n. 01
gennaio 2006

 

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Pensieri zavorra e pensieri elica:
per una spiritualità del terzo giorno

di Grazia Le Mura*

 

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Una notte, in una di quelle magiche spiagge lambite dall’Oceano, accade qualcosa di straordinario: un’alta marea eccezionale invade la battigia e l’accarezza per ore. Dopo, quando le acque si ritirano, la danza dell’Oceano lascia un segno di stupefacente bellezza: miriadi di stelle marine, dai colori più svariati e dalle forme più diverse, spinte sulla costa dalle onde poderose, si specchiano vanitose e incredule nell’azzurro del cielo.

L’alba regala un’immagine inedita: la spiaggia è punteggiata di stelle ed è come se il cielo fosse caduto sulla terra. Non è possibile contare le stelle marine: sono tante, tantissime… forse decine di migliaia!

Le stelle marine non possono vivere a lungo lontane dal mare: sulla spiaggia, al calore dei raggi del sole, private del loro ambiente naturale che le nutre e le protegge, sono destinate a morire.

La spiaggia è stupita, sbalordita, incredula. Lo stupore prende vigore e si contagia di viso in viso e di bocca in bocca, quando gli abitanti del piccolo villaggio escono dalle loro case per recarsi al lavoro, a scuola, a far la spesa… Tutti vanno in fretta e di fretta: come al solito, come ogni mattina, come d’abitudine. L’inspiegabile mistero delle stelle sulla spiaggia, per un attimo, arresta la loro fretta. Pian piano tutto il villaggio è sulla spiaggia. Una folla di vecchi e bambini, donne e uomini, giovani e adulti si raccoglie e guarda sbigottita il mare.

Un uomo, con un paltò nero, l’intellettuale del villaggio, senza scendere in spiaggia, rimanendo sulla strada, comincia a domandarsi il «perché» di quel fenomeno. Parla di teorie, di fasi lunari e solari, di alta e bassa marea. Spiega e descrive e, a dovuta distanza dalle stelle marine, dà fondo a tutta la sua scienza. Un piccolo gruppo si raccoglie intorno a lui: discutono, dibattono, ragionano… tutti con le mani in tasca! Intanto le stelle marine cominciano a soffrire l’assenza di acqua.

Una donna s’incammina sulla spiaggia e arriva fino a riva. Va avanti e indietro senza sosta e ripete a voce alta: «sono tante, tantissime, troppe! Non posso salvarle tutte! Uno, due, tre, quattro… sono tante non si può far nulla per loro!» Le conta e dimena le sue mani, senza mai toccarle… intanto le stelle marine consumano le loro ultime energie.

Un’altra donna la segue, ma subito si ferma e osserva incantata ora questa ora quella stella marina. Si china e le scruta nei particolari, le descrive nei colori e nelle forme, decanta la loro bellezza e apprezza il loro splendore. «Sono belle, bellissime – dice in continuazione – ho paura di toccarle talmente sono belle». Le sue mani sfiorano appena le stelle marine che continuano la loro agonia.

Arriva un gruppo di giovani e scende subito in spiaggia. I giovani si avvicinano alle stelle marine e scelgono le più belle da prendere come souvenir. Le loro mani toccano le stelle marine, ma non per liberarle dall’arsura della spiaggia.

Un uomo rallenta con il suo fuoristrada e mormora: «Non ho tempo da perdere, non posso fermarmi e vedere cosa succede... perché dovrei perdere tempo dietro a delle stupide stelle marine che si sono lasciate spingere sulla spiaggia? Non sono mie le stelle marine, non è mia la spiaggia, non è mio il mare… perché perdere tempo per qualcosa che non è mio!» Con le mani strette al volante accelera e passa oltre… il problema non è suo! Lui corre via e le stelle marine restano a soffrire sulla spiaggia.

Delle donne dirette al mercato si fermano a guardare, quando vedono che c’è tanta gente si dicono l’un l’altra: «Ci penseranno loro a far qualcosa!» e riprendono il loro cammino. Nelle loro mani una lunga lista di cose da acquistare e nelle stelle marine solo un alito di vita.

L’insolito spettacolo ha attirato tanta gente e si creano qui e là drappelli di uomini e donne. Tutti guardano, parlano, ragionano… nessuno fa nulla! Le stelle marine sono tante, troppe… non è possibile salvarle tutte… e allora non se ne salva nessuna!

