n. 3
marzo 2004

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Istituti religiosi e strategie di
servizio alle persone
Una ricognizione sistematica - II parte
di Italo De Sandre e Franca Pia Ceccotto
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Opere: stabilità, innovazioni, reazioni
Vi è una
percezione storica, quasi fisica, della consistenza di molte "opere"
gestite in proprietà dagli IR: scuole, collegi, case di riposo,
ospedali, case di accoglienza di diverso tipo, che spesso si pongono in
modo evidente nel tessuto urbano e costituiscono architettonicamente
delle immagini forti della presenza e del peso di certi IR. Ma,
all’interno di questo involucro di evidenza, è l’aspetto strutturale nel
suo insieme ad essere importante. Molte di esse hanno un peso economico
e amministrativo, oltre che simbolico, assai forte per la quantità e
qualità di risorse personali, di religiosi/e presenti e attivi/e, e di
utenti che ne ricercano i servizi. Non di rado sono gli stessi
religiosi, o religiose, a segnalare tale peso, non facilmente
alleggeribile. E qualora diventa necessario ridimensionare presenze o
servizi, si verificano reazioni da parte della popolazione che ne
fruisce.
Il rinnovamento di tali grandi strutture è sempre
problematico e la loro sostenibilità più difficile, per cui è necessario
ricorrere a strumenti di raccolta di risorse al di fuori dello stesso
mondo dei religiosi o del mondo cattolico, in particolare verso lo Stato
e gli Enti locali, per avere facilitazioni o finanziamenti. E’
necessario comunque cambiare lo stile di gestione dei servizi con
l’utilizzo prevalente di personale laico. Il rinnovamento delle opere
storiche è in corso da tempo ma è da studiare ancora: per la sua
complessità, per le attese e le delusioni che solleva, e anche per il
tipo di orientamenti di servizio che vi possono emergere, dal momento
che, per alcuni aspetti delle politiche dei servizi alle persone, si
scorgono come dei "ritorni indietro" verso modalità di assistenza che
ripropongono l’asilarità, la concentrazione di persone da
aiutare, per economizzare in modo ragionevole sulle risorse da
utilizzare e per sollevare almeno temporaneamente le famiglie dal carico
totale della cura di una persona.
E’ un rinnovamento adeguato? deludente?, che fa
sperare qualcosa di nuovo? Sembra importante e doveroso domandarselo,
anche perché stiamo assistendo al sorgere di nuove iniziative, nuove
"opere", nuove fondazioni religiose che non hanno un passato di cui
portare l’eventuale peso e si mostrano più agili, più aderenti alla
sensibilità presente, e che perciò esercitano un richiamo più stimolante
sia per nuovi religiosi, e religiose, sia verso nuovi utenti. Ma anche
qui è importante capire se la dimensione e la qualità delle innovazioni
sono adeguate ai problemi affrontati e in quale misura sono l’apporto di
esperienze nuove di vita consacrata, che vogliono avere meno regole e
lacci patrimoniali, istituzionali, ecc.
Le opere, siano esse grandi o piccole, hanno un
problema di immagine: una visibilità che rilancia il loro valore
simbolico e pratico. E’ il volto esterno dell’IR e del suo servizio che
dice in modi non verbali qualcosa che conferma i membri dell’IR della
bontà e stabilità della propria identità, ma riguarda anche i laici chi
vi operano e chi si serve di essi, e quindi è un significativo "mezzo di
comunicazione". Perciò la visibilità costituisce un richiamo di senso e
una forte – anche se talora ambigua – motivazione pragmatica alla
disponibilità dei benefattori e collaboratori a sostenere l’IR.
Le fonti delle risorse: normative e finanziamenti
Un aspetto nevralgico della vita degli IR è dato
dalle fonti delle risorse di cui essi hanno bisogno per vivere e
operare, specialmente per quelli che lavorano nell’ambito del Welfare
attuale. Le cose si pongono in modo chiaramente diverso rispetto ai
grandi settori di servizio, il settore sanitario, il settore educativo e
il sociale. Il carattere strategico di questo fattore risalta sia
pensando alla quantità dei finanziamenti sia al tipo di rapporti che si
instaurano con i soggetti da cui provengono. Infatti, mentre da un lato
cresce la necessità di finanziamenti per sostenere i servizi che gli IR
offrono alla società, dall’altro nascono implicazioni di diritti e
doveri pubblici, di vincoli e di autonomia che occorre analizzare
seriamente.
