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Rimango
qui ancora un po’
Storie
di vita e segreti di longevità
ELENA MIGLIOLI - RENATO BOTTURA, PAOLINE,
MILANO 2015, pp. 190, € 13,00
Un
libro che, attraverso testimonianze celebri e profonde riflessioni,
intende mettere in luce gli aspetti affascinanti della cosiddetta
“quinta età” e, più in generale,
invita a un rivalutazione della vecchiaia.
«Il vento mi chiama e con voce carezzevole sussurra
nelle mie orecchie:
- Fra poco non è forse ora di andare in quel mondo?
Allora io di getto rispondo: - Rimango qui ancora un po’,
perché ci sono cose che vorrei ancora fare».
Questi versi di Shibata Toyo, poetessa giapponese vissuta
101 anni, potrebbero essere considerati il manifesto dei
protagonisti del libro scritto a quattro mani da Elena Miglioli
e Renato Bottura. I protagonisti sono grandi vecchi che
stanno per raggiungere, o hanno già raggiunto, il
secolo di vita, ancora sorprendentemente attivi, con un
vissuto ricco e meritevole di essere conosciuto. Le loro
storie, a volte imprevedibili come un romanzo, contengono
segreti di longevità che la scienza cerca di carpire
e che sono fondamento di un patrimonio umano ed esperienziale
ineguagliabile.
Il libro, che intende mettere in luce gli aspetti più
affascinanti della quinta età, è costituito
da due parti diverse e complementari. Nella prima sono presentate
storie di vita spesso curiose e in ogni caso straordinarie,
come quelle di Angelo Loforese, tenore dalla voce piena
e squillante come ai tempi delle tournée mondiali;
di Lanfranco Frigeri, pittore e scultore, uno dei padri
del Surrealismo in Italia; di Vito Ortelli, che in sella
alla sua bicicletta riuscì a battere Coppi e Bartali;
di Arturo Paoli, missionario dei Piccoli Fratelli del Vangelo.
Come hanno fatto queste persone a vivere così a lungo
e bene? È solo questione di genetica o c’è
dell’altro? Nella seconda parte del volume, l’occhio
clinico del geriatra Bottura analizza quei fattori che si
possono ritenere responsabili di una buona – spesso
ottima – vecchiaia: stili di vita, passioni, spiritualità,
valori.
Da due prospettive diverse ma a un’unica voce, gli
autori invitano a non demonizzare la vecchiaia, ma a viverla
come un periodo della vita comunque fertile e ricco di opportunità.
Il libro è arricchito anche dalla preziosa prefazione
di Umberto Veronesi, Direttore dell’Istituto Europeo
di Oncologia, che scrive: «Queste delicate storie
di centenari narrate da Elena Miglioli, unite alle considerazioni
scientifiche di Renato Bottura, contribuiscono a una delle
riflessioni centrali dei nostri giorni: come diffondere
la coscienza che la longevità è un patrimonio.
Io credo sia necessaria e urgente una rivoluzione culturale
che convinca che una lunga vita ha un valore concreto se
l’anziano è nella condizione di trasmettere
le proprie idee. Per questo bisognerebbe esplorare la mente
senile nella sua profondità – come fa Elena
nei suoi ritratti – che è l’esatto contrario
di ciò che avviene oggi nelle società occidentali,
in cui più si invecchia e meno si viene considerati».
Uomini
che servono
L’incerta rinascita del
diaconato permanente
ALESSANDRO CASTAGNARO - MONICA CHILESE,
EDIZIONI MESSAGGERO, PADOVA 2015, pp. 280, € 19,00
Cos’è
un diacono permanente? E’ una figura che spesso si
vede muoversi accanto al sacerdote che celebra la messa.
