n. 1
gennaio 2010

 

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Sobrietà etica e libertà
Nuovi stili di vita personali e sociali

di ALESSANDRA SMERILLI

 

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Non può esistere un vero sviluppo se esso non è umano e integrale, cioè per tutto l’uomo, per tutti gli uomini. Una delle chiavi di lettura della Caritas in Veritate, in profonda continuità con la Populorum progressio, è la considerazione che, se vogliamo fare un discorso serio sullo sviluppo, la persona va vista necessariamente in tutte le sue dimensioni. In questo senso l’economia viene descritta da Benedetto XVI come una delle dimensioni umane, che può far fiorire la persona e nello stesso tempo fiorire in se stessa portando frutti di sviluppo, se e solo se è animata al suo interno dal principio di gratuità.

Il cuore dell’economia

Nell’enciclica in più punti si ribadisce il concetto che la gratuità non deve essere solo alla base dei rapporti umani e sociali, ma deve essere al cuore dell’economia. E’ questa un’operazione di portata rivoluzionaria: se c’è una dimensione che generalmente si pensa non abbia nulla a che fare con il mercato e con le imprese è proprio la gratuità. Ma a quale gratuità si riferisce il Papa?

Sicuramente la gratuità non è il gratis (prezzo zero), semmai è da associare ad un valore infinito, ma non va neanche identificata con il regalo, magari con il gadget o gli sconti. Infine, è sbagliato associare la gratuità al puro dono, mettendolo quindi in conflitto con il doveroso, con il contratto, con il mercato.

In realtà, come ci ricorda il Papa già nel primo paragrafo, la gratuità rimanda a charis, grazia, all’agape, la parola greca che i latini hanno tradotto con caritas, o, in certe traduzioni, chiarita dove l’inserimento della "h" indicava ancor più chiaramente il legame tra l’agape-carità e charis. La gratuità è infatti grazia, poiché è dono gratuito non solo per chi riceve atti di gratuità, ma anche per chi li compie.

È questa gratuità che l’enciclica ci chiama a mettere al centro anche dei nostri rapporti economici, politici, sociali, dove sembra impossibile, ma dove già sono in tanti a viverla (n. 46). Essa è la dimensione di ogni azione umana, di ogni impresa, e non solo del non-profit, per cui sarebbe un errore molto grave associare la gratuità al solo volontariato, all’economia sociale.

Per questo nell’enciclica il principio di gratuità è associato alla finanza. Mentre da una parte si evidenziano come positive alcune esperienze di finanza etica (n. 45), dall’altra il Papa si spinge oltre: "Occorre adoperarsi... non solamente perché nascano settori o segmenti ‘etici’ dell’economia o della finanza, ma perché l’intera economia e l’intera finanza siano etiche e lo siano non per un’etichettatura dall’esterno, ma per il rispetto di esigenze intrinseche alla loro stessa natura" (n.45).

L’enciclica ci pone così di fronte alla sfida di superare lo steccato tra economia e finanza ordinarie da una parte e forme alternative dall’altra. Anzi, credo che alla luce dell’enciclica non si possa più parlare di economia alternativa, semplicemente perché, come anche le recenti crisi ci mostrano, o l’economia e la finanza sono animate dal principio di gratuità, o, semplicemente, non sono.

Per far sì che l’intera economia e l’intera finanza diventino etiche, e perché il principio di gratuità possa essere diffuso, l’enciclica propone la strada della democrazia economica: il primo passo da fare è quello di favorire la pluralità di attori, all’interno del mercato e della finanza, riconoscendo dignità economica, e non solo sociale, a tutte quelle tipologie di imprese che considerano il profitto come un mezzo per realizzare finalità umane e sociali. Esse, infatti, possono richiamare, con il loro esempio, tutti gli altri attori al loro dover essere.

È solo, infatti, dalla coesistenza di soggetti diversi sul mercato, e quindi dalla presenza di democrazia economica, che tutto il mercato e tutta la finanza possono evolvere verso forme più civili.