Tali fonti sono giustamente differenziate. Ci sono:
- liberalità, donazioni, eredità vincolate a
finalità precise. Si pensi a certi immobili donati in un passato più
o meno lontano, che costituiscono la base su cui sono state organizzate
iniziative di assistenza (sociale, educativa, sanitaria);
- elargizioni più fungibili, in denaro, più
flessibili rispetto alle necessità o agli obiettivi da perseguire; anche
l’eventuale modernizzazione della mentalità dei benefattori è una
variabile importante;
- iniziative specifiche di raccolte di fondi,
che stimolano la popolazione o particolari settori a dare propri
contributi alle finalità generali o a progetti specifici degli IR;
- proventi del lavoro professionale degli
stessi religiosi;
- finanziamenti che vengono da enti pubblici
sulla base di convenzioni attivate per gestire ed erogare servizi
precisi, o per retribuire direttamente il proprio personale;
- finanziamenti regolati in modo tale da
essere assegnati agli utenti dei servizi degli IR (come nel caso dei
provvedimenti recenti a favore delle famiglie che scelgono per i figli
la scuola privata), non sempre ben visti dai dirigenti degli IR stessi,
che preferirebbero la certezza di finanziamenti diretti. Finanziare la
domanda di servizi, anziché l’offerta degli stessi servizi, mette al
centro gli utenti e le loro temporanee decisioni, fa diminuire
l’incertezza immediata, ma non quella strutturale, della variabilità,
della quantità e qualità della domanda, che in alcuni settori, quale lo
scolastico, è comunque in calo per motivi demografici.
- Le rette pagate dagli utenti; e le categorie
che aumentano sono nettamente quelle degli anziani, in parte sovrapposte
alle persone non autosufficienti.
Rinviando alle ricerche empiriche ad hoc per
conoscenze più dettagliate su questi problemi, ciò che risulta oggi
rilevante è che una notevole parte degli IR tradizionali, anche quando
sono "privati", operano di fatto come una parte importante del sistema
istituzionale dei servizi, sia perché legati con rapporti speciali allo
Stato, in quanto enti ecclesiastici, sia perché da tempo sono presenti
con servizi apprezzati dalla popolazione e dalle autorità dei governi
locali, come una risorsa certa e affidabile. L’amministrazione dei
servizi dello Stato utilizza ampiamente strutture rette da religiosi, o
religiose, mediante convenzioni o con sovvenzioni erogate a coloro che
utilizzano i loro servizi; a loro volta gli IR fanno conto delle
erogazioni pubbliche per il proprio funzionamento e, talora, per la
propria sopravvivenza. Questo legame in certi casi è talmente forte da
andare oltre l’ispirazione e motivazione religiosa, come nei casi dove
c’è la sola scuola materna religiosa e non quella comunale, oppure una
sola casa di riposo religiosa e non una privata laica, ecc.
Queste situazioni di reciproca necessità non possono
non condizionare, al di là delle ‘buone’ intenzioni, la gestione degli
IR nell’attuare opportuni adattamenti di indirizzo, la loro specificità
"sociale" e "religiosa", i loro orientamenti ideologico-politici
diversamente attratti dalle forze politiche che siano favorevoli o
contrarie al sostegno dei servizi retti da IR. La transizione politica
in cui si dibatte attualmente la nostra società mostra che il tema del
finanziamento pubblico, in particolare nel caso specifico delle scuole,
è un nodo di contrasto tra diverse visioni della società civile e della
cittadinanza presenti non solo nella popolazione in generale ma anche
tra i cattolici militanti, più orientate alla responsabilità educativa
pubblica (statale) oppure al riconoscimento della pluralità di
iniziative private, confessionali o meno. Emergono, infatti, anche
diverse visioni di Chiesa, più orientate alla valorizzazione di spazi
specificamente cattolici o all’inserimento di cattolici negli spazi
laici pubblici. Attualmente è un nodo, in senso letterale, non sciolto,
anche se il gradimento delle autorità ecclesiastiche per la recente
legislazione più favorevole a certi servizi di IR ha esternamente
attenuato il precedente conflitto politico. Infatti, il conflitto di
ispirazione e di valutazione di queste alternative sussiste, anzi,
risulta rafforzato. Comunque resta il problema di come garantire, anche
in caso di non condivisione delle scelte politiche in atto, una
indipendenza di azione e una capacità di relazione corretta nel caso di
attività sociali finanziate o cofinanziate dall’intervento pubblico.
