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Il
cristiano porta questo nome perché crede che Gesù di Nazaret, figlio di
Maria, nato a Betlemme, il predicatore del Regno di Dio, morto per i
nostri peccati e risorto per la giustificazione e la salvezza di tutti,
è il Cristo, l’atteso Salvatore dell’umanità, il Signore, il Figlio di
Dio fatto uomo. Rivelando il mistero di Dio, Gesù ha rivelato anche il
mistero dell’uomo; con la sua vita e la sua dottrina ha insegnato che
siamo figli di Dio e come dobbiamo vivere. Egli è l’esempio vivente dei
figli di Dio.
Gesù modello di vita
Effettivamente Gesù ha condotto uno
stile di vita che ha impressionato i suoi contemporanei, particolarmente
i suoi discepoli. Colpisce prima di tutto la sua vita celibe, vissuta
all’interno della comunità apostolica come maestro itinerante: non
possiede nulla, neppure dove posare il capo (povertà). Il suo progetto è
portare a compimento la missione che il Padre gli ha affidato, in
povertà di mezzi e nella potenza dello Spirito Santo. La sua vita
corrisponde al messaggio che annuncia, per cui non meraviglia che si
guardi a lui come modello di vita.
Nei primi secoli lo stile di vita di
Gesù trova il suo sigillo nella testimonianza del martirio, come atto
d’amore totale a Colui che dopo aver «amato i suoi che erano nel mondo
li amò, sino alla fine» (Gv 13,1),ossia fino al dono della propria vita:
un modo di amare che, come Gesù stesso dice, esprime l’amore più grande
(cf Gv15,13).
La prima comunità cristiana si trova
raccolta attorno agli apostoli nella memoria di Gesù, nella frazione del
pane, nella preghiera comune e nella comunione dei beni. Tutti sono
talmente uniti tra loro che costituiscono «un cuore solo ed un’anima
sola» (At 4,32). La Chiesa è il prolungamento di questa prima comunità,
intende continuare la vita di Gesù e modellarsi su di lui:
apostolica
vivendi forma!
Nella Chiesa lo stile di vita degli apostoli costituisce il modello di
vita per tutti; un particolare onore è riservato alle vergini consacrate
al Signore.
Imitare e seguire Gesù
Passati i tempi della persecuzione, i
credenti cercano di conformarsi alla vita di Gesù, prima ritirandosi dal
mondo nella vita eremitica, poi in quella cenobitica, quindi, durante il
movimento monastico, si struttura in diverse forme, che si
standardizzano con il tempo nella professione dei consigli evangelici,
assunti con voto e precisati nei tre voti: celibato, povertà e
obbedienza. In essi s’intende mostrare il dono totale della propria vita
al servizio Signore come offerta di sé e delle cose rappresentate dalle
ricchezze della vita: famiglia, beni terreni, libertà nel realizzare un
proprio progetto di vita. Questo genere di vita rappresenta il
significato dell’amore più grande, in un periodo in cui il martirio non
è più la prospettiva della vocazione cristiana. Siamo all’origine dello
stile di vita che dalla Chiesa prende il nome di vita religiosa.
Sappiamo che ogni persona è chiamata
ad avere e a vivere una vita religiosa. Tuttavia, l’espressione «vita
religiosa» col tempo si riferisce in modo particolare a quei cristiani
che assumono lo stile di vita contrassegnato dalla professione pubblica
dei consigli evangelici mediante i voti. Appartengono ad un istituto
religioso approvato dalla Chiesa e, in base ad una Regola, vivono la
vita fraterna in comune, sotto la responsabilità o guida di un
superiore: sono i religiosi
per antonomasia. Gli
istituti che li accolgono sono chiamati istituti di perfezione e i
religiosi che vi appartengono si impegnano a raggiungere la perfezione
della vita cristiana, alla scuola di Gesù.
