Una
notte, in una di quelle magiche spiagge
lambite dall’Oceano, accade qualcosa di straordinario: un’alta marea
eccezionale invade la battigia e l’accarezza per ore. Dopo, quando le
acque si ritirano, la danza dell’Oceano lascia un segno di stupefacente
bellezza: miriadi di stelle marine, dai colori più svariati e dalle
forme più diverse, spinte sulla costa dalle onde poderose, si specchiano
vanitose e incredule nell’azzurro del cielo.
L’alba regala un’immagine inedita: la
spiaggia è punteggiata di stelle ed è come se il cielo fosse caduto
sulla terra. Non è possibile contare le stelle marine: sono tante,
tantissime… forse decine di migliaia!
Le stelle marine non possono vivere a lungo
lontane dal mare: sulla spiaggia, al calore dei raggi del sole, private
del loro ambiente naturale che le nutre e le protegge, sono destinate a
morire.
La spiaggia è stupita, sbalordita, incredula.
Lo stupore prende vigore e si contagia di viso in viso e di bocca in
bocca, quando gli abitanti del piccolo villaggio escono dalle loro case
per recarsi al lavoro, a scuola, a far la spesa… Tutti vanno in fretta e
di fretta: come al solito, come ogni mattina, come d’abitudine.
L’inspiegabile mistero delle stelle sulla spiaggia, per un attimo,
arresta la loro fretta. Pian piano tutto il villaggio è sulla spiaggia.
Una folla di vecchi e bambini, donne e uomini, giovani e adulti si
raccoglie e guarda sbigottita il mare.
Un uomo, con un paltò nero, l’intellettuale
del villaggio, senza scendere in spiaggia, rimanendo sulla strada,
comincia a domandarsi il «perché» di quel fenomeno. Parla di teorie, di
fasi lunari e solari, di alta e bassa marea. Spiega e descrive e, a
dovuta distanza dalle stelle marine, dà fondo a tutta la sua scienza. Un
piccolo gruppo si raccoglie intorno a lui: discutono, dibattono,
ragionano… tutti con le mani in tasca! Intanto le stelle marine
cominciano a soffrire l’assenza di acqua.
Una donna s’incammina sulla spiaggia e arriva
fino a riva. Va avanti e indietro senza sosta e ripete a voce alta:
«sono tante, tantissime, troppe! Non posso salvarle tutte! Uno, due,
tre, quattro… sono tante non si può far nulla per loro!» Le conta e
dimena le sue mani, senza mai toccarle… intanto le stelle marine
consumano le loro ultime energie.
Un’altra donna la segue, ma subito si ferma e
osserva incantata ora questa ora quella stella marina. Si china e le
scruta nei particolari, le descrive nei colori e nelle forme, decanta la
loro bellezza e apprezza il loro splendore. «Sono belle, bellissime –
dice in continuazione – ho paura di toccarle talmente sono belle». Le
sue mani sfiorano appena le stelle marine che continuano la loro agonia.
Arriva un gruppo di giovani e scende subito
in spiaggia. I giovani si avvicinano alle stelle marine e scelgono le
più belle da prendere come souvenir. Le loro mani toccano le
stelle marine, ma non per liberarle dall’arsura della spiaggia.
Un uomo rallenta con il suo fuoristrada e
mormora: «Non ho tempo da perdere, non posso fermarmi e vedere cosa
succede... perché dovrei perdere tempo dietro a delle stupide stelle
marine che si sono lasciate spingere sulla spiaggia? Non sono mie le
stelle marine, non è mia la spiaggia, non è mio il mare… perché perdere
tempo per qualcosa che non è mio!» Con le mani strette al volante
accelera e passa oltre… il problema non è suo! Lui corre via e le stelle
marine restano a soffrire sulla spiaggia.
Delle donne dirette al mercato si fermano a
guardare, quando vedono che c’è tanta gente si dicono l’un l’altra: «Ci
penseranno loro a far qualcosa!» e riprendono il loro cammino. Nelle
loro mani una lunga lista di cose da acquistare e nelle stelle marine
solo un alito di vita.
L’insolito spettacolo ha attirato tanta gente
e si creano qui e là drappelli di uomini e donne. Tutti guardano,
parlano, ragionano… nessuno fa nulla! Le stelle marine sono tante,
troppe… non è possibile salvarle tutte… e allora non se ne salva
nessuna!
