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Nel modo di interpretare il matrimonio sacramento si possono leggere molte delle complessità e contraddizioni che caratterizzano il tempo presente, situazioni e istanze che mettono a nudo le strutturali fragilità umane, della persona e delle sue relazioni fondamentali, della comunione sociale e della stessa vita di fede. Se da una parte, questo non rappresenta una novità assoluta sul palcoscenico della storia, visto che anche ai tempi di Gesù ci si accapigliava sulle casistiche matrimoniali, dall'altra, però, c'è molto di mai visto, soprattutto nei significati con cui si vivono queste situazioni e nel ribaltamento del rapporto eccezione – normalità. Oggi non è più scontato affermare la propria mascolinità o femminilità, dirsi papà e mamma di qualcuno (non di un animaletto, per es.) o semplicemente poterlo vedere ancora scritto (invece di genitore 1 e 2), giurare davanti a Dio un amore speciale e per sempre (senza ritrattare da lì a poco), e molte cose simili.
Umili compagni di viaggio
Il nostro discorso cercherà di portare un po' di luce in quella situazione che vede coinvolte moltissime persone, dopo una separazione/divorzio e una nuova unione; soprattutto, ascolteremo la domanda di fede, insieme alla ricerca di quali strumenti di grazia possano realisticamente essere messi a disposizione nella Chiesa. Come spero tutti riescano a comprendere, non è possibile e nemmeno giusto liquidare le esistenze di molti fratelli in queste condizioni coniugali, con l'inevitabile riflesso su tutto l'universo familiare, nel famoso discorso: "Comunione sì; comunione no!". Sia per il semplice rilievo che si andrebbe a parlare solo ad una piccola porzione dei separati/divorziati e risposati (quelli che appunto desiderano il sacramento eucaristico); ma molto di più, per il fatto che il significato di quello che è avvenuto e il dolore profondo hanno bisogno di una vera fraternità cristiana, capace di considerare con pazienza l'orizzonte esistenziale a tutto tondo, facendosi autentici e umili compagni di viaggio.
Per non rimanere disancorati dalla realtà, partiamo da una storia concreta.
Due persone che si erano scelte per la vita e che in questa volontà di amore avevano chiesto la presenza stabile di Cristo, la sua grazia di forza misericordiosa e di eternità, si trovano nella condizione di lasciarsi o di trovarsi lasciati. Insieme a loro ci sono altre persone che sono immerse in questo strappo (per esempio: i figli, le famiglie di origine, gli amici, la comunità cristiana) e che similmente stanno provando un medesimo dolore, con profondo smarrimento e grave impoverimento relazionale. Anche a questi la Chiesa deve porre attenzione, deve accompagnare e sostenere nel nuovo cammino che si apre davanti; un percorso che sicuramente non è stato scelto, ma piuttosto subito.
La maggior parte delle volte, nella dinamica specifica della separazione, uno dei due nella coppia agisce la fuoriuscita dalla vita di casa e simboleggia così la fine del rapporto; come dire: una parte rimane e l'altra se ne va, qualcuno subisce di più l'evento e qualcun'altro lo agisce più direttamente. Anche nelle situazioni maggiormente conflittuali o dove le decisioni sono a lungo trascinate, normalmente la parola definitiva di "stop" si svolge dentro la privata solitudine di due coscienze. E dire, invece, che tutto aveva preso inizio nella pubblica promessa davanti a Dio e alla Chiesa... Ora, gli altri, e spesso anche uno dei due coniugi, non possono che prendere atto e a malincuore ratificare ciò che è già avvenuto. Qui si scavano trincee per ferirsi a distanza e rimanere ciascuno nella propria posizione, lasciando, più o meno, al solo mondo degli avvocati le sortite di attacco e di avanzamento della propria bandierina, mentre nelle retrovie si trovano spartiti i figli, i parenti e gli amici: tutto doppio, tranne che la felicità!
Trovare un nuovo cammino
Dopo la prima tempesta e il relativo naufragio, bisogna reiniziare a raccogliere quello che è rimasto e a dargli un nuovo indirizzo di vita, un nuovo significato, che non può più essere riferito direttamente alla promessa fatta in Chiesa, o almeno non nella sua pienezza esistenziale. Niente potrà più essere come prima, dal momento che niente viene cancellato o virtualmente "resettato"; non rimane che riconoscere questo passato e con questo bagaglio sulle spalle trovare un nuovo cammino, secondo tempi e occasioni veramente personali, originali per ciascuno. Anche il nostro corpo, similmente a quanto avviene nei legami, mantiene sempre la memoria di una ferita e non ritorna più nella situazione precedente: affronta la malattia, la supera e si adegua. Si può e si deve vivere anche con una sola gamba, inventando un nuovo stile di vita e magari acquistando abilità un tempo neanche immaginate; purtroppo, però, questo non toglie che alcune cose non si possano più
fare o che ci si possa illudere di vivere come se nulla fosse mai avvenuto. Un'altra storia presuppone, appunto, un prima finito e un dopo segnato dalla discontinuità.
