n. 3
marzo 2004

 

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Istituti religiosi e strategie di servizio alle persone
Una ricognizione sistematica - II parte

di Italo De Sandre e Franca Pia Ceccotto *

 

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Opere: stabilità, innovazioni, reazioni

Vi è una percezione storica, quasi fisica, della consistenza di molte "opere" gestite in proprietà dagli IR: scuole, collegi, case di riposo, ospedali, case di accoglienza di diverso tipo, che spesso si pongono in modo evidente nel tessuto urbano e costituiscono architettonicamente delle immagini forti della presenza e del peso di certi IR. Ma, all’interno di questo involucro di evidenza, è l’aspetto strutturale nel suo insieme ad essere importante. Molte di esse hanno un peso economico e amministrativo, oltre che simbolico, assai forte per la quantità e qualità di risorse personali, di religiosi/e presenti e attivi/e, e di utenti che ne ricercano i servizi. Non di rado sono gli stessi religiosi, o religiose, a segnalare tale peso, non facilmente alleggeribile. E qualora diventa necessario ridimensionare presenze o servizi, si verificano reazioni da parte della popolazione che ne fruisce.

Il rinnovamento di tali grandi strutture è sempre problematico e la loro sostenibilità più difficile, per cui è necessario ricorrere a strumenti di raccolta di risorse al di fuori dello stesso mondo dei religiosi o del mondo cattolico, in particolare verso lo Stato e gli Enti locali, per avere facilitazioni o finanziamenti. E’ necessario comunque cambiare lo stile di gestione dei servizi con l’utilizzo prevalente di personale laico. Il rinnovamento delle opere storiche è in corso da tempo ma è da studiare ancora: per la sua complessità, per le attese e le delusioni che solleva, e anche per il tipo di orientamenti di servizio che vi possono emergere, dal momento che, per alcuni aspetti delle politiche dei servizi alle persone, si scorgono come dei "ritorni indietro" verso modalità di assistenza che ripropongono l’asilarità, la concentrazione di persone da aiutare, per economizzare in modo ragionevole sulle risorse da utilizzare e per sollevare almeno temporaneamente le famiglie dal carico totale della cura di una persona.

E’ un rinnovamento adeguato? deludente?, che fa sperare qualcosa di nuovo? Sembra importante e doveroso domandarselo, anche perché stiamo assistendo al sorgere di nuove iniziative, nuove "opere", nuove fondazioni religiose che non hanno un passato di cui portare l’eventuale peso e si mostrano più agili, più aderenti alla sensibilità presente, e che perciò esercitano un richiamo più stimolante sia per nuovi religiosi, e religiose, sia verso nuovi utenti. Ma anche qui è importante capire se la dimensione e la qualità delle innovazioni sono adeguate ai problemi affrontati e in quale misura sono l’apporto di esperienze nuove di vita consacrata, che vogliono avere meno regole e lacci patrimoniali, istituzionali, ecc.

Le opere, siano esse grandi o piccole, hanno un problema di immagine: una visibilità che rilancia il loro valore simbolico e pratico. E’ il volto esterno dell’IR e del suo servizio che dice in modi non verbali qualcosa che conferma i membri dell’IR della bontà e stabilità della propria identità, ma riguarda anche i laici chi vi operano e chi si serve di essi, e quindi è un significativo "mezzo di comunicazione". Perciò la visibilità costituisce un richiamo di senso e una forte – anche se talora ambigua – motivazione pragmatica alla disponibilità dei benefattori e collaboratori a sostenere l’IR.

 

Le fonti delle risorse: normative e finanziamenti

Un aspetto nevralgico della vita degli IR è dato dalle fonti delle risorse di cui essi hanno bisogno per vivere e operare, specialmente per quelli che lavorano nell’ambito del Welfare attuale. Le cose si pongono in modo chiaramente diverso rispetto ai grandi settori di servizio, il settore sanitario, il settore educativo e il sociale. Il carattere strategico di questo fattore risalta sia pensando alla quantità dei finanziamenti sia al tipo di rapporti che si instaurano con i soggetti da cui provengono. Infatti, mentre da un lato cresce la necessità di finanziamenti per sostenere i servizi che gli IR offrono alla società, dall’altro nascono implicazioni di diritti e doveri pubblici, di vincoli e di autonomia che occorre analizzare seriamente.

