Lectio sul salmo 50
(51)
Pietà di me, o Dio,
secondo la tua misericordia;
nella tua grande bontà cancella il mio peccato.
Lavami da tutte le mie colpe, mondami dal mio peccato.
Riconosco la mia colpa, il mio peccato mi sta sempre dinanzi.
Contro di te, contro te solo ho peccato,
quello che è male ai tuoi occhi, io l’ho fatto;
perciò sei giusto quando parli, retto nel tuo giudizio.
Ecco, nella colpa sono stato generato,
nel peccato mi ha concepito mia madre.
Ma tu vuoi la sincerità del cuore e nell’intimo m’insegni la sapienza.
Purificami con issopo e sarò mondo; lavami e sarò più bianco della neve.
Fammi sentire gioia e letizia,
esulteranno le ossa che hai spezzato.
Distogli lo sguardo dai miei peccati, cancella tutte le mie colpe.
Crea in me, o Dio,
un cuore puro, rinnova in me uno spirito saldo.
Non respingermi dalla tua presenza
e non privarmi del tuo santo spirito.
Rendimi la gioia di essere salvato,
sostieni in me un animo generoso.
Insegnerò agli erranti le tue vie e i peccatori a te ritorneranno.
Liberami dal sangue, Dio,
Dio mia salvezza, la mia lingua esalterà la tua giustizia.
Signore, apri le mie labbra e la mia bocca proclami la tua lode;
poiché non gradisci il sacrificio e, se offro olocausti, non li accetti.
Uno spirito contrito è sacrificio a Dio,
un cuore affranto e umiliato, Dio, tu non disprezzi.
nel tuo amore fa’ grazia a Sion,
rialza le mura di Gerusalemme.
Allora gradirai i sacrifici prescritti, l’olocausto e l’intera
oblazione,
allora immoleranno vittime sopra il tuo altare.
La bellezza e
l’importanza vitale di questo salmo, proprio alla scoperta di un cammino
di preghiera, è così espresso da Charles de Foucauld: «E’ un compendio
di adorazione, amore, offerta, ringraziamento, pentimento, domanda. A
partire dalla considerazione di noi stessi e dalla vista dei nostri
peccati, questo salmo sale fino alla contemplazione di Dio passando
attraverso il prossimo e pregando per la conversione di tutti gli
uomini»1.
Questo salmo attraversa
tutta la storia della spiritualità. Costituisce lo schema interno alle
Confessioni di s. Agostino; è stato meditato e commentato da
uomini come s. Gregorio Magno, il Savonarola, Lutero e Dostoevskij.
Musicisti come Bach, Donizzetti e altri più recenti l’hanno musicato.
Grandi pittori come G. Rouault si sono ispirati ad esso. «Meditandolo e
pregandolo noi entriamo nel cuore dell’uomo e della storia» (C.M.
Martini).
Chi ha scritto il
salmo 50(51)?
A lungo, come dicono i
vv. 1-2, si è pensato che l’autore fosse Davide. Dal suo cuore sarebbe
sgorgato il salmo, dopo il suo adulterio con Betsabea, l’uccisione del
marito Uria e l’ascolto della provocatoria parabola del profeta Natan (cfr.
2Sam 11-12).
Oggi, gli esegeti sono
invece propensi a cogliere, nel salmo, elementi teologici tipici dei
profeti, specie di Geremia. Sarebbe dunque databile intorno al IV sec.
a.C. dopo l’esilio babilonese. Va comunque sottolineato che la carica
esistenziale, giunta dai profeti, ha fatto rielaborare in forma di
preghiera personale, adatta a tutti i tempi, un’esperienza autentica di
peccato e di conversione, nel più fiducioso ricorso a Dio.
Struttura
E’ tale da farci
cogliere una cosa importantissima nel rapporto coscienza del peccato e
nostra preghiera: al centro – luce, liberazione e salvezza
– c’è la giustizia salvifica di Dio che è una sola cosa con la sua
misericordia.
