n. 6
giugno 2010

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Coltivare e custodire il giardino
(cf Gen 2,15)
di CRISTINA
CARACCIOLO
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Nel
secondo racconto della creazione (Gen 2,4b-25), la terra è presentata
come luogo arido dove la vita è totalmente assente, perché manca l’acqua
e soprattutto qualcuno che sappia incanalarla per irrigare il suolo. Già
qui viene offerta un’importante indicazione sull’essere vivente che Dio,
chiamato per la prima volta in questo testo "il Signore" (YHWH), formerà
dal suolo.
Il Signore Dio colloca l’uomo nel giardino
C’è un legame di mutua dipendenza di adam
dalla terra, poiché l’uomo da essa è stato tratto, Adam da
adamah potrebbe essere tradotto, per rendere meglio il gioco di
parole che si stabilisce nell’ebraico: terrestre, perché dalla
terra è stato tratto. Il vincolo di dipendenza però è reciproco, a
doppio senso: se la vita dell’uomo dipende dalla terra, la possibilità
di vita per la terra sembra quasi dipendere dall’uomo. Infatti il
compito dell’uomo sarà quello di irrigarla, lavorarla, custodirla (cf
Gen 2,15).
Dio plasma l’uomo dalla terra e con la terra. Una
terra argillosa simile a quella usata dal vasaio. Per questo uomo il
Signore pianta un meraviglioso giardino dove lo colloca (cf Gen 2,8-15).
In esso vi è ogni sorta di alberi, belli da vedere e buoni da mangiare.
Se in Genesi 1 dopo la creazione di ogni opera viene ripetuto che "Dio
vide che era buono-bello (tôb)", in questo racconto lo spettatore
compiaciuto che gode delle opere uscite dalle mani del Creatore è
l’uomo. Sembra che Dio faccia uscire fuori dalla terra gli alberi
davanti agli occhi della sua creatura, quasi per dirgli che sta facendo
tutto questo per lui.
Mentre nel primo racconto l’uomo si trova in un mondo
già creato e portato a compimento, in questo la bellezza/bontà delle
opere divine appare sulla scena gradualmente, in un crescendo che sembra
esprimere la volontà di bene di Dio verso la sua creatura per la quale i
doni che escono fuori progressivamente non sembrano mai abbastanza.
In Genesi 2,15, su cui vogliamo focalizzare il nostro
sguardo, una seconda volta viene detto che il Signore prese l’uomo e lo
collocò in questo giardino lussureggiante. Vengono però aggiunti degli
elementi che per noi non hanno un significato particolare,mentre per gli
orecchi di un israelita hanno un suono familiare, alludendo velatamente
al dono della terra di Canaan. "Prendere" l’uomo e "stabilirlo", è una
sequenza che evoca l’uscita dall’Egitto e l’introduzione nella terra
promessa.
Il verbo "prendere" è quasi un verbo tecnico per
esprimere la liberazione dalla schiavitù d’Egitto e il cammino nel
deserto (Dt 3,20; 4,20) e una volta il ritorno nella terra dall’esilio e
dalla dispersione (Dt 30,4s). In Giosuè 24,3 il verbo indica l’elezione
di Abramo, "preso" dal Signore "da oltre il fiume (Giordano)". Il
secondo verbo, per dire "collocare mettere", ha una sfumatura
particolare rispetto al primo utilizzato per la stessa cosa al v. 8.
Questa seconda volta l’autore utilizza il verbo nûh, che
significa "posare", ma anche, nel senso causativo "far riposare".
Secondo questa accezione è un verbo utilizzato dalla corrente
deuteronomista per indicare quel riposo da tutti i pericoli e da tutti i
nemici che Dio ha concesso al suo popolo introducendolo nella terra (Dt
12,10, 25,19).
Servo e custode
La sfumatura suggerita dal verbo nûh è che si
tratta di un "collocare" che evoca l’idea di un "mettere al sicuro", in
un luogo di riposo. Ciò serve anche per creare un contrasto ancora più
forte con la scena dell’uscita-esilio dal giardino, che farà conoscere
all’uomo la dimensione della fatica nel lavoro e la sensazione di essere
esposto e vulnerabile in un mondo pieno di pericoli. Tale immagine
completa quella del racconto precedente dicendo con altri termini che
l’uomo è destinato sin dall’origine ad entrare nel riposo appagante
d’amore con il suo Dio.
Quest’idea sarà ulteriormente evidenziata quando
sapremo che in questo giardino il Signore è solito passeggiare
conversando con l’uomo alla brezza serale.
Anche i due verbi che indicano il compito affidato
all’uomo alludono in qualche modo alla storia del popolo. L’uomo è
collocato nel giardino per "coltivarlo e "custodirlo". Il verbo che
viene tradotto con "coltivare", nella precedente versione CEI era
tradotto con "lavorare". In ebraico abbiamo il verbo ‘bd che
usualmente significa in primo luogo "servire". L’uomo è dunque padrone
della terra facendosi al contempo suo servo, è il "custode" del giardino
di cui può disporre ampiamente, ma che non gli appartiene, essendogli
stato affidato dal Signore per prolungare l’opera da lui avviata.
Ora questi due verbi, "servire" e "custodire",
ricorrono nella Bibbia soprattutto nel contesto del rapporto tra l’uomo
e Dio: Israele è chiamato a "servire" il suo Dio (e non gli dèi che,
come vedremo, schiavizzano) "custodendo-osservando" i suoi comandamenti,
che gli garantiscono di vivere da libero nella terra.