Nel frattempo, una bambina, di una manciata di anni, dall’aria birichina, sfugge al controllo della mamma e raggiunge la riva: con le sue manine prende una stella e la getta nell’Oceano, poi torna indietro e ne prende un’altra, e un’altra ancora, e poi ancora. Va avanti e indietro senza sosta e i suoi piedini corrono festanti sul bagnasciuga. Non riuscirà a ridare all’Oceano tutte le stelle marine: sono tante, troppe! Ma con le sue manine, mentre la folla dei grandi discute e si consulta, prende tempo e ragiona, ha riportato nel grembo dell’Oceano venti stelle. Molte sono già morte e molte moriranno, ma venti sono salve! Un bimbo, con la spontaneità dei piccoli, si unisce a lei: la loro impresa è impossibile, senza speranza… ma adesso sono sessanta le stelle in salvo! Molte sono già morte e molte moriranno… ma sessanta sono salve! Altri bambini si uniscono ai due pionieri e l’Oceano ha ripreso con sé cento stelle. Dopo qualche minuto sono duecento le stelle marine che giocano felici con le onde, loro amiche d’infanzia. Molte sono già morte e molte moriranno… ma duecento sono salve!

 

Dalla storia alla vita

Quante volte ci svegliamo al mattino e ci accorgiamo che sulla nostra riva, per restare nella metafora del racconto, mille stelle marine boccheggianti chiedono attenzione, esigono risposta, invocano decisione. Stanno in bilico sul bordo della nostra esistenza, adagiate sul perimetro della nostra vita personale e comunitaria, esiliate ai margini estremi della nostra storia di credenti e consacrate/i al Signore. A volte sono problemi che tentiamo invano di ignorare e altre volte sono decisioni che procrastiniamo all’infinito. A volte sono situazioni che dribbliamo con astuzia, nella speranza di non doverle mai affrontare e altre volte sono difficoltà che ci illudiamo di nascondere nell’armadio delle buone intenzioni. A volte sono sogni che abbiamo chiuso nel cassetto e altre volte sono promesse che abbiamo dimenticato. A volte sono attese a cui non vogliamo tendere l’orecchio e altre volte sono impegni che preferiamo eludere. A volte sono relazioni faticose che abbiamo relegato in soffitta e altre volte sono perdoni che abbiamo accatastato nel tempo e non riusciamo più a regalare.

Molte volte. Tante volte. Forse troppe!

A volte, le stelle marine sono talmente tante che non sappiamo da dove cominciare per rimetterle a posto: non sappiamo dove mettere le mani… e allora le teniamo in tasca! Questo accade nella vita quotidiana, nel lavoro, nelle relazioni interpersonali, nella vita comunitaria, nella preghiera, nella spiritualità, nell’apostolato, nella vita sociale e politica… non sappiamo da dove cominciare e, allora, preferiamo lasciare le nostre mani in tasca!

Uno smarrimento invade il nostro cuore, quando vediamo le tantissime stelle marine che un mare agitato dissemina dispettoso lungo la nostra riva. Non sono le stelle marine in sé a farci paura, né il loro numero. Ci fa paura il come affrontarle e il come gestirle, adesso e nel tempo. Questo come è esigente e richiede almeno sette caratteristiche:

1. il coraggio della verità su se stessi, anche quando fa male e impone l’andare controcorrente;

2. la decisione di andare fino in fondo, senza fermarsi a metà, alle prime conquiste o ai primi fallimenti;

3. la fedeltà a se stessi, alla propria storia, ai propri talenti, anche quando la fedeltà richiede radicalità e fermezza;

4. la tenacia della ricerca e la docilità a saper accogliere il nuovo;

5. la forza di non lasciarsi catturare dalla logica del «minimo indispensabile»;

6. il desiderio di spostare più in là l’orizzonte della propria vita;

7. il vigore del “sempre”, del “tutto”, della “pienezza”.

Queste caratteristiche impegnano e, allora, si preferisce ignorare le stelle marine che giacciono sulla nostra spiaggia… come se questo fosse possibile!

