Attraverso
il senso di colpa
Per
una terapia dell’anima
Paolo Ferliga
San
Paolo, Milano 2010, pp. 178, € 13,00
L’Autore
ci mostra, attraverso un cammino storico ed esistenziale, la reale
influenza che ha sulla nostra psiche il senso di colpa. Nella coscienza
umana esso si è venuto a determinare molto prima dello sviluppo della
psicoanalisi, si può dire che sia un elemento costitutivo di ogni
cultura e civiltà così come della personalità stessa di ogni uomo.
La storia ci parla del turbamento dei
progenitori Adamo ed Eva, del tormento di Giuda e del folle vagare di
Oreste, insieme a tante altre vicende che affondano le loro radici già
agli albori dell’esistenza umana stessa.
Possiamo affermare senza ombra di dubbio che il
sentirsi in colpa è uno strumento psicologico che consente all’essere
umano di rimanere in contatto con il male da lui generato.
Attraverso il riconoscimento delle colpe si dà
a se stessi uno strumento di misurazione del male che indistintamente
tutti siamo portati a concepire (anche se inconsciamente e
implicitamente) e si raggiunge il giusto equilibrio interiore di presa
di coscienza che tendenzialmente può invece facilmente mettersi a
tacere, o spersonalizzare da sé, attraverso un’incontrollata
prevaricazione dell’ego.
Il tipico comportamento umano di voler
occultare nel proprio inconscio il senso di colpa, fa puntualmente
degenerare il nostro equilibrio fino a che, attraverso una serie di
sintomi e somatizzazioni, nevrosi o disturbi di varia entità e intensità,
esso non finisce di nuovo per riemergere. E’ poi paradossale, come ci
fa notare Ferliga, che pur attraverso l’elaborazione dettagliata che
la moderna psicologia ha messo a punto sul senso di colpa, di fatto in
ambito sociale e culturale la tendenza attuale è quella di addossarlo
sempre a qualcun altro.
Questo atteggiamento diffuso porta
necessariamente ad indebolire uno dei più importanti meccanismi di
regolazione del nostro corpo e della nostra psiche, che sono necessari
alla nostra crescita interiore, che riescono a metterci alla prova con
noi stessi e nello stesso tempo ci inducono a tentativi (faticosi e
coraggiosi) di reale riconoscimento del sé.
Il riconoscimento obiettivo dei propri limiti e
dei propri errori è un processo terapeutico importante che aiuta nel
superamento delle proprie crisi e in quelle generate dal comportamento
generale di un intera comunità.
Inoltre, se il modello collettivo tendenziale
è quello di voler esorcizzare il timor
Dei attraverso una rappresentazione ossessiva delle colpe altrui,
colui che oserà muoversi in direzione contraria si troverà esposto ad
un duplice riconoscimento di colpa, ovvero l’essere stato emarginato e
allontanato da una società narcisista che di fatto ha negato il
riconoscimento di qualcosa che tende a distruggere l’autostima e
l’equilibrio dei più e dal quale la fuga rimane sempre la via più
breve per tessere un raggiro.
Attraverso questo libro invece, si può
prendere contatto ed entrare in relazione con la parte buona che il
senso di colpa può generare in noi: un ritrovato contatto con corpo e
anima, un rigenerarsi introspettivo che libera dalla tendenza
depressiva, dalle dipendenze, dai falsi bisogni.
Nella moderna società che liquida il senso di
colpa così come tutto ciò che ha a che vedere con gli aspetti più
duri e faticosi della vita, diventa importante ascoltare di nuovo la
voce della coscienza, pacificarsi con se stessi e investire energie
nelle relazioni con gli altri, fino ad arrivare attraverso un solido
processo di conoscenza del sé, a scoprire una vita piena, la bellezza
del donarsi e del dare amore.
L’Autore
Paolo Ferliga, psicoterapeuta di formazione junghiana,
insegna Filosofia e Storia al Liceo classico Arnaldo di Brescia e
Psicologia dell’educazione alla Facoltà di medicina dell’Università
Bicocca di Milano. Fa parte del gruppo condotto da Martin Kalff a
Zollikon (Zurigo) per la Sandplay Therapy.