Tali fonti sono giustamente differenziate. Ci sono:

- liberalità, donazioni, eredità vincolate a finalità precise. Si pensi a certi immobili donati in un passato più o meno lontano, che costituiscono la base su cui sono state organizzate iniziative di assistenza (sociale, educativa, sanitaria);

- elargizioni più fungibili, in denaro, più flessibili rispetto alle necessità o agli obiettivi da perseguire; anche l’eventuale modernizzazione della mentalità dei benefattori è una variabile importante;

- iniziative specifiche di raccolte di fondi, che stimolano la popolazione o particolari settori a dare propri contributi alle finalità generali o a progetti specifici degli IR;

- proventi del lavoro professionale degli stessi religiosi;

- finanziamenti che vengono da enti pubblici sulla base di convenzioni attivate per gestire ed erogare servizi precisi, o per retribuire direttamente il proprio personale;

- finanziamenti regolati in modo tale da essere assegnati agli utenti dei servizi degli IR (come nel caso dei provvedimenti recenti a favore delle famiglie che scelgono per i figli la scuola privata), non sempre ben visti dai dirigenti degli IR stessi, che preferirebbero la certezza di finanziamenti diretti. Finanziare la domanda di servizi, anziché l’offerta degli stessi servizi, mette al centro gli utenti e le loro temporanee decisioni, fa diminuire l’incertezza immediata, ma non quella strutturale, della variabilità, della quantità e qualità della domanda, che in alcuni settori, quale lo scolastico, è comunque in calo per motivi demografici.

- Le rette pagate dagli utenti; e le categorie che aumentano sono nettamente quelle degli anziani, in parte sovrapposte alle persone non autosufficienti.

Rinviando alle ricerche empiriche ad hoc per conoscenze più dettagliate su questi problemi, ciò che risulta oggi rilevante è che una notevole parte degli IR tradizionali, anche quando sono "privati", operano di fatto come una parte importante del sistema istituzionale dei servizi, sia perché legati con rapporti speciali allo Stato, in quanto enti ecclesiastici, sia perché da tempo sono presenti con servizi apprezzati dalla popolazione e dalle autorità dei governi locali, come una risorsa certa e affidabile. L’amministrazione dei servizi dello Stato utilizza ampiamente strutture rette da religiosi, o religiose, mediante convenzioni o con sovvenzioni erogate a coloro che utilizzano i loro servizi; a loro volta gli IR fanno conto delle erogazioni pubbliche per il proprio funzionamento e, talora, per la propria sopravvivenza. Questo legame in certi casi è talmente forte da andare oltre l’ispirazione e motivazione religiosa, come nei casi dove c’è la sola scuola materna religiosa e non quella comunale, oppure una sola casa di riposo religiosa e non una privata laica, ecc.

Queste situazioni di reciproca necessità non possono non condizionare, al di là delle ‘buone’ intenzioni, la gestione degli IR nell’attuare opportuni adattamenti di indirizzo, la loro specificità "sociale" e "religiosa", i loro orientamenti ideologico-politici diversamente attratti dalle forze politiche che siano favorevoli o contrarie al sostegno dei servizi retti da IR. La transizione politica in cui si dibatte attualmente la nostra società mostra che il tema del finanziamento pubblico, in particolare nel caso specifico delle scuole, è un nodo di contrasto tra diverse visioni della società civile e della cittadinanza presenti non solo nella popolazione in generale ma anche tra i cattolici militanti, più orientate alla responsabilità educativa pubblica (statale) oppure al riconoscimento della pluralità di iniziative private, confessionali o meno. Emergono, infatti, anche diverse visioni di Chiesa, più orientate alla valorizzazione di spazi specificamente cattolici o all’inserimento di cattolici negli spazi laici pubblici. Attualmente è un nodo, in senso letterale, non sciolto, anche se il gradimento delle autorità ecclesiastiche per la recente legislazione più favorevole a certi servizi di IR ha esternamente attenuato il precedente conflitto politico. Infatti, il conflitto di ispirazione e di valutazione di queste alternative sussiste, anzi, risulta rafforzato. Comunque resta il problema di come garantire, anche in caso di non condivisione delle scelte politiche in atto, una indipendenza di azione e una capacità di relazione corretta nel caso di attività sociali finanziate o cofinanziate dall’intervento pubblico.

