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È
tutto un turbinio di voci. E’ tutto un incalzare di eventi. E’ un
incrociarsi di affermazioni e di smentite, di sgomento e di angoscia e di fugaci illusioni. Di stragi e di sgomento perché di stragi
si parla e i massacri si vedono; un imbarbarimento; una tragedia; un fendente
giunto improvviso. Dilemmi. Crolli e rialzi di borsa. Licenziamenti per esubero
di forze non più valorizzabili nei viaggi, nel turismo, nel mercato. L’economia
vacilla. Si parla di centinaia di migliaia di persone che rimarranno senza
lavoro con le conseguenti enormi problematiche per milioni di cittadini che
vanno ad assommarsi sul globo ai miliardi di poveri già esistenti. Famiglie
distrutte.
La precedente, forse apparente, tranquillità è
stata spiazzata. I temi dei telegiornali sono stati stravolti. I titoli dei
quotidiani sono sentenze di minaccia o notizie drammatiche di cascate di missili
e bombe. Questo è il nostro oggi da quel giorno, da quell’11 settembre u.s.
Sono passate poche settimane. Sono eventi di poco fa, di ieri. L’altro ieri,
il 10 settembre, era tutta un’altra cosa. O sembrava tutta un’altra cosa.
Una domanda incalza: la vita consacrata come
risponde? La vita consacrata femminile, in particolare, cosa deve dire? Quale la
sua reazione? Crediamo sia il tempo dell’operosità; un’operosità che non
è semplice attività o dinamismo. Parliamo di una operosità che ingloba la
vita intera, l’intero essere, l’intero
esistere nel suo ritmare delle ore, o dei minuti; l’intera persona con la sua
sensibilità, la sua psiche, la sua razionalità,
il suo cuore. L’intero esistere di donne, che nella loro
origine sono state create a immagine e somiglianza di Dio Trinità e che nel
Battesimo sono state rese dimora di quella stessa Trinità, quindi di un Dio che
è comunione e gratuità.
Ci permettiamo di proporre, con semplicità,
alcuni appunti. E il momento di essere più che mai:
• donne di riconciliazione: con se stesse, con
la propria storia, con il proprio passato, con la comunità, con il gruppo di
lavoro, con l’Istituto che potrebbe anche essere stato causa in alcune
occasioni di lacerazioni e rotture, di ferite non ancora rimarginate. Le rotture
esistono perché "nessuno è senza colpa", e la riconciliazione non è
semplice cercata e voluta negazione o copertura del conflitto. Esiste il
conflitto aberrante che prescinde da considerazioni giuridiche o etiche e
rifiuta di rispettare la dignità della
persona, quindi persegue interessi di parte. Ma è saggio ammettere che la
conflittualità è innegabile e sempre insorgente nella storia di ognuno, e
quindi della società o, semplicemente, in
ogni gruppo umano.
Essere donne di riconciliazione quindi esige la
capacità di riconoscere la verità e di voler risolvere le situazioni
conflittuali secondo la dinamica evangelica. Già il Siracide scriveva:
"Perdona al prossimo un atto di ingiustizia, così quando preghi ti sono
perdonati i tuoi peccati".
La volontà di riconciliazione ammette il
conflitto, ma lo supera; riconosce le
difficoltà di relazione ma le oltrepassa con umiltà; individua gli errori e li
risolve con tenacia e coraggio; non passa sotto silenzio in nome o per amore di
una pace fasulla, ma affronta la realtà con audacia e trasparenza, perché la rappacificazione non deve mai avvenire a scapito
della verità e della giustizia. "I cristiani, insieme - hanno scritto
Giovanni Paolo II e il vescovo Karekon II in Armenia – devono essere testimoni
della verità". E il papa ha parlato espressamente di sanazione
delle "ferite" e di camminare "sulla strada della riconciliazione
e della fratellanza".
Potrebbe essere altamente utile fare oggetto
della propria meditazione la pericope della Lettera di Paolo agli Efesini al
capitolo 2, versetti 4-22 che, secondo alcuni esegeti può anche far pensare all’unificazione
dei due popoli, l’ebraico e i pagani. Tale unificazione si è compiuta in nome
e in grazia della redenzione operata da Gesù.
Ogni vera riconciliazione non è mai soltanto opera del singolo soggetto, ma è
soprattutto iniziativa e dono di Dio, perché
egli è la pace. Egli soltanto strappa l’uomo dalla sua esistenza egoistica e
lo orienta o lo ri-orienta a Dio e ai fratelli e alle sorelle.
