Dire
una parola franca che affonda la sua autorevolezza non in un dogma ma in
un vissuto è uno degli elementi che ci rendono capaci di dialogare
nella diversità e nel rispetto delle singole identità. Ed in quanto
persone con un corpo e un’anima, fatte ad immagine e somiglianza di
Dio, troviamo il significato della vita attraverso la scoperta di cosa
significhi essere immagine di Dio e di cosa i nostri corpi abbiano a che
fare con essa.
Siamo immagine di Dio non solo attraverso il dono
della libertà, ma anche attraverso la comunione con gli altri. Giovanni
Paolo II ha spiegato così che "l’uomo diventa immagine di Dio
non solo attraverso la sua personale umanità, ma anche tramite quella
comunione di persone che l’uomo e la donna formano fin dalla loro
origine".
Tutto questo acquista profondo significato se teniamo
come orizzonte il significato della parola "cuore". È un moto
del cuore l’essere dono per l’altro e al tempo stesso accoglienza
del dono dell’altro. E "prendersi cura" l’uno dell’altro
esprime la ricchezza di una fecondità fondata su una pari dignità ed
equivalenza. Per comprenderne le sfumature non è sufficiente il
quoziente dell’intelligenza. Ci vuole il quoziente del cuore, inteso
come fonte primaria della vita e sede dell’anima, della coscienza, del
pensiero, della memoria e dei desideri. Il quoziente del cuore che
permette a tutte le operazioni intellettuali della persona di
esprimersi. Non a caso nella Bibbia si usa il sintagma "parlare con
il cuore".
"L’amore umano nel piano
divino"
L’unicità del termine cuore fa sì che non può
esserci un rigido dualismo tra intelletto e volontà, tra sentimento e
ragione, tra scienza e virtù, tra anima e corpo. E dal cuore, come filo
rosso ininterrotto che s’intreccia con tutte le emozioni della nostra
vita, prende le mosse l’approccio di Giovanni Paolo II quando parla de
L’amore umano nel piano divino: è il titolo del volume curato
da Gilfredo Marengo e pubblicato nel 2009 dalla Libreria Editrice
Vaticana in collaborazione con il Pontificio Istituto Giovanni Paolo II
per Studi su Matrimonio e Famiglia. Da esso emerge l’approccio
innovativo di papa Wojtyla nell’affrontare - nelle 129 udienze
generali del mercoledì da lui tenute nei primi cinque anni del suo
pontificato (1979-1984) - la questione antropologica de La redenzione
del corpo e la sacra mentalità del matrimonio, come dichiara il
sottotitolo. Si tratta di un approccio che scaturisce dalla sua
sensibilità pastorale e dal suo bagaglio filosofico.
Egli parla del corpo, tra l’altro, non come una
superficie di scrittura ma come un sistema sociale composto di segni e
simboli da decifrare. Emerge così un’idea chiara: i nostri corpi sono
piuttosto relazionali che sessuali. Attraverso il rapporto sessuale che
unisce un uomo e una donna nel matrimonio, essi giungono ad una nuova
consapevolezza di chi sono: creature fatte ad immagine e somiglianza di
Dio.
La sessualità quindi è importante per la teologia
del corpo, ma il corpo è fatto per le relazioni e solo allora la
sessualità trova il suo autentico significato. E si fanno strada parole
come alleanza, libertà, verità, dono, comunione, dignità, persona,
significato. Tutti temi che ricorrono nelle catechesi di Giovanni Paolo
II in cui sottolinea che dobbiamo prima di tutto conoscere lo scopo
della nostra esistenza e per cosa siamo stati creati, se vogliamo vivere
una vita piena di significato.
In questo modo Papa Wojtyla esplora lo scopo della
nostra esistenza e parla dell’amore e della sessualità in un modo
comprensibile all’uomo moderno: dal corpo segno d’identità alla
teologia del corpo.
È stato questo, tra l’altro, uno dei concetti che
mons. Livio Melina, preside del Pontificio Istituto Giovanni Paolo II,
la dott.ssa Barbara Palombella, giornalista e mons. Gilfredo Marengo,
curatore del volume, hanno spiegato nel corso della tavola rotonda di
presentazione (4 giugno 2010), moderata da don Giuseppe Costa, direttore
della Libreria Editrice Vaticana.
Profetismo del corpo
"Profetismo del corpo", diceva Giovanni
Paolo II. Il corpo parla di Dio, ne svela la bontà e la sapienza: esso
parla anche di noi, dell’uomo e della donna e della nostra vocazione
all’amore. È una parola profetica, che il corpo pronuncia a nome di
Dio, puntualizza mons. Melina, per rivelarci una strada da percorrere,
di pienezza umana: la strada dell’amore, in cui l’immagine
originaria, impressa nell’uomo e nella donna, possa realizzarsi e
risplendere in una comunione feconda di persone, aperta al dono della
vita. In particolare la differenza sessuale è colta nel suo nesso col
mistero di Dio.
Veniamo da secoli in cui, per l’influenza di una
mentalità dualistica venata di manicheismo e di puritanesimo, il corpo
umano è stato non sufficientemente valorizzato: guardato con sospetto o
con inquietudine, quasi si trattasse di una minaccia alla natura
spirituale dell’uomo e al suo destino; dimensione affettiva e
sessuale, come se comportasse tentazioni e pericoli. Oggi il pendolo
sembra volgersi dalla parte opposta, con un culto del corpo, che lo
esalta finché è giovane, bello e fonte di piacere, ma che poi lo
rifiuta quando testimonia la decadenza, la malattia e la morte. Queste
due posizioni condividono un identico riduzionismo antropologico, che
rende impossibile integrare il corpo nella realtà della persona e
quindi valorizzarlo adeguatamente nella sua soggettività.