Negli ultimi anni ha focalizzato la sua attenzione sull’identità di
genere, in particolare maschile, sull’importanza del padre nella
psiche individuale e collettiva, sul rapporto tra psicologia del
profondo, filosofia e religione. Nel 2005, come risultato di queste
ricerche e della sua esperienza clinica, ha pubblicato il libro Il
segno del padre nel destino dei figli e della comunità (Moretti&Vitali, Bergamo). Per ulteriori informazioni:
www.paoloferliga.it.
Vangelo
dei Migranti
Renato
Zilio, EMI, Bologna 2010, pp. 120, € 9,00
Quello
dell’immigrazione è un problema antico quanto l’umanità. Negli
ultimi tempi, soprattutto in Europa, si rende sempre più necessario
arrivare ad un consenso su tale questione ma per farlo è necessario
stabilire un clima di fiducia reciproca che di fatto si stenta ancora a
raggiungere. Ancor più necessario sarebbe poi riuscire ad analizzare e
riflettere sulla nostra reale solidarietà universale e su cosa si è
fatto realmente in ambito sociale e politico per ampliarla, per
migliorarla e per diffondere consapevolezza.
L’originalità di questo libro è il coraggio
dell’Autore di entrare nel vivo di questa problematica che –
analizzata con lucidità e obbiettività - ha assunto il sapore di realtà
permanente.
Egli si rifà soprattutto al senso di giustizia e civiltà
che dovrebbe contraddistinguere l’uomo contemporaneo ma anche allo
spirito di fratellanza e unità che sta alla base della nostra
convivenza di massa e che già nel libro biblico del Deuteronomio veniva
chiamata in causa attraverso l’ammonimento: «Non imbroglierai sui
diritti di un immigrato» (24,17).
L’esempio dell’amore infinito di Dio per tutte le sue
creature è il richiamo più autentico ad una maggiore risolutezza nella
via della vita, un messaggio di speranza e comunione condiviso da tutte
le religioni del mondo che chiamano “fratello” il loro prossimo.
In particolare la missione ai migranti è il carisma
specifico che contraddistingue gli scalabriniani, ovvero la
congregazione di appartenenza di padre Renato Zilio.
Egli si è fatto promotore della comunione al di là delle
differenze di cultura e religione, ha sempre fatto in modo che
prevalesse il buon senso e la buona volontà e soprattutto ha dato vita
a Londra, nei pressi di Brixton Road, ad un Centro interculturale che è
un fulgido esempio di parrocchia multietnica. Su questa base egli ci
offre una meditazione profonda e partecipe sulla lotta che
l’emigrazione rappresenta.
E con toni appassionati e vivo entusiasmo ci offre
l’esempio tangibile e di successo del suo microcosmo, dove tante vite
e tante esistenze si intrecciano con il paese ospitante, affrontano le
sfide, condividono momenti di scambio importanti e stimolanti, crescono
insieme.
Nello stesso tempo però è cosciente di come le realtà
politiche e sociali del nostro continente siano di fatto rimaste
indietro in questo processo di allineamento e di apertura all’altro ed
ogni sua pagina è un invito accorato a raccogliere gli stimoli giusti.
Uno strumento prezioso per saper capire nel modo giusto il
mondo variopinto in cui viviamo, la necessità di entrarci dentro per
avere nuova visione, nuova coscienza, nuova consapevolezza e per saper
adeguare il dialogo, le risorse, la ricchezza di ognuno verso
l’incontro e verso l’apertura.
L’Autore
Renato Zilio, nato a Dolo (VE), nel 1950 è missionario
scalabriniano con una lunga esperienza al servizio dei migranti. Ha
fondato il Centro Interculturale Giovanile di Ecoublay nella Regione
Parigina, ha diretto a Ginevra la rivista della comunità italiana
Presenza Italiana, ha lavorato presso il Centro Studi Migrazioni
Internazionali di Parigi e svolto attività di missione a Gibuti, nel
Corno d'Africa. Vive attualmente a Londra presso il Centro
Interculturale Scalabrini di Brixton Road.
I suoi ultimi libri: Lettere
da Gibuti (Ed. Messaggero Padova, 2008),
Parole dal deserto (Paoline, 2009).
