n. 12
dicembre 2005

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ALCUNI ASPETTI DELLA PREGHIERA
CRISTIANA
di Luis Alfonso Orozco, LC*
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La
preghiera è l’elevazione dell’anima a Dio o la domanda a Dio di beni
convenienti», da dove cominciamo? Dall’altezza del nostro orgoglio e
della nostra volontà o “dal profondo” (cfr. Sl 130,1) di un cuore umile
e contrito? È colui che si umilia ad essere esaltato. L’umiltà è il
fondamento della preghiera. «Nemmeno sappiamo che cosa sia conveniente
domandare» (Rm 8,26). L’umiltà è la disposizione necessaria per ricevere
gratuitamente il dono della preghiera: «L’uomo è un mendicante di Dio» (La
preghiera come dono di Dio, Catechismo della Chiesa Cattolica, n.
2559).
L’amore
per la preghiera
Un
compito irrinunciabile nella formazione permanente delle persone
consacrate è aiutarle a creare una solida abitudine di preghiera. Di
fatto, i primi periodi formativi, come l’aspirantato e soprattutto il
noviziato, tendono a questo, ma la formazione alla preghiera non finisce
lì; essa continua in tutte le altre tappe della vita, dato che la
preghiera è un cammino sicuro per conoscere, amare e imitare Cristo ed
è, quindi, un cammino di continua conversione interiore. Esso richiede
diversi sforzi per formare e formarsi all’amore per la preghiera, in
tutte le tappe della vita.
Anzitutto sorge una
domanda sul perché sia importante parlare sull’amore per la preghiera.
Se la preghiera è un incontro con Dio Padre, un dialogo del cuore
nell’amore, è grazie ad essa che può crescere in noi quell’amore
personale per Dio, indispensabile se vogliamo imparare e insegnare a
pregare. I cristiani, e tanto più le persone consacrate, dovrebbero
essere maestri/e nella preghiera, esperti/e nella vita di orazione.
Questo è indispensabile per diventare persone cristianamente mature, di
solide convinzioni, persone che sentono la preghiera come una necessità
vitale da cui non possono prescindere. Infatti, con il trascorrere del
tempo tutti possiamo variare una o più volte l’attività apostolica: si
può passare da un compito all’altro dentro al proprio istituto e
svolgere diverse responsabilità, senza che per questo cambi l’essenza
della nostra consacrazione, né tanto meno l’amore e l’esercizio costante
della preghiera, e questo perché la vita consacrata è sequela di Cristo,
e per seguire, conoscere e amare il Signore abbiamo bisogno di un grande
amore per la preghiera.
Un
aneddoto su papa Giovanni Paolo II, durante il suo pellegrinaggio del
duemila in Terra Santa, riferisce che egli voleva a ogni costo pregare
ancora una volta nel Santo Sepolcro, prima di lasciare Gerusalemme e,
quindi, si dovette modificare il programma, perché lui potesse recarvisi
a pregare per alcuni minuti. Se noi fossimo davvero persone che amano la
preghiera sopra ogni altro valore, daremmo alla preghiera il primo posto
nelle nostre attività, e Dio benedirebbe noi e le persone affidate al
nostro impegno apostolico. Pregare con fede, speranza e carità è un modo
bellissimo di praticare quella “maternità, o paternità spirituale”,
verso le anime, che non può mancare nel cuore dei consacrati e delle
consacrate. A tal fine, è importante che ci ricordiamo sempre che prima
di parlare alla gente di Dio, dobbiamo aver parlato con Dio.
Il valore della preghiera
Un
compito importante all’interno di ogni congregazione, o istituto, è
quello di formare le persone consacrate all’importanza e al valore che
la preghiera ha per tutta la vita. Di solito i primi passi della
vocazione sono caratterizzati da un grande slancio spirituale. L’anima
prova particolari consolazioni nella preghiera, dove scopre un mondo
nuovo e ampio che, forse, prima non conosceva. Ama pregare e cerca di
trovare sempre più spazi di tempo per farlo, e anche Dio si fa gustare
un po’, e così l’anima trova un grande conforto nel proprio cammino
vocazionale. Questo momento di slancio positivo deve essere gestito con
intelligenza e con rispetto per la persona.
