Profeti senza Dio -
Anche la scienza ha i
suoi Sacerdoti
Karl Giberson - Mariano Antigas,
San Paolo, Cinisello Balsamo 2010, pp. 490, € 28,00
Siamo
soli nell’universo? Da dove siamo venuti? L’universo ha avuto
un’origine? C’è un motivo per cui esistiamo?
Proviamo a rivolgere queste domande ad alcuni luminari
della scienza. Proviamo ad inquadrare alcuni quesiti fondamentali sulle
grandi questioni della nostra vita dal punto di vista prettamente
scientifico.
Possiamo facilmente concludere che, se pure la scienza si
occupa principalmente delle origini e la maggior parte degli scienziati
studia aspetti dell’evoluzione cosmica e biologica, se pure gli
scienziati sono agnostici o atei, le loro risposte a questi quesiti non
possono essere comunque avallate sul piano propriamente scientifico.
Ovvero si tratta comunque di spiegazioni che non tirano in
ballo concetti puramente scientifici ma deduzioni di uomini
scientificamente preparati. Del resto domande riguardanti il fine
ultimo, la creazione o la pre-esistenza senza tempo dell’universo, non
sono domande scientifiche pur se ispirate dalla scienza. Come potrebbe
mai la scienza stabilire che l’attuale universo è tutto quello che
esisterà sempre o che è sempre esistito?
Se un grande scienziato del calibro di Weinberg sostiene
che: «quanto più l’universo ci appare comprensibile, tanto più ci appare
senza scopo», è chiaro che si tratta di un’affermazione che va ben al di
là di ciò che abbia mai potuto scrivere in una rivista scientifica.
Si tratta di asserzioni filosofiche e teologiche rivestite
di retorica scientifica, si tratta di tentativi a volte anche assai
encomiabili di provare a divulgare la scienza e il ragionamento
scientifico verso il grande pubblico. Però sono opinioni personali.
Non hanno in sé le implicazioni del dibattito che le ha
precedute e non trovano il consenso della comunità scientifica. Per cui
appare per lo meno bizzarro assistere al tentativo, da parte di queste
personalità emerite ed autorevoli, di trovare risposte o pronunciarsi
sulle realtà ultime, anzi ci si rende perfino conto che spesso essi sono
sprovvisti degli strumenti necessari per poter rispondere con l’ausilio
di un’articolata speculazione filosofica o teologica.
In realtà dopo secoli di rapido processo scientifico, la
nostra cultura ha accumulato una tale fiducia nella scienza, che da essa
si aspetta sempre e comunque risposte e soluzioni pronte all’uso. La
scienza invece, al pari di altre discipline, ha dei limiti che l’essere
umano non è in grado di sormontare, non ha in sé tutte le verità.
Le moderne discipline empiriche quali: fisica, chimica,
astronomia e biologia, non hanno motivo di intersecarsi con nessuna
esigenza di comprendere il divino. Tuttavia non è nemmeno giusto che
scienza e religione o scienza e filosofia debbano necessariamente
tenersi tra loro distinte ma in ugual misura tenute in considerazione e
approfondite.
La teoria dell’evoluzione darwiniana non si basa su prove
empiriche quanto piuttosto sulla filosofia metafisica del naturalismo.
Il naturalismo non ha risposte all’interrogativo sul perché esista
qualcosa anziché il nulla. Una spiegazione adeguata del mondo naturale
non può accogliersi contrapponendo Dio alla scienza o viceversa. Seguire
attentamente ciò che questi sacerdoti hanno da dire è un insegnamento
importante ed intellettualmente utile pur se si intravedono degli
elementi di conflitto. Questo a scapito di ogni sterile polemica o
auto-compiaciuta rivendicazione che oltre a non tenere conto del
rispetto va contro ogni sensata ricerca di verità e utilità.
Incontrare l’Inatteso -
Vita cristiana per
gente perplessa
Giuseppe Forlai
Paoline, Milano 2010, pp. 105, € 12,00
In queste
pagine emerge con forza tutta l’importanza e la ricchezza dell’ascolto.
Viene mostrato un cammino di fede molto concreto da ricercarsi in
semplicità, nella ferialità del nostro quotidiano. Un cammino
accessibile a tutti, contraddistinto dalla capacità di guardare con
occhi nuovi l’ordinario, o meglio, ascoltarlo con una rinnovata
predisposizione del cuore.
L’Autore è un presbitero che opera nella diocesi di Roma,
il suo racconto è frutto di incontri con gente ai margini, con persone
che per varie vicissitudini hanno perso il controllo della loro vita.
Egli ci narra i suoi tentativi, di prete e di essere umano, per cercare
di colmare i vuoti della distanza, dei silenzi, delle speranze morte.
La spasmodica volontà di stabilire un contatto con persone
lontane dalla fede e da Dio, con la consapevolezza, a volte amara, di
non avere il potere di cambiare le loro sorti avverse o trovare parole
di conforto adeguate. Ed allora rivaluta il potere intenso dell’ascolto,
si fa discepolo, si spoglia di ogni saccenza clericale, di ogni titolo o
presunzione d’insegnamento per ritrovare una nuova sintonia con se
stesso, con coloro che gli parlano, con la meraviglia strabiliante
dell’inatteso.
