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Ad
ogni epoca Dio dona i suoi santi: le uniche persone veramente riuscite nella
vita. Ai nostri giorni ha dato Madre Teresa di Calcutta (1910-1997) e il card.
J. Henry Newman (1801-1890): due personalità innamorate di Cristo, divenute
suoi discepoli per puro amore. La misura della santità infatti è l’amore. Ci
ricorda san Paolo: "Se avessi il dono della profezia, se conoscessi tutti i
misteri e avessi tutta la conoscenza, se possedessi tanta fede da trasportare le
montagne, ma non avessi la carità, non sarei nulla" (1Cor 13,2). Attorno a
Madre Teresa si è creato un alone di popolarità e di santità tanto che quando
è stata fatta la domanda: "Chi considero modello importante per la mia
spiritualità?", la risposta unanime ha messo in testa alla lista Madre
Teresa. Una donna amata davvero come pochi e da tutti: credenti e non credenti,
musulmani, induisti e cristiani, una singolare testimone nella nostra epoca
della "fretta", delle "vite di corsa", del "fare".
Seppe unire in modo unico azione e contemplazione, come confermano le molte
pagine scritte da lei o raccolte, pagine segnate da una prosa asciutta, ma
espressione della sua ricerca del cuore profondo della vita. Diceva infatti:
"Più riceviamo nella preghiera, più possiamo dare nella vita
attiva": è una frase che evoca quella di S. Kierkegaard nel Diario:
"Pregare non è tanto ottenere quanto diventare".
Nell’umile e povera Madre Teresa, che ha offerto gran parte
della sua vita ai derelitti, che si è curvata sulle miserie umane facendo
"qualcosa di bello per Dio", si è vista l’incarnazione del vero
cristianesimo, o il suo volto migliore per il nostro tempo. Con ragione in una
delle biografie si legge: "Ciò che ha reso grande Madre Teresa agli occhi
del mondo, facendone l’oggetto di un culto che è insieme religioso e
mediatico, è la sua capacità di dare un volto e un corpo alle parole del
Vangelo, di tradurre le astrazioni teologiche in opere che hanno scosso
coscienze, anche per quella radicalità priva di compromessi che l’ha sempre
vista schierata in prima linea, sofferente in mezzo ai sofferenti" (Marino
Niola). In quella fatidica sera del 10 settembre 1946, mentre era in treno da
Calcutta a Darjeeling per gli Esercizi Spirituali, sente Dio che la chiama per
la seconda volta. In quella notte una frase ha continuato a martellare nella sua
testa per tutto il viaggio, il grido dolente di Gesù in croce: "Ho
sete", frase oggi riportata in ogni cappella delle Missionarie della
Carità.
Dopo il misterioso richiamo, lascia il convento delle suore
di Loreto, tra le quali era entrata a 18 anni, per essere povera tra i più
poveri. È il seme di una nuova congregazione che nascerà ufficialmente il 7
ottobre 1950. Il suo impegno per gli ultimi della terra non è stato semplice
filantropia, ma carità cristiana autentica. La sensibilità del suo cuore si è
manifestata nel percepire la radice più profonda della sofferenza umana:
"Il più grande male di oggi non è la lebbra o la tubercolosi, ma
piuttosto il sentirsi indesiderati, trascurati e abbandonati da tutti. La
peggiore sventura è la mancanza d’amore e di carità". Il volume Alla
scuola della carità su Madre Teresa finisce con queste sue parole: "La
prima cosa che conta è l’amore: un amore che deve essere generoso, efficace,
universale. Inizia in casa e si allarga a cerchi concentrici a quelli che ci
sono vicini, alla strada, al quartiere, alla provincia, alla nazione, al
continente, al mondo". "La piccola matita di Dio", come amava
definirsi, ha donato tutta se stessa per amore della vita, quella vita di cui ha
scritto una toccante preghiera: "Inno alla vita", divenuto preghiera
quotidiana dei suoi devoti.
Benedetto XVI il 19 settembre u.s. a Birmingham ha annoverato
tra i beati della Chiesa il card. J. Henry Newman, il primo beato inglese nato
non cattolico dai tempi della Riforma. Si tratta di un avvenimento destinato a
lasciare il segno, e non solo nella Chiesa che è in Inghilterra, ma in tutta la
cristianità. Nasce a Londra il 21 febbraio 1801 e muore a Birmingham l’11
agosto 1890. Una vita che abbraccia l’arco di un secolo. Nel suo tempo
risultò una figura chiara e misteriosa, decisa e dubbiosa, realistica e
mistica, tradizionalista ed avventuristica. Oggi, a oltre un secolo dalla sua
morte, si presenta nel medesimo modo. Uomo mite, dolce e di pace, ci appare
improvvisamente pugnace, austero e di guerra; di quella guerra interiore di cui
parla il Vangelo. Egli cercò di continuo la luce come noi e come noi si
ritrovò nel buio. Procedette indefesso nella notte profonda e, come noi, più
di noi, mosse costantemente un passo in avanti.
