|
|
|
|
Negli Istituti
religiosi si vivono a volte momenti o periodi molto forti e
particolarmente coinvolgenti. Ciò succede anche quando in essi viene
iniziato l’iter del processo di beatificazione-canonizzazione di uno dei
suoi membri. L’Istituto delle Suore di Maria Consolatrice vive dal 1998
questo particolare momento. L’attuale loro superiora generale M. Silvianita Galimberti ha vissuto e vi partecipa attivamente, con vera
giustificata passione anche per i vari ministeri che ella è stata
chiamata a compiere all’interno dell’Istituto stesso: superiora
provinciale dal 1985 al 1994; vicaria generale dal 1994 al 2006. Eletta
superiora generale nel 2006 è stata rieletta per lo stesso servizio di
recente, il 28 agosto c.a. A lei abbiamo posto alcune domande.
Come
Istituto, sorto nel tardo ottocento, state vivendo l’iter del processo
di beatificazione-canonizzazione del vostro Fondatore, p. Arsenio da
Trigolo.
Può sintetizzare la storia e le finalità che si era
prefisso p. Giuseppe Migliavacca nel dare inizio a un Istituto che, nel
corso dei decenni, è stato particolarmente efficiente ed efficace nel
campo pedagogico e pastorale?
Il nostro Fondatore,
p. Giuseppe Migliavacca, in seguito divenuto p. Arsenio Maria da
Trigolo, Cappuccino, iniziò il suo cammino con noi nel 1892, dopo aver
dettato un corso di Esercizi spirituali al gruppo di giovani suore,
riunite in Torino, al Martinetto, da una ex suora, Fumagalli Giuseppina
(Cassano D’Adda, 18/09/1848), espulsa da una Congregazione francese ed
approdata in Italia in abito religioso, con Nino e Albertina, due
orfanelli da mantenere. Ella aveva pensato che il modo migliore per
mantenersi fosse quello di ingaggiare delle giovani, vestirle da suore e
mandarle alla questua con la scusa degli orfani. La sua strategia
funzionava già dal 1885, con iniziale tacita approvazione dell’autorità
ecclesiastica, ma nel 1890 avvenne la prima separazione delle giovani da
lei reclutate che, sotto la protezione e guida di Don Francesco Bono,
costituirono l’Istituto delle Suore del SS. Natale. Due anni dopo la
Fumagalli aveva già ricostituito un nuovo gruppo di “sue suore”. Questa
volta l’Arcivescovo di Torino, Mons. Davide dei Conti Riccardi, volendo
fare chiarezza sul suo operato, ingiunse alla Fumagalli e alle suore un
corso di Esercizi. Per questo ella chiamò a Torino p. Giuseppe
Migliavacca, che aveva conosciuto sacerdote diocesano a Cassano D’Adda
ed aveva contattato da gesuita a Venezia. Egli era andato a Torino il 25
aprile 1892, aveva dettato gli Esercizi alle suore e ne aveva dato
relazione all’Arcivescovo, suggerendogli di affidare il gruppo alla
guida di un sacerdote. L’Arcivescovo, ben sapendo che nessuno, in
diocesi avrebbe accettato tale incarico, lo invitò a restare ed a
prendersene cura altrimenti, l’indomani, avrebbe sciolto il gruppo.
P. Giuseppe
Migliavacca, gesuita per 18 anni e dal mese di marzo dimesso, contro sua
volontà, dalla Compagnia, era abituato a leggere gli avvenimenti come
Volontà di Dio su di lui, decise in cuor suo che questa “nuova strada”
era quella che doveva imboccare in obbedienza alla Chiesa e restò con le
suore tra le quali ben tre erano state sue figlie spirituali a Venezia.
In umiltà e verità si
pose accanto alle suore mettendosi in ascolto di quanto lo Spirito aveva
già indicato come il “dono” specifico loro affidato: non solo
attendere alla propria santificazione con la divina grazia, ma, con la
stessa, impiegarsi con ogni studio per il bene, la salvezza e la
perfezione dei prossimi, attendendo in obbedienza e carità alle opere di
misericordia sia spirituali che corporali specialmente verso i più
bisognosi.