Tutti questi ragionamenti, resi in metafora per rispetto del dolore altrui, sono in realtà ben presenti alla stragrande maggioranza delle persone separate/divorziate e risposate. Invece, quello che forse sfugge è il legame tra la propria vicenda esistenziale e la dimensione della fede vissuta nella comunità dei credenti... Anche qui si cercherà una strada nuova, anche qui si potranno scoprire orizzonti inimmaginabili di accesso al mistero di Dio, ma anche qui niente sarà più come prima, proprio perché niente torna indietro, ma solo può andare avanti.
Nessun fratello va abbandonato
Certo è che il cammino va condiviso nella comunità e che nessun fratello va mai abbandonato, o quanto meno bisogna evitare al massimo che qualcuno si senta fuori posto, se non addirittura escluso!
A questo punto, proviamo a lasciarci provocare da una domanda scomoda, da un grido che alberga nel profondo di parecchie persone separate/divorziate e risposate.
"Ma che c'entra il fallimento del mio matrimonio con la possibilità di accedere alla comunione sacramentale?"; come dire: "Quale è il nesso tra il vivere con una persona che non è in Cristo mio marito/mia moglie e il fare la comunione in Chiesa?".
Prima di tutto, voglio chiarire che qui propongo di accogliere la domanda come se fosse posta da una coppia di risposati, lasciando da parte la situazione di coloro che separati o divorziati non hanno in essere un altro vincolo more uxorio, con matrimonio civile o mera convivenza. Questo per il fatto lampante che, pur essendoci magari anche molte difficoltà, per questi non sussiste l'impossibilità di accedere alla comunione eucaristica. Tale scelta di campo e i ragionamenti che ne verranno potranno comunque risultare fruttuosi per ogni fedele, dovendo immergersi nei significati del matrimonio sacramento, dell'eucarestia, e della Chiesa come corpo di Cristo, sua sposa.
Per due battezzati, il matrimonio è sacramento dell'unione del Cristo con la sua Chiesa, segno e strumento cioè di salvezza dentro lo specifico legame dell'amore coniugale unico e fedele (indissolubile), totale e fecondo. Nel bene dell'intima comunione esclusiva tra gli sposi e nel mirabile dono dei figli cresce, quindi, il Regno di Dio, rinnovandosi continuamente l'Alleanza di salvezza. Ci si sposa in Cristo, nella sua vita e nel suo amore, per essere membra del suo Corpo, la Chiesa, e così annunciare in una forma specialissima il Vangelo. Ben si comprende, allora, come il matrimonio non sia la ratifica di quanto due si vogliono bene e neppure una "semplice benedizione", dove il rito rischierebbe di ridursi alla cornice per incastonare una bella dichiarazione d'amore. Quello che i fidanzati giurano davanti all'altare del sacrificio di Cristo, insieme alla presenza potente dello Spirito Santo, è di lasciar vivere l'Amore di Dio in loro, ossia di vivere la fede nell'amore. Palesa questo significato profondo il nome che tra i cristiani porta l'anello nuziale: "La fede", appunto!
Lasciar vivere l'Amore di Dio
Il sacramento del matrimonio, sacramento dell'Amore di Dio in Gesù Cristo, sorge all'interno del grembo della Chiesa, secondo le prescrizioni della stessa e la presenza dello Spirito Santo, e può continuare a vivere solo all'interno dello stesso popolo di Dio. Diventa, quindi, evidente il motivo per il quale la famiglia, fondata sul sacramento, venga chiamata "Chiesa domestica" e ritenuta la cellula fondamentale del corpo ecclesiale. Il matrimonio è un bene prezioso non solo per i diretti interessati e gli eventuali parenti, amici; prima di tutto è un tesoro proprio per la Chiesa, essendo viva presenza di Cristo e storia di santità per i suoi figli. Mi rendo conto che leggendo questi brevi ragionamenti qualcuno potrebbe arricciare il naso, sia per il fatto che all'apparenza pochi conoscono questi significati, sia comunque a motivo che non tutti gli sposati condividono di fatto un matrimonio così inteso. Nel Vangelo di Matteo (Mt 19, 10-11) sembra sia stata manifestata una simile perplessità da parte dei discepoli, dopo un cruciale discorso di Gesù; ma la risposta non ha tardato a venire e ha ribadito, da una parte, l'alta chiamata del matrimonio nella fede, mentre allo stesso tempo, ha riconsegnato la responsabilità di ciascuno nel rispondere con la propria vita. Unirsi in matrimonio davanti a Dio è allo stesso tempo unirsi in Dio!