 

Organizzazione dei servizi e persone che vi operano

Dal nostro "osservatorio" si sta prestando attenzione agli IR che operano in Italia, ma sappiamo che numerosi IR hanno proprie presenze in Paesi di tutto il mondo, con ben diversi rapporti di convivenza e di strategie di servizio a seconda delle condizioni di vita delle popolazioni e delle culture e strutture politiche dominanti, con grande diversità di risorse e di resistenze che giungono anche a vera e propria persecuzione, come si sta vedendo di recente.

L’assetto istituzionale ed economico, infatti, condiziona le possibili opzioni di soggettività giuridica che si possono realizzare e, ancor prima, la stessa tipologia delle attività sociali che si vuole ed è possibile assumere: ente, cooperativa, associazione di volontariato, oppure nessuna di queste, ma solo la strategia di inserimento dei singoli religiosi in servizi esistenti gestiti da altri.

A monte vi è comunque la scelta da parte degli IR se operare prevalentemente con strutture proprie o con il lavoro dei propri religiosi, o delle proprie religiose, senza essere proprietari delle strutture di produzione dei servizi stessi. La proprietà diretta di opere, ad alcune condizioni, dà autonomia ma, in condizioni di turbolenza sociale e di grandi trasformazioni nei processi di emarginazione e di esclusione sociale, può essere elemento di rigidità, di dispersione economica, di convogliamento di risorse personali ed economiche al mantenimento delle proprietà, piuttosto che orientate alle persone cui sono destinati i servizi. Molte delle nuove situazioni di marginalità, e di pronto o stabile intervento, trovano risposta migliore in strutture relativamente piccole, più agili, meno standardizzate e formalizzate, più flessibili.

Comunque, nel processo di rimessa a punto e ridisegno delle politiche di produzione e organizzazione dei servizi sanitari, scolastici e sociali, da anni è in corso una "aziendalizzazione", impetuosa, anche se non molto chiara e coerente, perché è divenuta "ideologia" prima di diventare pratica razionale e controllata. Questa tendenza vuole fissare gli orientamenti che si sono diffusi nelle strutture pubbliche, a partire da quelle sanitarie, ma ora anche in quelle scolastiche, per cui la gestione dell’organizzazione del lavoro e della produzione dei servizi deve sempre più rispondere a una cultura e a criteri di accountability (di controllabilità della gestione), per affermare la responsabilizzazione del management degli enti, responsabilizzazione che deve perseguire l’efficienza e l’efficacia di funzionamento degli stessi e, contemporaneamente, un risparmio di costi dei servizi, assorbendo la cultura organizzativa ed economica del mercato for profit. Questo porta alla necessità di modernizzare i rapporti e le strutture di lavoro, soprattutto per gli IR più tradizionali, sollecitando a rivedere standard e stili di servizio in rapporto al tipo di carisma e agli obbiettivi umano-sociali delle opere intraprese. I rapporti di lavoro mettono in questione l’esercizio dell’autorità, ossia il modo di intenderlo e di gestirlo, e le relazioni quotidiane concrete tra le varie persone e i vari soggetti interni. Ma anche questa modernizzazione può comportare tensioni o addirittura situazioni di rottura rispetto all’originale e autonoma spinta religiosa.

Sullo spirito del "rendere conto" è, comunque, importante fermare l’attenzione, perché mette a tema l’importanza metodologica ed etica di attivare, in modo permanente, procedure di verifica concreta e di valutazione del processo e dei risultati della produzione dei servizi, seguendo la legislazione e la cultura e impegnandosi all’efficienza, all’equità, alla trasparenza. Negli ambienti religiosi molti valutano le cose che si fanno sulla base delle (buone) intenzioni, ma non è più sufficiente in questa società e con le idee più mature di dignità e diritti delle persone siano essi cittadini oppure no.

La valutazione inserisce nel lavoro sociale, sanitario, educativo un processo riflessivo che deve essere istituzionalizzato, non nel senso di burocratizzato, ma di generalizzato, stabilizzato, regolato, trasparente, in modo che chi gestisce sia in grado di dar ragione di quanto viene fatto sia agli stessi religiosi/e e laici che lavorano nei servizi, sia agli utenti, sia alla pubblica amministrazione e a qualsiasi altro soggetto sociale interessato.

