n. 10
ottobre 2004

 

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di Tiziana De Rosa
 

 

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Le lettrici e i lettori di questa rivista sono tutte, e tutti, persone adulte, persone che hanno una certa esperienza di vita, perché hanno vissuto diversi anni nel mondo e nei vari istituti, sono familiari di Dio, siedono alla Sua mensa, partecipano della Sua stessa vita divina. Basta tutto questo, a noi, per affermare, con altrettanta verità, di essere anche persone mature spiritualmente e psicologicamente?

Forse la maturità è come la santità, non è mai sufficiente, non è mai abbastanza, non è mai raggiunta finché saremo in questa vita terrena… eppure, alle persone consacrate è richiesta anche una certa maturità spirituale e psicologica, proprio perché dovrebbero essere segno del Regno di Dio, segno della vita che verrà, segno e testimoni dell’amore con cui il Padre ama ogni donna e ogni uomo vivente.

Come facciamo a sapere se siamo vicine o distanti da questo tipo di maturità? Innanzi tutto, a mio modesto parere, dovremmo avere la consapevolezza di noi stesse: chi siamo, come siamo, come reagiamo di fronte agli imprevisti, alle situazioni positive e negative, che tipo di relazioni stabiliamo o coltiviamo con noi stesse, con gli altri, con Dio, che cosa vogliamo dalla vita?

La consapevolezza di sé aiuta a riconoscere i propri sentimenti, le proprie emozioni e le proprie reazioni e ci offre, se lo vogliamo, una prima chiave per migliorarle e dare loro la giusta direzione e la giusta fecondità.

La consapevolezza di sé aiuta a capire meglio anche l’ambiente in cui si vive e ciò che vivono, sentono e patiscono le persone che ci sono accanto: i loro stati d’animo, le emozioni, le difficoltà, le inquietudini, le attese…

Accorgersi degli altri è già un passo avanti nella via della vita, perché non siamo monadi ma viviamo insieme e insieme siamo chiamate a crescere e a testimoniare l’amore di Dio per ogni creatura. Se poi riusciamo a raggiungere l’empatia, ad essere empatiche, per metterci al posto loro, nella direzione della loro prospettiva, e sentire sulla nostra pelle le loro sofferenze e i loro problemi esistenziali per aiutarle a risolverli, questa è maturità relazionale.

Non credersi l’ombelico del mondo, da cui tutto parte e a cui tutto deve ritornare, è saggezza; donarsi agli altri, sull’esempio di Cristo, concretamente, momento per momento, 365 giorni all’anno, perché gli altri e le altre possano crescere secondo il modello e i tempi che Dio ha stabilito per loro, è santità.

La maturità pone la persona, qualsiasi persona, al primo posto: il suo benessere, la sua crescita umana e spirituale, il suo sviluppo armonico sono molto più importanti di ogni altra cosa e di ogni altra ricchezza o interesse, perché la persona umana è amata immensamente da Dio ed è per lei che il Padre ha inviato il Suo Figlio unigenito nel mondo…

Solo l’amore di Dio può renderci capaci di oblatività, di gratuità, di benevolenza, di misericordia, ed è solo per la sua grazia che siamo capaci di dimenticare noi stesse per donarci agli altri e, se necessario, dare la vita per loro, come ci ha insegnato il Cristo di Dio, il nostro Signore e Salvatore.

E’, infatti, l’amore che nutriamo verso gli altri e verso noi stesse, quello autentico, che ci può dire a che punto è la nostra maturità: un amore gratuito, che non chiede nulla in cambio, che non si aspetta niente, che non si offende o si ritira se è misconosciuto, non compreso, travisato, rifiutato. Un amore libero e liberante, senza ricatti e senza pretese, senza “se” e senza “ma”, capace di far crescere nell’autonomia e nella vera libertà di spirito, perché ciascuna e ciascuno possa svilupparsi in autonomia e saggezza, secondo il piano di Dio, nella sua originalità e unicità.