Lui è più grande di
ogni nostro peccato. Sulla bilancia: peccato-Dio, il piatto che pesa di
più è quello dell’esserci di Dio ed esserci come
Misericordia.
La struttura risulta
una grande armonia scandita da varie parti, che esamineremo.
Introduzione:
si attribuisce il
Salmo a Davide caduto in grave colpa.
Si esplicita una
consapevolezza acuta e dolorosa del peccato come enorme male. I verbi
sono tutti all’indicativo ed esprimono dei fatti, degli errori commessi,
in sostanza, contro Dio.
Si esprime la supplica.
La percezione di Dio qui è certezza che Egli è assoluta fonte di
perdono, di grazia, di rigenerazione e di gioia. I verbi sono
all’imperativo: purificami, lavami, fammi sentire gioia,
ecc.
Si parla del futuro:
quel che il salmista intravede come progetto di Dio. I verbi sono al
futuro: insegnerò, la mia lingua acclamerà.
Chiude il salmo
un’appendice liturgica che è stata aggiunta in seguito.
Approfondimento del
testo
Pietà di me, o Dio
secondo la tua bontà,
secondo l’immensa tua misericordia,
cancella le mie trasgressioni.
Esordio
importantissimo! L’accento è messo su Dio, anche se è forte il senso del
peccato. Viene in mente quello che l’esegeta A. Gelin ha chiamato il
«biglietto da visita di Dio nell’A.T.»: Jaweh, Dio misericordioso e
pietoso, lento all’ira e ricco di grazia e fedeltà, che conserva il suo
favore per mille generazioni, che perdona la colpa, la trasgressione e
il peccato, ma non lascia senza punizione (Es 34,6 - 7).
Attingendo poi
all’immagine di Dio-Padre che ci ha svelato Gesù, come non pensare a Lc
15 e a quella che si può dire la descrizione della psicologia del
Padre misericordioso, nella parabola di Lui che accoglie e perdona?
Interessante notare che il salmista dice: «secondo la tua misericordia»
e non, “nella tua misericordia” o “perché sei misericordioso”. L’accento
è messo sull’intuire (pur senza riuscire a capire!) l’enorme
sproporzione tra il modo di essere dell’uomo e questa misericordia che è
il modo di essere di Dio.
Le parole ebraiche
tradotte con misericordia sono “hesed” e “rahamìn”. Hesed
esprime l’atteggiamento di Dio: lealtà, affidabilità, fedeltà, bontà,
tenerezza, costanza nell’attenzione e nell’amore.
Dio è colui che io non
pretendo di conoscere: però posso essere certo/a che per Lui sono
importante, talmente Egli ha cura di me, “perfino dei capelli del mio
capo”, per dirla con Gesù! (cfr. Mt 10,30; Lc 12,7).
Hesed
è uno dei vocaboli
fondamentali sia della teologia salmica che di quella dell’Alleanza
(ricorre 245 volte nell’ A.T., di cui 127 solo nei salmi).
Ma è pure importante il
termine rahamin (plurale di rehem) che evoca le viscere
materne, simbolo archetipo dell’amore tutto donato. «Si dimentica forse
una madre del suo bambino? Anche se ciò avvenisse, io non ti
dimenticherò mai» (cfr. Is 49,15 e 30,18).
Nel Talmud,
“Misericordioso” è quasi il cognome di Dio che è così definito nella sua
realtà più intima.
«Lavami dalla mia
colpa, mondami dal mio peccato. Riconosco la mia trasgressione. Il mio
peccato mi è sempre dinanzi. Contro te solo ho peccato»
(vv. 4-7).
Con una ripetizione
martellante, ora il salmista porta alla ribalta il peccato, scoperto in
tutta la sua nequizia. In ebraico sono usate tre parole di molto peso:
Ht’ = peccato; pèsa = colpa; awon = trasgressione e ribellione.