Il dono più grande
L'indissolubilità è il più grande dono della presenza dell'Amore di Cristo nell'amore coniugale, la reale possibilità agita con la potenza di Dio di mettere tutto se stesso in comunione con un altro, senza ragionevole timore di aver gettato via tutto. Solo la tenuta della grazia divina nel perdono e nella pazienza, insieme alla certezza della meta eterna, possono giustificare la fedeltà vissuta come un "per sempre". Se stessimo sulle personali gratificazioni o sul benessere individuale non sarebbe né possibile, né giusto giurare un legame indissolubile; se la durata del vincolo coniugale fosse consegnata nelle sole mani degli sposi, l'indissolubilità diventerebbe un puro mito, tenuto come sfondo esistenziale nel malinconico orizzonte del "sarebbe bello, ma non è possibile!". La conversione continua all'Amore di Cristo e la sua presenza indefettibile sono i presupposti di un matrimonio segnato, vissuto nella pienezza dell'eternità. San Paolo nella Lettera agli Efesini (Ef 5,32) annunciando il Mistero Grande, di quanto cioè Cristo ami la sua Sposa, viene a mostrare non solo il segno più evidente di questo Amore sulla terra, ma anche il luogo certo della sua piena manifestazione: il matrimonio e la famiglia in Dio.
La fonte del dono nuziale
Ora, con tutti questi ragionamenti, forse, siamo in grado di comprendere meglio il legame tra il sacramento nuziale e la fede, la vita dei due e quella di tutta la Chiesa: tanto ogni matrimonio costituisce e fa crescere l'intero corpo ecclesiale, tanto ogni defezione ferisce e impoverisce la Sposa di Cristo. Restiamo, però, ancora sulla domanda: "Ma che c'entra fare o non fare la comunione eucaristica?".
Il settenario sacramentale esprime il suo autentico significato solo se visto all'interno dell'identità e della missione della Chiesa, che è pienezza della presenza salvifica del Redentore, suo grande sacramento per tutta l'umanità. Insieme alla Parola di Dio e alla vita comunitaria (liturgica e non), i sette sacramenti sono strumenti di grazia, doni che la Chiesa elargisce per il bene dei fedeli. Pur essendo diversi nel segno e nell'intenzione specifica, ciascuno di essi contribuisce a far crescere la comunione con Dio e con i fratelli, secondo il binomio indissolubile espresso nel Vangelo: "Ama Dio e ama il prossimo". Ogni segno di grazia è relativo a Cristo e alla Chiesa, nonché ciascuno di essi, anche se preso da solo, richiama il legame di significato profondo con tutti gli altri. Se dunque la rottura della comunione di fraternità è profonda e irrevocabile, anche la comunione con Dio perde la sua pienezza, pur resistendo ad ogni avversità, dal momento che Lui non ritrae mai la sua promessa di Amore. Sciogliere definitivamente il matrimonio con una nuova unione, allora, non riguarda solo il legame esistenziale tra i due ex sposi, insieme ovviamente a tutta la rete familiare, ma compromette allo stesso tempo il legame con Cristo e la sua diletta Sposa, fonte da cui si è ricevuto il dono nuziale. La Chiesa amorevolmente non lascia soli questi suoi figli, consolandoli nella verità e illuminandoli con tanta carità, ma ugualmente con dolore deve prendere atto di quanto avvenuto e nel segno della misericordia divina deve offrire quei cammini di fede oggettivamente possibili.
