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Le chiavi di casa
Regia di Gianni Amelio

Produzione: Italia/Francia/Germania 2004

 

“Ha colpito al cuore il pubblico della Mostra di Venezia e quello che affolla le sale, ovunque lo si proietti”. Oggi, a qualche mese di distanza il Da Mihi aggiunge: “Splendido per tutti , per ogni operatore dell’educazione.

Lo elogia senza riserve anche la critica che non esita a definirlo “Raccomandabile/realistico”. Senza artifici e senza pietismi, senza cercare facile commozione fa ‘recitare’ un vero ragazzo portatore di handicap e lo lascia libero di esprimersi. Sentimenti forti, cambiamenti interiori profondi sono detti con semplicità e quasi sottotono. Il film non urla, non è arrabbiato, non fa sociologia né lancia denunce, ma si intride di forte senso etico. Da valorizzare largamente per temi urgenti quali: la famiglia – genitori figli – handicap”.

 

Il soggetto

Il film prende spunto dal romanzo “Nati due volte” (Mondadori) con cui l’ormai compianto Giuseppe Pontiggia, a cui il film è dedicato, vinse il Campiello nel 2001. È  la testimonianza personale – trent’anni di vissuto autobiografico – sulla malattia di un figlio, Andrea, afflitto da handicap mentale e motorio. Amelio non ce ne dà una trasposizione, “perché – dice lui stesso – mi sono sentito inadeguato, con la sensazione di essere un intruso dentro un mondo difficile, dove non avevo diritto di entrare”. Con questo sentimento di rispetto profondo non manomette né adatta la storia tanto intima e vera di Giuseppe. Insieme a Rulli e Petraglia,  riscrive e sviluppa un intreccio autonomo che pur restando in sintonia con l’esperienza e lo stile dell’ autore, ne risulta quasi un parallelo. Allo script si aggiunge la sua direzione  secca ed essenziale, fatta più forte dalla fotografia sgranata, quasi giornalistica di Luca Bigazzi, e dalla strepitosa interpretazione dell’adolescente Andrea Rossi che porta gli stessi problemi del protagonista in causa. Ha vinto il premio “Pasinetti” assegnato dal Sindacato dei giornalisti e il premio “Trasatti – La Navicella” assegnato dalla Rivista del Cinematografo con la seguente motivazione: “Perché affronta con serrata capacità di sguardo l’esperienza di una relazione con i disabili che mette a nudo le paure e le inadeguatezze di chi più facilmente elude il problema….”

 

La storia

Racconta il percorso interiore di Gianni, uomo ancora giovane, che dopo 14 anni di rifiuto, incontra per la prima volta suo figlio Paolo alla stazione di Roma. Nato disabile da un parto difficile in cui perde la mamma che non sopravvive, e il padre che lo abbandona. Crescerà con la zia, finché a quindici anni, Gianni decide di accompagnarlo in un centro di riabilitazione a Berlino dove crede e spera che lo si possa curare. È l’inizio di un viaggio che lo porterà a “rinascere padre” nella conquista di un incontro ed un rapporto con il figlio mai esistiti. Imparerà a superare diffidenze e paure, scontri e problemi, ma troverà anche gioie inattese. A confortare Gianni nei momenti più difficili ci sarà Nicole, una signora francese che incontra nella clinica di Monaco e accudisce da vent’anni una figlia in condizioni ancora peggiori. Misurata l’insufficienza del centro che si prende cura soltanto del corpo di Paolo –  il padre decide di liberarlo da ogni inutile tortura e parte con lui, alla ricerca di Kristine, un amore che Paolo ha incontrato e vagheggiato in internet. Qui Gianni imparerà a stringere a sé il ragazzo nella consapevolezza adulta di un rapporto che –  per quanto irto di difficoltà – non si potrà più spezzare o interrompere.

 

Per far pensare

a) Sull’idea del film: raccontare l’angoscia, lo spaesamento totale, di un genitore in bilico tra paura e speranza, amore nascente e combattuto ma necessario, liberante per la “strana” creatura che ha generato.

Già la presentazione di Paolo introduce magistralmente l’idea. Nella splendida sequenza d’apertura la macchina da presa mostra il letto vuoto del ragazzo, che lo spettatore non ha ancora visto, identificandosi con l’angoscia del genitore. E poi di seguito tutto il film costringe a pensare: è una storia fatta di “persone”, non di “personaggi”: basata sull’ introspezione quotidiana di un padre, il diario di Pontiggia, e un disabile reale che esprime liberamente se stesso sullo schermo. Un viaggio che diventa occasione di recupero, di più:  “scoperta di un dolore che è possibile trasformare in arricchimento”

b) Sul messaggio reale del film: “le nostre ‘chiavi di casa’,  ossia la possibilità di abitare, di convivere da adulti con la propria situazione e storia, è nella capacità di combattere le cose che non ci piacciono. Di non arrenderci e andare avanti con fiducia.

“Il pubblico è pronto per un film così?” – è stato chiesto ad Amelio in un’ intervista. “Penso che il pubblico sia sempre pronto per un film sincero”, risponde. Che non sia pronto invece per un film pesante, che racconti una storia drammatica… piangendosi addosso. Vedi il messaggio di Andrea nel finale che, di fronte al padre in lacrime ne percepisce l’inadeguatezza e gli dice: ‘EH…ma non si fa così!’. Inutile dire che è una lezione per tutti noi… Sì, il tema del film è duro, ma raccontato con grande gioia e capace di sprigionare anche allegria… perché credo davvero che anche le cose più dure che noi viviamo, abbiano sempre un lato, non dico sereno, ma da cui poterle prendere con forza per poterle dominare, trasformare, e magari, come nel film, ‘amare’ !” .

Mariolina Perentaler

 

Ringraziamo la Direzione di Dma (Da mihi animas), rivista delle Figlie di Maria Ausiliatrice, che ce ne ha consentito la pubblicazione.

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