Tempo
di credere
Primo Mazzolari
(edizione
critica a cura di Mariangela
Maraviglia), EDB, Bologna 2010, pp. 269, € 22,00
Questo testo di don Primo Mazzolari terminato nel 1940,
largamente diffuso in varie edizioni nonostante l’iniziale censura
voluta dal regime fascista, viene qui riproposto in edizione critica.
Si tratta di una meditazione, come tantissima altre,
sull’episodio evangelico dei due discepoli di Emmaus. Viene quindi
spontaneo domandarsi come mai tali pagine abbiano avuto una forza così
singolare da esser state messe dapprima a tacere e poi con altrettanta
determinazione rivalutate nel tempo, dibattute e attualizzate, fino a
trovare una collocazione di tutto rispetto tra le voci di un magistero
sempre più attento agli stimoli più modernisti.
Come ci ricorda l’amico e discepolo di don Primo, don
Michele Do, la “ruminazione” evangelica di Mazzolari era genuina e
diretta più che dotta ed erudita, era quella di un’anima nuda che si
mette in contatto con un evangelo nudo, cercando sempre di accostarlo al
proprio cuore e alla propria esperienza; quella di un uomo che si rende
sempre “fervido indagatore dei problematici incroci tra proposta
cristiana e modernità”.
Primo Mazzolari sentiva l’urgenza di profondi cambiamenti
sul piano ecclesiale e sociale, di un rinnovamento cristiano della
Chiesa e della società alla luce di un Vangelo riletto nella sua
interezza. Il suo ardore e la sua non consueta capacità di raccogliere
e rielaborare stimoli, lo portarono ad essere un precursore dei tempi,
un pensatore rumoroso capace di risvegliare le coscienze intorpidite ad
una più attenta riflessione critica, ad un riesame di percorso.
Tutto ciò suscitò giustificati allarmi sia nell’ambito
del regime liberticida del suo tempo che in quello ecclesiastico,
generando incomprensioni e prese di distanza. Ostracismi che nel tempo
hanno rivelato i propri limiti, la propria incapacità di saper spaziare
oltre al tradizionalismo più ottuso e arcigno per ampliare nel modo più
illuminato le proprie vedute.
Tempo di credere è un lavoro che volge la propria
riflessione su un cammino: il cammino che rappresenta più
emblematicamente il ritrovamento della speranza, il cammino dei due
discepoli diretti ad Emmaus che sanno in questo percorso “ritrovare”
il loro Signore. E’ l’incitamento più genuino all’accompagnamento
dell’umanità in cammino.
Quella umanità che per essere tale deve saper raccogliere
tutti i “lontani” a diverso titolo, saper solidarizzare con le
diverse povertà, saper vedere le sofferenze per trovare lungo le
difficoltà del percorso le certezze di una verità incontestabile.
Per fare tutto questo si rende necessario porsi in ascolto,
raccogliere le sfide, acuire le proprie sensibilità. E’ questo il
vero senso del ritorno del Signore tra i suoi discepoli e del suo
riconoscimento finale. E’ questo quell’orientamento
cattolico-liberale che il parroco di Bozzolo auspicava per la
Chiesa. Saper
cogliere la trasformazione, saper vedere oltre.
In un momento storico tanto travagliato come quello che
vide il prevaricare delle ideologie totalitarie, l’egemonia di un
paganesimo creatore di idoli fasulli, lo scientismo materialistico teso
ad animare fedi collettive verso forme di umanesimo ingannevoli; certo
non serviva rimanere ancorati su posizioni passive o ipocritamente
moderate.
Non serviva appagarsi di spiritualismo disincarnato o di
perfezionismo apologetico capaci solo di snaturare e svilire la
dimensione temporale dell’esistenza. La denuncia lucidamente portata
avanti da Mazzolari rileva la collusione tra gerarchie ecclesiastiche e
potere politico e si oppone con tutta la sua forza alla logica degli
interessi per fare strada ad una comunità rivestita di nuovo spirito
evangelico.
Le vicende storiche gli hanno dato ragione.
Riabilitare il suo messaggio e la sua figura era un atto
dovuto e doveroso da parte di una Chiesa che vuole saper guardare avanti
prendendo atto anche degli errori commessi in passato, realmente
orientata con ogni sua forza a raccogliere e testimoniare il messaggio
più autentico di Gesù.
a cura di
Romina Baldoni
usminforma@usminazionale.it
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