Viene introdotto anche un certo
linguaggio: a livello generale si parla di vocazione speciale
nell’imitare Gesù o nel seguirlo. La sequela connota il modo di vivere
terreno di Gesù nella pratica dei consigli evangelici; l’imitazione
invece sottolinea la realtà interiore di Gesù, al di là del suo stile
concreto di vita.
Riflessione
postconciliare
Il Concilio Vaticano II nella
costituzione dogmatica
Lumen
gentium
avvia una riflessione
teologica sulla vita religiosa, al di
là delle diverse forme giuridiche con le quali si è realizzata nella
storia e si presenta oggi. L’affermazione fondamentale è in relazione a
Gesù Cristo. Essa
non può non riguardare la vocazione
di ogni fedele, sia perché è la forma di vita che Gesù condusse nella
sua vita terrena, sia perché è caratterizzata dal programma delle
beatitudini. Ma il Concilio non dice perché Gesù sceglie tale forma di
vita, e non spiega perché sia essenziale alla vita della Chiesa e perché
riguardi la vita di ogni cristiano. Né mette a confronto le diverse
vocazioni che la Chiesa tradizionalmente individua nei tre stati di vita
riconosciuti (religiosi, sacerdoti e vita matrimoniale).
Anzi, è particolarmente su questi
ulteriori problemi che si sviluppa il dibattito nel postconcilio. Si
mette in discussione la distinzione tra i tre stati di vita nella
Chiesa, e la stessa identità della vita religiosa in rapporto agli altri
due. Si discute se sia o meno una vocazione specifica nella vita della
Chiesa, e come si rapporti ai laici e ai chierici. Di più, addirittura
si mette in discussione se la professione del consiglio evangelico della
continenza perfetta nel celibato sia elemento costitutivo della stessa
professione dei consigli evangelici. Serpeggiano tendenze dottrinali che
mettono in discussione la particolare eccellenza della forma di vita
consacrata.
Non sono mancati neppure degli
interpreti della Bibbia che, sottolineando giustamente che i consigli
evangelici e le beatitudini riguardano tutti i fedeli, escludono,
erroneamente, che dalla Bibbia possa risultare una vocazione specifica
della vita consacrata. In realtà, se è vero che si può e si deve
distinguere una pratica dei consigli evangelici e delle beatitudini in
modo effettivo e in modo spirituale, da ciò non può seguire il
livellamento dei due modi di vivere il Vangelo, al punto che non si
possa più parlare della distinzione specifica di essi. La Chiesa ha
dovuto riprendere, particolarmente attraverso i sinodi dei vescovi, la
riflessione sui singoli stati di vita: sui laici (Christifideles
laici), sui chierici (Pastores
dabo vobis) ed infine
sulle persone consacrate (Vita
consecrata).
Le risposte di
Vita consecrata
L’esortazione apostolica post
sinodale Vita consecrata
del 1996, a seguito del
sinodo dei vescovi del 1994, è stato il punto di approdo di questa
riflessione: in essa troviamo la risposta ai quesiti dibattuti.
L’esortazione chiarisce anzitutto il senso della vita consacrata a
partire da Gesù: «Veramente la vita consacrata costituisce memoria
vivente del modo di esistere e di agire di Gesù Cristo, Verbo incarnato
di fronte al Padre e di fronte ai fratelli. Essa è vivente tradizione
della vita e del messaggio del Salvatore» (VC 22). Rivela in Gesù la
realtà più profonda della sua personalità e del suo messaggio; affonda
le radici nel mistero della Santa Trinità, il luogo appropriato per
comprendere lo stile di vita di Gesù: «La sua forma di vita casta,
povera e obbediente, appare infatti il modo più radicale di vivere il
Vangelo su questa terra, un modo - si può dire - divino, perché
abbracciato da lui, Uomo-Dio, quale espressione della sua relazione di
Figlio Unigenito col Padre e con lo Spirito Santo. È questo il motivo
per cui nella tradizione cristiana si è sempre parlato dell’obiettiva
eccellenza della vita consacrata» (VC 18).