Nel frattempo, una bambina, di una manciata
di anni, dall’aria birichina, sfugge al controllo della mamma e
raggiunge la riva: con le sue manine prende una stella e la getta
nell’Oceano, poi torna indietro e ne prende un’altra, e un’altra ancora,
e poi ancora. Va avanti e indietro senza sosta e i suoi piedini corrono
festanti sul bagnasciuga. Non riuscirà a ridare all’Oceano tutte le
stelle marine: sono tante, troppe! Ma con le sue manine, mentre la folla
dei grandi discute e si consulta, prende tempo e ragiona, ha riportato
nel grembo dell’Oceano venti stelle. Molte sono già morte e molte
moriranno, ma venti sono salve! Un bimbo, con la spontaneità dei
piccoli, si unisce a lei: la loro impresa è impossibile, senza speranza…
ma adesso sono sessanta le stelle in salvo! Molte sono già morte e molte
moriranno… ma sessanta sono salve! Altri bambini si uniscono ai due
pionieri e l’Oceano ha ripreso con sé cento stelle. Dopo qualche minuto
sono duecento le stelle marine che giocano felici con le onde, loro
amiche d’infanzia. Molte sono già morte e molte moriranno… ma duecento
sono salve!
Dalla storia alla vita
Quante volte ci svegliamo al mattino e ci
accorgiamo che sulla nostra riva, per restare nella metafora del
racconto, mille stelle marine boccheggianti chiedono attenzione, esigono
risposta, invocano decisione. Stanno in bilico sul bordo della nostra
esistenza, adagiate sul perimetro della nostra vita personale e
comunitaria, esiliate ai margini estremi della nostra storia di credenti
e consacrate/i al Signore. A volte sono problemi che tentiamo invano di
ignorare e altre volte sono decisioni che procrastiniamo all’infinito. A
volte sono situazioni che dribbliamo con astuzia, nella speranza di non
doverle mai affrontare e altre volte sono difficoltà che ci illudiamo di
nascondere nell’armadio delle buone intenzioni. A volte sono sogni che
abbiamo chiuso nel cassetto e altre volte sono promesse che abbiamo
dimenticato. A volte sono attese a cui non vogliamo tendere l’orecchio e
altre volte sono impegni che preferiamo eludere. A volte sono relazioni
faticose che abbiamo relegato in soffitta e altre volte sono perdoni che
abbiamo accatastato nel tempo e non riusciamo più a regalare.
Molte volte. Tante volte. Forse troppe!
A volte, le stelle marine sono talmente tante
che non sappiamo da dove cominciare per rimetterle a posto: non sappiamo
dove mettere le mani… e allora le teniamo in tasca! Questo accade nella
vita quotidiana, nel lavoro, nelle relazioni interpersonali, nella vita
comunitaria, nella preghiera, nella spiritualità, nell’apostolato, nella
vita sociale e politica… non sappiamo da dove cominciare e, allora,
preferiamo lasciare le nostre mani in tasca!
Uno smarrimento invade il nostro cuore,
quando vediamo le tantissime stelle marine che un mare agitato dissemina
dispettoso lungo la nostra riva. Non sono le stelle marine in sé a farci
paura, né il loro numero. Ci fa paura il come affrontarle e il
come gestirle, adesso e nel tempo. Questo come è esigente e
richiede almeno sette caratteristiche:
1. il coraggio della verità su se stessi,
anche quando fa male e impone l’andare controcorrente;
2. la decisione di andare fino in fondo,
senza fermarsi a metà, alle prime conquiste o ai primi fallimenti;
3. la fedeltà a se stessi, alla
propria storia, ai propri talenti, anche quando la fedeltà richiede
radicalità e fermezza;
4. la tenacia della ricerca e la
docilità a saper accogliere il nuovo;
5. la forza di non lasciarsi catturare
dalla logica del «minimo indispensabile»;
6. il desiderio di spostare più in là
l’orizzonte della propria vita;
7. il vigore del “sempre”, del
“tutto”, della “pienezza”.
Queste caratteristiche impegnano e, allora,
si preferisce ignorare le stelle marine che giacciono sulla nostra
spiaggia… come se questo fosse possibile!
E così la nostra spiaggia assume l’aspetto di
una casa desolata: una sorta di prigione con le porte aperte da cui,
però, non si esce mai. Un magazzino abbandonato, pieno di vecchie cose
impolverate, in cui regna sovrano il disordine. Sui muri è scritto più
volte: «Accidenti a…» e ogni volta si trova un «colpevole» diverso. Mai
se stessi!