Con
pazienza, la maestra di formazione deve introdurre le sue postulanti e
novizie nell’arte della preghiera. Farà gustare loro l’importanza del
pregare bene in tutte le situazioni, indipendentemente dagli stati
d’animo che possono aiutare o meno. Insegnerà loro che il valore della
preghiera non dipende dai sentimenti, ma dal desiderio e dalla volontà
di unirsi a Dio, anche nei momenti di aridità spirituale e nella
tentazione. Parlerà loro dell’importanza della preghiera per la
perseveranza dell’amore, per la crescita spirituale, per aumentare
l’amicizia con Dio, per avere frutti nell’apostolato. L’obiettivo è di
far nascere nell’anima un grande desiderio di pregare e parlare con Dio
in ogni circostanza. Che la preghiera diventi non un “compito” da
svolgere durante la giornata, ma un atteggiamento vitale dell’anima, una
tensione di tutto l’essere che cerca abitualmente di essere unito a Dio,
per fare sempre la Sua volontà.
Può
capitare che in un determinato momento di maturazione spirituale, la
persona non provi tanto gusto nella preghiera come all’inizio della
propria vocazione: sa che deve pregare, ne vede la necessità, ma fugge
dai momenti di preghiera, sperimenta delle difficoltà particolari per
raccogliersi e per mettersi all’ascolto di Dio. Sembra che le
preoccupazioni e gli altri impegni quotidiani l’invadano proprio nei
momenti di preghiera, personale o comunitaria. E questo può avvenire
perché Dio non è percepito come le altre realtà fisiche. Quelle sono lì,
si vedono, si sentono, attraggono… Invece Dio, nonostante che è più
reale di ogni altra cosa e che dà fondamento all’essere e a tutto il
creato, non lo si vede così: Dio non è un oggetto immediato della nostra
esperienza sensibile. Lo vede solo l’occhio della fede, lo
sperimenta solo l’anima che sa amare, lo segue solo la
volontà ben affinata nell’amore. Quindi, bisogna spiegare alle persone
in formazione la natura della preghiera, per introdurle progressivamente
nell’arte e nell’esercizio della preghiera. Sarà importante spiegare
loro il grande valore della preghiera nel cammino della propria
santificazione, perché lo imparino non solo come una dottrina, ma
facendone un’esperienza diretta e personale.
È
importante anche ricordare che nel pregare bisogna impegnare tutta la
persona: intelligenza, volontà, immaginazione, sentimenti e,
soprattutto, cuore, che è la sede degli affetti. Non dobbiamo avere
nessun timore di mostrarci davanti al Signore tali quali siamo, perché
Lui ci conosce molto meglio di noi e sa di che cosa abbiamo bisogno. La
preghiera cristiana non è mai un “trattato di teologia” che noi facciamo
davanti a Dio, né una lettura spirituale molto edificante. Nel primo
caso avremmo uno studio di teologia e nel secondo una lettura
spirituale, ma non la meditazione. Questa è, invece, un dialogo intimo
con Dio, che è l’Amore personificato.
Sono
note alcune definizioni sulla preghiera tratte dall’esperienza dei
santi, come quelle di santa Teresina di Lisieux, che diceva: «Per me la
preghiera è uno slancio del cuore, un semplice sguardo gettato verso il
cielo, un grido di gratitudine e di amore nella prova come nella gioia».
Teresa d’Avila definiva la preghiera come un «parlare di amore con Colui
che sappiamo che ci ama», mentre, per san Giovanni Damasceno la
preghiera era una «Elevatio mentis in Deum», una
elevazione dell’anima verso Dio, ecc.
