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Nel
corso del
2011
assume anche la presidenza della Conferenza episcopale libanese e del
Consiglio dei patriarchi cattolici orientali. Papa Benedetto XVI lo ha
innalzato alla dignità cardinalizia nel concistoro del
24 novembre
2012.
Il 15 marzo 2011 i vescovi maroniti, riuniti a Bkerké (nei pressi di
Beirut), la sede del Patriarcato, hanno eletto Béchara Raï, vescovo di
Jbeil, Byblos dei Maroniti, nuovo patriarca di Antiochia dei Maroniti.
Sua
beatitudine Béchara Boutros Raï, 72 anni, ordinato sacerdote nel 1967 e
diventato vescovo nel 1986, conosce bene Roma e il Vaticano, in quanto
qui ha studiato, presso il Pontificio Collegio Maronita, e qui, per
anni, anche in qualità di membro del Pontificio Consiglio delle
Comunicazioni sociali, è stato il responsabile del programma arabo della
Radio Vaticana. Sua beatitudine Béchara Raï succede a Nasrallah Pierre
Sfeir, che lo scorso febbraio, a novant’anni, ha dato le dimissioni. Il
14 aprile 2011, ricevendo in udienza il nuovo patriarca, Benedetto XVI
ha concesso la
ecclesiastica
communio.
Lo abbiamo intervistato in occasione del concistoro del 24 novembre
scorso.
Il
futuro della Chiesa in Libano?
“Nel mio Paese
la Chiesa è molto
forte ed è radicata. Dispone di una presenza numericamente consistente
sia come comunità che come organizzazioni sociali e istituzioni
sanitarie ed educative. È una presenza stimata e benvoluta per le sue
attività, ma non solo. Tanto più adesso che, - con l’esortazione
apostolica Ecclesia in Medio Oriente che si va ad aggiungere
all’altra Nuova speranza per il Libano - si è data un nuovo
slancio per andare avanti anche alla luce della sua collaborazione con
le Chiese del Medio Oriente. Ci auguriamo di poter essere veramente
l’aurora della primavera araba. Personalmente spero che l’aurora
cristiana, ecclesiale sia nel futuro la via per la primavera araba e che
possa spazzare via la violenza e il terrorismo. Desideriamo ringraziare
il Santo Padre per la sua recente visita in Libano che ha dato una nuova
spinta al Paese e alla Chiesa e per avermi concesso la dignità
cardinalizia con la quale ha voluto esprimere la sua speranza e le sue
attese per la Chiesa
libanese”.
L’anno
della fede che stiamo vivendo come la interpella, in quanto uomo di
Chiesa?
“Prima di tutto, il Papa ha già reso noto che l’anno della
fede è intimamente legato a due eventi: il primo è il Concilio Ecumenico
Vaticano II. Il che significa ritornare alle sorgenti dell’insegnamento
del Vaticano II con tutta la sua ricchezza, che il beato Giovanni Paolo
II definì ‘la primavera della Chiesa’. Se guardiamo a questi
cinquant’anni ci rendiamo conto quanto ci ha arricchito di cose nuove.
L’anno della fede è un ritorno all’insegnamento conciliare per essere in
una primavera continua. L’altro evento è la 13.ma Assemblea generale
ordinaria del Sinodo dei vescovi che si è svolta da poco in Vaticano su
la nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana.
L’anno della fede è legato alla nuova evangelizzazione che ci impone
fervore nuovo, stile nuovo e tecnica nuova per poter ricreare la fede
cristiana, consolidarla, nutrirla perché possiamo noi cristiani,
specialmente in Medio Oriente, testimoniare in concreto i nostri valori.
Difatti, l’anno della fede ci fa ricordare che i cristiani - in Medio
Oriente - sono presenti già da duemila anni, ben quattrocento anni prima
dei musulmani. Quindi, hanno dato l’impronta dei valori del Vangelo e
della cultura cristiana alla cultura locale. Ragion per cui i cristiani
dovrebbero considerare alla luce dell’anno della fede la loro presenza
come imprescindibile nell’area. La loro ragion d’essere è testimoniare
la Buona
Novella a tutti, facendosene interpreti ed essendo eco della salvezza del
mondo attraverso il messaggio cristiano. Così io interpreto l’anno della
fede. Per noi è un anno provvidenziale in questo momento tragico e
critico per il Medio Oriente.”