Molti scrittori affermano che per vari motivi vale la pena
conoscerlo. La sua personalità è tale da non lasciare indifferente chi la
incontra: colpiscono in lui l’impegno per la santità, l’originalità e la
novità delle intuizioni, la serietà estrema unita alla capacità di humour,
l’amore alla Chiesa e alla Madre di Dio, un sentimento profondo per l’amicizia,
tanto da scegliere per il suo stemma cardinalizio la famosa massima: "Cor
ad cor loquitur". Soprattutto colpisce in lui l’instancabile ricerca
della verità, tra ombre e apparenze, e una volta incontrata, per mezzo della
ragione e del cuore, la testimoniò con le sue opere e con la sua vita. Nella
ricerca della verità, compito che egli sentì come proprio, approdò,
quarantenne, al cattolicesimo il 9 ottobre 1845. Un distacco, quello dall’anglicanesimo
a vantaggio di Roma, che fece scalpore. Divenuto cattolico, non gli mancarono
contrarietà, se non ostilità. Il suo genio teologico, la grande libertà con
cui anteponeva il primato della coscienza a ogni semplicistico dogmatismo
suscitarono invidie e sospetti. Anche nella stessa gerarchia non mancò chi lo
giudicava non sufficientemente "romano", non abbastanza polemico nei
confronti di quell’anglicanesimo che aveva lasciato. Entrato a far parte della
congregazione di san Filippo Neri, si stabilì a Birmingham, fondandovi un
Oratorio. Qui il grande pensatore, l’intellettuale brillante, si trovò
accanto alla miseria dei quartieri poveri della grande città industriale.
Proprio qui, e a partire da qui, la grazia di Dio che era in lui cominciò a
seminare a piene mani.
Oggi Newman è vivo nella cultura e nella Chiesa: s’impone
all’attenzione degli studiosi, suscita interesse, stimola la ricerca.
Incompreso, attaccato spesso durante la vita, con il passare del tempo la
grandezza di questo "singolarissimo spirito" (Paolo VI) è via via
riconosciuta, ed oggi occupa una posizione di sicuro prestigio. Gli è toccato
in sorte il destino dei precursori i quali, in forza del loro genio, s’innalzano
al di sopra dei contemporanei, prevedono nuovi problemi e vi danno soluzioni
impreviste, che non vengono comprese subito nel giusto valore, ma il tempo
manifesta l’esattezza delle loro intuizioni. La vita di Newman giustamente si
potrebbe ritenere una ricerca coraggiosa della verità, nelle molteplici
esperienze, nei rapporti con gli altri, nella condotta pratica, nella
speculazione sui vari rami del sapere. Dall’amore per la verità scaturirono
le sue intuizioni profetiche sulla Chiesa, sullo sviluppo del cristianesimo,
sull’ecumenismo, sull’assenso della fede, sui laici, sulla coscienza.
Amiche lettrici e cari lettori, il decimo numero del 2010 di Consacrazione
e Servizio che avete tra mano si apre con la consueta rubrica: "Figlie
della promessa", affidata al biblista Tiziano Lorenzin, in sintonia con
il tema annuale indicato dalla Presidenza USMI. Abramo prosegue il suo cammino
di fede con il Signore: l’esperienza fatta sul monte Moria lo ha reso un uomo
"nuovo".
"Anno Sacerdotale" e "Orizzonti".
Nella prima rubrica Paola Bignardi intervista padre Bruno Secondin, religioso
carmelitano innamorato della Parola. Da 14 anni infatti propone l’iniziativa
della lectio divina presso la Chiesa della Traspontina a Roma con larga
partecipazione di laici, seminaristi, religiose, sacerdoti. La seconda rubrica
arricchisce il numero con due contributi. Il primo di Manuela Borraccino,
giovane giornalista, presenta il sinodo sul Medio Oriente che si svolgerà in
Vaticano dal 10 al 24 ottobre 2010. Il secondo contributo di Ferdinando
Castelli, scrittore della Civiltà Cattolica, si sofferma sul recente volume La
Madonna in Michelangelo di Stefano De Fiores edito dalla Lbreria Editrice
Vaticana, ritenendolo un’opera che delizia la mente e il cuore.
Una parola particolare per il "Dossier".
Sotto il titolo: "A immagine di Dio li creò", espressione tratta
dalla Genesi 1,27, sono raccolti sette studi sintetizzati nel sottotitolo
con la frase: "Dignità della persona ". I primi quattro contributi
riflettono sul significato biblico-teologico della persona umana (F. Lambiasi,
M. Perroni, L. Sebastiani, M. Trigila); il quinto, di Mark Attard, introduce al
tema sulla manipolazione genetica, argomento quanto mai importante da
approfondire. Ricordiamo al riguardo che mons. Angelo Amato nel n. 2/2009 di Consacrazione
e Servizio ha presentato l’"Istruzione Dignitas personae su
alcune questioni di bioetica" (8 settembre 2008), da rileggere
attentamente. Gli ultimi due contributi di Gabriella Tripani e Anna Bissi
riflettono su alcuni aspetti della vita consacrata.
Oltre alle consuete esplorazioni sui film (Teresa Braccio) e
le segnalazioni di libri (Rita Bonfrate), un accenno va alla rubrica: "Facce
di preti", affidata alla teologa Cettina Militello, che rilegge in
maniera critica il volume Pretacci del noto giornalista sportivo Candido
Cannavò.
Al presente numero è unito in omaggio il Supplemento
previsto per il 2010 sull’anno sacerdotale. A tutti l’augurio di buona
lettura.
Maria Marcellina Pedico
Serve di Maria Riparatrici
Via Monte Velino, 30 - 00141 ROMA
m.pedico@smr.it
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