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The Terminal
Regia di Steven Spielberg

Produzione: Usa 2004

 L’opera del notissimo autore e maestro è divertente, intelligente, ‘per tutti’. “A servizio della comprensione tra i popoli” –  come invoca il tema della Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali quest’anno –  cui è dedicata la scelta dei tre film in questo numero della rivista.

L’eloquenza incisiva di alcuni titoli giornalistici che lo pubblicizzano ne danno una sintesi significativa. Il tema/messaggio: “Eccessiva paura terrorismo in Usa - Il Kennedy: aeroporto-microcosmo Americano”. Il soggetto: “The Terminal, storia vera di un clochard”. Lo stile/qualità: “Spielberg & Hanks stasera tra i Leoni”. • Infine il genere: “The Terminal: una favola nella terra di nessuno”.

Anche la valutazione pastorale esprime con chiarezza: “poetico, ma dentro una cornice ambientale fortemente realistica che si fa metafora del vero e del verosimile, metafora del nostro tempo. Cinema ad ampio respiro, si apre al senso della collettività, della fratellanza e si riallaccia alle molte storie di immigrati ... Da valorizzare su tematiche di: libertà, rapporto tra culture, politica e società.”
 

Il soggetto/racconto

Un uomo bloccato in aeroporto. Il suo paese non c’è più. E lui deve sopravvivere…! The Terminal è ispirato alla storia vera del profugo iraniano Meheran Nasseri, rimasto recluso per un anno in un’area dell’aeroporto Charles De Gaulle. ‘Liberato’ sceglie di rimanervi e ci vive da 16 anni.

Dopo l’uscita del film diventa famoso, riceve oltre 300 mila dollari dalla Dreamworks per i diritti cinematogafici della sua storia, ma dichiara che la sua vita non cambierà: gli bastano pochi euro al giorno per comperarsi ciò di cui vivere. Nel film  diventa ‘Viktor’ Navorsky, nome emblematico di un irresistibile, piacevolissimo Thom Hanks (vero protagonista della scena e dell’opera – due volte premio Oscar e pupillo indiscusso di Spielberg) che recita il ruolo di un immigrato. Un turista, il cui paese d’origine nell’Europa dell’Est, scompare per un colpo di stato, proprio mentre l’ignaro viaggiatore è in volo per New York. Con in mano un passaporto “della terra di nessuno”, Victor si ritrova al J. F. Kennedy International Airport come cittadino  non riconosciuto. Viene consegnato al responsabile della sicurezza che lo dichiara “inaccettabile” per gli USA. ‘Vittima di una falla del sistema’, per complicati regolamenti burocratici non può neppure tornare in patria. Dovrà rimanere recluso all’interno dell’area di transito internazionale, in attesa di un’autorizzazione legale per  raggiungere New York., dov’è diretto. Per non cedere allo smarrimento e alla solitudine negli immensi spazi del J. F. Kennedy - un set faraonico e alienante, fatto costruire da Spielberg su tre piani - imparerà progressivamente a scoprirlo e a viverci come in un habitat su misura, in cui l’intero aeroporto diventa ‘il mondo intero’. Un mondo ricco di umanità e disillusioni con cui entrerà garbatamente e ‘nobilmente’ in dialogo, solidarizzando con tutti, mentre la burocrazia si arrovella a vuoto per liberarsene. Un lieto fine a sorpresa e in controtendenza, corona il messaggio e la sua godibilità.
 

Per far pensare

a)       Sull’idea del film:

raccontare lo spaesamento e le “ricchezze-risorse” di un protagonista ignaro, improvvisamente ‘sradicato’, dentro un microcosmo moderno quale l’aeroporto J. F. Kennedy – in cui c’è tutta l’America di oggi.

Stretta tra il miscellarsi multietnico non più cancellabile che la invade, e le rigide esigenze di sicurezza che il terrorismo sollecita, Spielberg vede  la sua terra nel rischio di rivelarsi e  diventare paranoica, xsenofoba. Evita però di dircelo ideologicamente da politico. Ancora una volta sa rivelarsi grande narratore e maestro del nostro tempo: sceglie il tono umanistico/umoristico della commedia raffinata e poetica, densa di significati e al contempo lieve, piena di episodi divertenti che sfiorano garbatamente la satira, ma rimandano al ‘SOGNO sempre possibile’. Della Speranza o della favola?

L’atmosfera del film è fiabesca, ma Spielberg – pur onorato dell’accostamento della sua pellicola alle commedie di Frank Capra, nega che si tratti solo di una favola. “Del resto – dice - anche Capra nei suoi film non raccontava favole, ma realtà. Lo amo molto,  ma credo che nessuno dei suoi film sia una favola. Per me una favola è quella che non può assolutamente accadere, ma che si spera possa accadere” a New York come a Bagdad, a Roma come a Dubaj. Gli aeroporti si assomigliano tutti. Benigni ha definito Spielberg - “Uno dei più grandi sognatori della storia e probabilmente il più grande sognatore dei tempi moderni –. Il suo cinema – aggiunge,  è animato dalla grazia”.

 

b)       Sul messaggio reale del film:

“Sogno i film come lezioni di tolleranza. Di convivenza – dice il regista. Oggi la cosa più importante è avere grande compassione per il mondo. L’odio, la diffidenza, il sospetto non nascono con noi, si imparano da chi ci circonda. Il nostro lavoro, invece, è quello di insegnare l’amore”.

Anche attraverso la Commedia? “Certo, la risata è la lezione più amabile” – risponde. E Victor/Hanks ci riesce egregiamente dal suo Terminal, scuola /schermo per il mondo. Non va dimenticato che Spielberg è il regista di Schindler’s List, Amistad, Salvate il Soldato Ryan. Ancora una volta ha il merito di affrontare in modo brillante il tema attuale più scottante: il rapporto con l’altro, con lo straniero. Lo fa richiamando un contesto come quello statunitense, che si trova quotidianamente a convivere con la paura di ciò e di chi non si conosce. La paura riguarda tutti. Impegnato con la Shoah Fundation anche in un progetto  per le scuole,  Spielberg è stato insignito da Ciampi con la più alta onorificenza della Repubblica Italiana. In quell’occasione ebbe a dire: “Quando davvero si inizierà a dialogare, allora sì che ci saranno progressi nella convivenza pacifica”.

Mariolina Perentaler

 

Si ringrazia la direzione della rivista Da mihi animas delle Figlie di maria Ausiliatrice per la gentile concessione della pubblicazione.

 

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