Queste nuove prospettive di organizzazione e di lavoro aprono però altri fronti, perché talora gli IR, nel mettersi a collaborare insieme, devono superare tradizionali autarchie, individualismi gestionali, concorrenza tra istituti nell’area di servizi e di utenti di riferimento. Collaborare non è facile, e anzi è sempre impegnativo, perché bisogna costruire nuove intese, che hanno propri tempi di definizione e di attuazione.

D’altra parte i cambiamenti strutturali non si improvvisano, ma devono essere attentamente curati e accompagnati, pena l’inutilità degli sforzi. Si tratta spesso, infatti, di "riconvertire" modi di essere, di fare e di pensare di persone non sempre giovani, non sempre sufficientemente istruite e formate, non sempre convinte dell’utilità del cambiamento.

Le iniziative di cooperazione tra IR aprono spazi abbastanza inediti nella vita degli IR stessi, che finora riuscivano in qualche modo ad alimentare le proprie iniziative sia in termini di risorse sia di nuove vocazioni. Oggi, soprattutto il calo delle nuove vocazioni, ma anche la necessità di ottenere delle economie di scala nelle proprie attività – in presenza di strutture fuori dimensione o fuori norma rispetto ai mutamenti previsti dalle leggi, o di finanziamenti meno certi o meno abbondanti – fa sì che vengano attivate strategie diverse di ricerca di risorse. Una è quella di "fare lobby" unendo le proprie voci nella sfera politica pubblica per chiedere finanziamenti e regole facilitanti; un’altra – di per sé non alternativa anche se può esserlo invece come motivazione religiosa e stile di vita – è quella di cercare di unire le forze con altri IR affini, inventando e praticando una qualche condivisione di percorsi.

In questa cornice, il fatto importante è che le risorse di personale religioso attivo stanno diventando più limitate, per il cumularsi dell’invecchiamento delle persone consacrate assolutamente non sostituite da un numero adeguato di persone giovani, parte delle quali debbono (o dovrebbero) prendersi cura delle persone anziane. Questo declino demografico è stato comunque preceduto dal fatto che l’ampliamento o il semplice mantenimento di certi servizi non poteva e non potrà più essere attuato soltanto con personale religioso. L’utilizzazione di personale laico si è già molto allargata, e questo comporta l’affronto di altri problemi:

• rapporti di lavoro, regolati e retribuiti normalmente, sia nei casi di lavoratori dipendenti sia in caso di accordi contrattuali con cooperative o altri esterni; condizioni particolari da condividere sulla misura della retribuzione, gli stili e i vincoli del lavoro, ecc.; condotta religiosa e morale particolare che venga richiesta;

• trattamento di persone laiche ma comunque consacrate;

• accesso dei laici alla direzione dei servizi o presenza di religiosi/e, manager dei servizi, per tutelare l’ispirazione fondamentale dell’opera, utilizzando interamente personale laico.

Sicuramente le dimensioni e il senso del lavoro dei laici, sempre più numerosi nei servizi gestiti da IR, pongono molte questioni che appunto non sono puramente gestionali, ma anche di orientamento e di stile. Bisognerebbe anche qui vedere quali adattamenti gli IR stanno sperimentando nel loro modo di essere e di agire. Uno è quello di utilizzo del volontariato, che in molti casi può essere appropriato, in altri casi improprio. Persone che danno la loro disponibilità per servizi gratuiti sono frequentemente vicine alle iniziative degli IR, per attrazione da parte del carisma degli IR stessi e anche per la maggior produttività che una azione spontanea ha quando opera con persone consacrate già orientate e organizzate. Il problema è che, talvolta, si assiste a casi in cui la motivazione volontaria serve a legare in maniera assai più stabile del dovuto; mentre la ricompensa è nulla o assai meno del giusto rispetto a situazioni che esigerebbero vere collaborazioni di lavoro stabile e qualificato. Gli aspetti del rapporto con il volontariato dovranno essere ripensati assai meglio di come viene fatto oggi, in una condizione socio-culturale già maturata e perciò capace di vedere anche le ombre, dove ci sono, e collaborare per toglierle. Dispiace vedere talvolta, all’interno degli IR, forme di utilizzo o collaborazione del volontariato talmente distorte da vanificare un apporto che dovrebbe esprimere al meglio la sua grande ricchezza.