Quindi, dall’esperienza vissuta dai santi si può evincere che la
preghiera è un dialogo intimo con Dio che fortifica nell’anima la
ragione d’essere della propria vita: compiere la volontà di Dio. Il
grande valore della preghiera sta nel fatto di essere un rinnovamento
spirituale continuo, a partire da Dio. Pregare diventa così quel
ripartire ogni giorno da Cristo nella nostra vita di consacrazione
esposta ai pericoli e alle sfide che presenta il mondo relativista e
consumista. La preghiera cristiana è, quindi, un rapporto di alleanza
tra Dio e l’uomo, rapporto che costituisce una vera alleanza di amore
sponsale. Ed è nella preghiera, quindi, che anche noi, persone
consacrate, coltiviamo il nostro amore sponsale con Cristo.
Il fervore nella preghiera
È
pure opportuno distinguere la differenza che esiste tra il fervore
sensibile e il fervore risoluto nel pregare. Il fervore è un
atteggiamento permanente di generosità dell’anima, nel cammino della
perfezione spirituale. Questa chiarificazione è importante, perché
nasconde il successo di tante anime fervorose. Difatti, nella vita
spirituale, il lavoro fatto con purezza di intenzione è sinonimo di
vittoria. Le attività sono permanenti e varie, ma come segno di
disponibilità totale a Dio. Un esempio, fra i tanti, è quello di santa
Giuseppina Bakhita, religiosa del Sudan, che dopo aver sofferto la
schiavitù da fanciulla, trovò la fede e si fece religiosa nell’Istituto
delle Canossiane. Per oltre cinquant’anni, quest’umile Figlia della
Carità, vera testimone dell’amore di Dio, visse prestandosi in diverse
occupazioni nella casa di Schio: fu cuoca, guardarobiera, ricamatrice,
portinaia. Trovò la santità in quelle umili attività, unendosi sempre a
Dio con grande fervore spirituale.
Ora,
il fervore può essere sensibile se alla volontà si
accompagna anche il gusto nel compimento della volontà di Dio, che si
manifesta nella preghiera e nel dovere di ogni giorno. Diciamo
risoluto, invece, quel fervore al quale manca il gusto
sensibile, ma la volontà resta ferma in ciò che deve compiere come suo
dovere. È molto importante conoscere bene il ruolo dei sentimenti nel
fervore, perché alle volte le giovani novizie, e le religiose,
pensano di non saper più pregare, solo perché non sperimentano una
particolare soddisfazione sensibile. Credono che se manca il sentimento,
o il fervore sensibile, non pregano bene, credono di essere state
abbandonate da Dio e, quindi, si abbandonano allo scoraggiamento… Santa
Teresa di Gesù, una grande maestra della preghiera cristiana, sostiene
invece che «colui che ha cominciato una vita di preghiera, non deve
ritornare indietro; deve perseverare per trovare i frutti». La
preghiera, infatti, non consiste nel sentire emozioni speciali o nella
mancanza di distrazioni; essa è un dialogo con Dio, nel quale la volontà
ha l’impegno portante e, quindi, dobbiamo conformare la nostra volontà
su quella di Dio, sapendo che la preghiera perseverante è anche lotta e
conquista di noi stesse, ogni giorno.
Le difficoltà nella preghiera
Le
distrazioni
sono le difficoltà più comuni che trovano le persone che desiderano
pregare. Nonostante i propri sforzi per raccogliersi, l’immaginazione
vola qua e là. Appena uno si mette a pregare, all’improvviso vengono in
mente cento cose da fare, da ricordare, pensieri da scacciare, ecc.
Sembra che qualsiasi cosa sia più importante, in quel momento, del
pregare! Ora, la distrazione è interessante, perché ci rivela ciò a cui
siamo attaccati. Questo cercare di concentrare la mente fa soffrire
l’anima, che vorrebbe essere raccolta del tutto nel suo Dio, almeno
durante il tempo della preghiera.
Una
difficoltà, specialmente per coloro che vogliono sinceramente pregare, è
l’aridità. Fa parte della vita di orazione nella quale il cuore
sembra sia diventato insensibile, senza più gusto per i pensieri, i
ricordi e i sentimenti spirituali. Questo può avvenire nel noviziato,
una volta che sono passate le consolazioni di Dio, ma può accadere anche
nella vita religiosa matura e nella persona che svolge l’apostolato.
