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Padre Maurice Borrmans
(Islam)
Io non parlerò dell’Islam,
ma dei musulmani e delle musulmane. Mi pare sia molto importante questo
piccolo "distinguo" all’inizio del mio intervento. Tanto
più che, ricordando la visita del Santo Pade, molti anni fa, alla
Sinagoga di Roma, dove lui ha avuto il coraggio di chiamare gli ebrei
"nostri fratelli maggiori" (sono decine di milioni nel mondo),
penso che sia opportuno anche parlare dei nostri "fratelli
minori": sono un miliardo. Ormai ne troviamo per le strade di Roma,
Milano, Firenze e Venezia, così come loro trovani dei cristiani nelle
strade di Riad o del Quatar. Vale a dire che ovunque, nel mondo, siamo
vicini di casa. Saremo davvero vicini tramite l’amicizia, il servizio
comune? Non si può più, nella nostra Italia, vivere come se la
società fosse solo cristiana, di cultura, di tradizione e anche di
fede. Se prendo le ultime statistiche proposte nel libretto
"Catecumeni provenienti dall’Islam", noto che metà
degli extracomunitari oggi in Italia sono di fede musulmana: marocchini,
tunisini, somali, egiziani, bengalesi, pachistani… Non si può più
nelle nostre scuole pensare di fare una catechesi che non tenga conto
delle grandi religioni del mondo, e dunque del vicino di casa che
talvolta va in Moschea, o mi parla del suo Corano.
Tanto più che l’informazione
quotidiana ed il turismo permettono agli italiani di porsi delle
domande: "Che cosa significa la religione degli altri?".
Davanti a questi fatti siamo chiamati tutti noi, e soprattutto noi
responsabili della catechesi, dell’insegnamento e della pedagogia
pastorale fra le nostre comunità in Italia, in Europa, in Asia e
Africa. Siamo chiamati ad essere informati e, prima o dopo, formati di
quel che riguarda i musulmani. delle loro tradizioni culturali, poiché
non tutti sono simili: il musulmano arabo non è come quello pachistano
o indonesiano o indiano. A conoscere la vita dei musulmani, ma
soprattutto la dimensione spirituale di questa loro vita. E, dall’altra
parte, ad avere qualche informazione sul loro Islam, vale a dire dal
punto di vista della religione, ma anche dello stato e della cultura. Ed
è proprio qui che, dopo 14 secoli di confronti, di cui prende coscienza
il Vaticano II, abbiamo avuto, con il Concilio, due documenti importanti
che ci hanno permesso, da allora in poi, di rinnovare il nostro sguardo,
di avviare un dialogo e soprattutto, di approfondire una emulazione
spirituale.
Ricordate che la
Costituzione Dogmatica sulla Chiesa al Cap. 2, num. 16, dice: "Ma
il disegno di salvezza abbraccia anche coloro che riconoscono il
creatore, ed in particolare i musulmani. I quali, professando la fede di
Abramo, adorano con noi un Dio unico, misericordioso, che giudicherà
gli uomini nel giorno finale". Questo testo è forse più
importante di quanto non lo sia "Dichiarazioni sulla relazione
della Chiesa con le Religioni non Cristiane" (Nostra Aetate).
Nel num. 2 si parla del buddismo e dell’induismo. Nel num. 3, non si
parla dell’Islam: si parla dei musulmani e della loro esperienza
spirituale.
La Chiesa guarda con
stima anche i musulmani che adorano l’unico Dio, vivente e
sussistente, misericordioso e onnipotente. Vocaboli coranici e biblici
nello stesso tempo. Creatore del cielo e della terra, che ha parlato per
i musulmani come per noi e per i Giudei. Dio non è muto: parla e manda
profeti.
Essi cercano di
sottomettersi ai decreti di Dio con tutto il cuore, anche a quelli
nascosti (c’è spazio per il mistero), come si è sottomesso Abramo
nella fede Islam e cui si riferisce volentieri. Benchè essi non
riconoscano Gesù come Dio, lo venerano come profeta, e da quel punto di
vista gli islamici ci sono più vicini di quanto non lo siano gli ebrei.
Essi onorano sua madre Maria Vergine, e talvolta la invocano con
devozione. Inoltre, attendono il giorno del giudizio in cui Dio
retribuirà tutti gli uomini resuscitati. E così essi hanno pure in
stima la vita morale e rendono culto a Dio soprattutto conla preghiera,
l’elemosina e il digiuno.