Il comandamento di Dio afferma che dobbiamo amare gli altri come noi stessi, completato poi dal comandamento di Gesù: «Amatevi come io vi ho amati». Chi non amasse se stesso, come potrebbe amare gli altri? Chi non avesse cura di sé, potrebbe mai prendersi cura degli altri? Ecco allora che se non vogliamo essere sterili dobbiamo acquisire anche noi la competenza genitoriale, che consiste proprio nel prendersi cura dell’altro, nel donarsi all’altro/a, nel generare vita e nel farla crescere in sovrabbondanza. Come sarebbe bello se in ogni comunità si facesse a gara per prendersi cura le une delle altre, gli uni degli altri. Realiz-zeremmo la vera comunione e l’autentica comunicazione, e saremmo tutte, e tutti, persone realizzate in pienezza, secondo il desiderio del cuore di Dio.

La consapevolezza di sé, tuttavia, ci fa anche capire che possiamo donare soltanto quello che possediamo. Se siamo persone “disperse”, se non ci “possediamo” totalmente e non possiamo prenderci in mano, con tutta la nostra interiorità, se non ci conosciamo abbastanza per abbandonare le nostre maschere quotidiane e i nostri copioni distruttivi, come potremmo donarci agli altri? Come potremmo dare alle altre e agli altri quello che noi stesse non abbiamo?

Se ci restano ancora problemi insoluti, se la nostra affettività è ancora traballante, se la libertà ci fa paura, se siamo ancora totalmente ripiegate su noi stesse e non abbiamo ancora risolto i nostri complessi infantili, se abbiamo ancora tante rivendicazioni da fare e crediamo che tutto il mondo ci è debitore, come potremmo donarci totalmente al prossimo e costruire relazioni autentiche, frutto di una sana armonia interiore? Se così fosse, però, non dobbiamo scoraggiarci né credere di valere poco o niente: per Dio valiamo moltissimo, valiamo tutto il suo amore, perché siamo sue figlie amatissime e a Lui tutto è possibile. Con Lui possiamo ancora cambiare e ricostruire la nostra personalità: finché siamo in vita, tutto è possibile se lo vogliamo veramente. Dobbiamo soltanto avere il coraggio e l’umiltà di chiedere aiuto e di farci aiutare. Ciò è possibile sia attraverso la direzione spirituale, sia per mezzo di una sana amicizia con una persona di elevata maturità psicologico-spirituale, oppure attraverso il dialogo personale con una psicologa o uno psicologo adulto e maturo e, ovviamente, attraverso una profonda vita interiore fatta di preghiera autentica e di piena fiducia nel Signore e nel Suo amore creativo per noi. Il dialogo costante e amoroso con il Dio di Gesù Cristo ci apre alla vita, ci colma di amore e risponde in pienezza alle esigenze più intime del nostro essere interiore.

Abbandonandoci totalmente nelle braccia materne e paterne di Dio Padre, sotto l’influsso del Suo Spirito creatore e riparatore, potremo – a mano a mano che abbandoneremo i nostri meccanismi di difesa – aprirci all’amore misericordioso del Padre, per lasciarci sanare dall’amore di Cristo, nostra unica speranza e nostra unica salvezza.

La cristoterapia può ricrearci, farci persone nuove, darci quella carica interiore che ci porta a vivere e a morire per il Cristo e per il suo Regno, nella certezza di aver portato a compimento l’opera che Lui stesso ha iniziato in noi per il bene nostro e di tutta la sua Chiesa. E’ un lavoro interessante e appassionante, che siamo chiamate a compiere fino alla fine dei nostri giorni, ma ne vale la pena, perché la posta in gioco è l’eterna visione beatifica e perché non siamo mai sole a lavorare: con noi e in noi lavora lo Spirito di Dio, che è Spirito di pace, Spirito di amore, Spirito di gaudio eterno. 

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