n. 5
maggio 2012

 

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«Io, il Signore, scruto la mente e saggio i cuori»

di MARIAMARCELLINA PEDICO

 

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La frase biblica che costituisce il titolo del presente Editoriale è tratta dal capitolo 17 di Geremia: un capitolo interessante per vari motivi, tra cui possiamo menzionare quello dei «detti sapienziali», il contesto in cui la nostra pericope è inserita. Sotto tale titolo sono raccolti nel Dossier - all’interno di questo fascicolo - cinque studi che aprono l’orizzonte ad una importante tematica formativa: «Psicologia e vita spirituale». Porre dapprima l’attenzione su di essa aiuterà a cogliere il messaggio racchiuso nel brano biblico.

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Vari studi fanno emergere che oggi la riflessione su «psicologia e vita spirituale» ha raggiunto una pacifica integrazione. Conoscere se stessi è una necessità e un dovere - afferma lo psicologo-teologo Amedeo Cencini - cui nessuno può sottrarsi. Ognuno avverte l’esigenza di sapere chi è; non può vivere se non scopre che senso ha il suo vivere. Possiamo dire che ogni giorno siamo alla ricerca del nostro io: una ricerca continua, spesso faticosa e apparentemente contraddittoria, ma in ogni caso mai terminata.

Siamo aiutati in questo itinerario dal servizio che la psicologia può prestare alla crescita spirituale, come viene confermato dagli autori del Dossier: una psicologia cioè aperta alla trascendenza, approfondendo le due grandi aree del dinamismo umano: quella intellettuale della conoscenza e dell'apprendimento, e quella dinamica delle tendenze, motivazioni, affettività... Il legame tra psicologia e vita spirituale è un'esigenza nata dalla convinzione che una fede adulta deve procedere all'unisono con la maturità umana, perché esiste un'ammirabile sintonia tra le due realtà. Secondo la suggestiva espressione di Benito Goya - uno dei massimi studiosi di questa materia, con una lunga esperienza di oltre trent’anni nell'orientamento psicologico, spirituale, vocazionale - esse si trasformano in una sinfonia a due mani: l'una proviene dallo Spirito Santo, l'altra dalla creazione di Dio.

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Inoltre, il mutuo rapporto tra «psicologia e vita consacrata» nasce dalla convinzione che anche la fede e la consacrazione devono procedere all’unisono con la maturità umana, poiché esistono rapporti stretti tra la maturità umana e la maturità vocazionale. L’intento degli studiosi nell’applicare le nozioni psicologiche strettamente necessarie per il chiarimento, la conoscenza e il potenziamento della vita consacrata è quello di favorirne la riuscita integrale: umana, cristiana, religiosa, carismatica.

Dopo la considerazione sull’apporto della psicologia a chiarire, discernere e orientare la chiamata alla sequela di Cristo, gli studiosi insistono sulla consacrazione e sull’identità personale, come il fulcro sul quale si appoggia tutta l’esistenza della persona. Considerano i voti come mezzi capaci di condurre i consacrati ad una piena maturità: la verginità orienta verso un amore unificato; la povertà offre la sicurezza interiore, fondata sul proprio «essere»; l’obbedienza contribuisce a un’armonia piena con il progetto originario. Infine la vita comunitaria e apostolica appaiono come sorgenti di maturità e d’impegno creativo nell’attuare la propria missione nella Chiesa e nel mondo.

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Quanto finora detto lo possiamo illuminare con la parola di Dio scelta come titolo dell’Editoriale. Leggiamo il testo: «Più fallace di ogni altra cosa / è il cuore e difficilmente guaribile; / chi lo può conoscere? / Io, il Signore, scruto la mente / e saggio i cuori, / per rendere a ciascuno secondo la sua condotta, / secondo il frutto delle sue azioni» (Ger 17,9-10). È molto nota questa pericope di Geremia, definito il profeta della vita interiore o della religiosità intima del cuore. Essa fa parte del capitolo 17 che si compone di varie unità denominate «detti sapienziali»: trattano dell’adorazione di Dio, che consiste nell’orientare a lui tutta la vita.