Nelle catechesi Giovanni Paolo II rivendica il
carattere "sacramentale" della corporeità. E così sfida la
cultura contemporanea proprio sul suo stesso campo di battaglia: l’apparente
esaltazione del corpo, e in particolare della sessualità, non raggiunge
il suo scopo quando è separata dalla comprensione della dignità della
persona e dal riferimento a Dio Creatore e Redentore.
Verso una "visione"
della sorgente
Il punto decisivo per superare queste riduzioni –
commenta mons. Melina - è cogliere l’orizzonte completo, la
"visione", che la teologia del corpo delle catechesi implica.
Contemplando gli affreschi michelangioleschi della Cappella Sistina, Giovanni
Paolo II ebbe a dire, l’8 aprile 1994: "Nell’ambito della luce
che proviene da Dio, anche il corpo umano conserva il suo splendore e la
sua dignità. Se lo si stacca da tale dimensione, diventa in certo modo
un oggetto, che molto facilmente viene svilito, poiché soltanto dinanzi
agli occhi di Dio il corpo umano può rimanere nudo e scoperto e
conservare intatto il suo splendore e la sua bellezza".
Il corpo dell’uomo e della donna è "presacramento"
e "segno di perenne Amore", dirà ancora papa Wojtyla,
ritornando sulle immagini della Genesi di quella stessa Cappella
Sistina, "santuario della teologia del corpo". La vera
parola chiave di questa teologia del corpo è "visione". Il
grande Michelangelo è un veggente: vede le immagini nella luce di Dio,
ha la visione di Dio Creatore attraverso la rappresentazione dei corpi
di Adamo e di Eva. Il cammino che conduce alla sorgente è allora un
cammino per diventare vedenti: per imparare da Dio a vedere. L’orizzonte
così è completo e si dischiude nella formula "teologia del
corpo": il corpo diventa "via" da percorrere verso la
sorgente, perché ci permette di vedere meglio Dio.
In questo senso la novità metodologica e
contenutistica della "teologia del corpo" è come una sorgente
che spinge a ripensare i grandi temi dell’antropologia, della
metafisica e dell’etica.
Unico raggio di luce Tre
rifrazioni
Dopo trent’anni di riflessione, per il preside del
Pontificio Istituto Giovanni Paolo II, si sono delineate tre piste.
Una prima prospettiva è quella che è stata
aperta a partire dall’antropologia teologica e che ha portato alla
comprensione del "mistero nuziale", come struttura di ogni
forma di amore. La riflessione sull’esperienza originaria dell’amore
mostra che il corpo, per la sua vitale apertura simbolica, rimanda
sempre ad una triplice dimensione: la differenza sessuale, il dono
reciproco di sé e l’apertura alla comunicazione della vita. Si tratta
di un aspetto trascendentale rinvenibile, secondo le regole dell’analogia,
in qualunque forma di amore, da quello più elevato e divino a quello
più deformato dal peccato. Il tentativo di scardinamento dei fattori
costitutivi dell’amore, proprio della cultura pansessualista in cui
siamo immersi, ha portato ad una scissione tra differenza sessuale e
dono di sé (sessualità scissa dall’amore), tra differenza sessuale e
procreazione (contraccezione e fecondazione artificiale), e ultimamente
anche all’affermazione del possibile superamento della differenza
sessuale (teoria del gender).
La seconda prospettiva, di carattere più
metafisico, è quella che ha condotto all’elaborazione di una ontologia
del dono, come struttura stessa dell’essere creato. Il corpo è
testimone della "sacra mentalità primordiale" dell’uomo e
del mondo. Quella che Giovanni Paolo II definisce "solitudine
originaria" non ha primariamente un riferimento sessuale al
rapporto uomo/donna, ma all’originaria relazione dell’uomo con Dio.
Il corpo ci parla innanzitutto dell’origine da cui proviene: l’apertura
verso Dio e la chiamata a una relazione filiale con lui hanno una
priorità rispetto alla relazione sponsale.
Infine la terza è quella aperta sul piano
etico, che considera il corpo nell’orizzonte dinamico dell’amore,
come chiamata ad una pienezza di vita. Il corpo umano partecipa alla
soggettività morale della persona nella sua integrità, in quanto porta
"segni anticipatori, l’espressione e la promessa del dono di sé,
in conformità con il sapiente disegno del Creatore". Grazie alla
mediazione dell’affettività diventa possibile l’assunzione reale
della dimensione corporea della persona umana secondo quella prospettiva
del soggetto, che è tipica della morale. Ciò permette una
ridefinizione della vocazione all’amore dal punto di vista dell’identità
personale, nell’itinerario che va dal riconoscersi figlio, per
diventare sposo e giungere ad essere padre/madre, esprimendo così quel
complesso di relazioni umane che marcano le azioni degli uomini a
livello di legami personali e non solo di natura.
Appare dunque necessario vedere la stessa teologia
del corpo in quella luce che è l’amore stesso, perché solo così si
scopre la pienezza del suo significato e il modo adeguato di viverlo.
Maria Trigila fma
Pontificia Facoltà
Scienze dell’Educazione "Auxilium"
Via Cremolino 141 - 00166 Roma