 |
 |
 |
 |
La
presentazione biblica di Maria ha per me, cinese, qualcosa di simile a
un dipinto sulla seta che ha queste caratteristiche tipiche: poche
pennellate, molto spazio bianco, colori tenui, contorni non totalmente
definiti, soggetti semplici e senza pretesa, atmosfera di sacro
silenzio. Le poche pennellate cadono armoniosamente in posti appropriati
e sprizzano energie; grazie ad esse anche lo spazio bianco diventa denso
di significato. Il tutto invita a trascendere, a lanciarsi verso
l’infinito, a spiare il mistero, a fare esperienza dell’oltre, a
dilatarsi nel bello.
I pochi racconti evangelici su Maria
formano con il molto spazio bianco che li circonda un tutto armonioso,
dinamico, affascinante. De Maria numquam satis: non solo il
parlare di Maria è inesauribile, ma anche la contemplazione dei pochi
tratti evangelici su Maria non ha mai fine. Le seguenti riflessioni sono
frutto di una delle infinite contemplazioni di questo bellissimo
capolavoro del Signore, vogliono cogliere in particolare l’armonia e il
dinamismo nell’immagine evangelica di Maria facendo emergere il suo
cammino interiore, la sua «peregrinazione della fede»1
in intima unione con Gesù.
Dal «quomodo fiet»
al «fiat»
Contempliamo Maria nel momento in cui
riceve all’improvviso l’annuncio dell’angelo. Al messaggio sorprendente
di Gabriele la risposta di Maria non scatta in modo istantaneo ed
irriflesso. La sua prima reazione è quella del turbamento, tipico di chi
è consapevole di trovarsi di fronte a qualcosa che lo trascende
infinitamente, ad una novità insospettata di cui non riesce a cogliere
subito il senso. Non si tratta di un dubbio scaturito dall’incredulità,
bensì del senso di stupore di fronte alla sproporzione tra la grandezza
della proposta e la limitatezza effettiva della capacità di
realizzazione. È l’atteggiamento dell’umile e del riflessivo, di chi
cioè è cosciente della propria piccolezza e si avvicina al mistero con
timidezza e discrezione, attento a penetrarne il senso. È il sentimento
del povero che sa meravigliarsi di fronte ai doni gratuiti.
La seconda reazione di Maria è
un’obiezione. Maria invoca luce: Quomodo fiet istud? («Come
avverrà questo?») e manifesta il dilemma del suo voler acconsentire, ma
non saper come. Ella domanda a Dio che cosa dovrà fare per essere in
grado di obbedire. Lo spirito di Maria è come quello del salmista quando
prega Dio dicendo: «Fammi conoscere la via dei tuoi precetti e mediterò
i tuoi prodigi [...]. Dammi intelligenza perché osservi la tua legge e
la custodisca con tutto il cuore» (Sal 119,27.34).
Dopo che l’angelo le ha manifestato
in che modo è resa protagonista, luogo e testimone di «grandi cose»,
Maria accetta con piena disponibilità, passando così dal quomodo fiet,
«come avverrà», al fiat, «avvenga». Il fiat di Maria,
come quello insegnatoci da Gesù nel Padre nostro (Mt 6,10), è un
abbandono fiducioso e un desiderio gioioso di realizzare la volontà di
Dio. Con il suo fiat ella ricapitola tutta la schiera degli
obbedienti nella fede nell’Antico Testamento e inaugura il nuovo popolo
pronto ad ascoltare la voce di Dio che ora parla per mezzo del suo
Figlio.