In tale pluralità di forme il Papa chiama in causa le opere che nascono da iniziative religiose: e questa mi sembra una sfida per gli istituti di vita consacrata che sono chiamati a gestire bene e in maniera efficiente le proprie opere, facendo risplendere il proprio carisma e il principio di gratuità dentro di esse, proprio per mostrare a tutti che è possibile avere moventi ideali e saper stare sul mercato.

Se, come abbiamo affermato all’inizio di questo articolo, il vero sviluppo è per tutta la persona, esso deve anche essere per tutti gli uomini, altrimenti non è integrale.

La fraternità e i nuovi stili di vita

La seconda chiave di lettura dell’enciclica è quella della fraternità: "la posta in palio è la realizzazione di un’autentica fraternità " (n. 20), ed è per questo che ci mobilitiamo concretamente e con il ‘cuore’ per fare evolvere i processi economici.

Secondo alcuni lettori e commentatori dell’enciclica, una critica che si può muovere a questo testo è che abbia lasciato troppo sullo sfondo il discorso su sobrietà e stili di vita. In realtà, come ci mostrano i paragrafi 50 e 51, anche qui il Papa è andato al cuore del problema, non limitandosi ad esortare a vivere rispettando la natura e l’ambiente, ad essere responsabili nei consumi, ad adottare stili di vita sobri.

Tutto ciò si potrebbe rivelare inutile, afferma Benedetto XVI, se non comprendiamo che "le modalità con cui l’uomo tratta l’ambiente influiscono sulle modalità con cui tratta se stesso, e viceversa" (n. 51). Infatti, "i doveri che abbiamo verso l’ambiente si collegano con i doveri che abbiamo verso la persona considerata in se stessa e in relazione con gli altri. Non si possono esigere gli uni e conculcare gli altri" (n. 51).

In questo senso la natura non è una variabile indipendente, ma integrata nelle dinamiche sociali e culturali, e solo dalla coscienza dell’interdipendenza che ci lega gli uni gli altri e dall’urgenza della fraternità e della comunione, che scaturisce il rispetto della natura: "quando l’"ecologia umana" è rispettata dentro la società, anche l’ecologia ambientale ne trae beneficio" (n. 51).

La relazione è biunivoca: il degrado nelle relazioni sociali, nella solidarietà e nell’amicizia, porta sempre al degrado ambientale, e allo stesso tempo, il degrado ambientale ci porta all’insoddisfazione anche nello stare insieme, perché il bello e il buono vanno sempre di pari passo. E infatti i nuovi stili di vita proposti dall’enciclica sono quelli "nei quali la ricerca del vero, del bello e del buono e la comunione degli altri uomini per una crescita comune siano gli elementi che determinano le scelte dei consumi, dei risparmi e degli investimenti" (n. 51).

Anche in questo caso, il Papa, come per la finanza etica, ci spinge al superamento delle dicotomie, facendoci notare che i nuovi stili di vita non sono per alcuni, ma per tutti, nella misura in cui il nostro star bene in società dipende dalla qualità delle relazioni interpersonali. Se impariamo a saper convivere, a rispettare noi stessi e gli altri, spinti dall’anelito della fraternità, non potremo non mostrarci responsabili nei confronti dell’ambiente, sobri nelle scelte dei consumi: è perché tu mi stai a cuore, che limito i miei consumi.

Custodi dei fratelli

Quando Dio domanda a Caino dopo l’assassinio di Abele: "Dov’è tuo fratello?", egli risponde: "Sono forse io custode di mio fratello?" (Gen 4,9). È significativo che lo stesso verbo shamar, custodire, viene utilizzato dall’autore della Genesi pochi versetti prima (2,15) per esprimere il rapporto di reciprocità con la terra.

Quando si rompe il rapporto con l’altro, si rompe anche il rapporto con la natura: se non custodisco il fratello, non posso neanche custodire la terra, non posso lavorarla come esperienza di benedizione. Se, invece, so pormi con gratuità di fronte al fratello, sapendo vedere il bello e il buono che c’è in lui, saprò anche custodire la terra, e condividerla con gli altri.

Alessandra Smerilli fma
Docente aggiunto
di economia politica
presso l’Auxilium
Piazza S. Maria Ausiliatrice 60
00181 Roma

 

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