n. 3
marzo 2011

 

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Ha parlato per mezzo del Figlio
Cristologia della Parola

di BRUNO SECONDIN

 

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La storia del dialogo di Dio con noi conosce - come dice l’incipit famoso della lettera agli Ebrei – una ricca variazione di momenti e mediazioni lungo i millenni. Ma non si tratta di manifestazioni sconnesse e disperse, perché tutte hanno un punto di arrivo e di pienezza, un’esperienza assoluta e totale: «Ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio,  che ha stabilito erede di tutte le cose e mediante il quale ha fatto anche il mondo» (Eb 1,1-2).

Non un punto di arrivo che annulla ogni precedente momento, ma il recupero dei momenti e delle mediazioni, nella pienezza di significato ed efficacia di questa condiscendenza. In una presenza personale definitiva, che l’evangelista Giovanni canta e  contempla con la nota espressione: «Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1,4). «Adesso, la Parola non è solo udibile, - commenta Verbum Domini, riprendendo una originale espressione del Messaggio del Sinodo - non solo possiede una voce, ora la Parola ha un volto, che dunque possiamo vedere: Gesù di Nazaret» (VD 12).

La cristologia della creazione

Il Logos eterno, mediante il quale tutto è stato fatto e verso cui tutto tende  (Col 1,15-20), è da sempre in abbraccio amoroso col Padre, consustanziale con il Padre, con lui protagonista della rivelazione nel liber naturae, e fondamento cosmico della realtà. Per questo, osservando il creato, si può conoscere non solo Dio creatore e Padre, ma anche la sua relazione dialogica con il Figlio, perché tutto porta l’impronta di questa relazione vitale. Possiamo anche dire che la creazione è creatura Dei et Verbi, e porta intrinseca una chiamata al dialogo, un orientamento alla sapienza e alla speranza. Perché Dio non ha creato per nulla le cose, ma in sintonia con la sua esistenza e in vista di un reditus (ritorno) dialogico e di comunione. Anche la natura perciò porta intrinseco un gemito e una esigenza trascendentale, come diceva Paolo (Rm 8,22), che bisogna riconoscere e insieme preservare, perché partecipi del cosmico amen. Riconoscere la realtà, come rivelazione dell’intrinseca vita di Dio, implica che sappiamo in essa riconoscere la prima forma di lectio divina: si tratta di una lectura mundi, che conduce parimenti, come con la lettura orante e riflessiva sulla Parola scritta nelle sacre Scritture, ad una risposta laudativa, adorante e obbedienziale a Colui che è all’origine e ne è il fine, Dio fonte di vita e di luce.

Non si tratta però di una epifania che consenta un deismo vago, o la sensazione di un riconoscimento di una divinità senza specificazione. Con la rivelazione progressiva e infine attuata di una persona da attendere e da accogliere come “definitiva” voce e volto del rivelarsi di Dio, tutto deve essere interpretato con la chiave cristocentrica, come verso di lui convergente e in lui portata a pienezza di significato e di finalità. In questa prospettiva si capisce meglio l’espressione “il realismo della Parola” (VD 10): la divina Parola costituisce un fondamento solido e duraturo di tutto l’esistente, e gli dà consistenza. «Signore la tua parola è stabile nei cieli» (Sal 119,89), esclama il salmista. E anche i mistici percepivano questa immensità oceanica che trova stabili fondamenta in Dio, e alla cui signoria erano condotti attraverso notti e bagliori, come canta Giovanni della Croce: «Mi Amado las montañas / los valles solitarios nemorosos / las insulas extrañas / los rios sonoros…» (L’Amato è le montagne, le valli solitarie più boscose, le isole remote, i fiumi risonanti…).

La Parola si è fatta Uno di noi

In modo insuperabile si compie la condiscendenza di Dio nell’incarnazione del Figlio, sua singolare e definitiva Parola che offre all’umanità, perché vi prenda stabile dimora ed esprima il dialogo del Padre con parole umane, udibili e fruibili (1Gv 1,1-2). L’Esortazione ricorda l’espressione logos abbreviatus di Origene, molto utilizzata dai padri e dai medievali, per aiutare a capire nel figlio di Maria il Logos creatore fattosi persona singolare, concreta, limitata in Gesù di Nazaret. Gesù appare come un “assolo”, in una sinfonia dai molteplici apporti, dice Benedetto XVI: «All’interno di questa sinfonia si trova, a un certo punto, quello che si direbbe in linguaggio musicale un “assolo”, un tema affidato ad un singolo strumento o ad una voce… Questo “assolo” è Gesù… Il Figlio dell’uomo riassume in sé la terra e il cielo, il creato e il Creatore, la carne e lo Spirito. È il centro del cosmo e della storia » (VD 13).

