Teologia e Santità
Anton Štrukelj
San Paolo,
Cinisello Balsamo 2010, pp. 356, € 24,00
Teologia e santità sono due sorelle che si coappartengono
inseparabilmente, sono sorelle nello Spirito. Tuttavia se fino
all’inizio del Medioevo era riscontrabile una continuità e un’unità tra
vita vissuta e sapere dei grandi dottori della Chiesa, nel corso dei
secoli successivi e col sopravvenire dell’alta scolastica, tale regola è
venuta progressivamente meno.
Dopo
Tommaso d’Aquino si viene a stabilire una sorta di divisione di ambiti
sempre più profonda, il kairòs singolarissimo in cui la teologia
trasfigurava sacramentalmente la scienza, rendendola viva, lascia sempre
più spazio ad una fredda teoretica. I tentativi di tenere uniti due
pilastri sempre più lontani ed estranei tra loro, durante
la
Riforma e con la neoscolastica della Controriforma, sono sempre più
fallimentari.
La
teologia “scientifica” sembra divenire estranea alla preghiera così come
la teologia spirituale sembra non trovare più alimentazione nella
rivelazione. Tutti i più tardi dottori della Chiesa non collocano più al
centro della loro vitalità la dogmatica ma la spiritualità intesa come
devotio moderna.
Il
pensiero ecclesiale conosce la scissione del dogma dall’ascesi e dalla
mistica. Non vi è più carattere ministeriale riscontrabile in nessuna
fattispecie di spiritualità. La sapienza sembra escludere la santità ed
ogni tipo di predica conosce un “immeschinimento” poiché non supporta
più la rivelazione in sé, ma una semplice esaltazione del proprio
personale sentire.
Grazie al lavoro compiuto da Hans Urs von Balthasar invece, la teologia
è tornata ad un metodo d’indagine nuovo, idoneo ad illuminare il senso
più autentico della rivelazione. Si è posta in ascolto e in obbedienza
della Parola, ha cercato di farla seguire, di interpretarla, di
perseguirla attraverso il sostegno costante della preghiera. Poiché la
preghiera è l’unico atteggiamento realistico di fronte al mistero. Nella
teologia non vi è nulla degno di essere pensato che non possa diventare
oggetto di preghiera.
Per
von Balthasar la teologia “razionale” non può essere altro che una
indispensabile anticipazione della teologia orante e confessante ed è
così che conia la famosa espressione della “teologia prostrata in
ginocchio e seduta a tavolino”.
Del
resto quale è la vera essenza della teologia? Parlare di Dio basandosi
sul suo fondamento originario. Quale è la legge fondamentale di ogni
riforma ecclesiale? Ritornare alle fonti.
I
santi sono l’esempio più autentico di teologia vissuta, la loro
esistenza è di per sé fenomeno teologico, dottrina viva direttamente
donata dallo Spirito Santo e quindi degna di attenzione, di
considerazione, di ascolto. Perché la storia della teologia si è
dimostrata efficace solo dove ha affermato verità vitalmente operanti
con spiritualità in sé, incorporate nel suo intimo, non accanto a sé,
come descrizioni sterili di qualcosa di fatto non accolto, non vissuto,
non direttamente testimoniato.
L’Autore
Nato
nel
1952
in
Slovenia, è stato ordinato sacerdote nell’arcidiocesi di Ljubljana nel
1976. Ha
studiato teologia a Ljubljana e a Roma. Dal 1984 è professore di
dogmatica, di teologia ecumenica e di patrologia alla Facoltà Teologica
dell’Università di Ljubljana. È stato professore ospite a Friburgo,
Svizzera, (1991), Lugano (1994) e San Pietroburgo (1998 e 1999). Dal
1993 al
2002
ha
ricoperto l’incarico di segretario della Conferenza Episcopale Slovena.
Dal 1997 al 2002 è stato membro della Commissione Teologica
Internazionale. Dal 1999 è redattore capo dell’edizione slovena della
rivista
Communio.
Tra le sue pubblicazioni ricordiamo
Leben aus der
Fülle des Glaubens,
con una presentazione di Hans Urs von Balthasar (Styria Verlag 2002).
Filosofia
della comunicazione
Mariano Ure
Effatà, Cantalupa
(TO) 2010, pp. 282, € 18,00
Questo libro si
configura come un ponte: un ponte costruito e gettato fra ambiti diversi
del sapere ma ricollegati tutti ad un’indagine filosofica di base. Del
resto la filosofia è sempre un termine destinato a comprendere in sé
“altro”; scopo della filosofia è mettere in relazione, attuare un legame
tra pensiero e mondo.
In questo caso
l’attenzione è rivolta al mondo della comunicazione e, sulla base della
tradizione, l’Autore delinea una “ontologia della comunicazione”, cerca
di stabilire criteri etici per i quali la comunicazione può essere
annoverata come “buona”, pone delle verifiche pratiche.
Il punto teorico
decisivo del libro sembra appunto essere il passaggio tra ontologia ed
etica, ovvero dal comprendere ciò che è (magari cose buone), all’attuare
tutti quei comportamenti mirati a promuovere ciò che si riconosce essere
“buono”. Nel significato del termine comunicazione infatti è compresa
sia la struttura di relazione sia la modalità in cui tale relazione
viene a compiersi.