Spesso si tende a identificare il suo ruolo con quello di
assistente o chierichetto. In realtà le sue esatte
mansioni non possono obiettivamente relegarsi in un ruolo
secondario ma di comprimarietà. A lui spettano una
serie di compiti del tutto esclusivi che un collaboratore
laico non può svolgere. Indossa una veste detta dalmatica
e può tenere l’omelia. Prima del Concilio il
diacono non esisteva, negli anni Settanta ce ne erano davvero
pochissimi (uno ogni settanta parrocchie!), oggi la statistica
si è alzata uno a sei. Il lavoro del diacono non
è esclusivamente quello di coprotagonista e coadiutore
nella liturgia, ma associabile ad una numerosa serie di
attività pastorali: assistenza e distribuzione dell’Eucaristia
nelle case, benedizioni, amministrazione, allestimenti vari
presso l’oratorio, preparazione e organizzazione di
gruppi di ascolto della Parola. Spesso i diaconi si occupano
della Caritas, dei parrocchiani poveri, coordinano e attivano
Centri d’ascolto per tutte le persone con difficoltà
economiche. Altre volte sono a contatto con i ragazzi, attraverso
i corsi catechistici. Insomma ci accade sempre più
spesso di vedere sostituita - con perizia e con meticolosità
professionale - la figura del prete da quella del nostro
uomo in questione. Forse perché c’è
un calo vocazionale considerevole, forse perché nelle
parrocchie è sempre più necessaria una presenza
in grado di entrare davvero in contatto con la variegata
realtà territoriale. Il diacono è molto attivo
soprattutto nell’ambito della comunicazione tra parrocchia
e uffici diocesani o parrocchia istituzioni ecclesiastiche
di rilievo.
Per diventare diacono si deve essere ordinati dal vescovo
e si entra a far parte del clero a tutti gli effetti. Chi
è sposato e dovesse rimanere vedovo non può
più convolare a seconde nozze e chi è celibe
deve impegnarsi a rimanere tale. Nel testo in questione
si cerca di compiere per lo più un’indagine
di tipo sociologico; non si entra nella peculiarità
pastorale legata al loro apporto in termini di valutazione
dell’operato o di ricerca di possibili miglioramenti
dello stesso. Si descrive l’esperienza, si fa conoscere
nel dettaglio la figura e il ruolo. Solo nel saggio finale
di Serena Noceti si prova ad entrare in dettaglio di considerazioni
più propriamente teologiche e giuridiche legate e
collegate con la ricerca posta in essere.
Cos’è un diacono permanente? E’ una figura
che spesso si vede muoversi accanto al sacerdote che celebra
la messa. Spesso si tende a identificare il suo ruolo con
quello di assistente o chierichetto. In realtà le
sue esatte mansioni non possono obiettivamente relegarsi
in un ruolo secondario ma di comprimarietà. A lui
spettano una serie di compiti del tutto esclusivi che un
collaboratore laico non può svolgere. Indossa una
veste detta dalmatica e può tenere l’omelia.
Prima del Concilio il diacono non esisteva, negli anni Settanta
ce ne erano davvero pochissimi (uno ogni settanta parrocchie!),
oggi la statistica si è alzata uno a sei. Il lavoro
del diacono non è esclusivamente quello di coprotagonista
e coadiutore nella liturgia, ma associabile ad una numerosa
serie di attività pastorali: assistenza e distribuzione
dell’Eucaristia nelle case, benedizioni, amministrazione,
allestimenti vari presso l’oratorio, preparazione
e organizzazione di gruppi di ascolto della Parola. Spesso
i diaconi si occupano della Caritas, dei parrocchiani poveri,
coordinano e attivano Centri d’ascolto per tutte le
persone con difficoltà economiche. Altre volte sono
a contatto con i ragazzi, attraverso i corsi catechistici.
Insomma ci accade sempre più spesso di vedere sostituita
- con perizia e con meticolosità professionale -
la figura del prete da quella del nostro uomo in questione.
Forse perché c’è un calo vocazionale
considerevole, forse perché nelle parrocchie è
sempre più necessaria una presenza in grado di entrare
davvero in contatto con la variegata realtà territoriale.
Il diacono è molto attivo soprattutto nell’ambito
della comunicazione tra parrocchia e uffici diocesani o
parrocchia istituzioni ecclesiastiche di rilievo.
