La
storia del dialogo di Dio con noi conosce - come dice l’incipit
famoso della lettera agli Ebrei – una ricca variazione di momenti e
mediazioni lungo i millenni. Ma non si tratta di manifestazioni
sconnesse e disperse, perché tutte hanno un punto di arrivo e di
pienezza, un’esperienza assoluta e totale: «Ultimamente, in questi
giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che ha stabilito erede
di tutte le cose e mediante il quale ha fatto anche il mondo» (Eb
1,1-2).
Non
un punto di arrivo che annulla ogni precedente momento, ma il recupero
dei momenti e delle mediazioni, nella pienezza di significato ed
efficacia di questa condiscendenza. In una presenza personale
definitiva, che l’evangelista Giovanni canta e contempla con la nota
espressione: «Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi»
(Gv 1,4). «Adesso, la Parola non è solo udibile, - commenta
Verbum Domini,
riprendendo una originale espressione del
Messaggio
del
Sinodo - non solo possiede una voce, ora la Parola ha un
volto,
che dunque possiamo vedere: Gesù di Nazaret» (VD 12).
La
cristologia della creazione
Il
Logos
eterno, mediante il quale tutto è stato fatto e verso cui tutto tende
(Col 1,15-20), è da sempre in abbraccio amoroso col Padre,
consustanziale con il Padre, con lui protagonista della rivelazione nel
liber naturae,
e fondamento cosmico della realtà. Per questo, osservando il creato, si
può conoscere non solo Dio creatore e Padre, ma anche la sua relazione
dialogica con il Figlio, perché tutto porta l’impronta di questa
relazione vitale. Possiamo anche dire che la creazione è
creatura Dei et Verbi,
e porta intrinseca una chiamata al dialogo, un orientamento alla
sapienza e alla speranza. Perché Dio non ha creato per nulla le cose, ma
in sintonia con la sua esistenza e in vista di un
reditus
(ritorno) dialogico e di comunione. Anche la natura perciò porta
intrinseco un gemito e una esigenza trascendentale, come diceva Paolo (Rm
8,22), che bisogna riconoscere e insieme preservare, perché partecipi
del cosmico
amen.
Riconoscere la realtà, come rivelazione dell’intrinseca vita di Dio,
implica che sappiamo in essa riconoscere la prima forma di
lectio divina:
si tratta di una
lectura mundi,
che conduce parimenti, come con la lettura orante e riflessiva sulla
Parola scritta nelle sacre Scritture, ad una risposta laudativa,
adorante e obbedienziale a Colui che è all’origine e ne è il fine, Dio
fonte di vita e di luce.
Non
si tratta però di una epifania che consenta un
deismo
vago, o la sensazione di un riconoscimento di una
divinità
senza specificazione. Con la rivelazione progressiva e infine attuata di
una persona da attendere e da accogliere come “definitiva” voce e volto
del rivelarsi di Dio, tutto deve essere interpretato con la chiave
cristocentrica, come verso di lui convergente e in lui portata a
pienezza di significato e di finalità. In questa prospettiva si capisce
meglio l’espressione “il realismo della Parola” (VD 10): la divina
Parola costituisce un fondamento solido e duraturo di tutto l’esistente,
e gli dà consistenza. «Signore la tua parola è stabile nei cieli» (Sal
119,89), esclama il salmista. E anche i mistici percepivano questa
immensità oceanica che trova stabili fondamenta in Dio, e alla cui
signoria erano condotti attraverso notti e bagliori, come canta Giovanni
della Croce: «Mi Amado las montañas / los valles solitarios nemorosos /
las insulas extrañas / los rios sonoros…» (L’Amato è le montagne, le
valli solitarie più boscose, le isole remote, i fiumi risonanti…).
La
Parola si è fatta Uno di noi
In
modo insuperabile si compie la condiscendenza di Dio nell’incarnazione
del Figlio, sua singolare e definitiva Parola che offre all’umanità,
perché vi prenda stabile dimora ed esprima il dialogo del Padre con
parole umane, udibili e fruibili (1Gv 1,1-2). L’Esortazione ricorda
l’espressione
logos abbreviatus
di
Origene, molto utilizzata dai padri e dai medievali, per aiutare a
capire nel figlio di Maria il
Logos
creatore fattosi persona singolare, concreta, limitata in Gesù di
Nazaret. Gesù appare come un “assolo”, in una sinfonia dai molteplici
apporti, dice Benedetto XVI: «All’interno di questa sinfonia si trova, a
un certo punto, quello che si direbbe in linguaggio musicale un
“assolo”, un tema affidato ad un singolo strumento o ad una voce… Questo
“assolo” è Gesù… Il Figlio dell’uomo riassume in sé la terra e il cielo,
il creato e il Creatore, la carne e lo Spirito. È il centro del cosmo e
della storia » (VD 13).