Cos’è
per lei la fede in un momento così difficile, in riferimento agli
interrogativi posti da Papa Benedetto XVI nella catechesi del 24 ottobre
scorso?
“Difatti dicevo prima che non possiamo affrontare i
problemi sociali, politici, economici nei quali ci troviamo adesso se
non abbiamo una fede forte in Dio e nella Chiesa e nel piano salvifico.
La catechesi del Papa ci aiuta ad approfondire meglio il nostro valore
cristiano. essere cristiano, non è una questione passeggera; al
contrario assume per la persona che crede un aspetto molto importante
della sua vita. Noi lo sentiamo veramente in Medio Oriente; speriamo che
altrettanto sia per l’Occidente dove prevale il relativismo e il
consumismo sfrenato. È stata una decisione provvidenziale quella del
Papa di indire quest’anno della fede”.
Cosa
significa per lei che è stato creato cardinale nell’ultimo concistoro
essere un principe della Chiesa?
“La dignità cardinalizia viene aggiunta a quella
patriarcale ed è certamente un onore personale. Ma non si esaurisce qui
perché per me è una nuova spinta per andare avanti con fiducia e
continuare il mio ministero patriarcale in Oriente e in Libano e anche
nella diaspora dove abbiamo il nostro popolo. La dignità cardinalizia dà
più valore al mio ruolo, maggiore efficacia, maggior considerazione.
Quindi sono molto grato al Santo Padre per l’onore personale. Questo
aiuta non solo me, ma anche
la Chiesa maronita
alla quale appartengo e aiuta tutte le Chiese orientali. Così è stato,
infatti, interpretato dai patriarchi cattolici ortodossi che mi hanno
espresso le loro felicitazioni. Hanno sostenuto che rappresenta una
nuova spinta per la nostra comunione e testimonianza, che è poi il
titolo dell’esortazione apostolica. Mi sprona a dare di più, a lavorare
di più, e ad essere più globale, perché mi aiuta non solo a livello
della Chiesa orientale ma anche universale. Per me vorrei dire che sento
maggiore responsabilità attraverso questo onore; è la responsabilità che
il Santo Padre ha voluto esprimere veramente alla Chiesa libanese
rientrando dalla visita nel mio Paese dopo aver constatato la realtà
della Chiesa locale, il valore e la vivacità, la sua ricchezza. Vivacità
e ricchezza del popolo libanese e della società dove le diverse
confessioni religiose e culture vivono insieme formando un solo corpo.
Modello concreto di pluralismo nell’unità. Il Papa ha voluto crearmi
cardinale per dimostrare la sua stima e dare appunto spinta al ruolo del
Libano come tale e al ruolo della Chiesa. Sono cosciente di tutto
questo”.
Il
Libano rappresenta un esempio concreto di convivenza pacifica in un’area
infiammata come quella del Medio Oriente che non poco preoccupa la Santa
Sede alla luce dei tanti appelli del Papa.
“Difatti davanti a questa realtà ho scelto come motto
‘comunione e amore’ perché la società libanese e orientale così divisa
ha bisogno di comunione e di tornare all’unità con Dio e di vivere
l’unità tra tutti. Abbiamo bisogno di abbattere tutti i muri di
divisione e di contrasto tra noi, perché sono molte, e dovute alla
politica, al rancore e all’odio causati dal terrorismo, dalle guerre e
dal conflitto insolubile israelo-palestinese, israelo-arabo, dai
conflitti in Siria ed in Iraq. Abbiamo bisogno di molto amore e di
comunione. Proseguiamo consapevoli di tutto questo. Comunione e
amore sono parole accettate da tutti. Speriamo di poter arrivare
a questo. Le politiche internazionali, che sono basate su interessi
economici personali, stanno giocando una partita pesante in Medio
Oriente. Stiamo lavorando per chiarire ai popoli del mondo arabo che
dovrebbero essere più uniti e che possono ritagliarsi un ruolo di primo
piano sullo scacchiere internazionale”.
Un suo
auspicio per il Natale 2012?
“Il Natale è un ricordo della natività di Cristo, di Cristo
che si è fatto uomo. Mi piace ricordare s. Ambrogio che diceva che ‘Dio
si è fatto uomo perché l’uomo diventi Dio’. Il mio augurio e auspicio
che il Natale sia il nostro Natale personale e collettivo nel Signore”.
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