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La
frase biblica che costituisce il titolo del presente
Editoriale è tratta dal capitolo 17 di Geremia: un capitolo interessante per
vari motivi, tra cui possiamo menzionare quello dei «detti sapienziali», il
contesto in cui la nostra pericope è inserita. Sotto tale titolo sono raccolti
nel Dossier - all’interno di questo fascicolo -
cinque studi che aprono l’orizzonte ad una importante tematica formativa:
«Psicologia e vita spirituale». Porre dapprima l’attenzione su di essa aiuterà a
cogliere il messaggio racchiuso nel brano biblico.
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Vari studi fanno emergere che oggi la riflessione su
«psicologia e vita spirituale» ha raggiunto una pacifica integrazione. Conoscere
se stessi è una necessità e un dovere - afferma lo psicologo-teologo Amedeo
Cencini - cui nessuno può sottrarsi. Ognuno avverte l’esigenza di sapere chi è;
non può vivere se non scopre che senso ha il suo vivere. Possiamo dire che ogni
giorno siamo alla ricerca del nostro io: una ricerca continua, spesso faticosa e
apparentemente contraddittoria, ma in ogni caso mai terminata.
Siamo aiutati in questo itinerario dal servizio che la
psicologia può prestare alla crescita spirituale, come viene confermato dagli
autori del Dossier: una psicologia cioè aperta alla
trascendenza, approfondendo le due grandi aree del dinamismo umano: quella
intellettuale della conoscenza e dell'apprendimento, e quella dinamica delle
tendenze, motivazioni, affettività... Il legame tra psicologia e vita spirituale
è un'esigenza nata dalla convinzione che una fede adulta deve procedere
all'unisono con la maturità umana, perché esiste un'ammirabile sintonia tra le
due realtà. Secondo la suggestiva espressione di Benito Goya - uno dei massimi
studiosi di questa materia, con una lunga esperienza di oltre trent’anni
nell'orientamento psicologico, spirituale, vocazionale - esse si trasformano in
una sinfonia a due mani: l'una proviene
dallo Spirito Santo, l'altra dalla creazione di Dio.
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Inoltre, il mutuo rapporto tra «psicologia e vita consacrata»
nasce dalla convinzione che anche la fede e la consacrazione devono procedere
all’unisono con la maturità umana, poiché esistono rapporti stretti tra la
maturità umana e la maturità vocazionale. L’intento degli studiosi
nell’applicare le nozioni psicologiche strettamente necessarie per il
chiarimento, la conoscenza e il potenziamento della vita consacrata è quello di
favorirne la riuscita integrale: umana, cristiana, religiosa, carismatica.
Dopo la considerazione sull’apporto della psicologia a
chiarire, discernere e orientare la chiamata alla sequela di Cristo, gli
studiosi insistono sulla consacrazione e sull’identità personale, come il fulcro
sul quale si appoggia tutta l’esistenza della persona. Considerano i voti come
mezzi capaci di condurre i consacrati ad una piena maturità: la verginità
orienta verso un amore unificato; la povertà offre la sicurezza interiore,
fondata sul proprio «essere»; l’obbedienza contribuisce a un’armonia piena con
il progetto originario. Infine la vita comunitaria e apostolica appaiono come
sorgenti di maturità e d’impegno creativo nell’attuare la propria missione nella
Chiesa e nel mondo.
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Quanto finora detto lo possiamo illuminare con la parola di
Dio scelta come titolo dell’Editoriale.
Leggiamo il testo: «Più fallace di ogni altra cosa / è il cuore e difficilmente
guaribile; / chi lo può conoscere? / Io, il Signore, scruto la mente / e saggio
i cuori, / per rendere a ciascuno secondo la sua condotta, / secondo il frutto
delle sue azioni» (Ger 17,9-10). È molto nota questa pericope di Geremia,
definito il profeta della vita interiore o della religiosità intima del cuore.
Essa fa parte del capitolo 17 che si compone di varie unità denominate «detti
sapienziali»: trattano dell’adorazione di Dio, che consiste nell’orientare a lui
tutta la vita.
