n. 12
dicembre 2009

 

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La vita consacrata e le altre vocazioni
nella Chiesa

di VELASIO DE PAOLIS

 

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Il cristiano porta questo nome perché crede che Gesù di Nazaret, figlio di Maria, nato a Betlemme, il predicatore del Regno di Dio, morto per i nostri peccati e risorto per la giustificazione e la salvezza di tutti, è il Cristo, l’atteso Salvatore dell’umanità, il Signore, il Figlio di Dio fatto uomo. Rivelando il mistero di Dio, Gesù ha rivelato anche il mistero dell’uomo; con la sua vita e la sua dottrina ha insegnato che siamo figli di Dio e come dobbiamo vivere. Egli è l’esempio vivente dei figli di Dio.

Gesù modello di vita

Effettivamente Gesù ha condotto uno stile di vita che ha impressionato i suoi contemporanei, particolarmente i suoi discepoli. Colpisce prima di tutto la sua vita celibe, vissuta all’interno della comunità apostolica come maestro itinerante: non possiede nulla, neppure dove posare il capo (povertà). Il suo progetto è portare a compimento la missione che il Padre gli ha affidato, in povertà di mezzi e nella potenza dello Spirito Santo. La sua vita corrisponde al messaggio che annuncia, per cui non meraviglia che si guardi a lui come modello di vita.

Nei primi secoli lo stile di vita di Gesù trova il suo sigillo nella testimonianza del martirio, come atto d’amore totale a Colui che dopo aver «amato i suoi che erano nel mondo li amò, sino alla fine» (Gv 13,1),ossia fino al dono della propria vita: un modo di amare che,  come Gesù stesso dice, esprime l’amore più grande (cf Gv15,13).

La prima comunità cristiana si trova raccolta attorno agli apostoli nella memoria di Gesù, nella frazione del pane, nella preghiera comune e nella comunione dei beni. Tutti sono talmente uniti tra loro che costituiscono «un cuore solo ed un’anima sola» (At 4,32). La Chiesa è il prolungamento di questa prima comunità, intende continuare la vita di Gesù e modellarsi su di lui: apostolica vivendi forma! Nella Chiesa lo stile di vita degli apostoli costituisce il modello di vita per tutti; un particolare onore è riservato alle vergini consacrate al Signore.

Imitare e seguire Gesù

Passati i tempi della persecuzione, i credenti cercano di conformarsi alla vita di Gesù, prima ritirandosi dal mondo nella vita eremitica, poi in quella cenobitica, quindi, durante il movimento monastico, si struttura in diverse forme, che si standardizzano con il tempo nella professione dei consigli evangelici, assunti con voto e precisati nei tre voti: celibato, povertà e obbedienza. In essi s’intende mostrare il dono totale della propria vita al servizio Signore come offerta di sé e delle cose rappresentate dalle ricchezze della vita: famiglia, beni terreni, libertà nel realizzare un proprio progetto di vita. Questo genere di vita rappresenta il significato dell’amore più grande, in un periodo in cui il martirio non è più la prospettiva della vocazione cristiana. Siamo all’origine dello stile di vita che dalla Chiesa prende il nome di vita religiosa.

Sappiamo che ogni persona è chiamata ad avere e a vivere una vita religiosa. Tuttavia, l’espressione «vita religiosa» col tempo si riferisce in modo particolare a quei cristiani che assumono lo stile di vita contrassegnato dalla professione pubblica dei consigli evangelici mediante i voti. Appartengono ad un istituto religioso approvato dalla Chiesa e, in base ad una Regola, vivono la vita fraterna in comune, sotto la responsabilità o guida di un superiore: sono i religiosi per antonomasia. Gli istituti che li accolgono sono chiamati istituti di perfezione e i religiosi che vi appartengono si impegnano a raggiungere la perfezione della vita cristiana, alla scuola di Gesù.