Non
si potrebbe capire appieno l’identità e la missione di Gesù, se non si
considerasse che in lui stesso anzitutto Dio è il Dio dei padri, il Dio
dell’Alleanza cosmica con Mosè, dell’Alleanza privilegiata con Abramo e
con il popolo di Israele, il Dio dei profeti e dei re, dei salmisti e
dei sapienti (cf VD 39-40). Senza questa continuità piena e viva sarebbe
impossibile capirne il linguaggio e la stessa rivelazione. E nello
stesso tempo Gesù porta a pienezza simboli e figure, ruoli e speranze
dell’antica Alleanza, che si erano come bloccati nella loro funzione
rivelatrice. Ben rappresenta questo stato di sospensione
(nell’efficacia) la scena delle sei giare vuote alle nozze di Cana (Gv
2,1-10): esse sono vuote, e non servono quindi neanche per la
purificazione rituale; ma, riempite d’acqua per ordine del nuovo “sposo”
di Israele, possono contenere il “vino buono” che consente le nozze
definitive dell’Alleanza nuova ed eterna. Tutti i Vangeli mostrano di
avere presente questo “compiersi delle Scritture” in ciò che fa e dice
Gesù, a volte in maniera letterale, altre volte con richiami tipologici
o geografici. «Gesù mostra di essere il
Logos
divino che si dona a noi, ma anche il nuovo Adamo, l’uomo vero, colui
che compie in ogni istante non la propria volontà, ma quella del Padre…
In modo perfetto ascolta, realizza in sé e comunica a noi la Parola
divina (cf Lc 5,1)» (VD 12).
Giovanni è certamente l’evangelista che più ha scavato e rilevato in
questa direzione, tendendo un arco ideale: dall’eterna preesistenza con
il Prologo alla pienezza escatologica con le visioni dell’Apocalisse. Ma
anche mostrando nei dialoghi estesi, che sono una caratteristica del suo
Vangelo, questo continuo riferimento alla volontà del Padre, questa
intima unità di intenti e di amore, di dono e di comunione: lo dice a
Nicodemo, alla Samaritana, nelle frequenti diatribe con i giudei, scribi
in testa, che cercano di provocarlo e di contraddirlo; lo sviluppa nel
discorso sul pane di vita e nel complicato litigio per la festa delle
Capanne, lo amplia in maniera ricchissima nei discorsi dell’ultima cena.
Il
mistero della Parola ammutolita
C’è
un vertice sconcertante anche nella piena rivelazione che Gesù fa,
attraverso la sua vita. È la sua ultima Pasqua: quando «il Verbo
ammutolisce, diviene silenzio mortale» (VD 12). Si tratta di un “grande
mistero” sul quale Benedetto XVI più volte ha voluto richiamare la
meditazione: il silenzio della Parola, imposto dalla violenza della
Croce, le tenebre dello “stare tra i morti”, per colui che è la sorgente
della vita e della luce. Anche l’Esortazione ama soffermarsi su questa
esperienza, che gli stessi padri antichi hanno più volte commentato con
parole commosse. Come per esempio Massimo il Confessore, che la
Verbum Domini cita esplicitamente: «È senza parola la Parola del
Padre, che ha fatto ogni creatura che parla; senza vita sono gli occhi
spenti di colui alla cui parola e al cui cenno si muove tutto ciò che ha
vita»(VD 12). Anche se con poche frasi, la spiegazione che ne dà la
nostra Esortazione mostra chiaramente che qui c’è la mano di un teologo
profondo: «La libertà di Dio e la libertà dell’uomo si sono
definitivamente incontrate nella sua carne crocifissa, in un patto
indissolubile, valido per sempre… Nel mistero luminosissimo della
risurrezione questo silenzio della Parola si manifesta nel suo
significato autentico e definitivo. Cristo, Parola di Dio incarnata,
crocifissa e risorta, è Signore di tutte le cose: egli è il Vivente, il
Pantocrator,
e tutte le cose sono così ricapitolate per sempre in lui» (VD 12).
Più
avanti ritorna il tema, con una leggera ripetizione (VD 21), ma anche
con l’invito, a chi ascolta la Parola, a tentare di misurarsi con il
“silenzio di Dio”. Un altro cenno lo si ha quando si identifica il
«peccato come non ascolto della Parola di Dio» (VD 26), in modo speciale
con il rifiuto di accogliere questa Parola dalla rivelazione che ne fa
Gesù con tutta la sua vita. L’obbedienza radicale di Gesù, fino ad
essere ammutolito nella morte, indica la via per la vera accoglienza di
Dio e della sua Alleanza.