Per diventare diacono si deve essere ordinati dal vescovo
e si entra a far parte del clero a tutti gli effetti. Chi
è sposato e dovesse rimanere vedovo non può
più convolare a seconde nozze e chi è celibe
deve impegnarsi a rimanere tale. Nel testo in questione
si cerca di compiere per lo più un’indagine
di tipo sociologico; non si entra nella peculiarità
pastorale legata al loro apporto in termini di valutazione
dell’operato o di ricerca di possibili miglioramenti
dello stesso. Si descrive l’esperienza, si fa conoscere
nel dettaglio la figura e il ruolo. Solo nel saggio finale
di Serena Noceti si prova ad entrare in dettaglio di considerazioni
più propriamente teologiche e giuridiche legate e
collegate con la ricerca posta in essere.
Papa
Francesco
La rivoluzione della tenerezza
e dell’amore
WALTER KASPER, QUERINIANA, BRESCIA 2015,
pp. 134, € 13,00
Il
cardinale Kasper rielabora in questo testo alcune conferenze
che ha tenuto presso l’Accademia di Monaco di Baviera,
l’Università di Vienna, la Scuola superiore
di teologia Sankt Georgen di Francoforte, il Centro Pro
Unione di Roma e la Catholic University of America di Washington.
Prova a descrivere la figura del pontefice a due anni esatti
dalla sua elezione, soprattutto prova a incasellarlo nel
contesto storico e alla luce dell’ecclesiologia moderna.
Vengono messe in risalto, dopo la crisi aperta nella curia
romana dalle dimissione di Benedetto XVI, le numerose e
spesso confuse e contraddittorie aspettative riposte nel
nuovo papa, ciò che egli avrebbe dovuto rappresentare
e sostenere. In pratica si partiva dal pregiudizio legato
alle idee di riforma e modernizzazione del mondo occidentale,
a cui di fatto Francesco non appartiene, essendo dell’emisfero
sud, o peggio, si provava a fare una continua correlazione
tra la sua personalità e quella del suo predecessore.
L’autore vuole invece sottolineare gli elementi di
continuità teologica e programmatica dei due papi,
pur prendendo atto della differenza nello stile e nella
metodologia. Francesco è in tutto e per tutto un
gesuita nella sua teologia kerygmatica, non parte dalla
dottrina ma dal discernimento del concreto, così
come nello spirito del suo fondatore Ignazio di Loyola.
A tale proposito Karl Rahner ci ha parlato di una conoscenza
esistenziale che corrisponde appunto alla conoscenza della
concreta volontà di Dio per ogni singola persona.
La missione di ciascuno va inquadrata nel segno dei tempi
e alla luce del Vangelo. Questo metodo è stato adottato
fin dal Concilio Vaticano II con la Gaudium et spes ed è
in qualche modo proseguito nella teologia della liberazione
ufficializzata a Medellín nel 1968 dall’episcopato
latino-americano. Nell’ultima assemblea generale del
CELAM di Aparecida nel 2007, il cardinal Jorge Bergoglio
era presidente del comitato di redazione. Papa Francesco
è portatore di un’ermeneutica della continuità
dei principi che si concretizza in una riforma e in una
discontinuità nella metodologia di applicazione.
Il metodo vedere-giudicare-agire parte sempre da una meticolosa
analisi storica della cultura di un popolo. E’ un
ascolto della saggezza popolare in cui non entra tanto l’idea
della lotta di classe, come spesso si ritiene, ma l’idea
di armonia. Nella conferenza di Petrópolis del CELAM
del 1964, Lucio Gera, uno dei teologi più amati e
presi ad esempio da Papa Francesco, tenne una relazione
sul tema «Il significato del messaggio cristiano nel
contesto di povertà e oppressione». Il pontefice
ha sempre cercato di partire dalla misericordia come fulcro
del messaggio evangelico. Ascoltare il grido dei poveri.
Fare una chiesa povera per i poveri, un programma radicale
alle cui radici c’è la rivoluzione della tenerezza
e dell’amore.
a cura di Romina Baldoni
usminforma@usminazionale.it
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