Stelle marine e punti interrogativi
La storia delle stelle marine ci mette con le
spalle al muro. Lasciamoci interrogare dall’agonia delle stelle marine
sulla battigia e dall’agitazione del mare, dalla spiaggia che accoglie e
dal cielo che custodisce, dall’intellettuale in paltò pieno di teorie e
dalla donna accecata dalla grandiosità del numero, dai giovani in cerca
di souvenir e dalla donna rapita dalla bellezza,
dall’indifferenza dell’uomo in fuoristrada e dallo «scarica barile»
delle donne dirette al mercato, dal coraggio della prima bambina e
dall’allegria degli altri bimbi, che rimettono in mare le stelle marine.
Questa storia, nella sua semplicità e
immediatezza, interroga la nostra vita e le nostre scelte, il nostro
credo e la nostra speranza, la nostra spiritualità e le nostre
relazioni, il nostro apostolato e la nostra carità, il nostro modo di
incarnare il Vangelo e il nostro impegno nel vivere l’utopia cristiana…
Questa storia evoca il Dio dei piccoli passi, invoca la fedeltà alle
piccole cose, implora tenacia nella perseveranza.
Mi trovo in Burkina Faso per missione e in
questi mesi ho sperimentato la verità rivoluzionaria e profetica
dell’agire dei bambini della nostra storia: i bambini non si perdono
d’animo di fronte alla grandezza del problema, cominciano pian piano, a
piccoli passi, un po’ per volta. Qui, in Africa, più che altrove, sembra
che tutti i problemi si siano dati appuntamento e stretti la mano; il
loro numero sconcerta e confonde… che cosa fare? Maledire il buio o
accendere un fiammifero? In altri termini: prendersela con il colpevole
di turno per l’arrivo delle stelle sulla spiaggia e lasciarle morire
lentamente perché non si possono salvare tutte insieme, oppure
cominciare a salvarle una per una, nella tensione e nell’impegno di
salvarle tutte?
Anche nella Chiesa, nelle parrocchie, nelle
comunità religiose, nelle famiglie… può accadere che i problemi e le
difficoltà si concentrino ed esplodano insieme… che fare? Lasciarsi
affogare o cominciare a nuotare per conquistare qualche scoglio e, pian
piano, raggiungere la riva? Sedersi o iniziare a camminare e, passo dopo
passo, lentamente ma progressivamente, arrivare alla meta lontana?
Piangersi addosso per il terreno arido e duro o mettere mano all’aratro
e dissodare tenacemente zolla dopo zolla fino a che tutto il terreno sia
pronto per la semina?
Il Signore dei piccoli passi ci
invita alla fedeltà nelle piccole cose e ci chiede la tenacia della
perseveranza. Ci invita a vivere la nostra vita di consacrate/i nella
pienezza e nell’abbondanza del «primo amore», senza mai dimenticare
l’entusiasmo dell’innamoramento… anche dopo anni e decenni.
Il Signore del sale della terra e
della luce del mondo ci chiede di essere «testimoni
credibili» di slancio missionario e di attenzione agli ultimi. Ci chiede
di vivere, nella nostra vita personale e nelle nostre comunità
religiose, uno stile alternativo di vita, che si oppone con tenacia e in
modo risoluto alla mentalità corrente. Ci chiede di resistere al fascino
dei valori fittizi, per affermare con la nostra vita i valori che
contano. Ci chiede di sperimentare nuovi comportamenti sociali e di
correggere i nostri consumi esistenziali.
Il Signore della casa sulla roccia ci
chiama a vivere una spiritualità del terzo giorno: capace di
attendere la risurrezione e di suscitare risurrezione nell’attesa.
Capace di «rendere conto» della speranza e di «rendere testimonianza»
alla speranza. Una spiritualità che fa toccare con mano la profezia del
Vangelo: la speranza è vita e la vita è speranza.
Una spiritualità del terzo giorno è
una spiritualità che sta sotto la croce in modo progettuale e gravida di
futuro: dopo ogni croce, piccola o grande che sia, c’è sempre la
risurrezione! Non è in sintonia con il Vangelo lasciarsi schiacciare
dalla croce. È in consonanza con il Vangelo abbracciare la croce
portando nel cuore il germe della risurrezione. La spiritualità del
terzo giorno è una spiritualità al femminile che fa correre
dal sepolcro vuoto verso il cenacolo pieno (cfr. Lc 24,1-11). È una
spiritualità dell’attesa e della resistenza. Una spiritualità della
fecondità e della gestazione. Una spiritualità dalle mani aperte e dal
cuore bandito a festa. Una spiritualità dell’accoglienza e del prendersi
cura.