Viene introdotto anche un certo linguaggio: a livello generale si parla di vocazione speciale nell’imitare Gesù o nel seguirlo. La sequela connota il modo di vivere terreno di Gesù nella pratica dei consigli evangelici; l’imitazione invece sottolinea la realtà interiore di Gesù, al di là del suo stile concreto di vita.

Riflessione postconciliare

Il Concilio Vaticano II nella costituzione dogmatica Lumen gentium avvia una riflessione

teologica sulla vita religiosa, al di là delle diverse forme giuridiche con le quali si è realizzata nella storia e si presenta oggi. L’affermazione fondamentale è in relazione a Gesù Cristo. Essa

non può non riguardare la vocazione di ogni fedele, sia perché è  la forma di vita che Gesù condusse nella sua vita terrena, sia perché è caratterizzata dal programma delle beatitudini. Ma il Concilio non dice perché Gesù sceglie tale forma di vita, e non spiega perché sia essenziale alla vita della Chiesa e perché riguardi la vita di ogni cristiano. Né mette a confronto le diverse vocazioni che la Chiesa tradizionalmente individua nei tre stati di vita riconosciuti (religiosi, sacerdoti e vita matrimoniale).

Anzi, è particolarmente su questi ulteriori problemi che si sviluppa il dibattito nel postconcilio. Si mette in discussione la distinzione tra i tre stati di vita nella Chiesa, e la stessa identità della vita religiosa in rapporto agli altri due. Si discute se sia o meno una vocazione specifica nella vita della Chiesa, e come si rapporti ai laici e ai chierici. Di più, addirittura si mette in discussione se la professione del consiglio evangelico della continenza perfetta nel celibato sia elemento costitutivo della stessa professione dei consigli evangelici. Serpeggiano tendenze dottrinali che mettono in discussione la particolare eccellenza della forma di vita consacrata.

Non sono mancati neppure degli interpreti della Bibbia che, sottolineando giustamente che i consigli evangelici e le beatitudini riguardano tutti i fedeli, escludono, erroneamente, che dalla Bibbia possa risultare una vocazione specifica della vita consacrata. In realtà, se è vero che si può e si deve distinguere una pratica dei consigli evangelici e delle beatitudini in modo effettivo e in modo spirituale, da ciò non può seguire il livellamento dei due modi di vivere il Vangelo, al punto che non si possa più parlare della distinzione specifica di essi. La Chiesa ha dovuto riprendere, particolarmente attraverso i sinodi dei vescovi, la riflessione sui singoli stati di vita: sui laici (Christifideles laici), sui chierici (Pastores dabo vobis) ed infine sulle persone consacrate (Vita consecrata).

Le risposte di Vita consecrata

L’esortazione apostolica post sinodale Vita consecrata del 1996, a seguito del sinodo dei vescovi del 1994, è stato il punto di approdo di questa riflessione: in essa troviamo la risposta ai quesiti dibattuti. L’esortazione chiarisce anzitutto il senso della vita consacrata a partire da Gesù: «Veramente la vita consacrata costituisce memoria vivente del modo di esistere e di agire di Gesù Cristo, Verbo incarnato di fronte al Padre e di fronte ai fratelli. Essa è vivente tradizione della vita e del messaggio del Salvatore» (VC 22). Rivela in Gesù la realtà più profonda della sua personalità e del suo messaggio; affonda le radici nel mistero della Santa Trinità, il luogo appropriato per comprendere lo stile di vita di Gesù: «La sua forma di vita casta, povera e obbediente, appare infatti il modo più radicale di vivere il Vangelo su questa terra, un modo - si può dire - divino, perché abbracciato da lui, Uomo-Dio, quale espressione della sua relazione di Figlio Unigenito col Padre e con lo Spirito Santo. È questo il motivo per cui nella tradizione cristiana si è sempre parlato dell’obiettiva eccellenza della vita consacrata» (VC 18).