Organizzazione dei servizi e persone che vi
operano
Dal nostro "osservatorio" si sta prestando attenzione
agli IR che operano in Italia, ma sappiamo che numerosi IR hanno proprie
presenze in Paesi di tutto il mondo, con ben diversi rapporti di
convivenza e di strategie di servizio a seconda delle condizioni di vita
delle popolazioni e delle culture e strutture politiche dominanti, con
grande diversità di risorse e di resistenze che giungono anche a vera e
propria persecuzione, come si sta vedendo di recente.
L’assetto istituzionale ed economico, infatti,
condiziona le possibili opzioni di soggettività giuridica che si possono
realizzare e, ancor prima, la stessa tipologia delle attività sociali
che si vuole ed è possibile assumere: ente, cooperativa, associazione di
volontariato, oppure nessuna di queste, ma solo la strategia di
inserimento dei singoli religiosi in servizi esistenti gestiti da altri.
A monte vi è comunque la scelta da parte degli IR se
operare prevalentemente con strutture proprie o con il lavoro dei propri
religiosi, o delle proprie religiose, senza essere proprietari delle
strutture di produzione dei servizi stessi. La proprietà diretta di
opere, ad alcune condizioni, dà autonomia ma, in condizioni di
turbolenza sociale e di grandi trasformazioni nei processi di
emarginazione e di esclusione sociale, può essere elemento di rigidità,
di dispersione economica, di convogliamento di risorse personali ed
economiche al mantenimento delle proprietà, piuttosto che orientate alle
persone cui sono destinati i servizi. Molte delle nuove situazioni di
marginalità, e di pronto o stabile intervento, trovano risposta migliore
in strutture relativamente piccole, più agili, meno standardizzate e
formalizzate, più flessibili.
Comunque, nel processo di rimessa a punto e ridisegno
delle politiche di produzione e organizzazione dei servizi sanitari,
scolastici e sociali, da anni è in corso una "aziendalizzazione",
impetuosa, anche se non molto chiara e coerente, perché è divenuta
"ideologia" prima di diventare pratica razionale e controllata. Questa
tendenza vuole fissare gli orientamenti che si sono diffusi nelle
strutture pubbliche, a partire da quelle sanitarie, ma ora anche in
quelle scolastiche, per cui la gestione dell’organizzazione del lavoro e
della produzione dei servizi deve sempre più rispondere a una cultura e
a criteri di accountability (di controllabilità della gestione),
per affermare la responsabilizzazione del management degli enti,
responsabilizzazione che deve perseguire l’efficienza e l’efficacia di
funzionamento degli stessi e, contemporaneamente, un risparmio di costi
dei servizi, assorbendo la cultura organizzativa ed economica del
mercato for profit. Questo porta alla necessità di modernizzare i
rapporti e le strutture di lavoro, soprattutto per gli IR più
tradizionali, sollecitando a rivedere standard e stili di servizio in
rapporto al tipo di carisma e agli obbiettivi umano-sociali delle opere
intraprese. I rapporti di lavoro mettono in questione l’esercizio
dell’autorità, ossia il modo di intenderlo e di gestirlo, e le relazioni
quotidiane concrete tra le varie persone e i vari soggetti interni. Ma
anche questa modernizzazione può comportare tensioni o addirittura
situazioni di rottura rispetto all’originale e autonoma spinta
religiosa.
Sullo spirito del "rendere conto" è, comunque,
importante fermare l’attenzione, perché mette a tema l’importanza
metodologica ed etica di attivare, in modo permanente, procedure di
verifica concreta e di valutazione del processo e dei risultati della
produzione dei servizi, seguendo la legislazione e la cultura e
impegnandosi all’efficienza, all’equità, alla trasparenza. Negli
ambienti religiosi molti valutano le cose che si fanno sulla base delle
(buone) intenzioni, ma non è più sufficiente in questa società e con le
idee più mature di dignità e diritti delle persone siano essi cittadini
oppure no.
La valutazione inserisce nel lavoro sociale,
sanitario, educativo un processo riflessivo che deve essere
istituzionalizzato, non nel senso di burocratizzato, ma di
generalizzato, stabilizzato, regolato, trasparente, in modo che chi
gestisce sia in grado di dar ragione di quanto viene fatto sia agli
stessi religiosi/e e laici che lavorano nei servizi, sia agli utenti,
sia alla pubblica amministrazione e a qualsiasi altro soggetto sociale
interessato.