Non si potrebbe capire appieno l’identità e la missione di Gesù, se non si considerasse che in lui stesso anzitutto Dio è il Dio dei padri, il Dio dell’Alleanza cosmica con Mosè, dell’Alleanza privilegiata con Abramo e con il popolo di Israele, il Dio dei profeti e dei re, dei salmisti e dei sapienti (cf VD 39-40). Senza questa continuità piena e viva sarebbe impossibile capirne il linguaggio e la stessa rivelazione. E nello stesso tempo Gesù porta a pienezza simboli e figure, ruoli e speranze dell’antica Alleanza, che si erano come bloccati nella loro funzione rivelatrice. Ben rappresenta questo stato di sospensione (nell’efficacia) la scena delle sei giare vuote alle nozze di Cana (Gv 2,1-10): esse sono vuote, e non servono quindi neanche per la purificazione rituale; ma, riempite d’acqua per ordine del nuovo “sposo” di Israele, possono contenere il “vino buono” che consente le nozze definitive dell’Alleanza nuova ed eterna. Tutti i Vangeli mostrano di avere presente questo “compiersi delle Scritture” in ciò che fa e dice Gesù, a volte in maniera letterale, altre volte con richiami tipologici o geografici. «Gesù mostra di essere il Logos divino che si dona a noi, ma anche il nuovo Adamo, l’uomo vero, colui che compie in ogni istante non la propria volontà, ma quella del Padre… In modo perfetto ascolta, realizza in sé e comunica a noi la Parola divina (cf Lc 5,1)» (VD 12).

Giovanni è certamente l’evangelista che più ha scavato e rilevato in questa direzione, tendendo un arco ideale: dall’eterna preesistenza con il Prologo alla pienezza escatologica con le visioni dell’Apocalisse. Ma anche mostrando nei dialoghi estesi, che sono una caratteristica del suo Vangelo, questo continuo riferimento alla volontà del Padre, questa intima unità di intenti e di amore, di dono e di comunione: lo dice a Nicodemo, alla Samaritana, nelle frequenti diatribe con i giudei, scribi in testa, che cercano di provocarlo e di contraddirlo; lo sviluppa nel discorso sul pane di vita e nel complicato litigio per la festa delle Capanne, lo amplia in maniera ricchissima nei discorsi dell’ultima cena.

Il mistero della Parola ammutolita

C’è un vertice sconcertante anche nella piena rivelazione che Gesù fa, attraverso la sua vita. È la sua ultima Pasqua: quando «il Verbo ammutolisce, diviene silenzio mortale» (VD 12). Si tratta di un “grande mistero” sul quale Benedetto XVI più volte ha voluto richiamare la meditazione: il silenzio della Parola, imposto dalla violenza della Croce, le tenebre dello “stare tra i morti”, per colui che è la sorgente della vita e della luce. Anche l’Esortazione ama soffermarsi su questa esperienza, che gli stessi padri antichi hanno più volte commentato con parole commosse. Come per esempio Massimo il Confessore, che la Verbum Domini cita esplicitamente: «È senza parola la Parola del Padre, che ha fatto ogni creatura che parla; senza vita sono gli occhi spenti di colui alla cui parola e al cui cenno si muove tutto ciò che ha vita»(VD 12). Anche se con poche frasi, la spiegazione che ne dà la nostra Esortazione mostra chiaramente che qui c’è la mano di un teologo profondo: «La libertà di Dio e la libertà dell’uomo si sono definitivamente incontrate nella sua carne crocifissa, in un patto indissolubile, valido per sempre… Nel mistero luminosissimo della risurrezione questo silenzio della Parola si manifesta nel suo significato autentico e definitivo. Cristo, Parola di Dio incarnata, crocifissa e risorta, è Signore di tutte le cose: egli è il Vivente, il Pantocrator, e tutte le cose sono così ricapitolate per sempre in lui» (VD 12).

Più avanti ritorna il tema, con una leggera ripetizione (VD 21), ma anche con l’invito, a chi ascolta la Parola, a tentare di misurarsi con il “silenzio di Dio”. Un altro cenno lo si ha quando si identifica il «peccato come non ascolto della Parola di Dio» (VD 26), in modo speciale con il rifiuto di accogliere questa Parola dalla rivelazione che ne fa Gesù con tutta la sua vita. L’obbedienza radicale di Gesù, fino ad essere ammutolito nella morte, indica la via per la vera accoglienza di Dio e della sua Alleanza.