L’idea che il salmista
ci comunica è che il peccato è il male fondamentale, in sostanza, è
l’unico vero male dell’uomo. Spezza infatti l’Alleanza nuziale con Dio;
è uno sbandamento, è fallire il colpo nel “tiro a segno” della vita; è
la rivolta contro Dio, fonte della vita e della gioia. In Es
21,8; Ger 3,20; Is 1,20; 50,5 emerge un’idea precisa
dell’assoluta distruttività del peccato. Se Dio, infatti, costruisce
pace e armonia in noi e nella storia, mediante la nostra libera adesione
alla sua Legge, il peccato rovina e distrugge l’uomo e ciò che è
correlato a lui perché si propone come volontà e progetto alternativo
all’unica fonte di bene che è Dio.
«Ecco, tu ami la verità
della coscienza e nel mio intimo mi fai conoscere la sapienza»
(v. 8).
E’ un versetto che fa
scivolare in un certo senso la prima nella seconda parte del salmo.
Viene espresso che la coscienza lucida e forte di quello che è il
peccato non trova però soluzione attraverso un rituale magico ma
attraverso il sincero umiliarsi del cuore consapevole di aver fatto un
gran “guasto”; un cuore però nello stesso tempo fiducioso nel perdono di
Dio e nella possibilità di ricominciare con Lui a scegliere “la via
della vita”.
E’ il “vuoto” del cuore
contrito e umiliato che permette poi l’irrompere in noi della sapienza
come capacità di vedere e decidere secondo ciò che piace a Dio.
«Purificami... lavami.
Distogli il tuo volto dai miei peccati, cancella tutte le mie colpe»
(vv. 9-11). Il salmo qui diventa supplica la cui forza è espressa
dai verbi all’imperativo. Le immagini intensificano, attraverso la loro
espressività simbolica, l’anelito alla purificazione. L’issopo è un’erba
aromatica connessa al rito dell’agnello pasquale (Es 12,22), mentre la
neve parla di un rinnovato, candido splendore al cuore che viene
perdonato da Dio (cfr. Is 1,18).
Anche l’immagine
antropomorfica del “volto” di Dio (cfr. v. 11 e v. 13) approfondisce
questo parlare con Dio, perché il volto è espressione, a volte dello
sdegno e della punizione di Dio che non può sopportare il peccato (cfr.
Sl 38,2; 90,8), così com’è espressione soprattutto della fonte di
grazia e di pacificazione: «Esulterò di gioia per la tua grazia, perché
hai guardato alla mia miseria» (51 30,8). Per questa persuasione, il
salmista è arrivato ora a pregare: «Fammi sentire gioia e allegria,
esulteranno le ossa che hai spezzato» (v. 10). Il perdono, infatti,
provoca una gioia che afferra tutto l’essere umano, anche nella sua
realtà fisica (le “ossa”).
Sentiamo risuonare
Isaia: «Voi lo vedrete e gioirà il vostro cuore e le vostre ossa saranno
rigogliose come erba fresca» (Is 66,4).
«Crea in me, o Dio, un
cuore puro, rinnova in me uno spirito saldo»
(vv. 12-14).
La supplica diventa il
grido di chi sempre più conosce Dio e, in preghiera, impara a conoscere
se stesso alla sua luce, chiedendo la forza del suo Spirito.
Interessante il fatto che, nel testo ebraico, appaiono tre intense
invocazioni allo Spirito santo. L’italiano traduce: «sostieni in me uno
spirito generoso», ma il testo originale dice: «rafforzami col tuo
Spirito generoso». Il senso è molto più consolante!
Siamo al momento
culminante del salmo: è un’epiclesi penitenziale simile all’epiclesi
nella Consacrazione, momento vertice della celebrazione eucaristica.
Importantissimo anche
il termine “crea”. E’ il primo verbo della Bibbia: «In principio Dio
creò il cielo e la terra» (Gn 1,1). La Bibbia riserva questa parola solo
per Dio che fa sgorgare l’essere, l’assoluta novità dal nulla.
