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Kadosh
Regia di Amos Gitai

Tematiche: Donna, Famiglia; Rapporto tra culture, religioni e sette

Regista:  Amos Gitai

Interpreti:  Yael Abecassis, Yoram Hattab, Metal barda, Uri Ran Klauzner

Genere:  Drammatico

Produzione:  Francia 1999 – Colore

Durata: 112’

Amos Gitai è uno degli autori più significativi del cinema israeliano. Attento ai problemi del suo Paese. Pronto, quando lo ritiene necessario, a metterne in rilievo le contraddizioni e addirittura gli errori.

Tra i molti suoi film – apprezzati anche all’estro, due, ambientati i  diverse città, vertono su situazioni e problemi vivi in Israele. Uno è l’inventario”, con Tel Aviv di sfondo, dove affronta il problema degli adulti di oggi: i figli dei primi emigrati. L’altro è “giorno per giorno” in cui rappresenta la sua città natale Haifa, e dove studia le possibilità di convivenza tra palestinesi/israeliani, con le molteplici difficoltà che ne conseguono.

Nel nostro “Kados”, invece, cambia ancora ambientazione. Penetra nel quartiere più chiuso di Geruslemme: il Mea Sheraim, abitato da ultraortodossi che arrivano a non riconoscere lo Stato di Israele perché troppo laico.

Il tema specifico di Giatai in questo film è quello dell’infelicità di Rivka e della sorella Malka. Delle loro vite annullate e/o sacrificate, da un integralismo religioso intollerabile e irrazionale che un antica paura, viva ancora oggi, si ostina a perpetuare.

Rivka è sposata da dieci anni con Meir – uno studioso della legge. Si amano teneramente, ma non hanno ancora potuto generare figli. Per questo fatto si interpone tra loro il Rabbino e, in nome della fedeltà alla legge, pretende che Meir ripudi Rivka. La dura sentenza viene eseguita con il sacrificio più totale della donna. Anche alla sorella, innamorata di un giovane più libero non appartenente al Mea Shearim, viene imposto di sposare un ultraortodosso: l’assistente del rabbino. Malka si piega, ma a differenza di Rivka, decide per la ribellione. Il film chiude proprio sull’alba della sua fuga da Gerusalemme.

In sintesi, la storia di due sorelle che “reagiscono in modo diverso alla società claustrofobia che le opprime”.

“Una denuncia della condizione della donna ridotta a un ruolo subalterno privo di diritti e di riconoscimenti. Una denuncia dell’integralismo religioso e dei guasti che provoca sulle coscienze e sulla vita individuale e collettiva (Valutazione espressa dalla CEI

Il film è girato e diretto con stile rigoroso e intenso senza alcun cedimento né sul versante emotivo o patetico, né su quello della polemica ideologica. Fa perno sull’umanità dei personaggi soprattutto femminili che scava con cura e, per contrasto, sul vuoto triste dei rituali, ossessivamente rigidi e fermi all’interpretazione letterale della legge.

E’ un film meritevole bello che può far dibattere con pensosità su tematiche diverse, capaci di superare l’ambito ebraico della vicenda per investire con tutta attualità problematiche di tipo universale. Quindi molto adatte in tempo di immigrazione, di dialogo interculturale e interreligioso.

Mariolina Perentarel

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