Formazione e qualificazione permanente delle persone

Lavorando in una società e in un ambito di interesse pubblico così complessi e con vicende socio-religiose che ne accentuano le incertezze, il problema della valorizzazione della qualità umana, religiosa e professionale delle persone consacrate e laiche che operano, è un obiettivo a cui non ci si sottrae se non con perdite di significatività e di efficienza. Potrebbe sembrare un paradosso mettere a tema la centralità della formazione permanente in ambienti tradizionalmente chiamati a dare tutto quanto è possibile nel "fare" il bene delle persone che ne hanno bisogno. Ma le persone, in generale e quelle che si dedicano agli altri, debbono alimentare continuamente una sensibilità e una capacità riflessiva, conoscere esperienze e possibilità nuove di aiuto e servizio, per saper essere aperti/e e qualificati/e rispetto alle aspettative che le persone in condizione di bisogno e le istituzioni hanno. Aspettative di qualità e di umanità nei servizi, di rispetto per le persone, e di capacità di lavoro tra strutture diverse. Lo stesso "volontariato", basato sulla spontaneità, sulla gratuità e non-professionalità, o almeno la sua parte più moderna, ha capito che ci vuole una preparazione, spesso una cultura quasi professionale. Perché per aiutare materialmente e umanamente delle persone in difficoltà bisogna non solo essere ben disposti, ma anche sapere molte cose dei nuovi fenomeni di marginalità e di insicurezza, per anticipare le situazioni, le reazioni delle persone e dei diversi contesti sociali e per dare un aiuto migliore.

Anche per i religiosi e le religiose i problemi della formazione di base e permanente si pongono come necessari. Oggi non solo non basta la preparazione teologico-spirituale loro specifica, ma se si vuole un rapporto corretto con le persone utenti, con i loro familiari, con le istituzioni pubbliche, con le associazioni di volontariato di servizio e di tutela occorre mantenersi all’altezza delle attese e, quindi, essere coscienti di dove si sta andando, cosa poter fare al meglio, e saper dar conto di ciò che si produce.

Occorre una formazione centrata su singoli problemi e su capacità di analisi delle situazioni generali e complesse, su capacità di lavorare in gruppo, con persone e professionisti diversi e di diverso orientamento. Essere religiosi/e qualificati/e professionalmente, preparati/e ad affrontare confronti e cambiamenti, che non si formano soltanto quando "fanno un corso di formazione", ma che sanno essere religiosi/e in grado di dare un servizio in un continuo processo di autoapprendimento e di riflessività, che si incorpora nello stile dei rapporti che hanno al proprio interno: con quelli che collaborano, con chi utilizza i servizi, con gli esterni interessati alla loro presenza e alle loro "opere".

Attenzione alle trasformazioni strutturali e culturali

Sono in corso dei cambiamenti molto forti nel Welfare in Italia: ciò può essere colto come un semplice dato di fatto, di una necessità di vita cui adattarsi al meglio di volta in volta, oppure può essere interpretato come una opportunità, positiva o negativa, cui rispondere, anzi, cui re-agire creativamente, perché chiede dei cambiamenti nei servizi da dare e nella cultura da vivere, che andrebbero fatti crescere per trasformare questi "dati di fatto". Cambiano di continuo le normative nazionali, regionali, locali; si trasformano le aree, le frontiere dell’esclusione sociale, si trasformano le visioni ideologico-politiche e, quindi, anche i contrasti entro cui vengono governati e vissuti i diritti e i doveri civili, e ancor di più quelli umani, delle persone che spesso sono portatrici di culture diverse dalla nostra. Il Welfare diventa sempre di più "misto", uno Stato che cambia favorendo sia logiche di mercato esterno, sia mentalità aziendali dirigenziali al proprio interno; uno Stato che favorisce, ma talora anche sfrutta, il volontariato classico, che comunque ama meno quando esso vuole svolgere una funzione di advocacy e di domanda "politica"; uno Stato che è ambivalente verso la cooperazione per finalità sociali, verso la quale si nutre meno fiducia e più voglia di controllo e riduzione di facilitazioni. Certo i servizi degli IR, per alcuni versi, possono essere più favoriti se sono ecclesiasticamente controllati, meno se esprimono voci dissenzienti o alternative. Ogni alleggerimento fiscale o aiuto ai propri utenti diventa importante, come diventa importante ogni riconoscimento istituzionale di rispetto e fiducia. Nella fase attuale i riconoscimenti politici sono frequenti e da molti responsabili di IR anche assai graditi, perché sentono tornare al centro della società una Chiesa che la laicità della sinistra politica aveva in vari modi posto sotto critica. Si vedrà in futuro come il gradimento espresso dal mondo politico attuale possa tradursi per certi IR in scelte "di parte" condizionanti i rapporti che, comunque, dovranno esserci con la pubblica amministrazione in quanto titolare di funzioni sociali, indipendentemente dal colore politico di chi amministra e governa.