Solo Dio crea! L’uomo
può ricevere l’essere, non lo dà. Correlata a questa richiesta di nuova
creazione è l’altra supplica: «rendimi la gioia», nel testo
originale: «fa risorgere in me la gioia».
Il senso che viene da
questa correlazione è profondo: dove c’è vera conoscenza di Dio e del
suo perdono può esserci gioia vera, intensa!
«Insegnerò ai ribelli
le tue vie
(...) la mia lingua acclamerà la tua giustizia (...). Un cuore
contrito e umiliato, o Dio, tu non disprezzi» (vv. 15-19).
E’ un finale fortemente
intriso di speranza! Chi ha sperimentato lo forza travolgente della
misericordia e conosce d’essere stato “ri-creato” da Dio, diventa un
testimone, uno che sente l’urgenza dell’annuncio. Sempre però, anche
quest’azione missionaria è sostenuta da Dio che ne è il propulsore. Quel
Dio che non gradisce sacrifici e olocausti (v. 18) formalistici e vuoti
d’amore, unisce invece intimamente a sé lo spirito, meglio ancora il
cuore che ha saputo entrare nell’umile e piena contrizione.
«Nel tuo amore
favorisci Sion
(...). Allora amerai
i sacrifici legittimi» (vv. 20-21). Gli esegeti hanno letto
qui un’appendice liturgica di valore secondario. Non è più solo il
peccatore che si pente e chiede il perdono; è tutto il popolo che
domanda a Dio di dimenticare le sue ribellioni e di gradire nuovamente
gli olocausti, i riti d’Israele.
Meditiamo
attualizzando
Se voglio imparare a
pregare, è bene ch’io impari anzitutto a conoscere Dio nella sua
identità di amore-misericordia e anche a conoscere me nella mia
identità di persona che ha peccato.
Troppo spesso si prega
con una conoscenza molto vaga sia di Dio che di se stessi. Si ha l’idea
di un “paparone” quasi nonno e bonaccione, oppure di un giudice irato;
un dio supportato da devozionalismi vari, la cui immagine si gioca nelle
oscure paure della psiche o viene imbrattata da tante banalità di
catechesi e omelie malfatte, da libercoli spiritualistici; oppure l’idea
è di un Dio astratto da teologia impregnata di raziocinio. Un dio… non
un Dio vivente, un dio “tappabuchi”, non un Dio Amore, Misericordia
infinita!
Si prega anche con una
cattiva coscienza di se stessi, senza sufficiente capacità di giudizio
su di sé. Perfino confessandosi, il credente a volte più che accusare sé
cerca giustificazioni, attenuanti, accusando gli altri. Scrive Carlo
Maria Martini: «Questa capacità di giudizio su di sé non è ancora il
dolore dei peccati; ne è però la premessa. Infatti, non posso pentirmi
se non di qualcosa che è solo mio e non va, l’ho fatto io e lo
disapprovo»2.
Bisogna dunque prendere
coscienza che se, nelle nostre confessioni e nell’atteggiamento di fondo
del nostro essere, siamo sempre propensi a scusare noi e ad accusare gli
altri, siamo lontani dalla conoscenza di noi e tanto più dalla realtà
del pentimento cristiano.
Un’altra presa di
coscienza, per aprirci alla ricchezza di questo salmo, riguarda il
nostro contesto socioculturale. E’ molto bello che finalmente si parli
anche di “peccato sociale”, di “strutture di peccato”, nella
consapevolezza che il peccato intacca la Chiesa, disgrega la società e
inquina gli aspetti politici ed economici delle comunità nazionali e
mondiali.
Questo salmo però ci
ricorda che, dietro ogni volto d’uomo, dentro ogni situazione umana, Dio
è la grande Presenza. Quando io tratto male qualcuno, lo inganno, gli
nego aiuto, è Dio che io tratto male e offendo! Il salmista infatti non
dice: «Ho peccato», ma «Ho peccato contro di Te». Ed è sulla scorta di
tutto il salmo che il nostro pregare, chiedendo perdono a Dio, lungi da
farci affondare nel deprimente senso di colpa, ci fa rimbalzare nella
piena fiducia. «Il mio peccato mi è sempre davanti, quello che è male ai
tuoi occhi io l’ho fatto», dico con piena verità, ma senza indugiare con
sguardo depresso sulle mie bassezze e miserie; perché volgendomi a Dio
grido a Lui con piena fiducia: «Pietà di me, secondo la tua bontà,
secondo l’immensa tua misericordia».