L’aridità è una prova. È il momento in cui siamo chiamati/e ad
esercitare la fede pura, come quella di Gesù nell’agonia dell’orto degli
ulivi.
Un’altra difficoltà è la routine e la tiepidezza: si cerca di
pregare perché bisogna farlo, ma senza entusiasmo, senza ardore; in
questo caso, la preghiera ci sembra un compito difficile da assolvere.
Questa situazione è pericolosa, perché pian piano l’anima si
affievolisce, s’indebolisce, fugge dall’incontro con Dio e da se stessa.
È una perdita progressiva di energia spirituale. È qualcosa di simile al
caso di un malato che non mangia più e che ogni giorno, senza rendersene
conto, si indebolisce. Questa situazione, nella persona consacrata, può
dare origine al peccato veniale e preparare così la rovina della
vocazione. Le grandi personalità, i grandi successi nella vita
spirituale, così come le grandi disfatte, non si fanno in un giorno; si
vanno preparando lentamente nell’anima. A questo riguardo serve
considerare il buon esempio di santa Maria Faustina Kolawska, suora
della Beata Vergine Maria della Misericordia. Nella vita di convento lei
era una in più. Tutti i doni e le rivelazioni erano nascosti agli occhi
delle consorelle. La sua vita, apparentemente ordinaria, monotona e
grigia nascondeva in sé una profonda e straordinaria unione con Dio. Che
cosa ci sarà mai nelle cose piccole, che a Dio piacciono tanto?
Una
ulteriore difficoltà è costituita dall’accidia. Con questo
termine, nella vita spirituale, si intende una certa forma di
depressione, uno svuotamento di interesse per le cose spirituali, una
forma di indifferenza... «Lo spirito è pronto, ma la carne è debole» (Mt
26,41). Non bisogna scoraggiarsi per queste difficoltà che troviamo nel
pregare. Il Signore ci conosce bene e sa che siamo creature deboli e
limitate: l’importante è ricominciare nuovamente, superando ogni
tentazione, quando ci accorgiamo di esserci allontanate in qualche modo
dalla preghiera e dal Signore Gesù.
I tipi di preghiera
Preghiera vocale.
Nella vita comunitaria religiosa e nella vita cristiana di tutti i
fedeli, la preghiera vocale occupa un posto molto importante. Esprime,
in gesti e parole, l’intimo del cuore, la risposta data a Dio come corpo
ecclesiale che vive il mistero della comunione. La preghiera vocale
aiuta molto a formare l’unità della comunità, nel pregare insieme come
gli apostoli con Maria. Se in comunità ci sono dei momenti per pregare
insieme, allora si rende a Dio la lode a Lui dovuta. L’importante è che
le parole esprimano il desiderio del cuore.
Preghiera liturgica.
Liturgia eucaristica e liturgia delle ore. Anche queste sono preghiere
prevalentemente vocali. In forza della nostra consacrazione religiosa,
siamo chiamati in un modo particolare a santificare il corso del giorno
e della sera con la lode di Dio. Celebrare la liturgia delle ore
richiede non soltanto di far concordare la voce con il cuore che prega,
ma anche di procurarsi una più ricca istruzione liturgica e biblica,
specialmente riguardo ai Salmi: Quam bonum et quam iucundum habitare
fratres in unum! (quanto è buono e quanto è soave che i fratelli
vivano insieme!, Sl 133).
La
meditazione o preghiera mentale.
Qui si parla della preghiera discorsivo-affettiva. Sicuramente si tratta
di un metodo molto conosciuto, noi lo vogliamo ricordare al fine di
offrire dei mezzi per aiutare nel lavoro di formazione alla preghiera.
Parliamo della preghiera personale e individuale, quella cioè che si fa
mentalmente in cappella o nella propria stanza. Le parti che la
compongono sono:
a)
Preamboli.
