La rosa bianca
Titolo
originale: Sophie Scholl - Die letzten Tage
Nazione:
Germania
Anno:
2005
Genere:
Drammatico
Durata:
117'
Regia:
Marc
Rothemund
Per tutti
“Un’amicizia
contro l’ideologia nazista”, oppure: “I volti di un’amicizia eroica”,
sono forse sottotitoli possibili e centrati per evocare - in sintesi -
l’emozione elevatissima e robusta che questa nuova pagina di Storia in
Cinema sta portando nelle nostre sale.
La Germania non
cancella il passato e c’è una generazione, o almeno i superstiti, che
non sfugge agli esami di coscienza. “Sophie Scholl – La Rosa bianca” del
trentaseienne Marc Rothemund, è tratto dalle vicende realmente accadute
nel febbraio 1943 al coraggioso gruppo Bavarese che si oppone al
Nazismo, adottando il punto di vista della studentessa Sophie -
condannata a morte insieme ai suoi amici “confratelli”.
In un mese
soltanto il film ha portato nelle sale tedesche più di 750mila
spettatori, “facendo risuonare in esse – scrive la stampa – un religioso
silenzio, una commozione crescente e un vibrante applauso finale”.
L’opera vince a
Berlino il premio della Giuria Ecumenica e il doppio Orso d’Argento: per
la miglior regia e la miglior interpretazione femminile, grazie alla
grande prova della giovane attrice Julia Jentsch nel ruolo della
protagonista.
Dalla valutazione
pastorale della CEI il film riceve in giudizio un convinto
RACCOMANDABILE, che ne mette in evidenza l’alto valore etico ed enuncia
le numerose tematiche su cui si può orientare la
discussione/approfondimento:
Famiglia,Giovani,
Giustizia, Libertà, Potere, Storia, Religione.
I ragazzi della “Rosa
Bianca”
“Due anni e mezzo
fa, in occasione dei 60 anni dalla morte di Sophie Scholl, i giornali
hanno pubblicato tanti articoli e così sono venuto a conoscenza
dell'esistenza dei verbali dei suoi interrogatori che non erano mai
stati resi pubblici. Gli ultimi giorni della sua vita sono stati
documentati parola per parola…E’ così che è potuto nascere il mio film”
- racconta il giovane regista in una conferenza stampa.
Il film aa
dall'arresto all'esecuzione, seguendo quasi filologicamente gli ultimi
quattro giorni di Sophie, Hans e dell’amico Christoph. Rappresentano dei
tedeschi non allineati di un’organizzazione parastudentesca che, nel
1943 in Baviera, tentò di opporsi al Nazismo con il gruppo della "Rosa
bianca".
“Ho conosciuto
Inge Scholl – continua il regista - la sorella di Sophie, dirigeva a Ulm
l'Università popolare, vestiva sempre di scuro, portava gli occhiali,
parlava sottovoce, con molta dolcezza. Il fratello Hans era stato
decapitato per ordine del Führer, e così Sophie. Werner, il più piccolo,
disperso in Russia.
Mi mostrò alcune
fotografie: in una compariva Hans alla stazione. Era il 1942. Dopo poco
sarebbe partito per il fronte. In un'altra Sophie è arrampicata ai
cancelli, e ha in mano un garofano: è una ragazza bruna, dai capelli
sconvolti…
Poi Inge raccontò
di loro:
Hans
studiava medicina. Gli piacevano le gite in montagna, suonava la
chitarra,
attaccava ai muri
della sua stanza riproduzioni di Gauguin e di Van Gogh, leggeva i poeti.
