato a Padre Arsenio, di cui oggi possiamo attestare che è divenuto un “santo” dalla potente intercessione soprattutto a favore di maternità a rischio risolte in bellezza, famiglie, lavoro, malattie, problemi spirituali. La prima “grazia speciale” notificata nella nostra storia, oltre a quelle più antiche certificate dalle suore, risale 1928, ed è stata testimoniata nell’Inchiesta diocesana dalla stessa persona che l’ha ricevuta. L’Informativo è anche il mezzo che sostiene la preghiera di tutti, devoti e Comunità religiose: ogni sera le suore di tutte le Comunità ci riuniamo in preghiera per chi ne ha fatto richiesta, invitando anche i devoti ad unirsi a noi.

Abbiamo celebrato il Centenario della morte di p. Arsenio, che provvidenzialmente è caduto in concomitanza con l’Anno Paolino, riflettendo, attraverso le Circolari, su il «Cammino spirituale con San Paolo e Padre Arsenio: catechesi sull’Amore» e pellegrinando sui luoghi della sua vita negli anniversari più salienti.

 

Quali sono state le più forti difficoltà di tutto il percorso?

Il lavoro di ricerca dei documenti per chiarire i molti punti rimasti oscuri della sua vicenda terrena. In questo siamo state favorite dall’apporto prezioso di un sacerdote gesuita che, da alcuni anni seguiva spiritualmente la Congregazione con Esercizi e corsi di formazione. Egli, avendo più facile accesso agli archivi della Compagnia, ha finalmente colmato una lacuna lunga 18 anni, della vita del nostro Fondatore. 

La ricerca è stata lunga e minuziosa, poiché, essendo una causa antica, e mancando testimonianze de visu, era necessario fornire testimonianza indirette ma certe, spulciando da Verbali, Diari delle Case, Cataloghi …

La vita del Fondatore è stata definita dal compianto Card. Carlo Maria Martini, nel discorso di apertura dell’Inchiesta diocesana a Milano (1998), come «…una vita quasi romanzesca, una vita che non si immagina, in cui ci sono sempre pagine nuove, nuove vicende, nuove svolte drammatiche, traumatiche…», in cui «ci furono umiliazioni, accuse di imprudenza, perdite di stima da parte dei superiori, l’uscita dalla Compagnia di Gesù, il provvedimento del Beato Cardinal Ferrari, e quindi, alla fine, la scelta di una vita di nascondimento e di macerazione, di preghiera e di aspra penitenza», tra i Cappuccini.

La santità di Padre Arsenio è definita dalla sua «capacità di stare con Dio nel segreto … il silenzio mantenuto per tutta la vita su ciò che gli era successo».

 

I laici che, nel vostro istituto, in fedeltà al cammino ecclesiale, sono molto valorizzati, come vengono stimolati ad una partecipazione effettiva e affettiva?

È ormai consuetudine affermata celebrare la memoria di padre Arsenio il 10 dicembre, con una solenne celebrazione nella chiesa della Casa Madre in Milano, via Melchiorre Gioia, dove sono custodite le sue spoglie, ed anche in tutte le nostre realtà apostoliche. Vi partecipano tutti, genitori, alunni, insegnanti, parrocchiani, ospiti ed amici.

In altre occasioni vengono organizzati pellegrinaggi sulla tomba, ma è frequente vedere persone singole che pregano e scrivono, sul quaderno messo a disposizione lì accanto, una richiesta, un grazie, una lode.

Oggi possiamo dire che anche i laici nostri collaboratori conoscono la vita di Padre Arsenio. In Costa d’Avorio, presso il Noviziato e il Santuario Maria Consolatrice, si è costituito una gruppo di persone che hanno chiesto e deciso di vivere la nostra spiritualità, dandosi il nome di “Levain d’Afrique” (Lievito d’Africa). 

 

La vostra presenza all’estero è particolarmente significativa in Paesi dell’Africa e in Brasile. Cosa significa questa presenza per il vostro istituto?

La missione ad gentes nel nostro Istituto ha conosciuto molte avversità: si era aperta nel 1936 in Cina, nella regione dell’Honan a Kaifeng, ma si è chiusa con la rivoluzione rossa; la stessa sorte ha avuto la missione in Libia, aperta nel 1939 e chiusa nel 1970 sotto il colpo di stato di quell’anno. È ripresa nel 1977 con un primo gruppetto di missionarie inviate in Costa d’Avorio, a Guiglo nella Diocesi di Man. Dalla Costa d’Avorio si è passate anche la Burkina Faso ed oggi è ormai consolidata la Provincia d’Africa con Noviziato proprio. Dal 1993 abbiamo una Comunità in Brasile, a Foz do Iguaçu che lavora in stretta collaborazione con i Figli dell’Immacolata di Padre Monti, con ci è stata istituita la Società Civile “Nossa Senhora Aparecida” per un progetto di formazione umana integrale a favore di bambini e adolescenti delle favelas e un poliambulatorio che fornisce diversi servizi.

Nel nostro istituto, che in Italia soffre per la mancanza di nuove vocazioni, sa che l’espandersi del carisma in altre terre è un dono dello Spirito e ne gioisce arricchendosi di nuovi aspetti di “amore operativo” impensati.

 

Il prossimo 11 ottobre avrà pubblicamente ed ufficialmente inizio l’anno della fede indetto da Benedetto XVI con il motu proprio LA PORTA DELLA FEDE. “Attraversare quella porta – ha scritto il papa - comporta immettersi in un cammino che dura tutta la vita”. Ci dice una sua ‘parola’ che serva non soltanto al suo istituto, ma a tutta la vita religiosa presente in Italia e fuori di essa?

«Signore, io credo, ma aumenta la mia fede!», è l’invocazione che sgorga spontanea all’inizio dell’Anno della fede. Io credo, noi crediamo perché abbiamo impresso nel nostro essere, cuore, mente, affetti, il sigillo dell’Amore del Padre, che ci fa “figli” nel Figlio suo, Gesù Cristo. La fede è un tuffo nell’immensità trinitaria, un circolare vorticosamente nell’Amore che fa del Padre e del Figlio una cosa sola.

In questo vortice d’amore non c’è posto che per la gioia e la pienezza di vita.

Gratuitamente ci è stata data la fede, gratuitamente siamo state incontrate dal Cristo Crocifisso Risorto. Siamo vive e redente dal Suo sangue prezioso, rese nuove dalla sua morte e nella sua risurrezione.

Ora siamo custodi e cultori, responsabili di lasciare che in noi la fede germogli e cresca fino alla sua pienezza tanto da divenire in noi una sorgente, che colmi a dismisura la “conca” che siamo e ne trabocchi nel servizio di amore ai fratelli.

Abbiamo davanti a noi un anno in cui, con la pazienza del contadino del vangelo, possiamo scavare tutto attorno al nostro cuore e alla nostra vita, per fare spazio alla grazia, così sarà reso più fecondo e più rigoglioso l’albero dal quale il Signore Gesù potrà cogliere “frutti di fede”.

 

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