E così la nostra spiaggia assume l’aspetto di una casa desolata: una sorta di prigione con le porte aperte da cui, però, non si esce mai. Un magazzino abbandonato, pieno di vecchie cose impolverate, in cui regna sovrano il disordine. Sui muri è scritto più volte: «Accidenti a…» e ogni volta si trova un «colpevole» diverso. Mai se stessi!

 

Stelle marine e punti interrogativi

La storia delle stelle marine ci mette con le spalle al muro. Lasciamoci interrogare dall’agonia delle stelle marine sulla battigia e dall’agitazione del mare, dalla spiaggia che accoglie e dal cielo che custodisce, dall’intellettuale in paltò pieno di teorie e dalla donna accecata dalla grandiosità del numero, dai giovani in cerca di souvenir e dalla donna rapita dalla bellezza, dall’indifferenza dell’uomo in fuoristrada e dallo «scarica barile» delle donne dirette al mercato, dal coraggio della prima bambina e dall’allegria degli altri bimbi, che rimettono in mare le stelle marine.

Questa storia, nella sua semplicità e immediatezza, interroga la nostra vita e le nostre scelte, il nostro credo e la nostra speranza, la nostra spiritualità e le nostre relazioni, il nostro apostolato e la nostra carità, il nostro modo di incarnare il Vangelo e il nostro impegno nel vivere l’utopia cristiana… Questa storia evoca il Dio dei piccoli passi, invoca la fedeltà alle piccole cose, implora tenacia nella perseveranza.

Mi trovo in Burkina Faso per missione e in questi mesi ho sperimentato la verità rivoluzionaria e profetica dell’agire dei bambini della nostra storia: i bambini non si perdono d’animo di fronte alla grandezza del problema, cominciano pian piano, a piccoli passi, un po’ per volta. Qui, in Africa, più che altrove, sembra che tutti i problemi si siano dati appuntamento e stretti la mano; il loro numero sconcerta e confonde… che cosa fare? Maledire il buio o accendere un fiammifero? In altri termini: prendersela con il colpevole di turno per l’arrivo delle stelle sulla spiaggia e lasciarle morire lentamente perché non si possono salvare tutte insieme, oppure cominciare a salvarle una per una, nella tensione e nell’impegno di salvarle tutte?

Anche nella Chiesa, nelle parrocchie, nelle comunità religiose, nelle famiglie… può accadere che i problemi e le difficoltà si concentrino ed esplodano insieme… che fare? Lasciarsi affogare o cominciare a nuotare per conquistare qualche scoglio e, pian piano, raggiungere la riva? Sedersi o iniziare a camminare e, passo dopo passo, lentamente ma progressivamente, arrivare alla meta lontana? Piangersi addosso per il terreno arido e duro o mettere mano all’aratro e dissodare tenacemente zolla dopo zolla fino a che tutto il terreno sia pronto per la semina?

Il Signore dei piccoli passi ci invita alla fedeltà nelle piccole cose e ci chiede la tenacia della perseveranza. Ci invita a vivere la nostra vita di consacrate/i nella pienezza e nell’abbondanza del «primo amore», senza mai dimenticare l’entusiasmo dell’innamoramento… anche dopo anni e decenni.

Il Signore del sale della terra e della luce del mondo ci chiede di essere «testimoni credibili» di slancio missionario e di attenzione agli ultimi. Ci chiede di vivere, nella nostra vita personale e nelle nostre comunità religiose, uno stile alternativo di vita, che si oppone con tenacia e in modo risoluto alla mentalità corrente. Ci chiede di resistere al fascino dei valori fittizi, per affermare con la nostra vita i valori che contano. Ci chiede di sperimentare nuovi comportamenti sociali e di correggere i nostri consumi esistenziali.

Il Signore della casa sulla roccia ci chiama a vivere una spiritualità del terzo giorno: capace di attendere la risurrezione e di suscitare risurrezione nell’attesa. Capace di «rendere conto» della speranza e di «rendere testimonianza» alla speranza. Una spiritualità che fa toccare con mano la profezia del Vangelo: la speranza è vita e la vita è speranza.

