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10 gennaio 2013
La gioia della Fede
Benedetto XVI,
San
Paolo, Cinisello Balsamo 2012, pp. 188, € 9,90.
Un libro che va ad
attingere ad un ricco patrimonio di omelie, catechesi e discorsi del
santo Padre, per ripercorrere i contenuti fondamentali del Credo, di
quella che è la “magna charta” della dottrina e della vita
cristiana. In prospettiva della proclamazione dell’Anno della Fede,
possiamo trovare un’utile guida per ravvivare e approfondire le verità
cristiane e allo stesso tempo darci un’altra occasione per provare ad
intraprendere un cammino di conoscenza , conversione e preghiera al
quale la Chiesa ci chiama.
In
questo tempo di grazia l’invito è quello di rievangelizzare se stessi
per poi essere nelle condizioni di evangelizzare gli altri. La fede che
si professa va anche vissuta e proclamata nella realtà del vivere, negli
incontri, nella testimonianza, nell’annuncio. Nella Nota
pastorale che il Papa affida alla Congregazione per la Dottrina della
Fede si fa riferimento ad un’accoglienza più attenta alla predicazione,
alla catechesi e agli scritti dello stesso Pontefice. Con questa
raccolta ci si vuole appunto avvicinare meglio al pensiero e alla
spiritualità di Benedetto XVI, provando a rivivere con lui, guidati
dalla sua parola, tutti i fondamenti del Credo.
Il
centro di verità e di amore è la fede in Dio. La nostra odierna società
ha perso la cognizione del primato di Dio. Tutta la realtà ha origine e
si spiega in Lui, il Creatore. Fare dell’uomo un prodotto casuale
dell’evoluzione significa staccarsi dalla sorgente di vita autentica,
allontanarsi dall’Amore paterno. La morte e la risurrezione del Cristo
sono la verità centrale e decisiva della fede. Segnano l’inizio di un
tempo nuovo che si colloca nella storia e va al di là di essa. Gesù
sale in cielo e da lì torna ad incontrare gli uomini come persona
vivente, rimane in mezzo a loro. Questo è un segno di speranza
universale che Dio ci dona. Questa è la tensione della fede che,
«evangelizzando la morte», va oltre i dubbi, le paure, le superstizioni
legate all’attaccamento del ‘qui e ora’ della terra, per spalancare
l’orizzonte infinito della vita eterna.
La Chiesa di Agostino
Vittorino Grossi,
EDB, Bologna 2012, pp.
262, € 24,80.
La tradizione (paradosis),
sul versante propriamente ecclesiale, è legata alla successione (diadoche)
apostolica. Dopo la scomparsa degli apostoli quali fondatori delle
Chiese, con i concetti di paradosis e di diadoche si
intese far fronte ai problemi relativi alla genuina trasmissione della
dottrina di Gesù e del legittimo esercizio dell’autorità. Questi due
aspetti di “successione nella dottrina” e “successione nel ministero”,
costituiscono la base articolata della “grande Chiesa” nel suo graduale
formarsi istituzionale. Molte sono le difficoltà che ha la Chiesa in
quello che è il trapasso culturale e sociale. Gli adattamenti legati
all’evangelizzazione e la necessità di rimanere fedeli al messaggio
evangelico e biblico.
Per
prossimità temporale e per tradizione storica i Padri della Chiesa sono
considerati primi nell’interpretazione delle Scritture e nella messa a
punto della dottrina ecclesiastica. La coscienza storica che si
riferisce ai loro scritti va ben oltre il puro e semplice storicismo.
Essi sono gli artefici di quella communio che costituisce l’anima
stessa dell’Ecclesia. In quell’epoca si sviluppa un’intensa
dialettica tra l’idea di Chiesa e i sacramenti da essa amministrati.
Intorno al II secolo, la Chiesa di Roma si apre alla riconciliazione
verso i penitenti e alla remissione dei peccati. Agostino, nel diventare
vescovo di Ippona, si imbatte in una immagine di Chiesa madre che genera
figli, che li fa crescere purificandoli e che pone ogni sforzo per
recuperarli dai fallimenti. Fin dalla sua giovinezza in Africa era stato
sensibilizzato e legato, anche grazie all’amore materno, all’idea di
fede, di pietà cristiana, di amore. Pur non essendo ancora un
battezzato, andò ad ascoltare come uditore le oratorie del vescovo
Ambrogio a Milano. Questo incontro fu per lui fondamentale, riuscì a
dissolvere una serie di dubbi che egli aveva sulla Bibbia e che
probabilmente erano stati ampliati dal contatto avuto a Cartagine con il
movimento manicheo. Il grande merito di Ambrogio fu quello di saper
scindere il senso letterale e quello spirituale della Sacra Scrittura.
Al suo ritorno da Milano Agostino passa un periodo riflessivo nella casa
paterna di Tagaste e si dedica alla comprensione di Dio e della
Sapienza. Sviluppa una concezione ecclesiale che si muove in tre
fondamentali direzioni: il ministero presbiterale, il bene della pace
della Chiesa, ovvero l’unità di tutti i credenti e le Scritture come
libro della fede della Chiesa e lettera di Dio inviata all’umanità. La
Bibbia quindi non si può privatizzare nell’interpretazione, né dal
singolo esegeta né da un gruppo ecclesiale. Tali considerazioni che egli
mette a punto dopo la sua ordinazione a presbitero nel 391, vengono
riportate in tredici opere tra cui le Retractationes e due libri
del De libero arbitrio. Nel suo periodo da vescovo Agostino cerca
di sintetizzare e mettere a punto un modello di Chiesa che sia “autorità
credibile”. Maturano quindi in lui, progressivamente, quattro modelli
ecclesiologici dalle dimensioni ministeriali sempre più ampie e che
finiscono per inglobare l’intera umanità. Agostino pensa alla Chiesa
come ad un grande edificio spirituale che si costituisce nel tempo della
storia. La parusia del Signore coincide con la fine dei tempi. Inoltre
Agostino pone in stretta relazione i giudei ed i cristiani, vede la
Chiesa in unità e comune a tutti, mai di fronte o al di sopra degli
uomini. In questo libro si tenta di illustrare nel dettaglio gli schemi
ecclesiologici agostiniani e la sua simbologia.
a cura di Romina Baldoni
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