Queste nuove prospettive di organizzazione e di
lavoro aprono però altri fronti, perché talora gli IR, nel mettersi a
collaborare insieme, devono superare tradizionali autarchie,
individualismi gestionali, concorrenza tra istituti nell’area di servizi
e di utenti di riferimento. Collaborare non è facile, e anzi è sempre
impegnativo, perché bisogna costruire nuove intese, che hanno propri
tempi di definizione e di attuazione.
D’altra parte i cambiamenti strutturali non si
improvvisano, ma devono essere attentamente curati e accompagnati, pena
l’inutilità degli sforzi. Si tratta spesso, infatti, di "riconvertire"
modi di essere, di fare e di pensare di persone non sempre giovani, non
sempre sufficientemente istruite e formate, non sempre convinte
dell’utilità del cambiamento.
Le iniziative di cooperazione tra IR aprono spazi
abbastanza inediti nella vita degli IR stessi, che finora riuscivano in
qualche modo ad alimentare le proprie iniziative sia in termini di
risorse sia di nuove vocazioni. Oggi, soprattutto il calo delle nuove
vocazioni, ma anche la necessità di ottenere delle economie di scala
nelle proprie attività – in presenza di strutture fuori dimensione o
fuori norma rispetto ai mutamenti previsti dalle leggi, o di
finanziamenti meno certi o meno abbondanti – fa sì che vengano attivate
strategie diverse di ricerca di risorse. Una è quella di "fare lobby"
unendo le proprie voci nella sfera politica pubblica per chiedere
finanziamenti e regole facilitanti; un’altra – di per sé non alternativa
anche se può esserlo invece come motivazione religiosa e stile di vita –
è quella di cercare di unire le forze con altri IR affini, inventando e
praticando una qualche condivisione di percorsi.
In questa cornice, il fatto importante è che le
risorse di personale religioso attivo stanno diventando più limitate,
per il cumularsi dell’invecchiamento delle persone consacrate
assolutamente non sostituite da un numero adeguato di persone giovani,
parte delle quali debbono (o dovrebbero) prendersi cura delle persone
anziane. Questo declino demografico è stato comunque preceduto dal fatto
che l’ampliamento o il semplice mantenimento di certi servizi non poteva
e non potrà più essere attuato soltanto con personale religioso.
L’utilizzazione di personale laico si è già molto allargata, e
questo comporta l’affronto di altri problemi:
• rapporti di lavoro, regolati e retribuiti
normalmente, sia nei casi di lavoratori dipendenti sia in caso di
accordi contrattuali con cooperative o altri esterni; condizioni
particolari da condividere sulla misura della retribuzione, gli stili
e i vincoli del lavoro, ecc.; condotta religiosa e morale particolare
che venga richiesta;
• trattamento di persone laiche ma comunque
consacrate;
• accesso dei laici alla direzione dei servizi o
presenza di religiosi/e, manager dei servizi, per tutelare l’ispirazione
fondamentale dell’opera, utilizzando interamente personale laico.
Sicuramente le dimensioni e il senso del lavoro dei
laici, sempre più numerosi nei servizi gestiti da IR, pongono molte
questioni che appunto non sono puramente gestionali, ma anche di
orientamento e di stile. Bisognerebbe anche qui vedere quali adattamenti
gli IR stanno sperimentando nel loro modo di essere e di agire. Uno è
quello di utilizzo del volontariato, che in molti casi può essere
appropriato, in altri casi improprio. Persone che danno la loro
disponibilità per servizi gratuiti sono frequentemente vicine alle
iniziative degli IR, per attrazione da parte del carisma degli IR stessi
e anche per la maggior produttività che una azione spontanea ha quando
opera con persone consacrate già orientate e organizzate. Il problema è
che, talvolta, si assiste a casi in cui la motivazione volontaria serve
a legare in maniera assai più stabile del dovuto; mentre la ricompensa è
nulla o assai meno del giusto rispetto a situazioni che esigerebbero
vere collaborazioni di lavoro stabile e qualificato. Gli aspetti del
rapporto con il volontariato dovranno essere ripensati assai meglio di
come viene fatto oggi, in una condizione socio-culturale già maturata e
perciò capace di vedere anche le ombre, dove ci sono, e collaborare per
toglierle. Dispiace vedere talvolta, all’interno degli IR, forme di
utilizzo o collaborazione del volontariato talmente distorte da
vanificare un apporto che dovrebbe esprimere al meglio la sua grande
ricchezza.