Una spiritualità del terzo giorno è una spiritualità che sta sotto la croce in modo progettuale e gravida di futuro: dopo ogni croce, piccola o grande che sia, c’è sempre la risurrezione! Non è in sintonia con il Vangelo lasciarsi schiacciare dalla croce. È in consonanza con il Vangelo abbracciare la croce portando nel cuore il germe della risurrezione. La spiritualità del terzo giorno è una spiritualità al femminile che fa correre dal sepolcro vuoto verso il cenacolo pieno (cfr. Lc 24,1-11). È una spiritualità dell’attesa e della resistenza. Una spiritualità della fecondità e della gestazione. Una spiritualità dalle mani aperte e dal cuore bandito a festa. Una spiritualità dell’accoglienza e del prendersi cura.

 

Mille risposte in due modi di pensare e agire

Le stelle marine, vale a dire i problemi e le situazioni, le circostanze e le scelte, le decisioni e gli impegni, le relazioni e i sogni, le attese e le promesse… si presentano all’improvviso nella nostra vita, bussano insieme alla nostra porta, disturbano la nostra quiete.

Mille le risposte possibili, ma tutte, pur nella loro diversità e multiformità, riducibili a due atteggiamenti fondamentali, a due modi di pensare, affrontare, vedere, vivere la vita: i «pensieri zavorra» e i «pensieri elica».

Da questi due modi di pensare mutuiamo molte cose della nostra vita personale e della nostra vita di consacrate/i al Signore: il credere, innanzitutto, in Dio, in noi stessi, nelle sorelle e nei fratelli; di conseguenza, la speranza e la spiritualità, il rapporto con la Parola e l’apostolato; le relazioni interpersonali e il lavoro… Tutto può essere pesante (zavorra) o leggero (elica): sta a noi scegliere di vedere la bottiglia mezza vuota o mezza piena; le nuvole nere sopra di noi o l’arcobaleno che spunta all’orizzonte; le tinte scure nel dipinto della nostra esistenza o l’invasione di colore…

 

Schiacciati al suolo: pensieri zavorra

Se abbiamo il coraggio di rivedere con lealtà uno solo dei nostri giorni, ci accorgeremo di quanti pensieri zavorra attraversano trasversalmente la nostra vita e la nostra storia. Questi pensieri si mascherano nelle parole dette e in quelle taciute, nei gesti espressi e in quelli repressi; nel modo di gestire la rete relazionale e nella maniera di leggere e interpretare la realtà; nel modo di raccontarsi e nella maniera di progettare e sognare il futuro.

I pensieri zavorra sono pensieri pesanti che frenano, bloccano, incatenano al suolo. Sono pensieri senza passato e senza futuro: schiacciati sulla preoccupazione dell’oggi. Sono pensieri «per me» e chiusi «in me», che non mi fanno andare verso, e non mi aprono nuovi orizzonti. Sono pensieri con le mani chiuse, il cuore di pietra, i piedi di piombo.

Quando questi pensieri conquistano la vita personale, e invadono la vita comunitaria, sono capaci di paralizzare ogni cosa e tutto rischia di vestire l’abito del pessimismo, della sfiducia, dello scoraggiamento, del sospetto, dello scetticismo… Tutto, anche la preghiera e la spiritualità rischiano di essere svuotati di vigore e di energia, sviliti e ridotti a un pericoloso piangersi addosso. Tutto è preso di mira e nulla regge ai colpi mancini del disfattismo a ogni costo: la speranza è latitante e regnano lo smarrimento e la depressione. Impera il “non cambierà mai nulla”, il “tutto è inutile”, il “chi me lo fa fare”. Vige una sorta di atteggiamento di accomodamento e di relax: va bene così, perché sforzarsi ancora! Ci si accontenta, non tanto di ciò che si ha (di questo ci si lamenta sempre!), quanto piuttosto di ciò che si è e di come si è… senza più tentare conversioni e cambiamenti di rotta. Ci si adagia sulla poltrona della mediocrità, sul piedistallo del già conquistato, sul palco del “tanto quanto basta”. Gli sforzi sono banditi e tutto è ritenuto inutile! L’entusiasmo e la passione sono un mero ricordo dei tempi ingenui in cui si credeva ancora nella possibilità di cambiamento.