Profondamente
impregnato dello spirito di sant’Ignazio, p. Giuseppe Migliavacca
trasfuse nelle Costituzioni e Regole del nascente Istituto, che tra il
dicembre ‘82 e il gennaio ‘83 era riuscito a staccarsi dalla Fumagalli,
lo spirito ignaziano come era presentato nelle Regole del Sommario della
Compagnia. Egli le educò ad accogliere ogni impegno apostolico
nell’obbedienza e ad impegnarvisi con “amore operativo” dando il meglio
di sé, ma tenendo come fine di essere, vivere ed operare sempre e
dovunque “alla maggior Gloria di Dio”, in umiltà, carità e semplicità.
Alle Costituzioni, il
Fondatore aggiunse, accompagnando le suore nel loro crescere, le Regole
proprie di ogni settore, delineando lo spessore spirituale e lo stile di
vita della Suora di Maria Consolatrice. Espressioni come «donne di
cuore retto e ben fatto», «donne padrone di se stesse, non
iraconde né impetuose, ma posate di gran sacrificio» che precedano
«con l’esempio», che «sappiano correggere, insegnare e non tacere…
con fermezza e soavità», una maternità spirituale che richiede
«amore, cura, sacrificio, sorveglianza, prudenza, prevenzione» sono
entrate profondamente nel cuore delle suore di Maria SS. Consolatrice,
come eredità da lui vissuta nei dieci anni in cui ci ha guidate con
pazienza infinita, con cuore paterno e materno insieme, ben sapendo che
solo «coi piccoli passi continuati si fa del gran cammino».
Ma il testamento
spirituale che oggi ci stimola nel cammino di fede è contenuto nelle sue
ultime lettere (4 da Fondatore, 4 da Cappuccino).
Nei fogli ingialliti
leggiamo espressioni che grondano sapienza: «Tu cerca di farti
coraggio, e tirar dritto; il carattere si vince e once a once, ma pur si
vince, quindi coraggio: umiltà, carità, preghiera, ecco il modo di
vincerti, e coraggio, mai abbattimento»; «Egli sa quello che più
conviene al nostro profitto spirituale. Alcuni li guida con molti lumi,
alcuni con più pochi: in questo lasciamo fare a lui»; «lasciamoci
lavorare da lui. Offriamoci spesso a lui fra giorno e preghiamolo che
faccia di noi quello che è di sua maggior gloria, a fidiamoci tutti in
lui con pace e tranquillità, contentandoci di quel grado di perfezione a
cui Egli ci guida. Egli fa il nostro meglio», «…pensa che senza
Gesù non possiamo proprio nulla e con Gesù possiamo tutto, tutto, perché
lui è sempre pronto ad aiutare che l’invoca, fosse anche il più gran
peccatore».
Questa preziosa
eredità, insieme alla “Somma o scopo” che ci invita a divenire
«Persone crocifisse al mondo… Persone nuove… spogliate di sé per essere
rivestite dello spirito di Gesù Cristo…» hanno sostenuto e
sostengono oggi ancora di più, il nostro “divenire trasparenza
dell’amore misericordioso di cui Dio ci ricolma perché ne trabocchiamo
sui fratelli”.
Cosa significa questo vostro particolare momento per
tutte voi?
Dal 1982, anno in cui
abbiamo avuto fra le mani le Costituzioni rinnovate ed imbevute dei suoi
Insegnamenti, p. Arsenio, come ormai lo chiamiamo tutti, è andato
penetrando nel nostro cuore con una luce ed una forza sempre crescente.
Oggi possiamo attingere con maggiore facilità ai suoi scritti: prediche,
istruzioni, discorsi, ma soprattutto appunti stilati per sé nei suoi
Esercizi spirituali. Tutto di Lui ci pare fresco, attuale, ed è un
richiamo continuo alla sanità sulla scia dei suoi passi verso una sempre
più vera assimilazione a Cristo.