L’esortazione poi sgombera il terreno da un’errata interpretazione del significato della forma di vita evangelica. In realtà non ritenere l’impegno della continenza perfetta nel celibato

come elemento costitutivo della vita consacrata mediante la professione dei consigli evangelici avrebbe significato uno svuotamento della ricchezza della stessa forma di vita consacrata. Il Papa invita al discernimento e scrive: «Principio fondamentale, perché si possa parlare di vita consacrata, è che i tratti specifici delle nuove comunità e forme di vita risultino fondati sopra gli elementi essenziali, teologici e canonici, che sono propri della vita consacrata » (VC 62).

E specifica in concreto: «In forza dello stesso principio di discernimento, non possono essere comprese nella specifica categoria  della vita consacrata quelle pur lodevoli forme d’impegno che alcuni coniugi cristiani assumono in associazioni o movimenti ecclesiali, quando, nell’intento di portare alla perfezione della carità il loro amore, già “come consacrato” nel sacramento del matrimonio, confermano con un voto il dovere della castità propria della vita coniugale e, senza trascurare i loro doveri verso i figli, professano la povertà e l’obbedienza» (VC 62).

L’esortazione conferma e sviluppa la dottrina dei tre stati di vita: esiste una profonda unità tra le diverse vocazioni cristiane, in quanto esse «sono come raggi dell'unica luce di Cristo riflessa sul volto della Chiesa» (VC 16). Lo stesso Spirito presiede alla varietà delle

vocazioni: «Tutti i fedeli, in virtù della loro rigenerazione in Cristo, condividono una comune                     dignità; tutti sono chiamati alla santità; tutti cooperano all'edificazione dell'unico Corpo di Cristo, ciascuno secondo la propria vocazione e il dono ricevuto dallo Spirito (cf Rm 12,3-8). L'uguale dignità fra tutte le membra della Chiesa è opera dello Spirito, è fondata sul Battesimo e sulla Cresima ed è corroborata dall'Eucaristia. Ma è opera dello Spirito anche la pluriformità. È lui che costituisce la Chiesa in una comunione organica nella diversità di vocazioni, carismi e ministeri» (VC 31).

Circolarità fra vocazioni paradigmatiche

Tra di esse tre vocazioni hanno una particolare rilevanza: «Le vocazioni alla vita laicale, al ministero ordinato e alla vita consacrata si possono considerare paradigmatiche, dal momento che tutte le vocazioni particolari, sotto l'uno o l'altro aspetto, si richiamano o si riconducono ad esse, assunte separatamente o congiuntamente,  secondo la ricchezza del dono di Dio» (VC 31). Tra di esse esiste una complementarità: «Sono al servizio l'una dell'altra, per la crescita del Corpo di Cristo nella storia e per la sua missione nel mondo» (VC31). Ciascuna tuttavia ha una propria specificità: «Tutti nella Chiesa sono consacrati nel Battesimo e nella Cresima, ma il ministero ordinato e la vita consacrata suppongono ciascuno una distinta vocazione ed una specifica forma di consacrazione, in vista di una missione  peculiare» (VC 31).

La vita consacrata, pur nella sua specificità e particolarità, si inserisce - e non potrebbe essere diversamente - all’interno del mistero della vita cristiana. Il n. 15 mentre da una parte afferma: «Da questa luce sono raggiunti tutti i suoi figli, tutti ugualmente chiamati a seguire Cristo riponendo in Lui il senso ultimo della propria vita, fino a poter dire con l'Apostolo: “Per me il vivere è Cristo!” (Fil 1,21)», dall'altra prosegue: «Ma un'esperienza singolare della luce che promana dal Verbo incarnato fanno certamente i chiamati alla vita consacrata». Il n. 16 a sua volta sottolinea l'unità della vita cristiana, come abbiamo accennato.