La dinamica del cammino interiore di
Maria risulta ancor più chiara se si prende in considerazione il
confronto intenzionale fatto da Luca tra due annunciazioni: a Zaccaria e
a Maria. Zaccaria, anziano e stimato, sacerdote, uomo giusto,
rappresentante ideale della religiosità anticotestamentaria, incontra
l’angelo in Gerusalemme, nel tempio, durante il culto. Uomo santo, luogo
santo, tempo santo: tutto sottolinea la sacralità e la solennità
dell’evento. Maria, invece, una sconosciuta ragazza di Nazaret, città
disprezzata, da cui non potrebbe venire qualcosa di buono (cf Gv 1,46),
incontra l’angelo nella quotidianità semplice e domestica. Ma Dio
capovolge le posizioni. L’angelo entra «da lei», è Maria in realtà il
tempio dell’Altissimo. Ella «ha trovato grazia presso Dio», il dono
divino giunge a lei gratuitamente, non a causa della sua osservanza
della legge o in risposta alla sua preghiera di domanda, come è nel caso
di Zaccaria. Anche la conclusione dei racconti è diversa: Maria crede,
si apre e diventa collaboratrice di Dio nel salvare il mondo, mentre
Zaccaria si chiude nel suo mutismo, isolato, perché chi non crede al
disegno di Dio non può nemmeno parlarne.
«Camminare in fretta» e
«conservare tutto nel cuore»
La premura del cammino verso Ain
Karim, come poi la sollecitudine alle nozze di Cana, mostrano lo stile
attivo, intraprendente, creativo, risoluto di Maria. Il suo andare in
fretta è immagine della Chiesa missionaria che, subito dopo la
Pentecoste, investita dallo Spirito Santo, si mette in cammino per
diffondere la buona novella fino agli estremi confini della terra. Paolo
conosce bene questa fretta: «È l’amore di Cristo che ci spinge» (2Cor
5,14).
Maria non guarda alle distanze, ai
rischi possibili, non calcola il tempo, non misura la fatica. L’ardore
nel cuore le mette ali ai piedi. Ella si sente spinta, mandata da quel
Dio che porta dentro. Ma il camminare di Maria non è solo movimento
esterno, è un andare restando nel Signore, un partire dimorando in lui,
un viaggiare portandolo dentro di sé. È la vita interiore che muove,
dirige, avvolge e dà senso all’azione esteriore; è il silenzio che
matura la parola. Ella unisce la contemplazione nell’incontro col
mistero alla concreta azione nell’esperienza del servizio; fonde in
armonia il più grande trasporto nei confronti di Dio e il più grande
realismo nel confronti del mondo e della storia.
Alla sollecitudine e laboriosità
esterna corrisponde un’attività vivace interna. Maria «conserva tutte le
cose nel cuore meditando» (Lc 2,19.51). Luca ha voluto sottolineare
l’atteggiamento riflessivo e sapiente di Maria di fronte al mistero
ripetendo questa frase per due volte. È un’espressione che apre profondi
spiragli sulla vita interiore di Maria. Maria, Vergine sapiente, Vergine
in ascolto, è una donna dal cuore grande, capace di conservare le
«grandi cose» operate da Dio in lei nella storia, capace di far memoria
delle meraviglie di Dio, capace di collegare dentro di sé il passato con
il presente, trasformando tutto in seme di futuro. Ella non capisce
subito tutto, ma ospita tutto nel suo cuore, si apre al mistero
lasciandosi coinvolgere e rispettando i ritmi della rivelazione storica
di Dio.
Questo atteggiamento di Maria, Gesù
lo insegna anche ai suoi discepoli: «Ma io vi ho detto queste cose
perché, quando giungerà la loro ora, ricordiate che ve ne ho parlato» (Gv
16,14). «Il seme caduto sulla terra buona sono coloro che, dopo aver
ascoltato la parola con cuore buono e perfetto, la custodiscono e
producono frutto con la loro perseveranza» (Lc 8,15).
I discepoli di Gesù, in particolare
le persone consacrate, devono imparare da Maria, Maestra sapiente, il
segreto dell’unificazione vitale tra interiorità e attività, tra essere
e fare, tra credere e operare, tra preghiera e lavoro, tra memoria e
creatività, tra concentrazione e diffusione della parola di Dio, tra
«conservare tutto nel cuore» e «camminare in fretta», tra l’accogliere
il dono di Dio e il farsi dono di Dio per gli altri.
«Vedere un segno» e
«essere segno»
Maria parte da Nazaret e si mette in
cammino dietro un «segno» datole dall’angelo: «Vedi, anche Elisabetta,
tua parente, nella sua vecchiaia, ha concepito un figlio» (Lc 1,36).