L’esortazione poi sgombera il terreno
da un’errata interpretazione del significato della forma di vita
evangelica. In realtà non ritenere l’impegno della continenza perfetta
nel celibato
come elemento costitutivo della vita
consacrata mediante la professione dei consigli evangelici avrebbe
significato uno svuotamento della ricchezza della stessa forma di vita
consacrata. Il Papa invita al discernimento e scrive: «Principio
fondamentale, perché si possa parlare di vita consacrata, è che i tratti
specifici delle nuove comunità e forme di vita risultino fondati sopra
gli elementi essenziali, teologici e canonici, che sono propri della
vita consacrata » (VC 62).
E specifica in concreto: «In forza
dello stesso principio di discernimento, non possono essere comprese
nella specifica categoria della vita consacrata quelle pur lodevoli
forme d’impegno che alcuni coniugi cristiani assumono in associazioni o
movimenti ecclesiali, quando, nell’intento di portare alla perfezione
della carità il loro amore, già “come consacrato” nel sacramento del
matrimonio, confermano con un voto il dovere della castità propria della
vita coniugale e, senza trascurare i loro doveri verso i figli,
professano la povertà e l’obbedienza» (VC 62).
L’esortazione conferma e sviluppa la
dottrina dei tre stati di vita: esiste una profonda unità tra le diverse
vocazioni cristiane, in quanto esse «sono come raggi dell'unica luce di
Cristo riflessa sul volto della Chiesa» (VC 16). Lo stesso Spirito
presiede alla varietà delle
vocazioni: «Tutti i fedeli, in virtù
della loro rigenerazione in Cristo, condividono una
comune dignità; tutti sono chiamati alla santità;
tutti cooperano all'edificazione dell'unico Corpo di Cristo, ciascuno
secondo la propria vocazione e il dono ricevuto dallo Spirito (cf Rm
12,3-8). L'uguale dignità fra tutte le membra della Chiesa è opera dello
Spirito, è fondata sul Battesimo e sulla Cresima ed è corroborata
dall'Eucaristia. Ma è opera dello Spirito anche la pluriformità. È lui
che costituisce la Chiesa in una comunione organica nella diversità di
vocazioni, carismi e ministeri» (VC 31).
Circolarità fra
vocazioni paradigmatiche
Tra di esse tre vocazioni hanno una
particolare rilevanza: «Le vocazioni alla vita laicale, al ministero
ordinato e alla vita consacrata si possono considerare paradigmatiche,
dal momento che tutte le vocazioni particolari, sotto l'uno o l'altro
aspetto, si richiamano o si riconducono ad esse, assunte separatamente o
congiuntamente, secondo la ricchezza del dono di Dio» (VC 31). Tra di
esse esiste una complementarità: «Sono al servizio l'una dell'altra, per
la crescita del Corpo di Cristo nella storia e per la sua missione nel
mondo» (VC31). Ciascuna tuttavia ha una propria specificità: «Tutti
nella Chiesa sono consacrati nel Battesimo e nella Cresima, ma il
ministero ordinato e la vita consacrata suppongono ciascuno una distinta
vocazione ed una specifica forma di consacrazione, in vista di una
missione peculiare» (VC 31).
La vita consacrata, pur nella sua
specificità e particolarità, si inserisce - e non potrebbe essere
diversamente - all’interno del mistero della vita cristiana. Il n. 15
mentre da una parte afferma: «Da questa luce sono raggiunti tutti i suoi
figli, tutti ugualmente chiamati a seguire Cristo riponendo in Lui il
senso ultimo della propria vita, fino a poter dire con l'Apostolo: “Per
me il vivere è Cristo!” (Fil 1,21)», dall'altra prosegue: «Ma
un'esperienza singolare della luce che promana dal Verbo incarnato fanno
certamente i chiamati alla vita consacrata». Il n. 16 a sua volta
sottolinea l'unità della vita cristiana, come abbiamo accennato.