Conseguenza teologica di questa affermazione è che la “cristologia della
Parola” e la “Parola della Croce” (1Cor 1,18) si fondono in unità nel
mistero pasquale, per rivelare il compimento di tutte le Scritture - e
qui il Papa ama citare Paolo ai Corinzi, che afferma la morte e la
risurrezione di Cristo avvenute “secondo le Scritture” (1Cor 15,3-4),
scoprendovi una
logica
rivelativa originale - per cui «la vittoria di Cristo sulla morte
avviene attraverso la potenza creatrice della Parola di Dio» (VD 13). La
vicenda pasquale ha quindi un carattere
liberatore,
perché attraverso questo passaggio dalla afasia alla luce, dalla morte
alla vita, l’amore trinitario mostra la forza rigeneratrice di fronte
alla distruzione delle potenze del male e della morte, per far trionfare
la vita in pienezza. Gesù diviene così allo stesso tempo “il Primo e
l’Ultimo” (Ap 1,17), definitiva dimora della
shekinah
(cf
Ez 26,1) senza alternativa.
Contemporaneità di Cristo nella Chiesa
«Il
rapporto tra Cristo, Parola del Padre, e la Chiesa non può essere
compreso nei termini di un evento semplicemente passato, ma si tratta di
una relazione vitale» (VD 51). Entriamo qui in un ulteriore elemento
decisivo per la fecondità rivelativa in senso denso della “cristologia
della Parola”. La Chiesa è sempre in “religioso ascolto della Parola di
Dio” (DV 1), e solo con tale atteggiamento essa può perseverare nella
sua identità, nella sua dinamica di comunità “convocata” dalla Parola
del Signore ed esserne custode e testimone. «La Chiesa non vive di se
stessa, ma del Vangelo e dal Vangelo sempre e nuovamente trae
orientamento per il suo cammino» (VD 51).
Lasciamo per ora il grande tema della Chiesa che vive della Parola, la
celebra e la annuncia, per concentrarci un attimo sul fatto che Cristo,
Verbo del Padre, continua a parlare e a manifestare l’amore vivo ed
efficace del Padre nella Chiesa e nella storia. Non ha cessato di
parlare, ma attraverso lo Spirito ripete e rinnova quanto ha udito dal
Padre, come rivelazione e progetti, appelli e provocazioni. Si
distende
e si
dispiega
pertanto la Parola ancora nel tempo, fino ai confini della terra, e
dentro le differenti culture, antiche e nuove. Vi è una analogia tra il
«Verbo che si è fatto carne» (Gv 1,14) e la Parola che si fa carne,
“libro”: «Cristo, realmente presente nelle specie del pane e del vino, è
presente, in modo analogo, anche nella Parola proclamata nella liturgia»
(VD 56). E ancora di più: la
exousìa
(potenza) della Parola è offerta dallo Spirito anche al di fuori della
liturgia, e bisogna esporsi ad essa con cuore docile e orante. Perché
«la Parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a
doppio taglio… e discerne i sentimenti e i pensieri del cuore» (Eb
4,12). E questo non lo fa come una strana forza autonoma che rimane
nell’aria, ma come presenza viva e interpellante di Cristo, sotto
l’impulso dello Spirito, interprete qualificato.
Il
tempo di un nuovo ascolto della Parola e di una nuova evangelizzazione
non è tempo di autonomia rispetto al Verbo eterno, Parola incarnata, ma
tempo ed esperienza della sua presenza, del suo protagonismo, della sua
guida. Il “grande dialogo nuziale” che chiude la Scrittura - «lo Spirito
e la sposa dicono: Vieni!» (Ap 22,17) - non cessa mai di essere ascolto
e silenzio, implorazione e obbedienza, vita e contemplazione, sotto la
guida del Maestro di sapienza, che è allo stesso tempo
logos
eterno nel seno del Padre, e rivelatore dei segreti intimi del circolo
trinitario, nostro Redentore definitivo e nostra Pasqua eterna. Gesù
Cristo continua ad essere «questa Parola definitiva ed efficace che è
uscita dal Padre ed è ritornata a Lui, realizzando perfettamente nel
mondo la sua volontà» (VD 90). Continua ad essere il “narratore” di Dio
(Gv 1,18) e perciò «Logos della speranza» (1Pt 3,5), che noi suoi
servitori offriamo, «intraprendendo con coraggio e audacia nuovi
percorsi e nuove sfide» (VD 94), perché Cristo sia tutto in tutti. In
questo risalta in modo particolare il ruolo dello Spirito Santo e del
senso di Chiesa: su questi temi ritorneremo.
Bruno Secondin o.carm
Pontificia Università Gregoriana
Borgo Sant’Angelo,15 - 00193 Roma