Mille risposte in due modi di pensare e
agire
Le stelle marine, vale a dire i problemi e le
situazioni, le circostanze e le scelte, le decisioni e gli impegni, le
relazioni e i sogni, le attese e le promesse… si presentano
all’improvviso nella nostra vita, bussano insieme alla nostra porta,
disturbano la nostra quiete.
Mille le risposte possibili, ma tutte, pur
nella loro diversità e multiformità, riducibili a due atteggiamenti
fondamentali, a due modi di pensare, affrontare, vedere, vivere la vita:
i «pensieri zavorra» e i «pensieri elica».
Da questi due modi di pensare mutuiamo molte
cose della nostra vita personale e della nostra vita di consacrate/i al
Signore: il credere, innanzitutto, in Dio, in noi stessi, nelle sorelle
e nei fratelli; di conseguenza, la speranza e la spiritualità, il
rapporto con la Parola e l’apostolato; le relazioni interpersonali e il
lavoro… Tutto può essere pesante (zavorra) o leggero (elica):
sta a noi scegliere di vedere la bottiglia mezza vuota o mezza
piena; le nuvole nere sopra di noi o l’arcobaleno che spunta
all’orizzonte; le tinte scure nel dipinto della nostra esistenza o
l’invasione di colore…
Schiacciati al suolo: pensieri zavorra
Se abbiamo il coraggio di rivedere con lealtà
uno solo dei nostri giorni, ci accorgeremo di quanti pensieri zavorra
attraversano trasversalmente la nostra vita e la nostra storia. Questi
pensieri si mascherano nelle parole dette e in quelle taciute, nei gesti
espressi e in quelli repressi; nel modo di gestire la rete relazionale e
nella maniera di leggere e interpretare la realtà; nel modo di
raccontarsi e nella maniera di progettare e sognare il futuro.
I pensieri zavorra sono pensieri
pesanti che frenano, bloccano, incatenano al suolo. Sono pensieri senza
passato e senza futuro: schiacciati sulla preoccupazione dell’oggi. Sono
pensieri «per me» e chiusi «in me», che non mi fanno andare verso, e non
mi aprono nuovi orizzonti. Sono pensieri con le mani chiuse, il cuore di
pietra, i piedi di piombo.
Quando questi pensieri conquistano la vita
personale, e invadono la vita comunitaria, sono capaci di paralizzare
ogni cosa e tutto rischia di vestire l’abito del pessimismo, della
sfiducia, dello scoraggiamento, del sospetto, dello scetticismo… Tutto,
anche la preghiera e la spiritualità rischiano di essere svuotati di
vigore e di energia, sviliti e ridotti a un pericoloso piangersi
addosso. Tutto è preso di mira e nulla regge ai colpi mancini del
disfattismo a ogni costo: la speranza è latitante e regnano lo
smarrimento e la depressione. Impera il “non cambierà mai nulla”, il
“tutto è inutile”, il “chi me lo fa fare”. Vige una sorta di
atteggiamento di accomodamento e di relax: va bene così, perché
sforzarsi ancora! Ci si accontenta, non tanto di ciò che si ha (di
questo ci si lamenta sempre!), quanto piuttosto di ciò che si è e di
come si è… senza più tentare conversioni e cambiamenti di rotta. Ci si
adagia sulla poltrona della mediocrità, sul piedistallo del già
conquistato, sul palco del “tanto quanto basta”. Gli sforzi sono banditi
e tutto è ritenuto inutile! L’entusiasmo e la passione sono un mero
ricordo dei tempi ingenui in cui si credeva ancora nella possibilità di
cambiamento.