L’attesa a cui siamo
“costrette” ormai da più di dieci anni, a partire dalla chiusura
dell’Inchiesta diocesana, ci pone nell’umiltà di riconoscere che, per
troppo tempo, il nostro Fondatore è stato lasciato nell’ombra: una sorta
di limbo storico in cui la sua figura non era bene delineata e chiarita,
per la mancanza di documentazione sui vari passaggi della sua vita. Ma,
nello stesso tempo, e molto più fortemente, questa attesa acuisce in noi
il desiderio di conoscerlo sempre di più, di renderci familiare la sua
vicenda terrena e l’esempio che ci ha lasciato, per camminare nella vita
di fede e nell’apostolato secondo i suoi Insegnamenti.
Con
quali iniziative vengono coinvolte le singole persone e le comunità?
Il mezzo di diffusione della conoscenza del nostro
Fondatore è il mensile, “Informativo sul Servo di Dio p. Arsenio da
Trigolo”, iniziato nel 1995 e tuttora stampato in circa 9.000 copie. In
questi anni la sua diffusione è stata rapida in Italia e all’estero. I
Padri Cappuccini della Provincia Lombarda, a loro volta, hanno inserito
in internet un sito dedicato a Padre Arsenio, di cui oggi possiamo
attestare che è divenuto un “santo” dalla potente intercessione
soprattutto a favore di maternità a rischio risolte in bellezza,
famiglie, lavoro, malattie, problemi spirituali. La prima “grazia
speciale” notificata nella nostra storia, oltre a quelle più antiche
certificate dalle suore, risale 1928, ed è stata testimoniata
nell’Inchiesta diocesana dalla stessa persona che l’ha ricevuta.
L’Informativo è anche il mezzo che sostiene la preghiera di tutti,
devoti e Comunità religiose: ogni sera le suore di tutte le Comunità ci
riuniamo in preghiera per chi ne ha fatto richiesta, invitando anche i
devoti ad unirsi a noi.
Abbiamo celebrato il Centenario della morte di p. Arsenio,
che provvidenzialmente è caduto in concomitanza con l’Anno Paolino,
riflettendo, attraverso le Circolari, su il «Cammino spirituale con San
Paolo e Padre Arsenio: catechesi sull’Amore» e pellegrinando sui luoghi
della sua vita negli anniversari più salienti.
Quali
sono state le più forti difficoltà di tutto il percorso?
Il lavoro di ricerca dei documenti per chiarire i molti
punti rimasti oscuri della sua vicenda terrena. In questo siamo state
favorite dall’apporto prezioso di un sacerdote gesuita che, da alcuni
anni seguiva spiritualmente la Congregazione con Esercizi e corsi di
formazione. Egli, avendo più facile accesso agli archivi della
Compagnia, ha finalmente colmato una lacuna lunga 18 anni, della vita
del nostro Fondatore.
La ricerca è stata
lunga e minuziosa, poiché, essendo una causa antica, e mancando
testimonianze de visu, era necessario fornire testimonianza
indirette ma certe, spulciando da Verbali, Diari delle Case, Cataloghi …
La vita del Fondatore
è stata definita dal compianto Card. Carlo Maria Martini, nel discorso
di apertura dell’Inchiesta diocesana a Milano (1998), come
«…una vita quasi
romanzesca, una vita che non si immagina, in cui ci sono sempre pagine
nuove, nuove vicende, nuove svolte drammatiche, traumatiche…»,
in cui «ci furono umiliazioni, accuse di imprudenza, perdite di stima da parte
dei superiori, l’uscita dalla Compagnia di Gesù, il provvedimento del
Beato Cardinal Ferrari, e quindi, alla fine, la scelta di una vita di
nascondimento e di macerazione, di preghiera e di aspra penitenza»,
tra i Cappuccini.
La santità di
Padre Arsenio è definita dalla sua «capacità
di stare con Dio nel segreto … il silenzio mantenuto per tutta la vita
su ciò che gli era successo».
I laici
che, nel vostro istituto, in fedeltà al cammino ecclesiale, sono molto
valorizzati, come vengono stimolati ad una partecipazione effettiva e
affettiva?
È ormai consuetudine affermata celebrare la memoria di
padre Arsenio il 10 dicembre, con una solenne celebrazione nella chiesa
della Casa Madre in Milano, via Melchiorre Gioia, dove sono custodite le
sue spoglie, ed anche in tutte le nostre realtà apostoliche. Vi
partecipano tutti, genitori, alunni, insegnanti, parrocchiani, ospiti ed
amici.