Sulla Parola, i miei
esercizi e la mia preghiera
- Cerco la quiete del
corpo e della psiche mediante esercizi di consapevolezza del respiro.
Accogliendo l’aria nell’inspirazione, accolgo il soffio, l’alito di Dio.
- Con l’espirazione
consegno a Dio misericordioso, «in cui viviamo, respiriamo e siamo», il
mio peccato.
-
Se sono sola, nella mia
camera, faccio il gesto di allargare le braccia e consegnare,
consegnare, consegnare. Immergo il cuore nella parola salmica: «Pietà di
me, o Dio, secondo l’immensa tua misericordia».
-
Cerco di respirare
nella fede questo amore-misericordia-salvezza. A lungo, fino a percepire
che l’amore-misericordia di Dio mi avvolge ed è tanto più grande e
profondo del mio peccato.
-
Lentamente ripeto: «Tu
ami la verità nella coscienza e nel mio intimo m’insegni la sapienza».
Nella luce dello Spirito santo scrivo qualcosa delle mie trasgressioni
od omissioni, ma senza torturarmi nella psiche. Più che stendere un
arido elenco, espongo, nel dialogo col Tu divino, il mio errare di
questo periodo. Rimango sotto lo sguardo di un Padre-Misericordia.
-
Ora mi muovo. Assumo
un’altra posizione. Forse cambio anche ambiente. Se c’è il sole mi
lascio investire dalla sua luce-calore.
Ripeto con viva
supplica: «Crea in me un cuore puro (...), rendimi la gioia di essere
salvato. Fammi sentire gioia e letizia».
Visualizzerò Gesù
accanto all’adultera. Sento detta a me quella parola che risana,
pacifica e dinamizza in percorsi di vita nuova: «Va’ in pace e non
peccare più».
-
In attesa di poter
celebrare il sacramento del perdono, do spazio in cuore alla gioia della
salvezza. Respiro fiducia. Niente è impossibile alla potenza
dell’Amore di Dio: né la mia conversione né quella delle mie sorelle.
-
Posso pregare: Liberami
o Dio da ogni paura che fa violenza al mio cammino. Apri le mie labbra e
proclamerò la tua lode. Fammi sentire la gioia del vivere riconciliata
con Te e, come conseguenza, con tutti. Fammi irradiare gioia.
Prego lentamente, di
nuovo, tutto il salmo e mi soffermo su quei versetti che, ripetuti,
sento più miei, più atti a pacificarmi e a unirmi al Signore che mi sta
amando.
Itinerari
contemplativi
Ma tu, Signore,
guardasti all’abisso della mia morte e,
nel profondo del mio cuore,
distruggesti l’abisso della corruzione...
Come subito mi apparve soave
l’essere privo di quelle false dolcezze
che prima avevo paura di perdere
e ora invece mi era gioia il lasciarle!
Eri Tu che le allontanavi da me,
Tu, o dolcezza vera e somma;
le allontanavi e penetravi Tu al loro posto,
Tu, più dolce di ogni voluttà
ma non per la carne e per il sangue;
Tu, più luminoso di ogni luce
ma intimo più di ogni segreto,
Tu, sublime più di ogni grandezza,
non per quelli però che sono altezzosi di se stessi.
Ormai il mio spirito era libero
dalle dolorose preoccupazioni dell’ambizione e del guadagno
e della lebbra di passioni inquiete e libidinose.
Balbettavo le prime parole a Te, mia luce, ricchezza e salvezza,
o Signore Dio mio!
(Dalle
Confessioni, IX,1)
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