Non sempre i pensieri zavorra sono facilmente individuabili. Spesso si nascondono tra le pieghe di una vita regolare e irreprensibile, a volte si celano nei meandri di un comportamento impeccabile, altre volte si velano dietro una facciata silenziosa e tranquilla. In chi tace per paura delle conseguenze, in chi non dà problemi per non intaccare la sua quiete, in chi non s’inventa nuove mete che lo impegnano e lo spingono in avanti, in chi svolge con cura il compito assegnatogli e non vede che c’è altro da fare, in chi non contraddice e non va contro la corrente comune, in chi si dà pizzichi sulla pancia pur di non dispiacere nessuno, in chi dice “sì” ma nel suo cuore alberga il “no”, in chi è molto rigido e non è tollerante con niente e con nessuno, in chi si accontenta sempre di se stesso e di ciò che fa senza esigere conversione e cambiamento… la zavorra del pensare pesante può trovare più facilmente terreno buono in cui crescere.

I pensieri zavorra accerchiano perché non danno la possibilità di cambiare: tutto è sempre uguale, tutto è monotono, tutto è noioso. Una vita senza slanci e senza entusiasmi, senza sogni e senza profezia è quella che deriva da un pensare zavorra.

Quando i pensieri zavorra attraversano la nostra vita, si vede subito, lo vediamo noi e lo vedono gli altri, perché perdiamo il desiderio di vivere, la gioia di esserci, la grinta nel fare. Il viso diventa serio e tutto è pesante… anche noi siamo pesanti! Tutto è noia, tutto è banale, tutto è un’inutile ripetizione. E questo può avvenire in qualsiasi segmento di vita… ed è davvero inquietante quando accade in giovinezza, dopo pochi anni di vita religiosa!

Quasi tutti i protagonisti della nostra storia si lasciano catturare dai pensieri zavorra: l’intellettuale che spiega e non agisce; la donna che si fa prendere dal numero e non libera la vita; i giovani che vanno in cerca di souvenir da mostrare e tralasciano l’essere e il fare; la donna che si fa estasiare dalla bellezza e dimentica di essere contempl-attiva; l’uomo in fuoristrada che distingue tra ciò che è suo e gli compete e ciò che non è suo e non gli compete; le donne che hanno una lista di cose ordinarie da fare e lasciano agli altri il compito di occuparsi del nuovo che arriva. Chi sfugge a questa logica sono solo i bambini: loro volano con il pensiero e cominciano pian piano a salvare la vita.

 

Volare in alto: pensieri elica

È vero che la nostra quotidianità è trapuntata di pensieri zavorra, ma è anche vero che sono tanti i pensieri elica che bussano alla porta della nostra esistenza. Forse sono tenui, ma ci sono. Basta solo aprir loro la porta e farli entrare e loro non perderanno tempo a prendere stabile dimora nella nostra vita.

I pensieri elica liberano, mettono ali ai piedi, fanno volare in alto. Sono pensieri che amano il loro passato e sognano il loro futuro, con i piedi ben saldi nell’oggi di Dio. Sono pensieri “miei” aperti all’altro e che fanno da ponte verso l’altro. Sono pensieri con le mani spalancate, il cuore palpitante, i piedi in movimento.

Quando questi pensieri afferrano la vita personale e prendono possesso della vita comunitaria, si spalancano gli orizzonti e tutto si colora di ottimismo, di fiducia, di coraggio, di certezza, di allegria, di buon umore, di sorriso… Tutto, proprio tutto, cambia colore e diventa più leggero e più progettuale. Tutto, anche la preghiera e la spiritualità si colorano di vigore profetico e di energia progettuale, e allora sì che la nostra preghiera ci farà «spostare le montagne» (cfr. Mt 17,20) e la nostra spiritualità ci renderà capaci di assumere quel «cuore di carne» che fa «nuove tutte le cose» (cfr. 2Cor. 5,17).

Quando i pensieri elica sono “di casa” nella nostra vita, la speranza e la fiducia, l’attesa e il desiderio, il sogno e la profezia abitano realmente ogni cosa: ogni gesto e ogni parola, ogni sguardo e ogni pensiero, ogni impegno e ogni progetto. La speranza è dominante e l’ottimismo regna sovrano.