Nella modesta casetta del sacerdote Zaccaria, l’anziana Elisabetta
attende il figlio donatole per grazia sorprendente. Questo fatto deve
essere per Maria una prova della potenza di Dio a cui «nulla è
impossibile» (Lc 1,37).
Quando Sara, moglie di Abramo, rideva
incredula al pensiero di poter ancora partorire nella vecchiaia, il
Signore le fece questa domanda: «C’è forse qualche cosa impossibile per
il Signore?» (Gn 18,14). Isaia invita il popolo scoraggiato e travolto
dalla sofferenza a fidarsi di colui che può tutto: «Ecco non è troppo
corta la mano del Signore da non poter salvare; né tanto duro è il suo
orecchio, da non poter udire» (Is 59,1).
Maria cammina verso la montagna
animata dalla fiducia in Dio. Come dirà poi nell’esplosione di gioia del
Magnificat, il Signore è per lei «Salvatore», «l’Onnipotente», un
Dio che «si ricorda della sua misericordia» e la stende «di generazione
in generazione su quelli che lo temono» (Lc 1,47.49-50).
La fiducia di Maria è rafforzata dal
«segno» offertole da Dio, ma in realtà, ella stessa è un segno di Dio
dato all’umanità, «un segno di speranza e di consolazione».2
Infatti Maria segna l’aurora che precede il sorgere del sole, segna
l’irrompere della salvezza nella storia, segna «la pienezza del tempo»
(Gal 4,4). Mentre Isacco, il bambino di Sara, e Giovanni, il bambino di
Elisabetta, portano il messaggio che Dio può tutto, il bambino di Maria
è il Dio che può tutto, il Dio onnipotente fattosi uomo debole e
nascosto.
Nel cammino di fede di Maria, c’è una
circolarità tra lo scoprire il segno di Dio negli altri e l’essere segno
di Dio per altri. Si tratta della meravigliosa solidarietà tra i
credenti. L’incontro tra Maria e Elisabetta la rivela nella sua piena
bellezza.
Maria e Elisabetta: due donne protese
verso il futuro del loro grembo, due donne che custodiscono dentro di sé
un mistero ineffabile, un miracolo stupendo. La coscienza d’essere rese
oggetto di particolare predilezione di Dio le unisce, la missione comune
di collaborare con Dio per un progetto grandioso le entusiasma e le fa
esplodere in benedizione e in canto di lode, l’esperienza della
maternità prodigiosa le rende solidali. Il prodigio di Dio in Elisabetta
è per Maria un «segno» che l’aiuta a pronunciare il suo fiat; ora
il prodigio di Dio in Maria è segno per Elisabetta, un segno che suscita
in lei una confessione di fede. Così le due donne sono, l’una per
l’altra, luogo di scoperta di Dio, epifania della sua grandezza e motivo
per cui lodarlo e ringraziarlo. Nel riconoscersi reciprocamente come
segno di Dio, la loro comunicazione, densa di intuizione e di intesa
profonda, permeata dal rispetto per il mistero, si fa benedizione, si fa
canto e poesia. Il confronto vicendevole nella fede fa sgorgare la
profezia vicendevole, animata dalla forza dello Spirito. Insieme, tutte
e due, diventano segno della solidarietà di Dio con tutta l’umanità.
Dal fiat al
magnificat
Mentre Maria percorre in fretta le
vie tortuose della montagna, dentro di lei si snoda un itinerario
interiore di fede che va dall’adesione docile del fiat
all’esplosione gioiosa del Magnificat, dall’essere visitata da
Dio all’essere visita di Dio per altri.
Salendo sulla montagna Maria sente di
non essere sola. Il Figlio di Dio è presente, nascosto in lei. Luca
descrive questo viaggio in chiara analogia con il trasferimento
dell’arca dell’alleanza verso Gerusalemme, narrato in 2Samuele
6,2-11. Il sobbalzare di Giovanni nel grembo materno richiama la gioia
di Davide davanti all’arca e le parole con cui Elisabetta saluta Maria
riproducono da vicino l’esclamazione del re: «Come è possibile che
l’arca del Signore venga da me?». Il saluto dell’angelo a Nazaret, «il
Signore è con te», che Maria fatica a comprendere, ora si fa esperienza
reale e convinzione profonda. Maria, Madre del Dio-con-noi, è ora
l’arca della nuova alleanza, la nuova dimora di Dio, nuova trasparenza
della presenza divina tra gli uomini, nuovo motivo di gioia per tutti.