Se nel corso di 14
secoli non pochi dissensi sono sorti tra cristiani e musulmani, il
Concilio esorta a dimenticare il passato, a "purificare la
memoria" (Santo Padre), e ad esercitare sinceramente la mutua
comprensione. Nonché a promuovere e difendere insieme per tutti gli
uomini la giustizia sociale, i valori morali, la pace e la libertà. Mi
pare che questi due testi del Vaticano II, sono stati da quasi 40 anni
commentati, sviluppati e precisati da tanti testi Magisteriali, dal
Consiglio per il dialogo Interreligioso, e da Vescovi a livello
internazionale.
Basta pensare al "Redemptoris
Missio", che il Santo Padre ha dato 10 anni fa, e che ha
preceduto di quasi un anno un testo congiunto del Pontificio Consiglio
per il dialogo Interreligioso intitolato "Dialogo e annuncio"
(1991).
Leggiamo nella Missio:
"Il dialogo con i fratelli delle altre religioni è considerato dal
Santo Padre come una delle tante forme dell’evangelizzazione. Il
dialogo non nasce da tattica o da interesse, ma è una attività che ha
proprie motivazioni, esigenze, dignità. E’ richiesto del profondo
rispetto per tutto ciò che nell’uomo ha operato lo Spirito, che
soffia dove vuole. E con esso la Chiesa intende scoprire i germi del
verbo, i raggi della verità che illuminano tutti gli uomini che si
trovano nelle tradizioni religiose dell’umanità. Il dialogo si fonda
sulla speranza e sulla carità, e porterà frutti allo Spirito. Le altre
religioni costituiscono una sfida positiva per la Chiesa, la stimolano
sia a scoprire e a riconoscere i segni della presenza del Cristo e dell’azione
dello Spirito, che ad approfondire lapropria identità e a testimoniare
l’integrità della rivelazione di cui è depositaria per il bene di
tutti.
L’interlocutore deve
essere coerente con le proprie tradizioni e convinzioni religiose ed
aperto a comprendere quelle dell'altro, senza dissimulazioni o chiusure,
ma con lealtà, umiltà, verità, sapendo che il dialogo può arricchire
ognuno".
Penso che questa
descrizione delle condizioni importanti del dialogo si rivelano sempre
di attualità. Non mancano i vari documenti le varie Chiese hanno
proposto. E a livello italiano ricordiamo uno dei primi testi: la
lettera alla cittadinanza di Milano dal Cardinale Carlo Maria Martini,
10 anni fa "Noi e l'Islam"; il libretto della Diocesi di
Brescia sui matrimoni misti, tra parte cattolica e parte musulmana; il
piccolo documento della Commissione triveneta per l'ecumenismo ed il
dialogo interreligioso e, ultimamente, la Conferenza Episcopale
dell'Emilia Romagna "Islam e Cristianesimo". Non mancano i
documenti. I problemi si presentano nella vita quotidiana e soprattutto
nella nostra pastorale evangelica: di sapere come organizzare la
convivenza nel rispetto reciproco da una parte e nell’emulazione
spirituale dall'altra. C'è il problema dei luoghi del culto (le
Moschee); il problema delle scuole, che allo stesso momento spesso
accolgono tanti ragazzi e tante ragazze di fede musulmana. (Come si può
vivere insieme?)
Insegnare religione o
religioni (al plurale)?; te poi tanti problemi di pedagogia...
E qui dobbiamo
riconoscere che tanti genitori musulmani preferiscono spesso alla scuola
statale o alla scuola musulmana, una scuola cattolica, perché sanno
benissimo che da noi c'è una pedagogia personalizzante. Ed è una prima
tappa nel riconoscere che dietro la nostra istituzione c'è qualcuno che
chiama.
C'è il problema dei
matrimoni misti e della promozione della donna; il problema della
cultura; e non è senza importanza che in tanti paesi arabi, dove
purtroppo le comunità cristiane locali non esistono ancora, parlo dell’Africa
del Nord, ci è impossibile servire sia nelle biblioteche, sia nei
centri culturali, sia negli ospedali. Certo che i problemi alimentari e
le politiche funerarie pongono tanti problemi, però non possiamo noi
vivere in un mondo ormai pluralistico, in materia di fedi religiose
senza essere informati ed avere in testa i principi fondamentali in
materia pastorale. E qui direi, per riassumere tutti questi problemi
della convivenza, non dico pacifica, ma costruttiva, noi cattolici
abbiamo nella nostra tradizione due principi fondamentali: rispettare le
coscienze personali ed invitarle a sviluppare la loro autonomia, e qui
vedete tanti testi del Vaticano II che sarebbero da citare come esempi.