Nel modo di pensare e vivere da elica, impera la capacità di darsi sempre nuove occasioni e nuove possibilità: di regalarsi e regalare perdono. Non si è avari nella riconciliazione e la comprensione è donata abbondantemente: si è generosi con se stessi e con gli altri. Vige la regola del «fai agli altri quello che vuoi che gli altri facciano a te» (cfr. Mt 7,12) ed è operante la legge del «compi il primo passo» (cfr. Lc 6,29). Per la mediocrità e le “mezze misure” non c’è posto: tutto è vissuto e concepito all’insegna dell’andare sempre un po’ più in là e un po’ oltre. Nella mente e nel cuore alberga il desiderio di «stendere senza risparmio i teli della propria dimora, di allungare le cordicelle e rinforzare i paletti, di allargarsi a destra e a sinistra» (cfr. Is 54,1-3).

Quando i pensieri elica attraversano la nostra vita, si vede subito, lo vediamo noi e lo vedono gli altri, perché sprigioniamo entusiasmo e passione: il nostro sorriso coinvolge e la nostra voglia di fare traina; il vedere positivo si allarga attorno a noi come una macchia d’olio e la gioia di vivere conquista tutti coloro che incontriamo; la possibilità di cambiare, cullata nel cuore, si trasmette agli altri e si contagia il desiderio di crescere.

I pensieri elica fanno conquistare un paio d’ali e, poi, ne fanno perdere una, per sperimentare, come amava dire don Tonino Bello, che si ha bisogno dell’altra/o, anche lei, o lui, con un’ala soltanto, per volare insieme, l’una/o attaccata/o all’altra/o.

I pensieri elica fanno camminare e cantare e fanno cercare sempre un nuovo cielo, anche se si è avanti negli anni. Ecco perché sono attaccati da tutte le parti: dentro e fuori di noi.

I pensieri elica sono spesso disturbati dai pensieri zavorra dei personaggi della nostra storia.

 

L’uomo in paltò: il fascino della teoria e delle mani in tasca

Accade spesso, nella nostra vita personale e comunitaria, di cedere al fascino delle teorie, delle discussioni a tavolino, dei ragionamenti… Nelle nostre comunità religiose viviamo spesso comodamente sedute/i e, da dietro le nostre scrivanie, tracciamo teorie e amiamo spiegare ciò che gli altri vivono… con le mani in tasca e i piedi sotto la sedia! Se qualcuno ci invita ad agire, a fare qualcosa, a sporcarci le mani… rispondiamo che dobbiamo vedere, pianificare, programmare… diciamo che non siamo pronti, non siamo preparati, non è prudente… intanto il treno passa e noi lo perdiamo!

Una spiritualità del terzo giorno impone la ricerca e la sperimentazione di nuovi stili e nuovi comportamenti. Spinge a mettere le mani in pasta. Impone l’andare e l’esporsi. Esige l’annuncio e la testimonianza. Fa stare in piedi.

 

La donna e la grandiosità del numero: la paura dell’impegno

Accade spesso, nella nostra vita personale e comunitaria, di lasciarci impaurire dal grande numero delle cose da cambiare, da sistemare, da affrontare… Nelle nostre comunità religiose viviamo spesso l’incubo delle tante cose da rivedere, da raddrizzare, da migliorare. La grandiosità del numero ci spaventa e, non sapendo da dove iniziare, continuiamo a ripetere che «dobbiamo aggiustare questo e correggere quello» e contiamo le diverse cose da modificare… ma senza impegnarci in niente!

Una spiritualità del terzo giorno impone la scelta di cominciare pian piano, una cosa per volta, senza fretta ma con coraggio. Stimola a provare, a cadere, a rialzarsi.

 

I giovani e i souvenir: la fuga dal momento presente

Accade spesso, nella nostra vita personale e comunitaria, di proteggersi nel passato o di vivere fortemente proiettati nel futuro… il momento presente è eluso e si rischia di vivere l’oggi nel “ieri”, quindi come passato da ricordare… o nel domani, quindi come futuro da vivere. È oggi, però, che il Signore mi chiama, ed è nell’oggi che vuole la mia risposta radicale. Nelle nostre comunità religiose viviamo spesso l’atteggiamento del “turista” in cerca di souvenir e non del “padrone di casa” in cerca di responsabilità da assumere e di impegni da vivere.

Una spiritualità del terzo giorno impone la scelta di cominciare qui e ora a far qualcosa. Fa vivere la memoria del passato, la progettazione del futuro, dentro l’amore appassionato per l’oggi di Dio. Fa stare nel frattempo con il cuore colmo di promessa e gli occhi pregni di avvenire.