Responsabile della terra…
L’uomo è collocato pertanto nel giardino per
lavorarlo, coltivarlo, prendersene cura. Quest’attività lo rende simile
al suo Creatore, che ha piantato tale giardino facendo "germogliare dal
suolo ogni sorta di alberi graditi alla vista e buoni da mangiare" (Gen
2,9). Il Signore Dio, divino agricoltore, affida all’uomo il compito
altissimo di prendersi cura di quel giardino lussureggiante in cui è
stato posto. Dio si ritira, lasciando spazio all’uomo, affinché agisca
sulle opere delle sue mani.
Le cose create hanno leggi e valori propri, che
l’uomo gradatamente deve scoprire, usare e ordinare, allora si tratta di
una esigenza d’autonomia legittima. La costituzione Gaudium et Spes
dedica un intero paragrafo alla"legittima autonomia delle realtà
terrene" (n.36). In esso si afferma anche :"Col suo lavoro e col suo
impegno l’uomo ha cercato sempre di sviluppare la propria vita" /GS 33).
Nel libro del Siracide leggiamo che: "Il
Signore ha creato medicamenti dalla terra, l’uomo assennato non li
disprezza" (Sir 38,4). La frase è inserita in un contesto in cui si
parla della preziosa scienza del medico e del farmacista. Nell’antichità
i medicamenti provenivano unicamente dalla terra e l’uomo, chiamato a
coltivarla, era invitato anche a scoprire le proprietà terapeutiche
delle piante e svilupparle. In questo modo e col suo ingegno l’uomo
cerca di promuovere la sua vita.
Il re Salomone, prototipo del sapiente biblico, e
dunque incarnazione dell’uomo creato secondo il progetto divino, enumera
le sue conoscenze: "Egli stesso [Dio] mi ha concesso la conoscenza
autentica delle cose, per comprendere la struttura del mondo e la forza
dei suoi elementi, il principio, la fine e il mezzo dei tempi e il
susseguirsi delle stagioni, i cicli dell’anno e la posizione degli
astri, la natura degli animali e l’istinto delle bestie selvatiche, la
forza dei venti e i ragionamenti degli uomini, la varietà delle piante e
le proprietà delle radici" (Sap 7,17-20).
Salomone conosceva le proprietà delle piante e
sicuramente nel suo saggio governo ne promuoveva la coltivazione.
Gesù stesso si servirà spesso di esempi tratti dalla
natura e dal lavoro agricolo; anche Giacomo utilizza il paragone
dell’agricoltore: "Siate dunque pazienti, fratelli, fino alla venuta del
Signore. Osservate come l'agricoltore aspetta il frutto prezioso della
terra pazientando, finché esso abbia ricevuto la pioggia della prima e
dell'ultima stagione" (Gc 5,7).
… e costruttore di pace
Ritornando al nostro punto di partenza (Gen 2,15), ci
fa bene ricordare oggi che l’uomo è chiamato dal Creatore ad essere
"servo" della terra. Si tratta naturalmente di un "servizio" che
nobilita grandemente l’uomo, chiamato a prendersi cura dell’opera
divina, a custodirla, salvaguardarla, prendersene amorevolmente cura e
rispettarla. Ricordiamo che nella Bibbia è previsto un riposo sabbatico
anche per la terra ogni sette anni: "Per sei anni seminerai la tua terra
e ne raccoglierai il prodotto, ma nel settimo anno non la sfrutterai e
la lascerai incolta" (Es 23,10).<
Nel Messaggio per la giornata della pace di
quest’anno 2010, Benedetto XVI ha connesso strettamente la costruzione
della pace con la salvaguardia e la custodia del creato: "Se vuoi
costruire la pace, custodisci il creato".
Scrive il Santo Padre: "L’armonia tra il Creatore,
l’umanità e il creato, che la Scrittura descrive, è stata infranta dal
peccato di Adamo ed Eva, dell’uomo e della donna, che hanno bramato
occupare il posto di Dio, rifiutando di riconoscersi come sue creature.
La conseguenza è che si è distorto anche il compito di "dominare" la
terra, di "coltivarla e custodirla" e tra loro e il resto della
creazione è nato un conflitto (cf Gen 3,17- 19). […]. Ma il vero
significato del comando iniziale di Dio, non consisteva in un semplice
conferimento di autorità, bensì piuttosto in una chiamata alla
responsabilità. Del resto la saggezza degli antichi riconosceva che la
natura è a nostra disposizione non come "un mucchio di rifiuti sparsi a
caso", mentre la Rivelazione biblica ci ha fatto comprendere che la
natura è un dono del Creatore, il quale ne ha disegnato gli ordinamenti
intrinseci, affinchè l’uomo possa trarne gli orientamenti doverosi per
"custodirla e coltivarla" (cf Gen 2,15). […]. L’uomo, quindi, ha il
dovere di esercitare un governo responsabile della creazione,
custodendola e coltivandola" (n. 6).
Tale messaggio del Santo Padre ci fa comprendere
quanta ricchezza e vitalità è contenuta ancora nella parola biblica e
quante energie può sprigionare un singolo versetto!
Auguriamoci che almeno il credente, che ha tra le
mani questo prezioso tesoro che è la Sacra Scrittura, sappia leggere e
mettere in pratica la Parola, diventando, sempre per utilizzare una
metafora agricola di cui si serve Gesù, quella "terra buona" nella quale
il seme "produce il cento, il sessanta, il trenta per uno" (Mt 13,23).
Cristina Caracciolo smr
Biblista
Via Lagrange, 3 - 00197 Roma
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