Ugualmente il n. 18 da una parte
delinea la vocazione cristiana come programma di vita per tutti e
dall'altra evidenzia una vocazione specifica nella vita consacrata: «Il
Figlio, via che conduce al Padre (cf Gv14,6) chiama tutti coloro che il
Padre gli ha dato (cf Gv 17,9) ad una sequela che ne orienta
l'esistenza. Ma ad alcuni – le persone di vita consacrata, appunto -
egli chiede un coinvolgimento totale, che comporta l'abbandono di ogni
cosa (cf Mt 19,27), per vivere in intimità di lui e seguirlo dovunque
egli vada (cf Ap 14,4)».
La specificità di ciascuna vocazione
nel mistero di Cristo e della Chiesa viene spiegata particolarmente al
n. 16 dell’esortazione: «I laici, in forza dell'indole secolare della
loro vocazione, rispecchiano il mistero del Verbo Incarnato soprattutto
in quanto esso è l'Alfa e l'Omega del mondo, fondamento e misura del
valore di tutte le cose create. I ministri sacri, da parte loro, sono
immagini vive di Cristo capo e pastore, che guida il suo popolo nel
tempo del “già e non ancora”, in attesa della sua venuta nella gloria.
Alla vita consacrata è affidato il compito di additare il Figlio di Dio
fatto uomo come il traguardo escatologico a cui tutto tende».
Nel cuore della Santa
Trinità
La Santa Trinità: Padre, Figlio e
Spirito Santo, è all’origine e al termine della vita consacrata quale
comunità di amore. Un unico Dio nella Trinità delle Persone. La seconda
Persona, il Figlio Unigenito del Padre a lui consostanziale ed uguale, è
sempre rivolta al Padre, nella perfetta comunione con lui nello Spirito
Santo (cf Gv 1,1). Entrando nel tempo e nella storia, nell’Incarnazione,
per rivelare agli uomini il mistero di Dio e la dignità e la vocazione
dell’uomo nel mistero di Dio, egli assume uno stile di vita che rivela,
insieme alla dottrina da lui insegnata, la sua realtà di Figlio
Unigenito del Padre.
La vita del Cristo di fatto si
caratterizza dal celibato, che unisce il Figlio esclusivamente al Padre,
dall’obbedienza perfetta al progetto di vita del Padre, nella povertà.
Questa forma di vita vissuta da Gesù è quella che i vangeli narrano: una
forma di vita povera, casta e obbediente. Il senso di tale vita si
rivela solo nell’ambito del mistero della Santa Trinità, dal quale Gesù
viene, in cui vive e a cui ritorna glorioso. Vivendo nel tempo, il
Figlio è e rimane il Figlio (celibe), aderisce totalmente alla volontà
del Padre (obbedienza) in uno stile di vita povero e sofferente, tanto
da identificarsi con il servo di Jahwè (povertà), così da mettere in
luce che la sua forza è quella dello Spirito che lo conduce.
Gesù è venuto per divinizzare gli
uomini attraverso l’adozione filiale, li associa alla sua vita, li fa
suoi fratelli, e insegna loro a rivolgersi a Dio con le parole con le
quali lui prega e nella forza dello stesso Spirito: «Abbà, Padre».
Alcuni li associa alla sua forma di vita terrena, come rivelatrice della
verità più profonda dell’esistenza cristiana, quella di figli: «Quale
grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo
siamo realmente! […]. Carissimi, noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma
ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che, quando
egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo,
così come egli è» (1Gv 3,1-2). La vita consacrata è la forma sia pur
iniziale di quella che sarà la vita definitiva: la vita filiale.
Nella nuova Gerusalemme definitiva
non ci sarà più né sacerdozio né vita matrimoniale, ma solo la gioia
piena dei figli nella comunione del Padre. Per questo «la vita
consacrata si pone nel cuore stesso della Chiesa come elemento decisivo
per la sua missione, giacché esprime l’intima natura della vocazione
cristiana e la tensione di tutta la Chiesa-Sposa verso l’unione con
l’unico Sposo» (VC 3).
Velasio De Paolis c.s.
Presidente della Prefettura
degli Affari Economici della Santa Sede
Largo del Colonnato 3
00120 Città del Vaticano
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