Con il suo camminare per vie scomode
per raggiungere l’altro a casa sua, Maria inaugura lo stile di Dio, lo
stile di servizio, di abbassamento, di solidarietà verso chi ha bisogno.
In lei il Dio incarnato si fa il Dio che entra nella trama umana e
permea di sé anche la sfera del quotidiano. La salvezza acquista
tonalità domestica. «Oggi devo entrare in casa tua», «Oggi la salvezza è
entrata in questa casa» (Lc 19, 5.9): ciò che Gesù dirà più tardi
nell’incontro con Zaccheo è in qualche modo realtà anticipata per mezzo
di Maria.
Maria porta gioia e speranza. Dalla
Galilea alla Giudea ella percorre lo stesso tratto di strada che più
tardi avrebbe dovuto fare Gesù. Camminando in fretta sui monti, Maria
evoca il celebre testo profetico: «Come sono belli sui monti i piedi del
messaggero di un lieto annuncio...» (Is 52,7). La buona novella portata
da Maria emana gioia contagiosa, fa esultare un bambino nel grembo
materno, rende felice un’anziana. «I giovani e i vecchi gioiranno. Io
cambierò il loro lutto in gioia, li consolerò e li renderò felici» (Ger
31,13). I bambini che nascono e gli anziani che giungono alla pienezza
della loro vita si incontrano e si uniscono nell’esultanza lodando lo
stesso Dio che è «amante della vita» (Sap 113,9).
Lungo tutta la sua vita Maria
continua a moltiplicare e diffondere dappertutto la gioia pura di cui
ella è ripiena, quella gioia scaturita dal saluto dell’angelo
«Rallegrati Maria» e resa più intima e profonda dal suo fiat.
Alla nascita di Gesù questa gioia si estenderà ai pastori di Betlemme
attraverso l’annuncio dell’angelo: «Vi annuncio una grande gioia, che
sarà di tutto il popolo» (Lc 2,10). Portando Gesù nel tempio Maria farà
ancora trasalire di gioia l’anziano Simeone e la profetessa Anna. A Cana,
poi, la gioia non verrà a mancare al banchetto delle nozze grazie
all’intercessione di Maria presso il suo Figlio. A Maria, portatrice
della Buona Novella e madre del Dio della gioia, si potrebbe applicare
la parola del salmista: «Al tuo passaggio stilla l’abbondanza [...],
tutto canta e grida di gioia» (Sal 65, 12-14).
Dal fiat al magnificat
diventa l’itinerario esemplare di ogni cristiano che compie il suo
pellegrinaggio della fede dall’adesione iniziale al progetto di Dio
verso il pieno godimento della bellezza di questo progetto, passando
attraverso una «salita» graduale: il servizio, la gratuità del
quotidiano, l’andare con sollecitudine verso chi ha bisogno, l’incontro
di amicizia nella comunità, lo sforzo missionario nel portare Gesù in
casa altrui, l’annunciare la buona novella con gioia suscitando gioia di
salvezza nella gioventù che si apre alla vita.
«Avvolgerlo in fasce» e
«cercarlo con ansia»
Nel racconto della nascita di Gesù
Luca riporta il gesto delicato di Maria: «Diede alla luce il suo figlio
primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia» (Lc
2,7). È un gesto semplice che esprime tutto l’affetto materno, tenero e
rispettoso di Maria verso questo bambino che è figlio di Dio e figlio
suo. Quando poi l’angelo annuncia la buona notizia della nascita del
bambino ai pastori, darà loro questo come segno: «troverete un bambino
avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia» (Lc 2,13). Venti secoli
sono passati e ancor oggi nelle nostre scene natalizie il bambino si
presenta con questo segno dell’amore della madre.