In questo clima la diversità tra orientamenti liberisti, oggi dominanti, e comunitaristi (politicamente minoritari) diventa più marcata e, quindi, anche tra gli IR si sentirà più a proprio agio chi opera con una cultura imprenditoriale, di iniziativa privata libera, piuttosto di chi opera con un senso di corresponsabilità pubblica di tipo statuale: la dialettica pubblico-privato torna forte, e anche abbastanza contraddittoria nelle sue ispirazioni e strategie concrete. Ma, poiché le iniziative gestite e praticate da IR tendono a decrescere o a cambiare per i motivi detti anche sopra, a chi viene lasciato il compito della cura, e con quale responsabilità per una qualità dei servizi coerente con la mission religiosa originaria?

I quadri di riferimento, probabilmente, saranno più a dimensione locale, e il lavoro dovrà sempre più rispondere a logiche di rendicontazione – che si allarga dallo spazio del bilancio a tutti i processi di produzione dei servizi – della qualità reale delle cose fatte e promesse. Anche perché l’agire dovrà tener conto sia degli enti locali, tradizionali interlocutori, sia delle collettività locali che sono fatte di aziende, di associazioni di tutela e aiuto, che vogliono guardare anche dentro agli IR, di persone singole con la loro capacità di praticare i propri diritti.

 

Il prossimo futuro per gli IR impegnati nel "sociale" (sanitario, educativo)

Il futuro è già paradossalmente presente. Il lavoro continuerà ad essere in condizioni di minoranza. E probabilmente i problemi interni degli IR (invecchiamento, assottigliamento dei nuovi ingressi, formazione e definizione della dirigenza religiosa) costituiranno un orizzonte prevalente dell’impegno degli IR stessi. Diventa più complesso e difficile il dialogo tra le generazioni di religiosi/e, che pone problemi in parte ancora non affrontati: il capire i modi di pensare e le aspettative dei giovani (religiosi), e delle giovani religiose, non può lasciare senza questioni la stabilizzazione degli adulti, non solo degli anziani. Probabilmente anche il dialogo tra istituti femminili e maschili, che hanno tradizioni e stili consolidati e che, soprattutto da parte delle religiose, vengono criticati e pensati diversamente, dovrà cambiare.

La stessa organizzazione delle province religiose dovrà sempre più essere riconsiderata, perché all’interno dello stesso IR si esprimono velocità di trasformazione diverse e diverse attese e domande. La distribuzione territoriale sarà sempre più una questione spinosa, forse più per le donne, tradizionalmente più diffuse nei diversi territori, ma anche per gli uomini. Sicuramente ci sarà il problema di nuove forme di servizio da far nascere e sviluppare, di cui andrà gestita la compatibilità con quelle già esistenti. La tensione tra "vecchio" e "nuovo" sarà forte, e non necessariamente porterà a una maggiore fecondità di vocazioni consacrate. Ma, forse, la fecondità non si potrà più misurare in termini di quantità di vocazioni per il proprio IR, ma di serietà di vocazioni, consacrate o laicali, che comunque nasceranno e si dissemineranno nella Chiesa e nella società.

 

* Il prof. Italo De Sandre insegna all’Università di Padova.
Sr. Franca Ceccotto è una suora francescana elisabettina.

   

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