E naturalmente, organizzare il pluralismo, che sia quello culturale o
alimentare o religioso. E qui, l’esperienza di tanti altri paesi
potrebbe essere utile per la nostra esperienza in Italia e, direi, nell’informare
le nostre comunità, dovunque esse siano. E’ importante per noi non
fare soltanto informazione sull’Islam in quanto religione o Islam come
cultura, sistema giuridico o politico, ma dobbiamo in continuazione
paragonare. Parlare delle presentazioni comparate: chi è Dio per voi,
chi è Dio per noi… Ed è proprio in tal senso che la Commissione
Internazionale Cattolica di Teologia ha posto le domande alla fine del
suo famoso documento "Il Cristianesimo e le religioni":
"Cosa dite di Dio, cosa dite dell’uomo, cosa dite della famiglia,
dell’amore?" Sono le domande che sono state poste fin dall’inizio
della Nostra Aetate e che, tutto sommato, costituiscono la sostanza del
nostro dialogo interreligioso. Ed è vero allora in tal caso che quando
un musulmano bussa alla porta della nostra Chiesa per chiedere chi è
Gesù Cristo, è ovvio che si tratta di organizzare per lui una
catechesi adatta.
Il mondo dei musulmani
si è risvegliato da quasi 25 anni, soprattutto dall’ottobre ’73, l’embargo
del petrolio a causa della guerra di Ramadan Kipur, e qui siamo
coinvolti nel grande confronto mediorientale. Il nostro dialogo soffre
da questa spina tremenda, che non è finita. E’ una sfida, questo
mondo dei musulmani, che pretende di proporre al mondo oggi una terza
via, tra quella caduta del sovietismo comunista e tra quella, non ancora
caduta, del liberalismo occidentale paganizzante (é quello che io leggo
ogni giorno dai loro documenti in arabo). Ecco la sfida. Per loro
entro un secolo tutta l’Africa dovrebbe essere islamizzata. Ecco un’altra
sfida. Davanti a questa sfida, che io chiamo mistica, la reazione che il
cristiano ha è troppo spesso quella della paura, perché c’è
ignoranza…. E perché c’è ignoranza? Perché "l’altro"
non ci interessa. E perché non ci interessa? Perché manca qualcosa
nella nostra fede. Davanti a questa sfida noi siamo re-invitati al
cristianesimo autentico. Se per i musulmani i nostri Vangeli sono
apocrifi, falsificati… cosa rimane? Realizzare nelle nostre vite
quotidiane un quinto Vangelo che non sia falsificato. Anni fa uno
scrittore egiziano mandò a Paolo VI una lettera aperta chiedendo:
"Voi cristiani, quando finalmente vivrete al 100% le vostre
beatitudini?" Mi pare che sia importante guardare a questa sfida.
Per rispondere noi abbiamo la ricchezza delle nostre comunità. Che cosa
ne facciamo? Pensiamo noi a quelli che sono lontani dalla nostra Chiesa?
Che cosa facciamo per i musulmani? Io chiedo a tutte le congregazioni
femminili che hanno delle comunità al servizio delle popolazioni
musulmane, cosa facciamo per mantenerle, arricchirle, per far sì che
siano affascinanti? Preparazione, testimonianza, ricchezza di vita
cristiana. In modo che noi possiamo suscitare nei cuori e nelle
coscienze la domanda "Lui chi è, che vi ha mandati qui a fare tuto
questo?".
Leggendo il passo del
Cardinal Martini, il quale dopo aver posto 4 domande alla cittadinanza
di Milano, concludeva così: "Maometto nasce due secoli dopo il
tempo di Sant’Ambrogio, e non vi è nulla quindi nell’opera del
Santo che si riferisca al nostro tema; ma è interessante notare che la
comunità di Ambrogio, era una comunità religiosamente
"minoritaria": due terzi della popolazione, che in quei tempi
abitava nella zona di Milano non era cristiana, bensì pagana. Eppure
sembra che a Milano non esistesse un Ministero organizzato per l’evangelizzazione
dei pagani. Nel "De Ufficis Ministrorum" Ambrogio non
dà alcuna istruzione ai chierici per il lavoro di conversione dei
pagani. La via ordinaria per la quale essi venivano a conoscenza del
cristianesimo era attraverso la frequenza libera alla predicazione. I
colloqui con il vescovo, come nel caso di Agostino, e specialmente il
contatto con i cristiani e la loro condotta esemplare. Ambrogio poneva
la sua cura nel far progredire la comunità cristiana come tale, per
mezzo di essa e non con un ministero organizzato aveva l’influsso sui
pagani. Non con un proselitismo invadente, bensì l’immagine di una
comunità plasmata dal Vangelo che dà l’eucarestia, zelante nella
carità, libera e serena nel suo impegno civile quotidiano, coraggiosa
nelle prove, sempre piena di speranza. E’ questa la nostra forza
principale, oggi, in un mondo secolarizzato: quella delle origini, dalla
Chiesa di allora alla Chiesa di oggi".
Credo sia lo stesso in
un mondo islamico.
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