Come olio sulle ferite
La non piena comunione ecclesiale, prima ancora di essere evidenziata dall'impossibilità al ricevere l'eucarestia celebrata, è negata dalla rottura definitiva del legame coniugale, sigillato dal matrimonio sacramento. Insomma, come dire: "Non è il prete che ti vieta di fare la comunione durante la Messa, ma è la condizione in cui vivi che purtroppo non lo rende possibile". Certo è che ogni situazione va accolta e ascoltata, nel tentativo di comprendere l'originalità di ogni storia e di rispettare le scelte di ciascuno, anche se oggettivamente magari non tutto potrà essere poi sempre condiviso (accogliere una persona non vuol dire approvare una situazione). Se è vero che tutti i fedeli hanno diritto agli strumenti di salvezza, è pur vero che ci si deve disporre ad accoglierli dentro la Chiesa, che sempre vive nella storia e cammina nel tempo. Similmente, come nessuno può essere impedito di rivolgere la propria coscienza a Dio, così nessun fedele può disancorarsi dal vivere in una comunità concreta, grembo generante, sostegno nel cammino e olio curativo sulle ferite. Lo scopo degli strumenti spirituali dentro il Corpo di Cristo è genericamente quello di contribuire al cammino di santità, cioè di piena comunione con Dio e i fratelli su questa terra verso l'eternità del paradiso, dove godremo direttamente della visione beatifica.
Un grembo che accoglie
I fedeli separati/divorziati e risposati sono figli della Chiesa e hanno quindi diritto di trovare un posto accogliente e percorsi realmente adeguati alle proprie condizioni, alle singolari esigenze, dal momento che abbiamo visto che fede e vita vanno insieme. Non è qui il momento di inoltrarci a descrivere questi percorsi; non di meno, è doveroso affermarne almeno i criteri generali: cammini ecclesiali, dove si metterà in rilievo il passo della carità e quello della penitenza nella misericordia divina, dove la Parola di Dio emergerà con maggior vigore nella sua forza e bellezza, dove si riconoscerà la ricchezza della liturgia, infine dove la cura delle relazioni comunitarie sarà all'insegna della sincera accoglienza e autentica solidarietà.
Almeno per qualche istante, però, la domanda che ci ha accompagnato in questo breve articolo ha bisogno di essere ancora ascoltata, ponendo attenzione a quello che rimane nascosto tra le righe, ma che rappresenta spesso il nocciolo del problema, dei dolori e delle arrabbiature verso la Chiesa. Quindi, ci chiediamo: "Oltre a chiedere direttamente la comunione eucaristica, che cosa chiedono i fedeli risposati/riconiugati?".
Restituire speranza al matrimonio
Sicuramente, al fondo della richiesta c'è un sacrosanto bisogno di essere ascoltati e di poter venire accolti anche nella nuova condizione di vita, così segnata da rinnovata speranza ma pesante di un passato ingombrante. Che fare? A questo punto sono forse le comunità cristiane a dover porre mano allo sforzo di rivedere la propria capacità di ascolto e di accoglienza, evitando inutili estremismi e pericolose confusioni: tutto giusto – tutto sbagliato; dare sempre la comunione – non dare mai la comunione. Le persone vanno incontrate nella loro singolare situazione e lì vanno aiutate in maniera originale, direi evangelica. Certo mi rendo conto che a volte la domanda di eucarestia porta con sé anche delle ambiguità, come il desiderio di approvazione indiscriminata e il bisogno di visibilità ecclesiale. Rimane pur vero che, data la reciproca disponibilità, un cammino paziente e deciso vissuto insieme, come in un setaccio, farà cadere le recriminazione inutili e dettate dalla fatica di un primo momento, per tenere nelle mani una vera domanda di fede e un sincero bisogno di consolazione.
Se la Chiesa deve rinnovarsi, non è per stravolgere i significati dei sacramenti o per misconoscere l'indissolubilità del matrimonio (ad esempio), ma sarà per accogliere meglio le persone e donare loro il Vangelo di Gesù, con modalità limpide e sempre più efficaci. Serve una Chiesa capace di accogliere e donare la misericordia divina, in grado cioè di impostare il cammino ordinario di ogni fedele secondo la bussola del Redentore, che non è venuto per i sani, ma per i malati...
Come olio curativo sulle ferite; così dovrà essere l'azione della Chiesa verso ogni fedele, con uno sforzo e un'attenzione particolari verso quella moltitudine di fratelli separati/divorziati e risposati/riconiugati. Solo così il loro grido di dolore potrà trasformarsi in profezia di bene, al fine di restituire speranza al matrimonio sacramento e rinnovata bellezza al Mistero Grande di Cristo, Sposo appassionato della sua diletta Sposa, la Chiesa.
Giorgio Comini
Presidente Commissione Diocesana per la famiglia
Via don Giavarini, 21 - 25060 Cellatica (Brescia)
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