A Betlemme Maria insieme a Giuseppe
si trova coinvolta in questo mistero nascosto da secoli nella mente di
Dio e che è diventato realtà davanti ai loro occhi: «Il Verbo si fece
carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1,14). Maria e Giuseppe
sono i primi testimoni di questa nascita, avvenuta in condizioni umili e
poveri, primo passo di quell’«annientamento» (cf Fil 2,5-8), che il
Figlio di Dio liberamente sceglie per la salvezza di tutta l’umanità. E
questo bambino è affidato alla loro cura ed educazione. L’amore tenero
della madre espresso nel momento della nascita accompagnerà il figlio in
ogni fase della vita.
Il lungo periodo della vita
«nascosta» a Nazaret, durante il quale Gesù si prepara alla sua missione
messianica, è riassunto da Luca in poche parole. Egli racconta un solo
episodio della vita di Gesù adolescente: quello della Pasqua a
Gerusalemme, quando Gesù aveva dodici anni. La narrazione è incorniciata
da due versetti che sottolineano l’idea della crescita di Gesù: «Il
bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza e la grazia di Dio
era sopra di lui» (Lc 2,40). «Gesù cresceva in sapienza, età e grazia
davanti a Dio e agli uomini» (Lc 2,52). Il viaggio alla città santa di
Gesù dodicenne segna una tappa della crescita di Gesù, è l’anticipazione
di un altro viaggio a Gerusalemme che culminerà nella sua Pasqua.
L’episodio segna anche la crescita
della madre. Ritrovato Gesù nel tempio dopo tre giorni, Maria gli
domanda: «Figlio, perché ci hai fatto così? Ecco, tuo padre ed io,
angosciati, ti cercavamo» (Lc 2,48) Nel «perché» di Maria è il riassunto
di tanti perché dell’umanità intorno al mistero della croce e, nella sua
ansia, l’angoscia di tante persone che cercano faticosamente Dio. Alla
domanda della madre, Gesù dà per risposta due altre domande: «Perché mi
cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?»
(Lc 2,49). Egli ha un «deve» nel disegno del Padre, con la crescita in
età e in sapienza egli cresce soprattutto nella coscienza della sua
missione. Anche Maria cresce nell’accoglienza dell’identità di Gesù -
questo figlio che ella ha avvolto in fasce alla nascita non è solo
figlio suo - e cresce nella consapevolezza d’essere anche lei
depositaria del mistero di Dio; lo sapeva già fin dal momento
dell’annuncio dell’angelo, ora tutto appare più vivo e reale, e allo
stesso tempo più duro e più incomprensibile. Accanto al suo Figlio anche
Maria ha un «deve» nelle cose del Padre.
Dal fiat al
facite
Maria è diventata Madre di Dio perché
ha «creduto nell’adempimento delle parole del Signore» (Lc 1,45): è
l’interpretazione del fiat di Maria fatto da Elisabetta, sotto
l’ispirazione dello Spirito Santo. A lei fa eco Agostino quando dice: «Maria,
piena di fede, concepì Cristo prima nel cuore che nel grembo»3.
Alla pienezza di grazia da parte di Dio corrisponde la pienezza di fede
da parte di Maria.
Abbandonata a Dio completamente,
impegnata nell’avanzare costantemente nella «peregrinazione della fede»,
Maria si è sintonizzata lentamente e profondamente con Dio. Per la sua
viva fede ella arriva a una forte intesa con lui, a un acclimatamento di
tutto il suo essere con la sfera divina, ad avere un’intuizione del
pensiero di Dio, a saper discernere spontaneamente la sua volontà, a
sentir palpitare dentro di sé il cuore di Dio. La Lettera agli Ebrei,
elogiando la fede degli antenati di Israele, dice di Mosé che vive «come
se vedesse l’invisibile» (Eb 11,27). Così Paolo, avendo raggiunto un
grado di unione con Cristo da poter dire «non sono più io che vivo, ma
Cristo vive in me» (Gal 2,20), afferma senza retorica e senza vanto:
«Noi abbiamo il pensiero di Cristo» (1Cor 2,16). Tutto questo può essere
detto di Maria. A Cana di Galilea la troviamo così, semplice, discreta,
fiduciosa accanto al suo Figlio, sicura di essere esaudita perché
intimamente sintonizzata con lui.