La meditazione di solito si prolunga per un’ora, o mezz’ora, d’accordo
con le diverse regole degli istituti. Si fa all’inizio della giornata,
perché dia l’impronta e segni il ritmo del giorno. Si comincia, di
solito, con il canto del Veni Creator per chiedere l’aiuto dello
Spirito santo. Dopo, già in cappella o nella propria stanza, si rinnova
la nostra fede nella presenza di Dio durante alcuni brevi istanti, del
tipo: «Signore, io so che tu sei qui, io credo in te, ti amo, ti adoro.
Tu sei il mio Dio, Tu sei l’amore della mia anima…». L’importante è fare
un sincero atto di umiltà, di riconoscenza davanti al nostro Creatore e
Signore. Dice il Catechismo della Chiesa Cattolica: «L’umiltà è
il fondamento della preghiera» (n. 2559). In verità, quando siamo
davanti a Dio ci deve prendere lo stupore: «Signore allontanati da me
perché sono un uomo peccatore!».
Si iniquitatis observaveris Domine, Domine quis sustinebit?
Dopo,
mettiamo nelle mani di Dio il frutto che vogliamo raggiungere. Questo è
di grande importanza, perché la preghiera scorra con interesse.
b) La composizione di luogo: serve ad aiutare la nostra
immaginazione nel ricreare una scena evangelica per favorire la
contemplazione e il colloquio con Dio, con Gesù e con Maria. Quindi,
avviene lo sviluppo della meditazione. Dopo i primi passi enunciati, si
fanno quelli che sono tradizionalmente chiamati i “punti” di lettura,
che hanno due parti: quella discorsiva con riflessioni e considerazioni,
e quella affettiva fatta di colloqui: la conversazione intima con Dio
nel cuore.
Un consiglio utile per
istruire le novizie in questo metodo è che la Superiora, o la Maestra di
noviziato, faccia a voce alta la meditazione (un poco come la nostra
mamma a casa, quando eravamo bambini) durante un periodo di tempo. La
novizia scopre, così, pian piano come si può pregare, come ci si può
rivolgere a Dio, e comincia da sola a farlo. Molto importante è far
calare nel cuore le considerazioni fatte con l’intelligenza.
c)
I punti per la meditazione. Si dovrebbero preparare la sera
precedente e si possono prendere:
-
dalla Sacra Scrittura, soprattutto dal Vangelo;
- dal
Magistero della Chiesa (le encicliche: Redemptor hominis, Dives in
misericordia, Redemptoris Mater, Evangelium vitae, Fides et ratio.
Esortazioni apostoliche: Vita consecrata, Redemptionis donum,
Reconciliatio et poenitentia, Familiaris consortio. Lettere
apostoliche: Mulieris dignitatem, Novo millennio ineunte..., dai
discorsi del Santo Padre durante i suoi viaggi e dai suoi insegnamenti
ordinari...);
-
dalla liturgia (tanti testi bellissimi dalla liturgia eucaristica e
dalla liturgia delle ore);
-
dagli scritti della Fondatrice o Fondatore;
- dai
Padri della Chiesa (sceglierne uno e approfondirlo);
- da
autori spirituali sicuri.
Le
superiore hanno il dovere di aiutare le consorelle in formazione a
trovare autori sicuri, fedeli alla dottrina e al magistero della Chiesa.
Per le consacrate, poi, la preghiera della fondatrice, o del fondatore,
può diventare una vera “scuola di orazione”. Dio ha voluto darvi un
carisma tramite il fondatore o la vostra fondatrice, perciò gli scritti,
le lettere, le preghiere dei fondatori e delle fondatrici sono tesori
inestimabili per tutti i consacrati e le consacrate.
d) La
meditazione si conclude con un proposito. È molto conveniente che
questo proposito, e le principali luci avute nella meditazione, venga
ricordato durante la giornata. Esso può aiutarci a convertirci al
Signore Gesù: metanoia. La meditazione, quindi, deve illuminare
la mia giornata, mi deve aiutare a vedere tutto con fede, ad avere
fortezza, a essere coraggiosa nella mia vocazione, a coltivare i
colloqui con il Signore, presente nel mio cuore, durante tutta la
giornata.