Non sempre i pensieri zavorra sono
facilmente individuabili. Spesso si nascondono tra le pieghe di una vita
regolare e irreprensibile, a volte si celano nei meandri di un
comportamento impeccabile, altre volte si velano dietro una facciata
silenziosa e tranquilla. In chi tace per paura delle conseguenze, in chi
non dà problemi per non intaccare la sua quiete, in chi non s’inventa
nuove mete che lo impegnano e lo spingono in avanti, in chi svolge con
cura il compito assegnatogli e non vede che c’è altro da fare, in chi
non contraddice e non va contro la corrente comune, in chi si dà
pizzichi sulla pancia pur di non dispiacere nessuno, in chi dice “sì” ma
nel suo cuore alberga il “no”, in chi è molto rigido e non è tollerante
con niente e con nessuno, in chi si accontenta sempre di se stesso e di
ciò che fa senza esigere conversione e cambiamento… la zavorra del
pensare pesante può trovare più facilmente terreno buono in
cui crescere.
I pensieri zavorra accerchiano perché
non danno la possibilità di cambiare: tutto è sempre uguale, tutto è
monotono, tutto è noioso. Una vita senza slanci e senza entusiasmi,
senza sogni e senza profezia è quella che deriva da un pensare
zavorra.
Quando i pensieri zavorra attraversano
la nostra vita, si vede subito, lo vediamo noi e lo vedono gli altri,
perché perdiamo il desiderio di vivere, la gioia di esserci, la grinta
nel fare. Il viso diventa serio e tutto è pesante… anche noi siamo
pesanti! Tutto è noia, tutto è banale, tutto è un’inutile ripetizione. E
questo può avvenire in qualsiasi segmento di vita… ed è davvero
inquietante quando accade in giovinezza, dopo pochi anni di vita
religiosa!
Quasi tutti i protagonisti della nostra
storia si lasciano catturare dai pensieri zavorra:
l’intellettuale che spiega e non agisce; la donna che si fa prendere dal
numero e non libera la vita; i giovani che vanno in cerca di souvenir
da mostrare e tralasciano l’essere e il fare; la donna che si fa
estasiare dalla bellezza e dimentica di essere contempl-attiva; l’uomo
in fuoristrada che distingue tra ciò che è suo e gli compete e ciò che
non è suo e non gli compete; le donne che hanno una lista di cose
ordinarie da fare e lasciano agli altri il compito di occuparsi del
nuovo che arriva. Chi sfugge a questa logica sono solo i bambini: loro
volano con il pensiero e cominciano pian piano a salvare la vita.
Volare in alto: pensieri elica
È vero che la nostra quotidianità è
trapuntata di pensieri zavorra, ma è anche vero che sono tanti i
pensieri elica che bussano alla porta della nostra esistenza.
Forse sono tenui, ma ci sono. Basta solo aprir loro la porta e farli
entrare e loro non perderanno tempo a prendere stabile dimora nella
nostra vita.
I pensieri elica liberano, mettono ali
ai piedi, fanno volare in alto. Sono pensieri che amano il loro passato
e sognano il loro futuro, con i piedi ben saldi nell’oggi di Dio. Sono
pensieri “miei” aperti all’altro e che fanno da ponte verso l’altro.
Sono pensieri con le mani spalancate, il cuore palpitante, i piedi in
movimento.
Quando questi pensieri afferrano la vita
personale e prendono possesso della vita comunitaria, si spalancano gli
orizzonti e tutto si colora di ottimismo, di fiducia, di coraggio, di
certezza, di allegria, di buon umore, di sorriso… Tutto, proprio tutto,
cambia colore e diventa più leggero e più progettuale. Tutto, anche la
preghiera e la spiritualità si colorano di vigore profetico e di energia
progettuale, e allora sì che la nostra preghiera ci farà «spostare le
montagne» (cfr. Mt 17,20) e la nostra spiritualità ci renderà capaci di
assumere quel «cuore di carne» che fa «nuove tutte le cose» (cfr. 2Cor.
5,17).
Quando i pensieri elica sono “di casa”
nella nostra vita, la speranza e la fiducia, l’attesa e il desiderio, il
sogno e la profezia abitano realmente ogni cosa: ogni gesto e ogni
parola, ogni sguardo e ogni pensiero, ogni impegno e ogni progetto. La
speranza è dominante e l’ottimismo regna sovrano.