Formazione e qualificazione permanente delle
persone
Lavorando in una società e in un ambito di interesse
pubblico così complessi e con vicende socio-religiose che ne accentuano
le incertezze, il problema della valorizzazione della qualità umana,
religiosa e professionale delle persone consacrate e laiche che operano,
è un obiettivo a cui non ci si sottrae se non con perdite di
significatività e di efficienza. Potrebbe sembrare un paradosso mettere
a tema la centralità della formazione permanente in ambienti
tradizionalmente chiamati a dare tutto quanto è possibile nel "fare" il
bene delle persone che ne hanno bisogno. Ma le persone, in generale e
quelle che si dedicano agli altri, debbono alimentare continuamente una
sensibilità e una capacità riflessiva, conoscere esperienze e
possibilità nuove di aiuto e servizio, per saper essere aperti/e e
qualificati/e rispetto alle aspettative che le persone in condizione di
bisogno e le istituzioni hanno. Aspettative di qualità e di umanità nei
servizi, di rispetto per le persone, e di capacità di lavoro tra
strutture diverse. Lo stesso "volontariato", basato sulla spontaneità,
sulla gratuità e non-professionalità, o almeno la sua parte più moderna,
ha capito che ci vuole una preparazione, spesso una cultura quasi
professionale. Perché per aiutare materialmente e umanamente delle
persone in difficoltà bisogna non solo essere ben disposti, ma anche
sapere molte cose dei nuovi fenomeni di marginalità e di insicurezza,
per anticipare le situazioni, le reazioni delle persone e dei diversi
contesti sociali e per dare un aiuto migliore.
Anche per i religiosi e le religiose i problemi della
formazione di base e permanente si pongono come necessari. Oggi non solo
non basta la preparazione teologico-spirituale loro specifica, ma se si
vuole un rapporto corretto con le persone utenti, con i loro familiari,
con le istituzioni pubbliche, con le associazioni di volontariato di
servizio e di tutela occorre mantenersi all’altezza delle attese e,
quindi, essere coscienti di dove si sta andando, cosa poter fare al
meglio, e saper dar conto di ciò che si produce.
Occorre una formazione centrata su singoli problemi e
su capacità di analisi delle situazioni generali e complesse, su
capacità di lavorare in gruppo, con persone e professionisti diversi e
di diverso orientamento. Essere religiosi/e qualificati/e
professionalmente, preparati/e ad affrontare confronti e cambiamenti,
che non si formano soltanto quando "fanno un corso di formazione", ma
che sanno essere religiosi/e in grado di dare un servizio in un continuo
processo di autoapprendimento e di riflessività, che si incorpora nello
stile dei rapporti che hanno al proprio interno: con quelli che
collaborano, con chi utilizza i servizi, con gli esterni interessati
alla loro presenza e alle loro "opere".
Attenzione alle trasformazioni strutturali e
culturali
Sono in corso dei cambiamenti molto forti nel
Welfare in Italia: ciò può essere colto come un semplice dato di
fatto, di una necessità di vita cui adattarsi al meglio di volta in
volta, oppure può essere interpretato come una opportunità, positiva o
negativa, cui rispondere, anzi, cui re-agire creativamente, perché
chiede dei cambiamenti nei servizi da dare e nella cultura da vivere,
che andrebbero fatti crescere per trasformare questi "dati di fatto".