A Cana Maria riveste un ruolo
profetico. È «portavoce della volontà di Dio, indicatrice di quelle
esigenze che devono essere soddisfatte, affinché la potenza salvifica
del Messia possa manifestarsi».4 Le due
parole pronunciate da Maria a Cana: «Non hanno più vino» (Gv 2,3) e
«Fate quello che vi dirà» (Gv 2,5) mettono in risalto questa dimensione.
Maria legge in profondità la storia umana, ne individua i problemi
ancora nascosti, raccoglie i gemiti non ancora verbalizzati, scorge la
sofferenza ancora senza nome. Ella scopre il nodo essenziale del
guazzabuglio e lo presenta al suo Figlio, l’unico che lo può sciogliere.
E intanto prepara i servi all’accoglienza dell’aiuto divino con
un’indicazione sicura.
«Fate quello che egli vi dirà» è tra
le poche parole pronunciate da Maria nel Vangelo, l’unica indirizzata
agli uomini, per questo a ragione viene considerata «il comandamento
della Vergine». È anche l’ultima parola sua registrata nel Vangelo,
quasi un «testamento spirituale». Dopo questo Maria non parlerà più; ha
detto l’essenziale aprendo i cuori a Gesù, lui solo ha «parole di vita
eterna» (Gv 6,68). In questa parola di Maria si percepiscono gli echi
della formula dell’alleanza sinaitica. A conclusione dell’alleanza il
popolo promette: «Quello che il Signore ha detto, noi lo faremo» (Es
19,8; 24,3.7; Dt 5,27). Maria non solo personifica Israele obbediente
all’alleanza, ma è anche colei che induce all’obbedienza, ormai non più
all’alleanza, ma a Gesù, da cui prende inizio una nuova alleanza e un
nuovo popolo. Ciò emerge con maggior evidenza se si legge questa parola
di Maria in parallelo con le ultime parole di Gesù Risorto nel Vangelo
di Matteo: «Fate discepoli tutti i popoli [...] insegnando loro ad
osservare tutto ciò che vi ho comandato» (Mt 28,19).
Maria conduce dunque a seguire Gesù,
a obbedire alla sua parola e a considerarlo come riferimento assoluto.
Maria aiuta a formare la comunità nuova di Gesù, anzi, aiuta Gesù a
farsi degli amici nel senso che Egli stesso ha detto: «Voi siete miei
amici, se farete ciò che vi comando» (Gv 15,14).
Il «Fate quello che egli vi dirà»
pronunciato da Maria non è un invito teorico, astratto, ma è
un’esortazione maturata dall’esperienza personale. La parola va nel
cuore e nella vita dell’interlocutore solo se è scaturita dal cuore e
dalla vita di chi parla. Maria, esperta nel fidarsi della parola di Dio,
ora può aiutare altri a fare altrettanto. La sua fede è contagiosa, il
fiat vissuto in profondità da lei diventa facite
convincente rivolto ad altri.
È necessario per noi, persone
consacrate, come Maria, avere le antenne contemporaneamente tese verso
Dio e verso la storia. Solo una profonda intesa con Dio e una saggia
comprensione del mondo possono dare efficacia alle nostre parole e
azioni. Il facite con cui aiutiamo gli altri deve scaturire
sempre dal nostro personale fiat in adesione a Dio.