 

La donna catturata dalla bellezza: una contempl-azione senza azione

Accade spesso, nella nostra vita personale e comunitaria, di cercar rifugio in cappella, nella preghiera, nel silenzio. Nelle nostre comunità religiose viviamo spesso la tentazione di ammorbidire la preghiera, di neutralizzare la spiritualità, di strumentalizzare il silenzio.

Una spiritualità del terzo giorno impone la scelta di una contemplazione che diventi “azione”: una contempl-azione con i piedi in cammino. Richiede una preghiera libera, capace di rivoluzionare la nostra vita e in grado di incatenarla alla legge stringente del Vangelo: l’Amore! La preghiera, quella vera, ci aiuta a stare con gli altri e non ci permette di alzare muri di incomprensione… Ci fa gustare, nel cuore a cuore con Dio, il balsamo dell’amicizia, l’olio della tenerezza, il calore della comprensione. Ci fa aprire gli occhi, le mani, la bocca e ci fa riconoscere, senza timore, la bellezza che splende in noi e in chi cammina accanto a noi.

L’uomo in corsa: la fretta, il successo, le “mie cose” come regola di vita

Accade spesso, nella nostra vita personale e comunitaria, di vivere “di fretta” e “in fretta” e tutto rotea attorno alle “mie cose” da fare: la scuola, l’apostolato, la pastorale, la catechesi… sono cose “mie”, quasi di proprietà. Nelle nostre comunità religiose viviamo spesso spiazzate sulle cose da fare e tralasciamo le relazioni, il dialogo, lo stare insieme.

Una spiritualità del terzo giorno impone la scelta di fermarsi e osservare. Richiede la disponibilità a gustare il tempo. Ci fa vivere la gioia di darci un “minuto in più” per cogliere, assaporare, amare ciò che ci circonda. Un minuto in più per scendere in profondità nel dialogo con Dio, con noi stessi, con gli altri. Un minuto in più per fermarci a parlare e costruire la convivialità familiare. Un minuto in più per sorridere con chi condivide la nostra quotidianità. Un minuto in più per rafforzare i nostri rapporti amicali. Un minuto in più per perdonare i nostri “nemici”. Un minuto in più per ascoltare il grido dei poveri. Un minuto in più per sognare la speranza. Un minuto in più per guardare il cielo e contare le stelle.

 

Le donne affaccendate: l’agire soffoca l’essere, il fare inghiotte le relazioni

Accade spesso, nella nostra vita personale e comunitaria, di non darci la possibilità di “essere” e di “vivere le relazioni”: dobbiamo fare e fare e fare ancora… il fare ci corre dietro. Nelle nostre comunità religiose viviamo spesso l’ansia delle opere a discapito della gioia di “essere” e “rimanere”.

Una spiritualità del terzo giorno impone la scelta di “essere” e di “vivere relazioni” vere. Esige la creazione di ponti di dialogo e la necessità di intessere con l’altro un dialogo capace di sciogliere nodi, dissipare sospetti, allargare il cuore e la mente. Il dialogo, quello vero, apre le porte della tolleranza, spalanca le finestre dell’incontro, riempie i silenzi di amore, imbandisce la mensa alla libertà e alla speranza.

 

I bimbi: il mistero delle piccole cose

La spiritualità del terzo giorno fa “ritornare bambini” e fa osare: credere al sepolcro vuoto, sfidare i soldati, correre in piazza, annunciare la novità… prendere ad una ad una le stelle e rimetterle nel mare.

La spiritualità del terzo giorno fa alzare al mattino con il gusto di vivere in novità il giorno che ci si schiude tra le mani. Spinge a guardarsi allo specchio e a sorridere alla vita che è in noi. Fa apprezzare le piccole cose come “eventi speciali”. Fa vivere il quotidiano con entusiasmo e fa praticare il coraggio dei “piccoli gesti”. Fa vivere tutto con passione. Fa guardare ogni cosa con l’intelligenza dell’amore: sempre pronti ad arrotolare la tenda della nostra vita per intraprendere nuovi cammini.

 * Sociologa, docente di Sociologia alla Facoltà Teologica dell'Italia Meridionale, sez. San Tommaso; Counsellor nelle relazioni di aiuto; membro fondatore dell'Associazione Onlus: "Tante mani per... uno sviluppo solidale".

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