 Ugualmente il n. 18 da una parte delinea la vocazione cristiana come programma di vita per tutti e dall'altra evidenzia una vocazione specifica nella vita consacrata: «Il Figlio, via che conduce al Padre (cf Gv14,6) chiama tutti coloro che il Padre gli ha dato (cf Gv 17,9) ad una sequela che ne orienta l'esistenza. Ma ad alcuni – le persone di vita consacrata, appunto - egli chiede un coinvolgimento totale, che comporta l'abbandono di ogni cosa (cf Mt 19,27), per vivere in intimità di lui e seguirlo dovunque egli vada (cf Ap 14,4)».

 La specificità di ciascuna vocazione nel mistero di Cristo e della Chiesa viene spiegata particolarmente al n. 16 dell’esortazione: «I laici, in forza dell'indole secolare della loro vocazione, rispecchiano il mistero del Verbo Incarnato soprattutto in quanto esso è l'Alfa e l'Omega del mondo, fondamento e misura del valore di tutte le cose create. I ministri sacri, da parte loro, sono immagini vive di Cristo capo e pastore, che guida il suo popolo nel tempo del “già e non ancora”, in attesa della sua venuta nella gloria. Alla vita consacrata è affidato il compito di additare il Figlio di Dio fatto uomo come il traguardo escatologico a cui tutto tende».

Nel cuore della Santa Trinità

La Santa Trinità: Padre, Figlio e Spirito Santo, è all’origine e al termine della vita consacrata quale comunità di amore. Un unico Dio nella Trinità delle Persone. La seconda Persona, il Figlio Unigenito del Padre a lui consostanziale ed uguale, è sempre rivolta al Padre, nella perfetta comunione con lui nello Spirito Santo (cf Gv 1,1). Entrando nel tempo e nella storia, nell’Incarnazione, per rivelare agli uomini il mistero di Dio e la dignità e la vocazione dell’uomo nel mistero di Dio, egli assume uno stile di vita che rivela, insieme alla dottrina da lui insegnata, la sua realtà di Figlio Unigenito del Padre.

La vita del Cristo di fatto si caratterizza dal celibato, che unisce il Figlio esclusivamente al Padre, dall’obbedienza perfetta al progetto di vita del Padre, nella povertà. Questa forma di vita vissuta da Gesù è quella che i vangeli narrano: una forma di vita povera, casta e obbediente. Il senso di tale vita si rivela solo nell’ambito del mistero della Santa Trinità, dal quale Gesù viene, in cui vive e a cui ritorna glorioso. Vivendo nel tempo, il Figlio è e rimane il Figlio (celibe), aderisce totalmente alla volontà del Padre (obbedienza) in uno stile di vita povero e sofferente, tanto da identificarsi con il servo di Jahwè (povertà), così da mettere in luce che la sua forza è quella dello Spirito che lo conduce.

Gesù è venuto per divinizzare gli uomini attraverso l’adozione filiale, li associa alla sua vita, li fa suoi fratelli, e insegna loro a rivolgersi a Dio con le parole con le quali lui prega e nella forza dello stesso Spirito: «Abbà, Padre». Alcuni li associa alla sua forma di vita terrena, come rivelatrice della verità più profonda dell’esistenza cristiana, quella di figli: «Quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente! […]. Carissimi, noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che, quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo, così come egli è» (1Gv 3,1-2). La vita consacrata è la forma sia pur iniziale di quella che sarà la vita definitiva: la vita filiale.

Nella nuova Gerusalemme definitiva non ci sarà più né sacerdozio né vita matrimoniale, ma solo la gioia piena dei figli nella comunione del Padre.  Per questo «la vita consacrata si pone nel cuore stesso della Chiesa come elemento decisivo per la sua missione, giacché esprime l’intima natura della vocazione cristiana e la tensione di tutta la Chiesa-Sposa verso l’unione con l’unico Sposo» (VC 3).

Velasio De Paolis c.s.
Presidente della Prefettura
degli Affari Economici della Santa Sede
Largo del Colonnato 3
00120 Città del Vaticano 

 

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