Non
bisogna dimenticare, poi, che ci sono altre parti complementari della
meditazione: ossia la preparazione remota, fatta con il silenzio,
il raccoglimento, la consapevolezza della presenza di Dio; la
preparazione prossima, che comincia con il grande silenzio
durante la notte e nel mattino all’alzarsi, prima della preghiera; la
lettura per la preparazione dei punti durante la preghiera della
sera; la preparazione immediata, che va dal momento di svegliarsi
fino al momento di cominciare la preghiera: ricordare i punti della
meditazione, coltivare il raccoglimento, il silenzio, la dedizione,
l’offerta delle opere.
Una
considerazione finale sul raccoglimento
e il suo ruolo nella vita di preghiera
Raccoglimento significa “diventare calmo/a”. Abitualmente la persona è
divisa fra la molteplicità delle cose da fare, eccitata da incontri
amichevoli o ostili, angustiata da desideri e dal timore, dalle
preoccupazioni o dalle passioni. Sempre occupata a combattere o a
difendersi, ad acquistare o a respingere qualche cosa, a costruire o a
distruggere. Bisogna, dunque, allontanare da sé i desideri disordinati e
rivolgersi all’unico che ora ha importanza; rinunciare alla propria
volontà e dire a se stesso: “Ora non ho nient’altro da fare che pregare.
I prossimi trenta minuti – o qualunque altro tempo prefissato – non
devono servire che a questo. Tutto il resto non esiste più. Io sono
completamente libera, e solo per questo sono qui”.
«L’uomo, infatti, è una creatura piena di astuzia e l’astuzia del suo
cuore appare anzitutto nella vita religiosa. Quando comincia a pregare,
subito qualche altro pensiero chiamato dalla sua inquietudine interna
s’insinua nella preghiera e pretende di essere ascoltato. Qualsiasi
cosa, un lavoro, un colloquio, un incarico, una ricerca, un libro, un
giornale, gli sembra più importante e la preghiera un puro perditempo.
Ma appena egli l’ha interrotta, in seguito a questa riflessione, il
tempo, che prima gli sembrava così scarso, ora gli avanza ed egli lo
sciupa nelle cose più inutili... Raccogliersi significa vincere quest’inganno
dell’inquietudine e diventare calmi, liberarsi da tutto ciò che è
estraneo alla preghiera e mettersi a disposizione di Colui che ora solo
ha importanza, ossia del Signore (...). II raccoglimento non è facile da
raggiungere, specialmente quando, dopo il primo slancio, l’interesse
scompare e tutto il disordine interiore appare chiaramente... Dal
raccoglimento dipende tutto. Nessuna fatica impiegata a questo scopo è
sprecata. E se anche tutto il tempo destinato alla preghiera
trascorresse nel cercarlo, sarebbe bene impiegato, poiché in sostanza il
raccoglimento è già preghiera. Anzi nei giorni di inquietudine, di
malattia o di grande stanchezza può essere bene, qualche volta,
accontentarsi di questa “preghiera del raccoglimento”. Questo ci
calmerà, ci darà forza e aiuto. E chi dapprima non ottenesse altro che
vedere chiaramente le proprie difficoltà a questo proposito, avrebbe già
guadagnato molto. Avrebbe in qualche modo già toccato il punto che sta
dietro alla distrazione»1.
* * *
«Non pensare a ciò
che può portarti l’avvenire,
ma sforzati sempre di essere
interiormente calma e serena,
poiché non da come
si forma il tuo destino,
ma dal modo in cui
ti comporti dinanzi a esso
dipende la felicità della tua vita.
(Erich Fromm)
Note
* Docente al Pontificio Ateneo
Regina Apostolorum di Roma
1
Sul
raccoglimento, cfr. Romano Guardini,Introduzione alla preghiera,
Morcelliana, brescia 1987, pp. 20-26.
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