In altre occasioni vengono organizzati pellegrinaggi sulla
tomba, ma è frequente vedere persone singole che pregano e scrivono, sul
quaderno messo a disposizione lì accanto, una richiesta, un grazie, una
lode.
Oggi possiamo dire che anche i laici nostri collaboratori
conoscono la vita di Padre Arsenio. In Costa d’Avorio, presso il
Noviziato e il Santuario Maria Consolatrice, si è costituito una gruppo
di persone che hanno chiesto e deciso di vivere la nostra spiritualità,
dandosi il nome di “Levain d’Afrique” (Lievito d’Africa).
La
vostra presenza all’estero è particolarmente significativa in Paesi
dell’Africa e in Brasile. Cosa significa questa presenza per il vostro
istituto?
La missione ad gentes nel nostro Istituto ha
conosciuto molte avversità: si era aperta nel 1936 in Cina, nella
regione dell’Honan a Kaifeng, ma si è chiusa con la rivoluzione rossa;
la stessa sorte ha avuto la missione in Libia, aperta nel 1939 e chiusa
nel 1970 sotto il colpo di stato di quell’anno. È ripresa nel 1977 con
un primo gruppetto di missionarie inviate in Costa d’Avorio, a Guiglo
nella Diocesi di Man. Dalla Costa d’Avorio si è passate anche la Burkina
Faso ed oggi è ormai consolidata la Provincia d’Africa con Noviziato
proprio. Dal 1993 abbiamo una Comunità in Brasile, a Foz do Iguaçu che
lavora in stretta collaborazione con i Figli dell’Immacolata di Padre
Monti, con ci è stata istituita la Società Civile “Nossa Senhora
Aparecida” per un progetto di formazione umana integrale a favore di
bambini e adolescenti delle favelas e un poliambulatorio che fornisce
diversi servizi.
Nel nostro istituto, che in Italia soffre per la mancanza
di nuove vocazioni, sa che l’espandersi del carisma in altre terre è un
dono dello Spirito e ne gioisce arricchendosi di nuovi aspetti di “amore
operativo” impensati.
Il prossimo 11
ottobre avrà pubblicamente ed ufficialmente inizio l’anno della fede
indetto da Benedetto XVI con il motu proprio LA PORTA DELLA FEDE.
“Attraversare quella porta – ha scritto il papa - comporta immettersi in
un cammino che dura tutta la vita”. Ci dice una sua ‘parola’ che serva
non soltanto al suo istituto, ma a tutta la vita religiosa presente in
Italia e fuori di essa?
«Signore, io credo, ma aumenta la mia fede!», è
l’invocazione che sgorga spontanea all’inizio dell’Anno della fede. Io
credo, noi crediamo perché abbiamo impresso nel nostro essere, cuore,
mente, affetti, il sigillo dell’Amore del Padre, che ci fa “figli” nel
Figlio suo, Gesù Cristo. La fede è un tuffo nell’immensità trinitaria,
un circolare vorticosamente nell’Amore che fa del Padre e del Figlio una
cosa sola.
In questo vortice d’amore non c’è posto che per la gioia e
la pienezza di vita.
Gratuitamente ci è stata data la fede, gratuitamente siamo
state incontrate dal Cristo Crocifisso Risorto. Siamo vive e redente dal
Suo sangue prezioso, rese nuove dalla sua morte e nella sua
risurrezione.
Ora siamo custodi e cultori, responsabili di lasciare che
in noi la fede germogli e cresca fino alla sua pienezza tanto da
divenire in noi una sorgente, che colmi a dismisura la “conca” che siamo
e ne trabocchi nel servizio di amore ai fratelli.
Abbiamo davanti a noi un anno in cui, con la pazienza del
contadino del vangelo, possiamo scavare tutto attorno al nostro cuore e
alla nostra vita, per fare spazio alla grazia, così sarà reso più
fecondo e più rigoglioso l’albero dal quale il Signore Gesù potrà
cogliere “frutti di fede”.
Condividi su:
|