Volere la riconciliazione, quindi, vivere la
riconciliazione; quasi abitare con occhio e attenzione vigile la riconciliazione
per essere
• donne di pace. Il primo frutto della
riconciliazione è la pace. La riconciliazione si accompagna al perdono ricevuto
e donato e perdono e pace si richiamano sempre. Ben ce lo fa capire la liturgia
eucaristica. E il mondo oggi, decisamente ogni oggi, ha bisogno di donne
costruttrici di pace, artigiane della pace, tessitrici di pace. In ogni ambito,
in tutti gli spazi possibili. Perché ogni uomo e ogni donna hanno bisogno di
sicurezza e la pace e la sicurezza sono beni comuni globali e inseparabili.
Tonino Bello esortava: "In piedi, costruttori di pace!".
• Donne di comunione. Nella Novo millennio
ineunte è scritto: "Spiritualità della comunione significa innanzitutto
sguardo del cuore portato sul mistero della Trinità che abita in noi, e la cui
luce va colta anche sul volto dei fratelli che ci stanno accanto. Spiritualità
della comunione significa inoltre capacità di sentire il fratello di fede nell’unità
profonda del Corpo mistico, dunque, come "uno che mi appartiene", per saper condividere le sue gioie e le sue sofferenze,
per intuire i suoi desideri e prendersi cura dei suoi bisogni, per offrirgli una
vera e profonda amicizia. Spiritualità della comunione è pure capacità di
vedere innanzitutto ciò che di positivo c’è nell’altro, per accoglierlo e
valorizzarlo come dono di Dio: un dono per me, oltre che per il fratello che lo
ha direttamente ricevuto. Spiritualità della comunione è infine saper fare
spazio al fratello, portando i pesi gli uni
degli altri e respingendo le tensioni
egoistiche che continuamente ci insidiano e generano competizione, carrierismo,
diffidenza, gelosie. Non ci facciamo illusioni: senza questo cammino spirituale,
a ben poco servirebbero gli strumenti
esteriori della comunione. Diventerebbero apparati senz’anima, maschere di
comunione più che sue vie di espressione e di crescita".
Continua il documento: "gli spazi della
comunione vanno coltivati e dilatati giorno
per giorno, a ogni livello, nel tessuto della vita di ciascuna Chiesa" ed
enumera i vari ambiti nei quali è necessario
far sorgere e coltivare la comunione.
• Donne di gratuità: serenamente convinte che
tutto è dono - "Che hai tu che non abbia ricevuto?" domanda Paolo -
non esigono nulla per sé. La persona, i doni di ognuna vengono posti - tutti -
a servizio degli altri, in comunità e nella missione. "La dimensione
teologale della nostra vita esige una inedita spiritualità della
gratuità" ha scritto un autore recente. E il perdono
e la riconciliazione, scrive lo stesso autore, sono possibili
soltanto in un regime di gratuità. Il papa ha detto il 1 settembre che
"occorre presentare ai giovani il volto di Cristo contemplato nella
preghiera e teneramente servito nei fratelli con amore gratuito".
Siamo state chiamate ad una ad una, ma la
chiamata ci pone al servizio dello stesso Signore in una comunità, tutta dedita a una identica missione anche se le attività
sono molteplici e diverse. "Voi che siete cattivi…" ha detto Gesù.
Ma ha anche imposto con un imperativo: "siate perfetti come il Padre
vostro!".
Tra il male certo e il bene possibile ci sta lui,
Gesù, principio, fonte, causa di salvezza.
Al dire di Paolo ogni uomo e ogni donna siamo
stati scelti "prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati
al suo cospetto nella carità, predestinandoci a essere suoi figli adottivi per
opera di Gesù Cristo (Ef 1,4-5).
Ogni comunità, che è Chiesa, ossia
convocazione, dice il Catechismo degli adulti, "è chiamata a manifestare
il mistero di comunione di Dio in noi, di noi con Dio e tra di noi… La
divisione e la disgregazione possono essere superate"; deve sorgere
"un nuovo modo di vivere ispirato dall’amore e dalla fraternità".
"Il rispetto dei diritti di ciascuno, anche
se di convinzioni personali diverse, è il presupposto di ogni convivenza autenticamente umana… Siate artefici di incontro,
di riconciliazione e di pace tra persone e gruppi differenti, coltivando l’autentico
dialogo". Lo ha detto Giovanni Paolo II in Kazakhstan. E vale per tutti.
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