Sono brevi frasi che includono giudizi, frammenti di inni, lamenti e suppliche: richiamano lo stile dei testi sapienziali, come i libri dei Proverbi, Siracide, Salmi. I vv. 9-10 mostrano la costanza con cui il profeta ha ribadito il primato dei sentimenti interiori nella vita religiosa. Sono una riflessione sul cuore che sfugge ai giudizi, ma non a Dio. Solo Jahvè conosce i veri motivi e le intenzioni del cuore umano, e può quindi retribuire con giustizia (cf 1Sam 16,7; Gb 34,11; Sal 64,6-7). Nessun uomo può sapere cosa accade veramente nel cuore dell’altro. Infatti, per fidarti di lui occorre sapere intenzioni e interessi.

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I libri sapienziali cercano di dare consigli atti a conoscere il cuore umano, ma vi riescono solo a metà: Dio solo lo penetra a fondo. Anche noi stessi non possiamo garantire che i nostri atteggiamenti nei confronti degli altri rimarranno sempre uguali. È un’illusione pensare che siamo buoni. Dietro le apparenze possono celarsi aggressività, ricerca di comodità, egoismo. Normalmente non le notiamo, ma chi vive accanto a noi soffre per queste cose. Geremia avverte: anche se a noi è inaccessibile il nostro intimo, il cuore, Dio va «scrutando la mente ed esaminando i cuori»: penetra nei nostri pensieri più nascosti, vede le scelte segrete. Così pure Gesù, sapeva quello che c’è nell’uomo (cf Gv 2,25). In una parola, Dio lo conosce com’è veramente, al di là dei paraventi o delle maschere dietro le quali egli vuole nascondersi.

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Questo sentimento profondo di essere afferrato completamente da Dio, di essere come immerso in lui, è uno dei pilastri della fede di Geremia che può dire con sincerità: «Ma, tu Signore, mi conosci e mi vedi, / tu provi che il mio cuore è con te» (Ger 12,3). Dalla sua esperienza, il profeta ricava una legge generale. Per cambiare il comportamento umano è necessario scendere nella profondità misteriosa e malata del cuore, che ha un ruolo centrale nell’identità della persona. Anche se l’esterno può apparire giusto e positivo, è nel cuore che si annidano il bene e il male, la giustizia e l’empietà (cf Mc 7,14-23).

Mentre per noi la parola «cuore» evoca solo le emozioni affettive, per un ebreo è il luogo del dialogo autentico con Dio o del rifiuto, dell’incontro decisivo e della purificazione radicale. In questa prospettiva si deve comprendere il senso dei detti sapienziali di Geremia sul cuore: anche se gli uomini possono essere ingannati, Dio non sarà ingannato, perché egli «scruta la mente e saggia i cuori» (v. 10).

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E poiché solo Dio «conosce il cuore», solo lui potrà trasformare l’uomo dal di dentro, portandolo a prendere quelle decisioni vitali che corrispondono alle esigenze autentiche del suo essere umano, cioè ad agire secondo il suo volere. Per Geremia l’unica speranza di migliorare l’uomo è posta nel lasciarsi guarire il cuore dal Signore. È l’impresa più difficile di cui Israele avrebbe avuto bisogno, ma non accettava. Anche il nostro è un «cuore fallace e difficilmente guaribile».

La guarigione consiste nell’aver fiducia in Dio nelle tribolazioni, attraversandole; «vedendo» la sua mano e la sua presenza che ci protegge, come fa con l’albero che si lascia trapiantare. Riconosciamo la necessità di un cuore nuovo, di una grazia di fiducia e di disponibilità che non ci sappiamo dare da soli. Anche per noi è importante invocare con il salmista: «Guariscimi, Signore, e io sarò guarito». Questo orientamento primario e fondamentale verso Dio non si oppone alla fiducia, necessaria, che ogni giorno siamo chiamati a riporre negli altri: confidare in Dio non significa diffidare degli uomini. Significa dare la priorità a Dio e non al nostro agire ed essere coscienti dei limiti della fiducia umana. A Dio solo spetta la totale fiducia, e perciò l’adorazione.

Amiche lettrici e cari lettori, vi affidiamo il presente fascicolo di Consacrazione e Servizio, il quinto del 2012, per una meditata riflessione su tematiche molto importanti per una vita serena ed equilibrata. A tutti e a ciascuno il nostro augurio di buona lettura.

 

Maria Marcellina Pedico
Serve di Maria Riparatrici
Via Monte Velino, 30 - 00141 ROMA
m.pedico@smr.it