Nel modo di pensare e vivere da elica,
impera la capacità di darsi sempre nuove occasioni e nuove possibilità:
di regalarsi e regalare perdono. Non si è avari nella riconciliazione e
la comprensione è donata abbondantemente: si è generosi con se stessi e
con gli altri. Vige la regola del «fai agli altri quello che vuoi che
gli altri facciano a te» (cfr. Mt 7,12) ed è operante la legge del
«compi il primo passo» (cfr. Lc 6,29). Per la mediocrità e le “mezze
misure” non c’è posto: tutto è vissuto e concepito all’insegna
dell’andare sempre un po’ più in là e un po’ oltre. Nella mente e nel
cuore alberga il desiderio di «stendere senza risparmio i teli della
propria dimora, di allungare le cordicelle e rinforzare i paletti, di
allargarsi a destra e a sinistra» (cfr. Is 54,1-3).
Quando i pensieri elica attraversano
la nostra vita, si vede subito, lo vediamo noi e lo vedono gli altri,
perché sprigioniamo entusiasmo e passione: il nostro sorriso coinvolge e
la nostra voglia di fare traina; il vedere positivo si allarga attorno a
noi come una macchia d’olio e la gioia di vivere conquista tutti coloro
che incontriamo; la possibilità di cambiare, cullata nel cuore, si
trasmette agli altri e si contagia il desiderio di crescere.
I pensieri elica fanno conquistare un
paio d’ali e, poi, ne fanno perdere una, per sperimentare, come amava
dire don Tonino Bello, che si ha bisogno dell’altra/o, anche lei, o lui,
con un’ala soltanto, per volare insieme, l’una/o attaccata/o all’altra/o.
I pensieri elica fanno camminare e
cantare e fanno cercare sempre un nuovo cielo, anche se si è avanti
negli anni. Ecco perché sono attaccati da tutte le parti: dentro e fuori
di noi.
I pensieri elica sono spesso
disturbati dai pensieri zavorra dei personaggi della nostra
storia.
L’uomo in paltò: il fascino della teoria e
delle mani in tasca
Accade spesso, nella nostra vita personale e
comunitaria, di cedere al fascino delle teorie, delle discussioni a
tavolino, dei ragionamenti… Nelle nostre comunità religiose viviamo
spesso comodamente sedute/i e, da dietro le nostre scrivanie, tracciamo
teorie e amiamo spiegare ciò che gli altri vivono… con le mani in tasca
e i piedi sotto la sedia! Se qualcuno ci invita ad agire, a fare
qualcosa, a sporcarci le mani… rispondiamo che dobbiamo vedere,
pianificare, programmare… diciamo che non siamo pronti, non siamo
preparati, non è prudente… intanto il treno passa e noi lo perdiamo!
Una spiritualità del terzo giorno
impone la ricerca e la sperimentazione di nuovi stili e nuovi
comportamenti. Spinge a mettere le mani in pasta. Impone l’andare e
l’esporsi. Esige l’annuncio e la testimonianza. Fa stare in piedi.
La donna e la grandiosità del numero: la
paura dell’impegno
Accade spesso, nella nostra vita personale e
comunitaria, di lasciarci impaurire dal grande numero delle cose da
cambiare, da sistemare, da affrontare… Nelle nostre comunità religiose
viviamo spesso l’incubo delle tante cose da rivedere, da raddrizzare, da
migliorare. La grandiosità del numero ci spaventa e, non sapendo da dove
iniziare, continuiamo a ripetere che «dobbiamo aggiustare questo e
correggere quello» e contiamo le diverse cose da modificare… ma senza
impegnarci in niente!
Una spiritualità del terzo giorno
impone la scelta di cominciare pian piano, una cosa per volta, senza
fretta ma con coraggio. Stimola a provare, a cadere, a rialzarsi.
I giovani e i souvenir: la fuga dal momento
presente
Accade spesso, nella nostra vita personale e
comunitaria, di proteggersi nel passato o di vivere fortemente
proiettati nel futuro… il momento presente è eluso e si rischia di
vivere l’oggi nel “ieri”, quindi come passato da ricordare… o nel
domani, quindi come futuro da vivere. È oggi, però, che il Signore mi
chiama, ed è nell’oggi che vuole la mia risposta radicale. Nelle nostre
comunità religiose viviamo spesso l’atteggiamento del “turista” in cerca
di souvenir e non del “padrone di casa” in cerca di
responsabilità da assumere e di impegni da vivere.
Una spiritualità del terzo giorno
impone la scelta di cominciare qui e ora a far qualcosa. Fa vivere la
memoria del passato, la progettazione del futuro, dentro l’amore
appassionato per l’oggi di Dio. Fa stare nel frattempo con il cuore
colmo di promessa e gli occhi pregni di avvenire.