Il suo è un cammino quasi a ritroso che lo porta a mettersi
in discussione, a constatare la sua impotenza di essere umano, fino a
trovarsi immedesimato in quella zona d’ombra nella quale si trova molto
spesso l’uomo impaurito, l’uomo disperato, l’uomo che non riesce più a
darsi possibilità né risposte.
Ed in questo silenzio di turbamento e smarrimento, quasi
paradossalmente, rafforza la sua fede, ponendosi in ascolto, provando a
ripartire da piccolissime cose, ostentando la volontà di voler
intravedere segnali di bene nella ritualità dell’esserci.
Accorgersi della lontananza di Dio a volte può essere un
atto di onestà. Può significare comprendere a pieno che Egli non può
essere compreso nel nostro ordine di idee o essere dove noi vogliamo
farlo essere. A volte si parla di fede con troppa facilità finendo per
impattare contro ostacoli che sembrano insormontabili.
Sentire la lontananza di Dio invece, può essere un incipit
per ricondurci sulla dimensione della ricerca, ritrovare consapevolezza,
porsi delle domande. Il non credere può diventare premessa
indispensabile per partire da se stessi, per ritrovare convinzioni
personali e sincere che nascono dall’esperienza e che non sono dettate
da tradizioni familiari o culturali superficiali e formali.
La fede è ascolto. Ascolto della vita. Ascolto di ciò che
troppo spesso ci facciamo sfuggire di mano. Dio si nasconde nelle pieghe
del silenzio e, cosa ancora più sorprendente, a volte nella zona buia
dei nostri dolori e delle nostre paure.
Come nell’Episodio narrato nel Vangelo, il Signore ci tende
la mano per sussurrarci «oggi ti porto con me» nel posto vergognoso
della croce, quando miseramente constatiamo i nostri fallimenti, la
nostra piccolezza, il male fatto o il rancore provato. Gesù arriva
all’appuntamento inatteso nel silenzio, quando tutto appare perduto.
Ecco allora che come si riscopre la forza della vita
dall’aver toccato il fondo può e deve riscoprirsi la fede come continua
conversione. Come continua scoperta da non dare mai per scontata.
Dalla società del rischio all’economia civile
Carmine Tabarro,
Pardes
Edizioni - G&BP, Bologna - Roma 2010, pp. 286, € 22,00
L’economia
civile si fonda sulla centralità della persona e sulla sua
responsabilità individuale rispetto al mercato, alla comunità e allo
Stato.
Questo a discapito della diffusa convinzione dettata dal
capitalismo finanziario che tende invece a far prevalere solo egoismo ed
interessi materiali assai lontani dal concetto di bene comune.
In questo libro si cerca di evidenziare come l’idolatria
esasperata del profitto ad ogni costo abbia finito per determinare una
causa non secondaria nell’attuale crisi del sistema
economico-finanziario.
E’ dunque necessario analizzare con maggiore senso critico
il pensiero neoliberista che ha preso piede fin dai primi anni Settanta
e ha influenzato l’intero processo di globalizzazione? Rifondare
l’intero sistema sotto una nuova concezione politica e culturale oltre
che economica, cercando di concretizzare uno sviluppo integrale?
L’Autore, con la sua esperienza trentennale nel campo
finanziario, ci introduce in un viaggio di conoscenza che ci proietta
dentro questo mondo e le sue sfaccettature e ci aiuta a trovare una
maggiore chiarezza e consapevolezza. Vengono spiegati alcuni termini
tecnici in modo molto chiaro per aiutarci a prendere confidenza con una
realtà che ci riguarda sempre più da vicino e che necessita di una
nostra attiva preparazione. Un incentivo importante per tentare in modo
generale di risvegliare il senso di responsabilità di tutti coloro che
costituiscono la società, sia come clienti che come consumatori.
Infine si prova ad analizzare la reale fattibilità di un
modello alternativo basato sulla civiltà e sulla sostenibilità in grado
di ridare un nuovo senso e nuove fondamenta all’attuale struttura.
Si considerano nuovi valori da recuperare come la
reciprocità e la felicità relazionale, ovvero quella felicità che può
essere goduta solo con gli altri e insieme agli altri.
Si mettono al bando mistificazioni e logiche strumentali e
soprattutto le discutibili figure dei manager d’impresa, animati
dall’intento esclusivo di arricchire gli azionisti senza preoccuparsi
minimamente della crescita esponenziale delle disuguaglianze e di tutte
le ripercussioni conseguenti ad una cattiva distribuzione della
ricchezza. Per ritrovare in tutta pienezza l’autentico valore sociale
dell’agire economico, i suoi fondamenti spirituali (pensiamo ai Monti di
Pietà dei francescani, esempio storico di banca popolare) necessari per
ritrovare qualità e armonia.
Un’economia prospera è il frutto di strategie ben calibrate
e in grado di coinvolgere ciascuno di noi, forse è questo che in questo
momento di crisi bisognerebbe tener presente per provare a ripartire nel
migliore dei modi. Ristabilire l’importanza del con-vivere con giustizia
ed equità prima ancora che tentare una globalizzazione basata sulla
sperequazione.
a cura di
Romina Baldoni
usminforma@usminazionale.it
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