Da «Ecco concepirai un
figlio» a «Ecco tuo figlio»
Maria è Madre di Dio. È l’unica in
tutto l’universo e in tutta la storia umana a poter dire, rivolta a Gesù,
ciò che gli dice il Padre celeste: «Tu sei mio Figlio; io ti ho
generato!» (Sal 2,7; Eb 1,5). Maria, la Theotókos, la Madre di
Dio, è l’epifania di uno dei misteri, dei paradossi più alti del
cristianesimo, delle sorprese d’amore più sconcertanti di Dio fatte
all’umanità. L’esperienza unica e prodigiosa di generare nella carne
l’Autore della vita ha riempito di stupore la stessa Maria. Il suo
Magnificat è infatti tutto un’esclamazione di meraviglia e di gioia:
«Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente». Elisabetta, coinvolta nello
stesso stupore di Maria, la chiama «madre del mio Signore». La Chiesa
riconosce in questo mistero il primo e fondamentale dogma su Maria e per
secoli lo contempla nella liturgia. Un antico responsorio di Natale così
esclama: «Quello che i cieli non possono contenere, si è racchiuso nelle
tue viscere, fatto uomo». Né il ragionamento concettuale, né gli inni e
le poesie, né i suoni e la musica, né i colori e l’arte riescono ad
esprimere adeguatamente la grandezza di questo mistero.
Ma l’essere madre per Maria non è una
realtà statica che si acquista una volta per sempre. Lungo la sua
«peregrinazione della fede» ella ha fatto un cammino di crescita e di
maturazione nella sua maternità vivendo tutta una gamma di sentimenti
materni. C’è l’attesa silenziosa nel contemplare il lento dipanarsi del
segreto dentro di sé, la gioia intima alla nascita e l’amore di
tenerezza verso il figlio neonato, la soddisfazione e la fierezza nel
presentarlo ai pastori e ai magi. C’è il dolore della fuga e dell’esilio
per proteggere e salvare la vita di colui che è la Vita del mondo. C’è
dolcezza d’intimità negli anni di Nazaret. C’è poi l’esperienza
difficile e sconcertante dello smarrimento di Gesù dodicenne nel tempio.
Anche nel corso della vita pubblica di Gesù l’unione della madre con il
figlio continua a svilupparsi e ad approfondirsi. Con sobrietà e
discrezione Maria è presente «non come una madre gelosamente ripiegata
sul proprio Figlio divino, ma come donna che con la sua azione favorì la
fede della comunità apostolica in Cristo e la cui funzione materna si
dilatò, assumendo sul Calvario dimensioni universali».5
L’avanzare nella peregrinazione della
fede è per Maria contemporaneamente un avanzare nello sviluppo della sua
maternità. Come la peregrinazione della fede culmina nell’evento
pasquale del Figlio, così anche il cammino di maternità. Giovanni Paolo
II parla di una «nuova maternità di Maria», che è «frutto del ‘nuovo
amore’, che maturò in lei definitivamente ai piedi della croce, mediante
la sua partecipazione all’amore redentivo del Figlio».6
Già Agostino diceva in modo analogo riflettendo su Maria, Madre non solo
del Capo, ma anche delle membra del corpo mistico di Gesù generato dalla
sua morte redentiva.7 Innalzato sulla croce,
il Figlio di Maria si rivela «il primogenito tra molti fratelli» (Rm
8,29); intorno a lui si radunano in unità tutti «i figli dispersi di
Dio» (Gv 11,52), e Maria si scopre madre di una moltitudine di figli. È
Gesù che glieli affida. A Nazaret Maria iniziava il suo cammino di
maternità accettando il progetto misterioso di Dio: «Ecco concepirai un
Figlio»; ora è questo Figlio che le propone una nuova maternità
universale. A Cana, Maria si poneva in mezzo facendo la mediatrice tra
il suo Figlio e gli uomini; ora è il suo Figlio che fa da mediatore tra
lei e gli uomini dicendole: «Donna, ecco il tuo figlio!». Il racconto di
Giovanni termina con: «E da quel momento il discepolo la prese nella sua
casa» (Gv 19,27). Da quel momento, mentre l’umanità redenta accoglie la
Madre, Maria accoglie ogni figlio affidatole personalmente dal suo
Figlio e lo introduce nel suo cuore materno, per sempre.
Maria Ko Ha
Fong
Pontificia Facoltà di Scienze dell’Educazione «Auxilium»
Via Cremolino, 141 – 00166
Roma
1. Lumen Gentium
58; Redemptoris Mater 2.
2. Lumen Gentium
68.
3. Sermones
215,4.
4. Redemptoris Mater
12.
5. Marialis cultus
37.
6. Redemptoris Mater
23
7. De sancta virginitate
5.
 |