Sono brevi frasi che includono giudizi, frammenti di inni,
lamenti e suppliche: richiamano lo stile dei testi sapienziali, come i libri dei
Proverbi, Siracide, Salmi. I
vv. 9-10 mostrano la costanza con cui il profeta ha ribadito il primato dei
sentimenti interiori nella vita religiosa. Sono una riflessione sul cuore che
sfugge ai giudizi, ma non a Dio. Solo Jahvè conosce i veri motivi e le
intenzioni del cuore umano, e può quindi retribuire con giustizia (cf 1Sam 16,7;
Gb 34,11; Sal 64,6-7). Nessun uomo può sapere cosa accade veramente nel cuore
dell’altro. Infatti, per fidarti di lui occorre sapere intenzioni e interessi.
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I libri sapienziali cercano di dare consigli atti a conoscere
il cuore umano, ma vi riescono solo a metà: Dio solo lo penetra a fondo. Anche
noi stessi non possiamo garantire che i nostri atteggiamenti nei confronti degli
altri rimarranno sempre uguali. È un’illusione pensare che siamo buoni. Dietro
le apparenze possono celarsi aggressività, ricerca di comodità, egoismo.
Normalmente non le notiamo, ma chi vive accanto a noi soffre per queste cose.
Geremia avverte: anche se a noi è inaccessibile il nostro intimo, il cuore, Dio
va «scrutando la mente ed esaminando i cuori»: penetra nei nostri pensieri più
nascosti, vede le scelte segrete. Così pure Gesù, sapeva quello che c’è
nell’uomo (cf Gv 2,25). In una parola, Dio lo conosce com’è veramente, al di là
dei paraventi o delle maschere dietro le quali egli vuole nascondersi.
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Questo sentimento profondo di essere afferrato completamente
da Dio, di essere come immerso in lui, è uno dei pilastri della fede di Geremia
che può dire con sincerità: «Ma, tu Signore, mi conosci e mi vedi, / tu provi
che il mio cuore è con te» (Ger 12,3). Dalla sua esperienza, il profeta ricava
una legge generale. Per cambiare il comportamento umano è necessario scendere
nella profondità misteriosa e malata del cuore, che ha un ruolo centrale
nell’identità della persona. Anche se l’esterno può apparire giusto e positivo,
è nel cuore che si annidano il bene e il male, la giustizia e l’empietà (cf Mc
7,14-23).
Mentre per noi la parola «cuore» evoca solo le emozioni
affettive, per un ebreo è il luogo del dialogo autentico con Dio o del rifiuto,
dell’incontro decisivo e della purificazione radicale. In questa prospettiva si
deve comprendere il senso dei detti sapienziali di Geremia sul cuore: anche se
gli uomini possono essere ingannati, Dio non sarà ingannato, perché egli «scruta
la mente e saggia i cuori» (v. 10).
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E poiché solo Dio «conosce il cuore», solo lui potrà
trasformare l’uomo dal di dentro, portandolo a prendere quelle decisioni vitali
che corrispondono alle esigenze autentiche del suo essere umano, cioè ad agire
secondo il suo volere. Per Geremia l’unica speranza di migliorare l’uomo è posta
nel lasciarsi guarire il cuore dal Signore. È l’impresa più difficile di cui
Israele avrebbe avuto bisogno, ma non accettava. Anche il nostro è un «cuore
fallace e difficilmente guaribile».
La guarigione consiste nell’aver fiducia in Dio nelle
tribolazioni, attraversandole; «vedendo» la sua mano e la sua presenza che ci
protegge, come fa con l’albero che si lascia trapiantare. Riconosciamo la
necessità di un cuore nuovo, di una grazia di fiducia e di disponibilità che non
ci sappiamo dare da soli. Anche per noi è importante invocare con il salmista:
«Guariscimi, Signore, e io sarò guarito». Questo orientamento primario e
fondamentale verso Dio non si oppone alla fiducia, necessaria, che ogni giorno
siamo chiamati a riporre negli altri: confidare in Dio non significa diffidare
degli uomini. Significa dare la priorità a Dio e non al nostro agire ed essere
coscienti dei limiti della fiducia umana. A Dio solo spetta la totale fiducia, e
perciò l’adorazione.
Amiche lettrici e cari lettori, vi affidiamo il presente
fascicolo di Consacrazione e Servizio,
il quinto del 2012, per una meditata riflessione su tematiche molto importanti
per una vita serena ed equilibrata. A tutti e a ciascuno il nostro augurio di
buona lettura.
Maria Marcellina Pedico
Serve di Maria Riparatrici
Via Monte Velino, 30 - 00141 ROMA
m.pedico@smr.it
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