Conseguenza teologica di questa affermazione è che la “cristologia della Parola” e la “Parola della Croce” (1Cor 1,18) si fondono in unità nel mistero pasquale, per rivelare il compimento di tutte le Scritture - e qui il Papa ama citare Paolo ai Corinzi, che afferma la morte e la risurrezione di Cristo avvenute “secondo le Scritture” (1Cor 15,3-4), scoprendovi una logica rivelativa originale - per cui «la vittoria di Cristo sulla morte avviene attraverso la potenza creatrice della Parola di Dio» (VD 13). La vicenda pasquale ha quindi un carattere liberatore, perché attraverso questo passaggio dalla afasia alla luce, dalla morte alla vita, l’amore trinitario mostra la forza rigeneratrice di fronte alla distruzione delle potenze del male e della morte, per far trionfare la vita in pienezza. Gesù diviene così allo stesso tempo “il Primo e l’Ultimo” (Ap 1,17), definitiva dimora della shekinah (cf Ez 26,1) senza alternativa.

Contemporaneità di Cristo nella Chiesa

«Il rapporto tra Cristo, Parola del Padre, e la Chiesa non può essere compreso nei termini di un evento semplicemente passato, ma si tratta di una relazione vitale» (VD 51). Entriamo qui in un ulteriore elemento decisivo per la fecondità rivelativa in senso denso della “cristologia della Parola”. La Chiesa è sempre in “religioso ascolto della Parola di Dio” (DV 1), e solo con tale atteggiamento essa può perseverare nella sua identità, nella sua dinamica di comunità “convocata” dalla Parola del Signore ed esserne custode e testimone. «La Chiesa non vive di se stessa, ma del Vangelo e dal Vangelo sempre e nuovamente trae orientamento per il suo cammino» (VD 51).

Lasciamo per ora il grande tema della Chiesa che vive della Parola, la celebra e la annuncia, per concentrarci un attimo sul fatto che Cristo, Verbo del Padre, continua a parlare e a manifestare l’amore vivo ed efficace del Padre nella Chiesa e nella storia. Non ha cessato di parlare, ma attraverso lo Spirito ripete e rinnova quanto ha udito dal Padre, come rivelazione e progetti, appelli e provocazioni. Si distende e si dispiega pertanto la Parola ancora nel tempo, fino ai confini della terra, e dentro le differenti culture, antiche e nuove. Vi è una analogia tra il «Verbo che si è fatto carne»  (Gv 1,14) e la Parola che si fa carne, “libro”: «Cristo, realmente presente nelle specie del pane e del vino, è presente, in modo analogo, anche nella Parola proclamata nella liturgia» (VD 56). E ancora di più: la exousìa (potenza) della Parola è offerta dallo Spirito anche al di fuori della liturgia, e bisogna esporsi ad essa con cuore docile e orante. Perché «la Parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio… e discerne i sentimenti e i pensieri del cuore» (Eb 4,12). E questo non lo fa come una strana forza autonoma che rimane nell’aria, ma come presenza viva e interpellante di Cristo, sotto l’impulso dello Spirito, interprete qualificato.

Il tempo di un nuovo ascolto della Parola e di una nuova evangelizzazione non è tempo di autonomia rispetto al Verbo eterno, Parola incarnata, ma tempo ed esperienza della sua presenza, del suo protagonismo, della sua guida. Il “grande dialogo nuziale” che chiude la Scrittura - «lo Spirito e la sposa dicono: Vieni!» (Ap 22,17) - non cessa mai di essere ascolto e silenzio, implorazione e obbedienza, vita e contemplazione, sotto la guida del Maestro di sapienza, che è allo stesso tempo logos eterno nel seno del Padre, e rivelatore dei segreti intimi del circolo trinitario, nostro Redentore definitivo e nostra Pasqua eterna. Gesù Cristo continua ad essere «questa Parola definitiva ed efficace che è uscita dal Padre ed è ritornata a Lui, realizzando perfettamente nel mondo la sua volontà» (VD 90). Continua ad essere il “narratore” di Dio (Gv 1,18) e perciò «Logos della speranza» (1Pt 3,5), che noi suoi servitori offriamo, «intraprendendo con coraggio e audacia nuovi percorsi e nuove sfide» (VD 94), perché Cristo sia tutto in tutti. In questo risalta in modo particolare il ruolo dello Spirito Santo e del senso di Chiesa: su questi temi ritorneremo.

Bruno Secondin o.carm
Pontificia Università Gregoriana
Borgo Sant’Angelo,15 - 00193 Roma

 

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