Era stato, ovviamente nella Hitlerjugend: le bandiere al vento
entusiasmavano gli adolescenti, li eccitava il rullo dei tamburi, e
l'idea di una Germania che il Führer voleva grande e potente. La
Germania, però, per Hans Scholl, era anche qualcosa d’altro e di
preciso…Per lui la patria era anche Bach, e anche il proibito
Mendelssohn e Goethe e anche i libri mandati al rogo, e i quadri
relegati in soffitta. Perché il ragazzo della Hitlerjugend non era
sfuggito alla sua crisi: piano piano si era convinto che il padre, un
vecchio liberale, non aveva tutti i torti. Poi vide un plotone di SA (i
reparti d'assalto del partito) sfilare ordinato per andare a sputare
sulla faccia distrutta di un professore che non aveva fatto altro che
rifiutare una tessera. Poi lesse ciclostilata la lettera che von Galen,
il vescovo di Münster, aveva indirizzato ai fedeli per denunziare la
violenza nazista.
Alla fine scelse…
Sophie,
la studentessa in filosofia, una signorinetta allegra, era lieta
di seguire il
fratello nella scoperta del mondo. Cominciarono a compilare messaggi di
rivolta che firmavano con un nome romantico: “La rosa bianca”. A
stamparli in uno stanzone abbandonato, a distribuirli nelle cassette
della posta, nei corridoi, nelle aule universitarie. Fecero in tempo a
scriverne sei, in cui usarono le parole libertà contro obbedienza,
persona contro massa, coscienza contro fanatismo.
Poi la cattura. La
condanna.
Per
far pensare
Sull’idea del film
Una risma di
volantini lanciati nell’atrio dell’Università di Monaco. Un volo di
fogli bianchi come colombe che denunciava gli orrori e le bugie del
regime nazista ed invitava i tedeschi alla disobbedienza in nome della
pace
La forza di un
simbolo? Indubbiamente. La forza della PAROLA che travalica lo spazio ed
il tempo. Che affronta disarmata la libertà, l’intelligenza, la
coscienza di chi la incontra. Una forza capace di mettere radici fino a
far volare il cuore e le sue scelte, ben più in alto dei volantini
stessi. Perchè la forza della verità sa imporsi senza violenza, sa
resistere e risplendere fino al sacrificio supremo. Per questo, alla
luminosità dei fogli in apertura, si accompagna lungo tutto il film un
impegno di regia a far intravvedere aperture, spiragli di luce - tra un
interrogatorio e l’altro, oltre le finestre della cella. È l’affermarsi
sofferto, ma insopprimibile della fede nella voce della libertà contro
l’oscurantismo di ogni dittatura.
Sul
sogno del film:
Porre l’accento –
oggi – sulla giovinezza come categoria dello spirito, nella chiave di
una scelta di purezza assoluta, a costo della morte.
Sophie commuove
proprio perché in un’epoca opaca come la nostra ricorda quanto può
essere grande e sublime agire secondo coscienza. E non alla maniera dei
kamikaze, affascinati dall’idea di farsi esplodere in mezzo a folle di
vittime innocenti. Nelle file dell’integralismo le liste d’attesa di
questi aspiranti continuano a infoltirsi. E Kiezic – noto critico del
Corriere della Sera – giustamente commenta: “Paragonata a questa ondata
di follia postmoderna, la linea di condotta dei congiurati de La Rosa
Bianca dimostra che si può compiere il gesto più radicale, oltre che
politicamente efficace, limitandosi a mettere in ballo la propria vita.
Senza prendere in mano un’arma né fare del male a nessuno. Per questo –
continua – se l’espressione non fosse rischiosa, proporrei di
considerare “La Rosa Bianca come un film d’obbligo.” E non solo per la
serietà con cui rinfresca la memoria su uno dei rari esempi di
resistenza contro Hitler. Ma per le riflessioni che l’esempio di Sophie
può suggerire in un mondo come quello di oggi, stordito peggio di allora
dalla propaganda più dirompente”.
Mariolina Perentaler
Ringraziamo la
direzione di DMA (Da Mihi Animas) delle Figlie di Maria Ausiliatrice per
l’autorizzazione a pubblicare.
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