Cambiano di continuo le normative nazionali, regionali, locali; si
trasformano le aree, le frontiere dell’esclusione sociale, si
trasformano le visioni ideologico-politiche e, quindi, anche i contrasti
entro cui vengono governati e vissuti i diritti e i doveri civili, e
ancor di più quelli umani, delle persone che spesso sono portatrici di
culture diverse dalla nostra. Il Welfare diventa sempre di più
"misto", uno Stato che cambia favorendo sia logiche di mercato esterno,
sia mentalità aziendali dirigenziali al proprio interno; uno Stato che
favorisce, ma talora anche sfrutta, il volontariato classico, che
comunque ama meno quando esso vuole svolgere una funzione di advocacy
e di domanda "politica"; uno Stato che è ambivalente verso la
cooperazione per finalità sociali, verso la quale si nutre meno fiducia
e più voglia di controllo e riduzione di facilitazioni. Certo i servizi
degli IR, per alcuni versi, possono essere più favoriti se sono
ecclesiasticamente controllati, meno se esprimono voci dissenzienti o
alternative. Ogni alleggerimento fiscale o aiuto ai propri utenti
diventa importante, come diventa importante ogni riconoscimento
istituzionale di rispetto e fiducia. Nella fase attuale i riconoscimenti
politici sono frequenti e da molti responsabili di IR anche assai
graditi, perché sentono tornare al centro della società una Chiesa che
la laicità della sinistra politica aveva in vari modi posto sotto
critica. Si vedrà in futuro come il gradimento espresso dal mondo
politico attuale possa tradursi per certi IR in scelte "di parte"
condizionanti i rapporti che, comunque, dovranno esserci con la pubblica
amministrazione in quanto titolare di funzioni sociali,
indipendentemente dal colore politico di chi amministra e governa.
In questo clima la diversità tra orientamenti
liberisti, oggi dominanti, e comunitaristi (politicamente minoritari)
diventa più marcata e, quindi, anche tra gli IR si sentirà più a proprio
agio chi opera con una cultura imprenditoriale, di iniziativa privata
libera, piuttosto di chi opera con un senso di corresponsabilità
pubblica di tipo statuale: la dialettica pubblico-privato torna forte, e
anche abbastanza contraddittoria nelle sue ispirazioni e strategie
concrete. Ma, poiché le iniziative gestite e praticate da IR tendono a
decrescere o a cambiare per i motivi detti anche sopra, a chi viene
lasciato il compito della cura, e con quale responsabilità per una
qualità dei servizi coerente con la mission religiosa originaria?
I quadri di riferimento, probabilmente, saranno più a
dimensione locale, e il lavoro dovrà sempre più rispondere a logiche di
rendicontazione – che si allarga dallo spazio del bilancio a tutti i
processi di produzione dei servizi – della qualità reale delle cose
fatte e promesse. Anche perché l’agire dovrà tener conto sia degli enti
locali, tradizionali interlocutori, sia delle collettività locali che
sono fatte di aziende, di associazioni di tutela e aiuto, che vogliono
guardare anche dentro agli IR, di persone singole con la loro capacità
di praticare i propri diritti.
Il prossimo futuro per gli IR impegnati nel
"sociale" (sanitario, educativo)
Il futuro è già paradossalmente presente. Il lavoro
continuerà ad essere in condizioni di minoranza. E probabilmente i
problemi interni degli IR (invecchiamento, assottigliamento dei nuovi
ingressi, formazione e definizione della dirigenza religiosa)
costituiranno un orizzonte prevalente dell’impegno degli IR stessi.
Diventa più complesso e difficile il dialogo tra le generazioni di
religiosi/e, che pone problemi in parte ancora non affrontati: il capire
i modi di pensare e le aspettative dei giovani (religiosi), e delle
giovani religiose, non può lasciare senza questioni la stabilizzazione
degli adulti, non solo degli anziani. Probabilmente anche il dialogo tra
istituti femminili e maschili, che hanno tradizioni e stili consolidati
e che, soprattutto da parte delle religiose, vengono criticati e pensati
diversamente, dovrà cambiare.
La stessa organizzazione delle province religiose
dovrà sempre più essere riconsiderata, perché all’interno dello stesso
IR si esprimono velocità di trasformazione diverse e diverse attese e
domande. La distribuzione territoriale sarà sempre più una questione
spinosa, forse più per le donne, tradizionalmente più diffuse nei
diversi territori, ma anche per gli uomini. Sicuramente ci sarà il
problema di nuove forme di servizio da far nascere e sviluppare, di cui
andrà gestita la compatibilità con quelle già esistenti. La tensione tra
"vecchio" e "nuovo" sarà forte, e non necessariamente porterà a una
maggiore fecondità di vocazioni consacrate. Ma, forse, la fecondità non
si potrà più misurare in termini di quantità di vocazioni per il proprio
IR, ma di serietà di vocazioni, consacrate o laicali, che comunque
nasceranno e si dissemineranno nella Chiesa e nella società.
* Il prof. Italo De Sandre insegna
all’Università di Padova.
Sr. Franca Ceccotto è una suora francescana elisabettina.
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