E l’etica non si
risolve in un’armonia dei comportamenti sociali basata su diritti e
doveri di forma, può anche essere personalizzata mediante l’esercizio di
un dialogo esistenziale fino all’elaborazione di un’etica della
motivazione. Con ciò si tende quindi ad operare un coinvolgimento di
tipo emotivo all’esercizio del bene, a passare da un’enunciazione di
principi alla loro messa in opera.
Tutto attraverso
la comunicazione.
Per questo motivo
il lavoro di Mariano Ure ha l’ambizione -esplicita- di collocarsi ben al
di là di un approccio puramente sociale ai fenomeni comunicativi,
-implicita- di voler elaborare filosoficamente, tramite il filo
conduttore della comunicazione, il legame che unisce essere ed
agire.
Un legame che nel
cercare di essere districato attraverso l’analisi filosofica, deve
riagganciarsi ad appigli mai puramente teorici o puramente etici, bensì
nutrirsi di razionalità, motivazioni e intuizioni capaci di produrre una
comunicazione quotidiana umanizzata. Affinché sullo sfondo di ogni
attività mediatica e della sua fruizione vi sia l’impegno e la
partecipazione di ciascun essere umano al dispiegamento della
personalità di ciascun altro.
Perché il fenomeno
comunicativo contiene in sé molto altro che non può necessariamente
essere compreso in discipline distinte ed esclusive quali: la
sociologia, la semiotica, la psicologia, la politica o altro. Con essa
non si attua un semplice scambio ma si possono coinvolgere esistenze;
per tale motivo si dovrebbero considerare seriamente delle metodologie
affinché il dialogo sia strumento di umanizzazione, di collaborazione e
di solidarietà.
Questo libro,
oltre ad illuminarci sulla possibilità reale di orientare la
comunicazione al bene, senza avere con ciò la pretesa di delineare ciò
che lo è da ciò che non lo è, cerca di motivare le scelte, di
giustificare perché è importante comunicare “in un certo modo” piuttosto
che in un altro.
La domanda di base
da cui parte l’intero lavoro è proprio: perché si deve comunicare
bene? E soprattutto: cosa si intende per comunicazione buona?
Per cui si pone lo scopo di andare a smantellare tutti gli ostacoli che
celano l’autenticità del rapporto intersoggettivo dietro false utopie di
modernità e digitalizzazione, per sottolineare l’importanza del vero
incontro interumano e l’assunzione di serie responsabilità sociali.
La carne e il cuore: storie di donne
Carlo Bellieni
(a cura)
Ed. Cantagalli,
Siena 2010, pp. 115, € 9,00
Questo libro vuole
convogliare l’attenzione del lettore sul problema sempre più imperante
dell’omologazione nel mondo femminile.
Non si fa la voce
grossa e non si ricorre a statistiche o spiegazioni socio culturali,
semplicemente ci si pone in ascolto di alcuni dialoghi tra persone che
parlano di tutto, di temi di vita. Un mix di interlocutori alquanto
insolito e bizzarro, formato da quattro suore, due femministe, due
ginecologi e una psichiatra che semplicemente ci mettono al corrente
delle loro impressioni personali. Danno voce a quella gran parte di
persone che proprio non ne possono più di questa massificazione
selvaggia che colloca la donna al ruolo di ‘velina’.
In questo libro
trova spazio una voce che è la voce di chi prova a dire basta ai dettami
della moda e agli standard uniformanti legati all’immagine
“barbie-fotomodella”.
Le donne vogliono
poter scegliere come essere e chi essere senza più sentire il controllo
opprimente del “grande fratello” (alias grande maschio)
mediatico; di chi mercifica il loro corpo o specula su fantomatici
ideali di perfezione generando continuo senso di inadeguatezza, stress e
depressione. Attraverso queste conversazioni di donne “arrabbiate”
si vuole provare a gettare interrogativi concreti su cui far riflettere,
innescare un senso di indignazione costruttivo.
Capire quanto sia
abominevole e deplorevole questa imposizione continua di modelli da
emulare e ideali falsi da perseguire può significare porre le basi più
solide per far ergere una corrente “a contrario”, una rivolta ragionata,
una ribellione di crescita e di riqualificazione della persona.
Chi parla e si
pone a confronto sono persone diverse e libere, non si vuole
sottolinearne l’estrazione culturale o il credo personale. Si vuole
piuttosto far capire l’importanza del dibattere per smascherare l’idea
diffusa che a regnare sia solo incomunicabilità ogni qual volta vengono
tirate in ballo le grandi questioni della vita. Tra persone oneste e
civili invece, ci può essere sempre un incontro basato sul buon senso e
sul rispetto della dignità umana.
Questo lavoro
riporta alla luce l’identità e la ragione e ci fa capire come il più
delle volte siano la pressione sociale e politica a gettare nebbia e
causare dispersione. Basta sedersi ad un tavolo per far emergere cose
che in televisione non sono dette ma che ci appartengono nell’intimo.
Per rendersi conto
che il senso di de-responsabilizzazione e di autodeterminazione
narcisista che ci vengono inculcati vanno ad ostacolare le nostre
scelte, la nostra evoluzione interiore, la nostra stessa maturità e
consapevolezza.
a cura di
Romina Baldoni
usminforma@usminazionale.it
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