La donna catturata dalla bellezza: una
contempl-azione senza azione
Accade spesso, nella nostra vita personale e
comunitaria, di cercar rifugio in cappella, nella preghiera, nel
silenzio. Nelle nostre comunità religiose viviamo spesso la tentazione
di ammorbidire la preghiera, di neutralizzare la spiritualità, di
strumentalizzare il silenzio.
Una spiritualità del terzo giorno
impone la scelta di una contemplazione che diventi “azione”: una
contempl-azione con i piedi in cammino. Richiede una preghiera libera,
capace di rivoluzionare la nostra vita e in grado di incatenarla alla
legge stringente del Vangelo: l’Amore! La preghiera, quella vera, ci
aiuta a stare con gli altri e non ci permette di alzare muri di
incomprensione… Ci fa gustare, nel cuore a cuore con Dio, il balsamo
dell’amicizia, l’olio della tenerezza, il calore della comprensione. Ci
fa aprire gli occhi, le mani, la bocca e ci fa riconoscere, senza
timore, la bellezza che splende in noi e in chi cammina accanto a noi.
L’uomo in corsa: la fretta, il successo, le
“mie cose” come regola di vita
Accade spesso, nella nostra vita personale e
comunitaria, di vivere “di fretta” e “in fretta” e tutto rotea attorno
alle “mie cose” da fare: la scuola, l’apostolato, la pastorale, la
catechesi… sono cose “mie”, quasi di proprietà. Nelle nostre comunità
religiose viviamo spesso spiazzate sulle cose da fare e tralasciamo le
relazioni, il dialogo, lo stare insieme.
Una spiritualità del terzo giorno
impone la scelta di fermarsi e osservare. Richiede la disponibilità a
gustare il tempo. Ci fa vivere la gioia di darci un “minuto in più” per
cogliere, assaporare, amare ciò che ci circonda. Un minuto in più
per scendere in profondità nel dialogo con Dio, con noi stessi, con gli
altri. Un minuto in più per fermarci a parlare e costruire la
convivialità familiare. Un minuto in più per sorridere con chi
condivide la nostra quotidianità. Un minuto in più per rafforzare
i nostri rapporti amicali. Un minuto in più per perdonare i
nostri “nemici”. Un minuto in più per ascoltare il grido dei
poveri. Un minuto in più per sognare la speranza. Un minuto in
più per guardare il cielo e contare le stelle.
Le donne affaccendate: l’agire soffoca
l’essere, il fare inghiotte le relazioni
Accade spesso, nella nostra vita personale e
comunitaria, di non darci la possibilità di “essere” e di “vivere le
relazioni”: dobbiamo fare e fare e fare ancora… il fare ci corre dietro.
Nelle nostre comunità religiose viviamo spesso l’ansia delle opere a
discapito della gioia di “essere” e “rimanere”.
Una spiritualità del terzo giorno
impone la scelta di “essere” e di “vivere relazioni” vere. Esige la
creazione di ponti di dialogo e la necessità di intessere con l’altro un
dialogo capace di sciogliere nodi, dissipare sospetti, allargare il
cuore e la mente. Il dialogo, quello vero, apre le porte della
tolleranza, spalanca le finestre dell’incontro, riempie i silenzi di
amore, imbandisce la mensa alla libertà e alla speranza.
I bimbi: il mistero delle piccole cose
La spiritualità del terzo giorno fa
“ritornare bambini” e fa osare: credere al sepolcro vuoto, sfidare i
soldati, correre in piazza, annunciare la novità… prendere ad una ad una
le stelle e rimetterle nel mare.
La spiritualità del terzo giorno fa
alzare al mattino con il gusto di vivere in novità il giorno che ci si
schiude tra le mani. Spinge a guardarsi allo specchio e a sorridere alla
vita che è in noi. Fa apprezzare le piccole cose come “eventi speciali”.
Fa vivere il quotidiano con entusiasmo e fa praticare il coraggio dei
“piccoli gesti”. Fa vivere tutto con passione. Fa guardare ogni cosa con
l’intelligenza dell’amore: sempre pronti ad arrotolare la tenda della
nostra vita per intraprendere nuovi cammini.
* Sociologa,
docente di Sociologia alla Facoltà Teologica dell'Italia Meridionale,
sez. San Tommaso; Counsellor nelle relazioni di aiuto; membro
fondatore dell'Associazione Onlus: "Tante mani per... uno sviluppo
solidale".